Anche se assume figura di terrazza, cioè lastrico accessibile e protetto da parapetti che consentano la veduta, fungendo, pur sempre, da copertura, il lastrico solare è comune e resta tale anche se uno o più condomini ne abbiano la proprietà o l’uso esclusivo proprio perché è la sua stessa funzione lo rende comune.
- I BENI COMUNI
Il legislatore del 1942, per ciò che attiene alla
disciplina giuridica del condominio, ha ripreso il
r. d. 15 gennaio 1934 n. 56, rielaborando il codice
civile e il codice del commercio rispettivamente
del 1865 (r. d. 25 giugno 1865, n. 2358) e del
1882, che hanno costituito la prima disciplina di
natura civilistica dopo l’unità d’Italia.
Del resto il condominio, già conosciuto dal diritto
romano, seppure riferito a una differente struttura
di domus, si è sviluppato a decorrere dal 1920
circa, con l’introduzione in Italia del cemento armato
che ha facilitato la costruzione di edifici
sviluppati in altezza.
Peraltro, il legislatore, inserendo tale normativa
nel libro terzo “della proprietà” e quale capo secondo
della disciplina della comunione, non ne ha
stabilito la natura, limitandosi a elencare nell’art.
1117 cod. civ., i beni e i servizi che devono presumersi
comuni a tutti i condomini, sostituendo
in tal modo l’art. 554 del precedente codice civile.
Il legislatore, con la legge 11 dicembre 2012,
n. 220, così detta di riforma della disciplina del
condominio, ha provveduto soltanto a modificare
l’arcaica espressione “piano o porzione di piano”
nella più attuale “singole unità immobiliari
dell’edificio” introducendo l’innovativo riferimento
alla multiproprietà e aggiornando, ai dettami
della giurisprudenza e della tecnica, soprattutto
impiantistica, i beni da considerarsi presuntivamente
comuni.
La giurisprudenza di legittimità e di merito costante,
ha statuito che l’art. 1117 c.c. individua
le cose che si devono presumere di proprietà comune “in relazione alla loro funzione, al loro
collegamento materiale e strutturale e alla loro
attitudine oggettiva di destinazione d’uso con
le unità di proprietà esclusiva” (Cass. civ., Sez.
VI, 29 aprile 2016, n. 8492; Cass. civ., Sez. II, 8
febbraio 2012, n. 1806), senza alcun riferimento
alla proprietà delle singole unità immobiliari costituenti
l’edificio condominiale, per il cui diritto
valgono i principi generali dettati dall’art. 832 e
seguenti del codice civile.
La parte che intenda vincere questa presunzione,
considerato che si tratta esclusivamente di una
presunzione juris tantum, deve fornire la prova
con un contratto che ne dimostri la proprietà
esclusiva, con significato espresso in modo esplicito
e redatto in forma scritta (Cass. civ., Sez. VI,
9 marzo 2016, n. 4664; Cass. civ., Sez. II, 4 agosto
2015, n. 16367; Cass. civ., Sez. II, 30 aprile
2013, n. 10195).
- LA PROPRIETÀ ESCLUSIVA
Il diritto di comproprietà, sulle parti comuni
dello stabile, si fonda sulla circostanza che sono
necessarie per la sua stessa esistenza, per esempio,
le fondamenta, le scale, il tetto, le facciate,
finalizzate al godimento di tutti i condomini e
perciò, qualora un bene serva per l’utilizzo di un
solo condomino, viene meno il presupposto della
contitolarità del diritto di proprietà, per esempio,
una porzione di cortile o di giardino o ancora
della parte terminale di un pianerottolo o delle
scale, o una chiostra o i locali della portineria
(Cass. civ., Sez. II, 2 marzo 2016, n. 4127).
Del resto il diritto di proprietà è mutato con il decorso
dei secoli conservando, pur sempre, i caratteri
principali: a) l’efficacia del diritto erga omnes
; b) l’inerenza del diritto al bene posseduto.
Il Code civil des Français, promulgato da Napoleone
Bonaparte il 21 marzo 1804, ha da ultimo
definito il contenuto del diritto di proprietà
che, in Italia, disciplinato dalle norme dei codici
succedutisi nel tempo, è stato in fine statuito
dall’art. 42 della Costituzione, che recita: <<[…]
la proprietà privata è riconosciuta e garantita
[…]>>; tuttavia lo stesso dettato costituzionale
ha posto alla facoltà di disporre e di godere di
un bene alcune limitazioni che hanno origine da tre differenti fonti: a) la normativa pubblicistica,
per esempio, quella urbanistica inerente al controllo
dell’edificazione nel territorio comunale; b)
la normativa privatistica, per esempio, del codice
civile per quanto attiene alle distanze legali e alle
servitù coattiva; c) l’autonoma autodeterminazione
dei privati, per esempio, con l’approvazione
delle clausole contrattuali di un regolamento di
condominio.
Il diritto di proprietà deve esplicare anche una
funzione sociale ex art. 42 Cost. che è rappresentata
dalle modalità in cui lo stesso è esercitato,
assoggettato, a volte, a prevalenti interessi collettivi
dello Stato, per esempio, un esproprio di
un terreno per costruirvi una strada pubblica o un
parco giochi per i bambini del rione.
Si tratta, comunque, di un potere immanente che
il singolo esercita sulla res potendone escludere il
godimento a qualsiasi altro soggetto.
I “diritti reali“ sono, infatti, caratterizzati dalla
pretesa del titolare, nei confronti di chiunque altro,
di non essere molestato o pregiudicato nell’esercizio
del suo potere assoluto di godere, per
esempio, utilizzandolo in proprio o locandolo, e
di disporre, per esempio, alienandolo o donandolo,
del bene di sua proprietà, seppure sempre nel
rispetto dei limiti de quibus.
- IL LASTRICO SOLARE
Tra i beni comuni vi è il tetto dello stabile e,
oltre a questo, può fungere da copertura dello
stabile condominiale anche il lastrico solare.
Il lastrico solare, in virtù della funzione sopra
esposta, non può costituire un bene pertinenziale
del piano che immediatamente sovrasta ma è,
viceversa, di proprietà comune, sempre che il contrario
non emerga da un titolo che ne attribuisca
la proprietà esclusiva ad un singolo condomino
(Cass. civ., Sez. II, 16 febbraio 2005, n. 3102).
Anche se assume figura di terrazza, cioè lastrico
accessibile e protetto da parapetti che consentano
la veduta, fungendo, pur sempre, da copertura,
il lastrico solare è comune e resta tale anche se
uno o più condomini ne abbiano la proprietà o
l’uso esclusivo proprio perché è la sua stessa funzione
che lo rende comune (Cass. civ., Sez. II, 21
settembre 2012, n. 16117).
La concomitanza di una funzione tipicamente comune
ed essenziale ai fini dell’esistenza dell’edificio,
come quella della copertura del fabbricato, e
di un possibile uso esclusivo da parte di un singolo
condomino ovvero, addirittura, della proprietà
esclusiva sempre di un singolo partecipante, ha
indotto il legislatore a regolare specificamente
(art. 1126 del codice civile) la ripartizione degli
oneri contributivi relativi alla sua conservazione,
ricostruzione, manutenzione.Ne consegue peraltro che, in caso di danni a terzi
cagionati dall’omessa esecuzione dei lavori di
manutenzione a tale bene, tutti i condomini sono
tenuti al risarcimento dei danni con riparto tra
loro della spesa ex art. 1126 c. c. (Cass. civ., Sez.
III, 25 agosto 2014, n. 18164).
Ai lastrici solari sono equiparabili le terrazze a
livello per la loro identica funzione. Queste, però,
a differenza dei lastrici solari, costituiscono sempre
un bene esclusivo del condomino proprietario
dell’appartamento attiguo e che vi si affaccia;
non può infatti presumersi una comproprietà condominiale
non essendo tali beni elencati nell’art.
1117 c.c. (Cass. civ., Sezioni Unite, 7 luglio 1993,
n. 7449).
Una volta accertata, quindi, l’esclusività della
proprietà o dell’uso da parte di un singolo condomino
della terrazza a livello, la suddivisione degli
oneri manutentivi deve essere sempre effettuata
in base al criterio stabilito dall’art. 1126 del c.c..
La terrazza a livello pertanto adempie sì al miglior
godimento dell’appartamento dal quale vi si accede,
ma altresì alla funzione di copertura dei piani
sottostanti, per cui il diritto del proprietario di
tale manufatto non è assoluto, non potendo, ad
esempio, provvedere alla sua demolizione.
- LA RESPONSABILITÀ AQUILIANA
Gli articoli da 2043 a 2059 del c.c. disciplinano
le obbligazioni derivanti da fatti illeciti, dolosi o
colposi, che cagionano un danno ingiusto ad altri,
compresi gli stessi condomini; si distinguono
dai danni provocati da un inadempimento contrattuale,
che è rappresentato da una violazione
del principio che impone ai contraenti di eseguire
correttamente e diligentemente le loro prestazioni.
La responsabilità extracontrattuale, o aquiliana,
deriva dal fatto dell’uomo, che può essere anche
omissivo e che cagiona un danno ingiusto ad altri.
L’art.. 2051 c.c. dispone che chiunque abbia in
custodia una cosa, sia esso proprietario, possessore
o detentore, che provoca un danno a terzi,
è responsabile di quanto verificatosi, sempre che
non dimostri l’esistenza di un fattore estraneo
che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità,
sia idoneo a escludere il comportamento
colposo del custode del bene (App. Lecce,
Sez. I, 16 giugno 2015; Trib. Palermo, Sez. III, 16
luglio 2015).
La responsabilità del custode di un bene scaturisce
conseguentemente a una violazione di un
suo obbligo di fare anche se questa può produrre
un danno indipendentemente da un’attività o da
un’omissione del suo custode, ma anche da un
processo spontaneo derivato da fenomeni diversi
e estranei da costui.
“La responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. sussiste qualora ricorrano due presupposti:
un’alterazione della cosa che, per le sue
intrinseche caratteristiche, determina la configurazione
nel caso concreto della, così detti, insidia
o trabocchetto e l’imprevedibilità e l’invisibilità
di tale “alterazione” per il soggetto che, in conseguenza
di questa situazione di pericolo, subisce
un danno” (Cass. civ. Sez. III, 13 maggio 2010,
n. 11592).
In tema di condominio di edifici, qualora il proprietario
esclusivo di una terrazza a livello sia
responsabile dei danni da infiltrazioni d’acqua e
tale responsabilità abbia natura extracontrattuale
ex art. 2051 c. c., le conseguenze del fatto illecito,
anche con riferimento al concorso di colpa
del condomino danneggiato, proprietario del sottostante
terrazzo trasformato in veranda, devono
essere regolate esclusivamente dalle norme poste
dagli artt. 2051 e 2056 c. c., con riferimento
all’art. 1227 c. c., che disciplinano la responsabilità
aquiliana e non già secondo le norme relative
alla ripartizione tra condomini delle spese di
riparazione o ricostruzione di parti comuni . (App.
Potenza, 15 gennaio 2016).
- CONCLUSIONI
Le conseguenze derivanti, da tutto quanto sopra
dedotto, si evidenziano in:
- qualora un lastrico solare e una terrazza a livello siano di proprietà o di uso esclusivo di un condomino, il che lo è sempre per una terrazza a livello, costui può utilizzarli e goderne come più gli aggrada, avendo la facoltà di esporre vasi con piante e fiori, sdraio, tavolo e sedie ombreggiati da strutture fisse para sole o da ombrelloni;
- il condomino, usufruendo dei beni, non deve porre in essere azioni o omissioni dalle quali possano derivare danni a terzi; anzi, a suo carico è posto l’obbligo di provvedere alla loro manutenzione ordinaria per garantirne costantemente la funzionalità e segnalare tempestivamente all’amministratore eventuali vizi accertabili, causati dalla loro normale usura e dalla loro vetustà;
- considerata la specifica funzione di protezione della struttura del fabbricato, tutti i condomini, quali proprietari dei beni individuali e comproprietari dei beni comuni, ai primi collegati indissolubilmente, devono sostenere le spese per la loro manutenzione straordinaria pro quota;
- qualora in un edificio sussistano sia tetti sia lastrici solari e terrazze a livello, che coprano in modo misto le varie unità sottostanti, per esempio in un appartamento la così detta zona giorno è coperta dal lastrico, mentre la così detta zona notte è coperta dal tetto, è opportuno predisporre una tabella millesimale ad hoc, prevista, peraltro, dall’art. 68 disp. att. c.c.; la tabella, che può essere proposta dallo stesso amministratore del condominio, deve essere deliberata all’unanimità dei partecipanti al condominio, anche se la nomina del tecnico redattore può essere adottata con la maggioranza degli intervenuti in assemblea rappresentanti almeno la metà del valore dell’edificio;
- qualora, per un difetto di manutenzione siano provocati danni alle unità immobiliari sottostanti e/o agli arredi delle medesime e danni fisici agli occupanti, questi devono essere risarciti personalmente e interamente dal proprietario o dall’usufruttuario del lastrico o della terrazza, se imputabili per colpa o dolo agli stessi, per esempio, perché pur essendo stati riscontrati vizi non si sia provveduto alla loro eliminazione; per contro sono a carico del condominio se sono vizi occulti, per esempio, per lacerazione della guaina sottostante alla pavimentazione e, quindi, non visibile. In quest’ultima ipotesi la spesa del risarcimento deve essere ripartita con il criterio stabilito dell’art. 1126 c.c.;
- se i vizi derivino da gravi difetti di costruzione, il proprietario del terrazzo o del lastrico deve agire in proprio nei confronti del costruttore, ex art. 1669 c.c., sempre che non sia scaduto il termine decennale previsto da quest’ultimo articolo; in caso contrario la spesa per la loro manutenzione e per il risarcimento danni, eventualmente dovuto a terzi, è ripartita secondo i criteri precitati dell’art. 1126 c.c..
di Gian Vincenzo Tortorici
Direttore CSN ANACI
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