mercoledì 22 giugno 2016

INDEROGABILITÀ DELLE MAGGIORANZE DELIBERANTI: quorum e conflitto di interesse

In presenza di conflitto di interessi tra il condominio e taluni condomini, si pone il problema delle maggioranze costituenti il quorum deliberativo, ossia, se debbano essere calcolate con riferimento a tutti i condomini ed al valore dell'intero edificio, ovvero soltanto ai condomini ed ai millesimi facenti capo ai singoli partecipanti, i quali non versano in conflitto di interessi relativamente alla delibera.
Ci si chiede, cioè, se nel calcolo della maggioranza richiesta per approvare la delibera, debba o no tenersi conto dei condomini e dei millesimi facenti capo ai partecipanti in conflitto di interessi.
In condominio, l'ipotesi del potenziale conflitto di interessi tra il condominio ed i singoli partecipanti non è regolata.
In passato, la giurisprudenza aveva attinto la soluzione dalla normativa sulle società di capitali la quale prevedeva - prima della riforma - che, in caso di conflitto di interesse, il quorum deliberativo doveva essere computato, non già in rapporto all'intero capitale sociale, bensì in relazione alla sola parte di capitale facente capo ai soci aventi diritto al voto, con esclusione della quota dei soci che versino in conflitto di interessi (Cass. sent. n. 15613/2007) nonché l'impugnazione della delibera, qualora, senza il voto dei soci che avrebbero dovuto astenersi, non si sarebbe raggiunta la maggioranza necessaria.
Tuttavia, già con la sentenza n.1201 del 2002 i giudici di legittimità avevano evidenziato l'impossibilità di applicare tale normative, stante la sostanziale differenza tra i due istituti, condominio e società, per obbiettivi e metodi e soprattutto perché nel condominio non esiste un fine gestorio perché la gestione delle cose comuni non mira a conseguire uno scopo proprio del gruppo e diverso da quello dei singoli partecipanti.
Per sorgere "conflitto" tra il condominio ed il singolo condomino e necessario che questi sia portatore, allo stesso tempo, di un duplice interesse: uno come condomino ed uno come estraneo al condominio (e, che l'interesse sia estraneo al godimento delle parti comuni ed a quello delle unità abitative site nell'edificio) e che i due interessi non possano soddisfarsi contemporaneamente, ma che il soddisfacimento dell'uno comporti il sacrificio dell'altro.
Il conflitto di interesse, pertanto deve essere concreto e provato e non solo supposto.
I giudici di legittimità hanno precisato che le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia a quello deliberativo compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio quali possono (non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto.
Anche in conflitto di interesse, quindi, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentino la maggioranza personale e reale fissata dalla legge e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento collegiale, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria (Cass. sent. n. 19131 cit.).
E' bene precisare che per i condomini in conflitto non c'è un obbligo di astensione ma bensì una facoltà, tanto che qualora partecipassero alla votazione gli altri condomini non potrebbero fare altro che impugnare la delibera salvo che, pur sussistendo il conflitto d'interessi - ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini - il voto di questi ultimi non abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico interesse contrario a quello istituzionale del condominio (Cass. sent., n. 10754/2011).
Sulla stessa scia, la riforma del diritto societario (d.lgs n. 6/2003) che, nel rimodulare l'art. 2373 c.c., ha previsto che la delibera assunta con il voto determinante di coloro che abbiano un interesse in conflitto con la società e impugnabile, facendo venir meno la disposizione che tendeva a distinguere il quorum costitutivo dell'assemblea da quello deliberativo della stessa e che vietava, al socio in conflitto di interesse, di votare.

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