venerdì 27 novembre 2015

L’equivalenza penale della delega di responsabilità ambientale ed antinfortunistica



Secondo la sentenza C.Cass. n. 27862/2015

Il vertice di un’organizzazione complessa, nonostante i limiti di responsabilità derivanti dalla ripartizione interna di competenze, ha comunque un obbligo di controllo e di vigilanza in materia infortunistica o quando venga a conoscenza di specifiche inadempienze.


La delega di responsabilità nella dottrina e nella giurisprudenza



La norme tradizionali regolatrici i rapporti all’interno dell’impresa, ovvero nell’esercizio di un’attività organizzata finalizzata alla produzione o allo scambio di beni e servizi secondo la definizione dell’articolo 2082 del codice civile, hanno un carattere sinallagmatico e consistono:
  • nell’articolo 2087 del codice civile che obbliga il datore di lavoro all’adozione, nell’esercizio di impresa, di tutte “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, dell’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”;
  • nell’articolo 2086 del codice civile che attribuisce all’imprenditore il potere gerarchico sui collaboratori.
Ne consegue che questi ultimi sono tenuti all’osservanza delle direttive del datore di lavoro il quale, a sua volta, li tutela psichicamente e fisicamente sul luogo di lavoro dove, in definitiva, avviene uno scambio tra attività lavorativa prestata ed eterodiretta a fronte del corrispettivo rappresentato dal salario e dalla tutela dell’integrità psico-fisica di cui l’imprenditore è garante.
Aggiungasi che l’articolo 2087 del codice civile impone al datore di lavoro l’obbligo di aggiornarsi sulle tecniche di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e non può addurre a propria scusa, in caso di inosservanza, la mancata informazione attuata da organi ispettivi o di controllo a tal fine deputati.
Per un lungo periodo nel nostro ordinamento non venne determinata la definizione di datore di lavoro la quale era soltanto enucleabile dall’interpretazione logica della nozione di lavoratore subordinato indicata dalle norme penali in materia di igiene e sicurezza, mentre la prima definizione venne effettuata dal d.lgs.626/1994 per il quale (art. 2) il medesimo era considerato “qualsiasi persona fisica o giuridica o soggetto pubblico che è titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore ed abbia la responsabilità dell’impresa, ovvero dello stabilimento”. Successivamente tale definizione venne innovata dall’articolo 2 del d.lgs. 242/1996 per il quale è datore di lavoro: “ il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa . Nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs.. 3 febbraio 1993 n. 29, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionamento non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale.” Tale definizione se permette di individuare il datore di lavoro individuale tipico delle piccole realtà societarie di persone appare del tutto insufficiente se riferito alle caratteristiche dimensionali, spesso smisurate, dell’impresa moderna, la quale di sovente è strutturata in organigrammi di difficile lettura e nel quale le competenze amministrative, decisionali e “manageriali” non sono definite un volta per tutte con chiarezza cristallina. Una prima chiave di lettura in materia è stabilita dall’articolo 1, comma 4 - ter, del d.lgs. 626/994 che stabilisce per il datore di lavoro i seguenti adempimenti non delegabili ad altri soggetti: 
  • la valutazione, nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze e dei preparati chimici impiegati, dei rischi per la sicurezza per la salute dei lavoratori con particolare riguardo alla natura dell’attività svolta;
  • l’elaborazione di una relazione sulla valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; 
  • l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale indicati nella relazione attinente alla valutazione dei rischi sopra citata;
  • il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
  • la designazione del responsabile del servizio di prevenzione interno o esterno all’azienda secondo le regole previste dall’articolo 8 del d.lgs.626/1994;
  • la indizione, nelle aziende ovvero unità produttive che occupano più di 15 dipendenti, della riunione periodica di prevenzione o protezione da rischi.
Tra i predetti adempimenti non delegabili rientrano l’adozione di procedure di sicurezza e l’affissione delle relative norme all’esterno dei luoghi pericolosi le quali non rientrano nei compiti del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha il mero obbligo nei confronti del datore di lavoro di segnalare le omissioni in materia, dovendo poi, quest’ultimo provvedere alle prescrizioni del caso. Tuttavia occorre notare che il sistema non può essere del tutto rigido nelle classificazioni e nell’indicazione dei doveri dell’imprenditore, poiché non ha finalità didattiche, bensì di effettiva tutela dell’incolumità dei dipendenti. Quindi l’informazione verbale ai lavoratori dei rischi specifici nell’ambiente è un obbligo di sicurezza, che, benché posto a carico del datore di lavoro dall’articolo 7 del d.lgs. n. 624/1996, si svolge a livello meramente esecutivo ed attuativo, per cui la sua concreta esecuzione e relativa alla complessità e grandezza dell’impresa, spetta a tutti coloro che in concreto operino a contatto con i lavoratori e quindi anche ai preposti di fatto e che svolgano tale funzione anche in assenza di una apposita delega da parte del datore di lavoro.
In ogni caso il vertice di un’organizzazione complessa, nonostante i limiti di responsabilità derivanti dalla ripartizione interna di competenze, ha comunque un obbligo di controllo e di vigilanza in materia infortunistica o quando venga a conoscenza di specifiche inadempienze o quando abbia comunque avuto ingerenza nella tutela dei lavoratori impartendo ordini precisi. D’altra parte la giurisprudenza privilegia il principio della salvezza, ad ogni costo ed anche in presenza di una sua colpa concorrente nel causare l’evento lesivo, del soggetto debole della prestazione lavorativa e quindi interpreta estensivamente il dovere del datore di lavoro di istruire i lavoratori il quale non è un suo compito esclusivo, ma ricade anche sul preposto il quale abbia adibito un operaio ad una lavorazione pericolosa senza alcuna assistenza di lavoratori esperti.
Pertanto tale insieme di obblighi costituisce il nocciolo duro dell’attività di indirizzo del datore di lavoro e ricorrono anche qualora vi sia un subappalto poiché l’imprenditore principale, il quale si è avvalso di altra impresa per realizzare l’opera in cooperazione, ha sempre il dovere di provvedere alle misure a tutela dei lavoratori ed infatti l’obbligo grava pure sul subappaltante o sul subappaltatore, il quale svolga l’attività con pari autonomia, specialmente quando non vi è stata permanenza del rischio soltanto a carico della prima impresa, non vi è stata specifica ed analitica ripartizione dei compiti e non è intervenuta formale e comprovata delega dall’uno all’altro rappresentante per la realizzazione di quelle misure antinfortunistiche che la legge esige siano adottate in ogni caso. Permane poi la responsabilità penale del committente degli eventi dannosi subiti dai dipendenti dell’appaltatore quando abbia infranto la catena di delegazione, ovvero abbia assunto direttamente le caratteristiche di garante della sicurezza di questi ultimi, vale a dire si sia ingerito nell’esecuzione dell’opera mediante una condotta che abbia determinato o concorso a determinare l’inosservanza di norme di legge, regolamento o prudenziali poste a tutela degli addetti e quindi abbia contribuito a cagionare l’evento dannoso.
Il sistema complessivo di sicurezza sul luogo di lavoro non vieta che le vigilanza sull’osservanza di specifiche operazioni siano delegate ad un preposto, ai sensi dell’articolo 17 del DPR 7/1/1956 n. 164, ma quando questi sia stato nominato deve essere una persona capace ed idonea ad assumere il ruolo assegnatogli e quindi, proprio per questa assunzione di una specifica funzione di garanzia nei confronti dei lavoratori, l’evento dannoso non può essere imputato all’imprenditore quando la sua eziologia sia dovuta all’inosservanza di una delle disposizioni che regolano quelle specifiche operazioni sul rispetto delle quali doveva vigilare il preposto, a tal fine nominato. Invero in tale caso la responsabilità riferibile all’imprenditore si realizza solo quando sia provata dall’accusa una fittizia preposizione o l’avvenuto esautoramento, di fatto, del preposto dai suoi compiti, poiché una volta che questi sia nominato non sono necessarie ulteriori deleghe in quanto i poteri inerenti all’affidamento dell’incarico provengono direttamente dalla legge.
La recente giurisprudenza si è resa conto delle difficoltà interpretative e dogmatiche rappresentate dal tradizionale principio dell’effettività del controllo del datore di lavoro sul delegato con riferimento alle imprese di grandi dimensioni per le quali, non sempre può essere attribuita alla alta gerarchia la colpa nella vigilanza e nella scelta del preposto. Quindi, per le grandi società è stato scelto un criterio moderatore, il quale arieggia il sistema dei “compliance programs” previsto dal d.lgs. 231/2001, costituito dalla predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l’imprenditore da responsabilità di livello intermedio e finale.

Il fondamento delle ragioni della delega ad altro soggetto degli obblighi infortunistici gravanti sull’imprenditore consistono nella: 
  • complessità ed ampiezza dell’azienda;
  • pluralità delle sedi e di stabilimenti;
  • motivazione della scelta la quale risiede nelle dimensioni dell’impresa che devono essere tali da giustificare la necessità di decentrare compiti e responsabilità.
Il contenuto ed i presupposti della delega sono costituiti:
  • dalle necessarie qualità e capacità tecniche del delegato;
  • dall’accettazione del delegato;
  • dall’esercizio concreto della delega;
  • dalla dotazione del delegato di poteri autoritativi e decisionali autonomi, pari a quelli dell’imprenditore ed idonei a fare fronte alle esigenze connesse all’apprestamento dei presidi antinfortunistici, compreso l’accesso ai mezzi finanziari;
  • dall’esistenza di precise ed ineludibili norme interne o disposizioni statutarie che disciplinino il conferimento della delega ed adeguata pubblicità della medesima;
  • da uno specifico e puntuale contenuto della delega.
L’imprenditore, al fine di evitare in detta materia assunzioni di responsabilità, deve provare sia la delega che l’assunzione della stessa mediante atti espliciti, inequivoci e scritti: il rigore dei requisiti richiesti dalla giurisprudenza da un lato si spiega con una decisa riluttanza ideologica a consentire, per fini meramente economici, all’imprenditore di sfuggire al principio della responsabilità penale e di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, rispettivamente sanciti dagli 27 e 3 della Costituzione, dall’altro con la necessità di evitare l’adozione di callidi sistemi elusivi di imputabilità e basati, sostanzialmente sulla nomina della cosiddetta “testa di legno”, ovvero di un delegato fittizio e privo di poteri autonomi ed atti al concreto esercizio dei poteri di vigilanza e prevenzione degli infortuni. Per tali ragioni la nomina di un dirigente, coadiuvante il datore di lavoro nel controllo delle modalità di esecuzione del lavoro e del rispetto delle norme di sicurezza, elimina ogni responsabilità dell’imprenditore per la violazione delle norme antinfortunistiche solo se il delegante:
  • affidi l’incarico ad una persona tecnicamente affidabile;
  •  trasferisca i suoi poteri al delegato i suoi poteri anche in materia di osservanza delle disposizioni in materia di infortuni sul lavoro.
In particolare è escluso che la delega possa essere inespressa o implicita e che si possa presumerla solo dalla ripartizione interna all’azienda dei compiti assegnati ad altri dipendenti o dalle dimensioni dell’impresa stessa. Qualora non siano soddisfacenti i dati formali (la sottoscrizione del delegante, la data certa ed il riferimento alla delibera autorizzativa del consiglio d’amministrazione) per individuare il soggetto responsabile di lesioni colpose nei confronti del dipendente e derivanti da un infortunio sul lavoro la giurisprudenza rispetto al criterio insufficientemente formale sceglie quello effettuale e consistente nell’accertamento della catena decisionale, ovvero della reale situazione di responsabilità all’interno delle posizioni di vertice per individuare i soggetti cui compiti di prevenzione sono concretamente affidati mediante la predisposizione e l’attribuzione dei correlativi e necessari poteri per adempierli. In ogni caso il dirigente destinatario della normativa infortunistica può essere anche un estraneo all’organigramma aziendale a condizione che lo stesso adotti dei comportamenti ricorrenti, costanti e specifici dai quali si possa desumere l’effettivo esercizio di funzioni dirigenziali,
come tali riconosciute nell’azienda, anche nel campo della sicurezza del lavoro dove possa, parimenti, esercitare poteri decisionali.
Una volta nominato il preposto ha l’obbligo, nascente dal suo compito fondamentale di vigilare sull’attuazione delle misure di sicurezza, di verificare la conformità dei macchinari alle prescrizioni di legge e di impedire l’utilizzazione di quelli che, per qualsiasi causa (inidoneità originaria o sopravvenuta) siano pericolosi per l’incolumità del lavoratore che li manovri. Nonostante la nomina del preposto la quale presenti tutte le caratteristiche formali (conferimento formale ed accettazione dell’incarico) e sostanziali (capacità tecnica, dotazione dei poteri determinativi e direzionali) per l’esercizio di un’organizzazione e dell’espletamento di specifiche attività permane nei confronti dell’amministratore delegante l’obbligo di sorveglianza il cui rispetto deve essere valutato tenendo conto delle connotazioni del caso concreto consistenti, ad esempio, nella dimensione dell’organizzazione, la pecularietà del comportamento, l’episodicità del fatto.
L’esigenza di tutela dell’ambiente da fenomeni di inquinamento idrico di notevole rilevanza, eventualmente causati dal cattivo funzionamento, dalla vetustà o dalla omessa manutenzione degli impianti di scarico e di depurazione industriale, ha rafforzato il rigore giurisprudenziale che non ammette una delega formale ad escludere la responsabilità penale del direttore di un’impresa, anche di notevoli dimensioni, ove l’inquinamento sia la conseguenza di cause strutturali dovute ad omissioni di scelte generali e neppure consente una delega ad operatori di livello inferiore qualora manchi il controllo sul concreto esercizio dei poteri delegati : ne consegue che solo in casi eccezionali da provare rigorosamente può essere esclusa la penale responsabilità dei soggetti titolari o dei dirigenti generali di una grande impresa.
L’orientamento recente della Suprema Corte ammette realisticamente delle deroghe al precedente rigore per quanto riguarda le caratteristiche della delega di funzioni in materia di inquinamento.
Infatti da un lato non richiede che il delegato sia dotato di capacità tecnica, intesa in senso specialistico, in quanto non vi sono ragioni per esigere che questi abbia una competenza diversa e superiore rispetto a quella che il legislatore presuppone nel soggetto originariamente destinatario del precetto penale ed è, invece, sufficiente un’effettiva autonomia gestionale e finanziaria in modo da evitare deleghe apparenti. D’altro canto la giurisprudenza, al fine di consentirle la funzione di scriminante della responsabilità penale, specifica il seguente decalogo della delega che deve essere accompagnata dalle seguenti condizioni:
  • la natura formale espressa, ovvero una delega scritta;
  • la natura non occasionale, ma strutturale, nel senso della conformità alle regole statutarie mediante la sua precedente adozione secondo le procedure e da parte degli organi competenti;
  • la specificità ovvero il suo puntuale contenuto;
  • l’effettivo trasferimento di poteri decisionali in capo al delegato, con l’attribuzione di una completa autonomia di gestione ed una completa disponibilità economica;
  • le dimensioni dell’impresa che devono essere tali da giustificare la necessità di decentrare i compiti e le responsabilità;
  • la capacità ed idoneità tecnica del soggetto delegato;
  • l’insussistenza di una richiesta di intervento da parte del delegato;
  • la mancata conoscenza della negligenza o sopravvenuta  inidoneità del delegato;
  • che l’inquinamento non derivi da cause strutturali dovute ad omissioni di scelte generali;
  • la natura eccezionale della delega e la necessità di una prova rigorosa dell’osservanza di tutte le condizioni di legge.
Alla luce di quanto fin qui esposto e dalla constatazione delle inevitabili oscillazioni giurisprudenziali tra due orientamenti, il primo tradizionale e rigoroso, basato sull’attribuzione all’imprenditore sempre e comunque di una responsabilità colposa per quanto avviene all’interno della sua azienda, il secondo, fondato sul principio realistico che ammette la delegabilità delle funzioni di vigilanza e di controllo all’interno dell’impresa, si osserva che quest’ultimo principio è stato, a differenza del primo, sempre con un contenuto indeterminato.
E’ un notevole merito della giurisprudenza più recente l’avere circoscritto il contenuto della delega al fine di consentirne l’esercizio nel mondo imprenditoriale. Pertanto la minuziosità dell’elenco delle sue caratteristiche non deve essere inteso come un modo elegante per negarla, attraverso la richiesta di un numero talmente svariato di variabili da renderla non applicabile nella realtà, bensì come un prezioso criterio preventivo di pianificazione delle risorse umane, tecnologiche e finanziarie dell’azienda e finalizzato alla tutela dei lavoratori e dell’ambiente.

La delega di responsabilità nel d.lvo 9/4/2008 n. 81

Il d.lvo 9/4/2008 n. 81, modificato dal d.lvo n. 106/2009, recepisce all’art. 16 il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla delega di responsabilità affermando quanto segue:
“La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:
a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.
Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.
La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite . L’obbligo di cui al primo periodo
si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma quarto.
Non sono delegabili (art. 17) le seguenti attività proprie e assolutamente tipiche del datore di lavoro:
  • la valutazione dei rischi e la redazione del relativo documento previsto dall’articolo 28;
  • la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
Contraltare al principio della delega di responsabilità è la previsione, anche essa di origine giurisprudenziale, contenuta nell’art. 299 del testo unico, dell’esercizio di fatto di poteri direttivi, per la quale le posizioni di garanzia rivestite dal datore di lavoro, dal suo delegato e dal suo preposto gravano altresì sul soggetto il quale, pur essendo sprovvisto di regolare investitura da parte del primo soggetto, eserciti in concreto i poteri giuridici relativi a detti soggetti.

L’equivalenza della delega di responsabilità ambientale ed in materia di sicurezza sul lavoro secondo la sentenza C .Cass. n. 27862/2015

Il problema che si pone nei processi penali è spesso quello di valutare, ai fini di escludere la responsabilità dell’imprenditore delegante, le eventuali differenze tra le delega di responsabilità ambientale e quella antinfortunistica ex d.lvo n. 81/2008. La sentenza C. Cass. n. 2786/2015 (emessa il 21.5.2015 dalla Terza Sezione Penale) ha trattato il caso di tre imprenditori che, nel giudizio di primo grado, erano stati assolti dal reato di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale ( art. 29- quattordiecies del d.lvo n. 152/2006).
A tal proposito la Corte afferma quanto segue.
“Ed infatti, quanto al requisito della necessità della delega è ben vero che lo stesso è richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte con rifermento alle fattispecie di reati ambientali…..,ma non può non rilevarsi da parte del Collegio l’asimmetria oggi rilevabile con l’omologo istituto delle delega di funzioni in materia prevenzionistica. Ed infatti, com’è noto, a seguito della normativizzazione dell’istituto della delega nel c.d. Testo unico della sicurezza (d.lvo n. 81 del 2008), l’attuale art. 16 del citato T.U. non contempla più tra i requisiti richiesti per attribuire efficacia all’atto di delega proprio quello della sua necessità, essendo oggi pacificamente ammissibile in campo prevenzionistico
l’attribuzione delle funzioni delegate anche in realtà di modeste entità.
Ciò significa, pertanto, che il c.d. requisito dimensionale, per espressa volontà legislativa (ove il legislatore avesse voluto, infatti, avrebbe espressamente incluso il requisito dimensionale tra quelli necessari, come ha fatto cristallizzando in previsioni di diritto positivo i principi giurisprudenziali elaborati in materia, pressochè integralmente recepiti nell’art. 16 citato), non costituisce più condizione o requisito di efficacia di una delega di funzioni nella materia di prevenzione infortuni sul lavoro…..Ed invero, il necessario rispetto del principio di non contraddizione ….impone di rivisitare l’orientamento giurisprudenziale di legittimità formatosi con riferimento alla materia ambientale e ritenere pertanto, non necessario anche in tale settore -per la necessaria influenza operata dall’art. 18 del d.lvo n. 81 del 2008- il requisito della necessità della delega. Il fondamento logico – giuridico, come anticipato, è dato proprio dal predetto principio di non contraddizione, per cui uno stesso ordinamento non può, nella sua unitarietà, imporre o consentire (in materia prevenzionistica), ad un tempo, vietare ( in materia ambientale) il medesimo fatto (ossia il conferimento della delega di funzioni nelle modeste realtà organizzative) senza rinnegare se stesso…..
Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto.
In materia ambientale, per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, tra i requisiti di cui è necessaria la compresenza non è più richiesto che il trasferimento delle funzioni delegate debba essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quanto meno, alle esigenze organizzative della stessa. (Fattispecie nella quale la Corte, argomentando ex art. 16 del d.lvo m. 81 del 2008, rilevando l’asimmetria con la materia prevenzionistica dove non è più richiesto il requisito della necessità della delega, ha escluso che detto requisito sia necessario in materia
ambientale.”
di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano

Nessun commento:

Posta un commento

Commenti, critiche e correzioni sono ben accette e incoraggiate, purché espresse in modo civile. Scrivi pure i tuoi dubbi, le tue domande o se hai richieste: il team dei nostri esperti ti risponderà il prima possibile.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...