mercoledì 30 marzo 2016

Spigolature sulla riforma del condominio: la ripartizione delle spese e la riscossione

Il titolo della presente relazione rimanda ad una rubrica della notissima rivista “La Settimana Enigmistica”, costituita da un “Catalogo” di vari aneddoti, sovente riguardanti fatti non meno che singolari. Il termine si addice perfettamente alla materia delle spese (nel duplice aspetto della “ripartizione” e della “riscossione”) analizzata con specifico riferimento a quello che è stato l’intervento modificativo/integrativo operato dalla recente riforma del condominio (legge n. 220/2012, e successive modifiche ed integrazioni, in vigore dal 18 giugno 2013).
In via generale, si può dire che la novella ha lasciato totalmente inalterato il meccanismo giuridico della ripartizione delle spese, ed è intervenuta in maniera molto limitata sugli articoli 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c.. Relativamente al rimanente testo codicistico riguardante la normativa condominiale (artt. 1117>1139 c.c.) è andata “spigolando” qua e la, inserendo disposizioni che seppur finalizzate alla regolamentazione di altri e differenti ambiti della disciplina, sono comunque in grado di produrre effetti in materia di spese.
Come prima cosa, c’è da chiedersi il perché di questo mancato intervento sulla materia delle spese, in quanto la circostanza non può che avere un significato sia dal punto di vista interpretativo/applicativo, sia rispetto alla valutazione della disciplina che ne risulta. Tra l'altro, questa “omissione” appare confliggente con la “puntigliosità” che la riforma ha rivelato in altri casi (si pensi alla ripetuta sostituzione di termini con meri “sinonimi”). Viene, quindi, da chiedersi se si tratta del “sintomo” di un certo timore reverenziale dell’odierno legislatore nei confronti di quello del 1942, oppure se costituisce un’implicita ammissione del “buon funzionamento” del sistema di ripartizione previsto originariamente dal codice, oppure, ancora, se non sia prova del fatto che, in materia di ripartizione, non v’era necessità di cambiamenti e/o di aggiornamento normativo. Rimane il fatto che la novella ha sostanzialmente ignorato tale gruppo di norme (artt. 1123>1126 c.c.) (concentrandosi, sotto altro verso, sullo specifico aspetto della riscossione).
Fatta questa premessa, è quindi opportuno puntualizzare ciò che non è cambiato nella materia de qua; e in tale ottica, può dirsi che:
a) è rimasto inalterato il meccanismo di ripartizione previsto dall'ar t. 1123 c.c.;
b) e quindi, risultano confermate: la ripartizione di “default” a millesimi di proprietà (1° comma);
c) la ripartizione (in subordine) in base all'uso (2° comma);
d) la ripartizione per “gruppo” ristretto di condomini (3° comma), al cui interno si applica l’ulteriore criterio a millesimi di proprietà oppure in base all'uso (con riferimento al 1° o al 2° Comma, a seconda dei casi);
e) ed anche la possibilità che una “diversa convenzione”, in deroga pattizia a quanto sopra, stabilisca ripartizioni “personalizzate” (diverse da quelle “legali”).

Da siffatta impostazione, deriva la totale conferma di alcuni principi fondamentali, acquisiti da decenni di interpretazione giurisprudenziale, tra i quali:
1) la ripartizione a millesimi costituisce criterio “di riferimento”, ritenendosi, per esempio, del tutto incongruente col sistema di ripartizione previsto dal codice l'attribuzione degli oneri condominiali “in parti uguali” tra i partecipanti (nonostante i condomini nel concreto, sovente, attribuiscano un incondizionato gradimento a tale soluzione, e nonostante qualche arresto giurisprudenziale abbia stimato ammissibile tale ripartizione: si pensi alle pronunce sulla ripartizione delle spese per l’antenna centralizzata e per il citofono; nonché alla prassi generalizzata - ma non corretta - di ripartizione del compenso per la redazione delle tabelle millesimali secondo una quota identica per ogni appartamento).
2) La particolare individuazione dell’ambito delle facoltà dell’assemblea in merito alla ripartizione delle spese, secondo cui i relativi poteri sono assai circoscritti (molto più che in altri aspetti delle possibili decisioni di gestione). La giurisprudenza, infatti, ha precisato che l’assemblea condominiale, con le sue deliberazioni (di ripartizione), non può sovrapporsi al dettato legale, ma deve, invece, uniformarsi ai vincolanti criteri previsti dal codice, limitandosi alla verificazione ed all’applicazione in concreto dei canoni fissati dalla legge, e non ha la facoltà di introdurre deroghe ai medesimi, in considerazione del fatto che tali deroghe, venendo direttamente ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino, attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono derivare soltanto da una convenzione (contrattuale) cui egli aderisca (cfr. Cass. 19 marzo 2010, n. 6714; Trib. Torino 18 maggio 2005, n. 3356; Trip. Genova 9 novembre 2004, n. 4197; Trib. Bologna 25 maggio 2004, n. 1591; Trip. Napoli 5 aprile 2004, n. 3929; Trib. Bologna 22 gennaio 2004, n. 264; Cass. 5 novembre 2001, n. 13631, Cass. 15 marzo 1995, n. 3042; Cass. 3 maggio 1993, n. 5125; Cass. 19 novembre 1992, n. 12375; Cass. 21 maggio 1987, n. 4627; Cass. S.U. 5 maggio 1980, n. 2928).

Nel Concreto, l'assemblea quando provvedere ad attribuire una spesa deve:
  • individuare il criterio che la legge prevede per la specifica ripartizione;
  • applicarlo al caso concreto.
Sul punto, varrebbe la pena di svolgere una rapida riflessione sul ruolo dell'amministratore il quale, in merito alla ripartizione delle spese e nella prassi generalizzata, ha assunto, a sommesso avviso di chi scrive, una veste eccessivamente propositiva.
Spesso (se non sempre) accade che, autonomamente e direttamente, presenti una ripartizione già “confezionata” all'assemblea la quale, per prassi, sostanzialmente la ratifica/approva cosi com’è. Tuttavia, secondo l'impostazione del codice relativa all'individuazione della ripartizione della specifica spesa, quella dell'amministratore è solo una “proposta” (di deliberazione) e nulla di più, ed invece è (o meglio, dovrebbe essere) l’assemblea che procede ad individuarla tra le tante possibili. Non deve sfuggire che da tali iniziative dell’amministratore (nel caso in cui la conseguente delibera sia invalida) si potrebbe anche far scaturire una qualche forma di sua responsabilità (quanto meno professionale).
3) Proprio con riferimento all’ambito dei poteri dell’assemblea in materia di ripartizione delle spese, risulta assolutamente confermata la totale esclusione dall’ambito delle sue prerogative decisionali della possibilità di deliberare sulla ripartizione delle c.d. (e “presunte”) spese personali. Si pensi, innanzitutto, ai costi per il rifacimento dei balconi in sede di manutenzione straordinaria dell’edificio (sul punto, cfr. la recente Cass. 9 ottobre 2014, n. 21343), oppure alle spese del compenso del legale/avvocato del condominio in sede di procedimento di riscossione coattiva del credito per oneri condominiali.
4) In funzione dell'applicazione del comma 3 dell’art. 1123 c.c. - norma, come detto, anch’essa inalterata - risulta confermato il riconoscimento del fenomeno del c.d. “condominio parziale” in base al quale, sia la competenza decisionale, sia l’onere di sostenere separatamente le spese per la gestione e la conservazione della parte comune va riferita/o ad un gruppo ristretto di condomini. Sul punto, in particolare, può evidenziarsi che, nell'art. 1117 c.c., per la prima volta in maniera espressa, viene richiamato (e quindi apprezzato) dalla “riforma” il concetto di “destinazione”, che costituisce proprio il criterio di attribuzione della “proprietà parziale” all'interno del condominio.
5) Altrettanto confermato è il criterio di valutazione del grado dell'eventuale invalidità della deliberazione assembleare di ripartizione delle spese. Rimane pertanto inalterato il criterio di distinzione tra delibere nulle e delibere annullabili in tale materia, che va individuato con riferimento a quanto affermato dal noto pronunciamento a Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U. 7 marzo 2005, n. 4806), secondo cui, stante le predette circoscritte facoltà attribuite all'assemblea, si verifica un’ipotesi di nullità nel caso della delibera che modifica i criteri di spesa previsti dall'art. 1123 c.c., mentre si verte in ipotesi di annullabilità nell'eventualità della ripartizione errata (solo) nel concreto (tra le molte conformi, si vedano, da ultime, Trib. Milano 11 febbraio 2014, n. 2010, Cass. 21 maggio 2012, n. 8010).

Il principio è piuttosto “astratto” e risulta riportato tralatiziamente in quasi tutte le sentenze in materia, tuttavia, analizzando il “fatto” delle relative sentenze, qualche esplicazione in xiii e possibile ottenere, e cioè che:
a) innanzitutto, non è rivelatrice la “lesione” che si verifica per ingiusto addebito di spesa a carico di un condomino (perché si tratta di una circostanza che sempre si verifica). Quindi il pregiudizio del diritto soggettivo a carattere patrimoniale non è rivelatore del grado di invalidità della deliberazione che approva l’errata ripartizione;
b) ogni volta che, esplicitamente o implicitamente, si adotta a maggioranza una ripartizione in deroga ai criteri legali, la deliberazione sarà affetta da nullità e non “semplicemente” da annullabilità (è il caso, per esempio, dell'adozione di un criterio previsto dalla legge per una fattispecie diversa - si pensi ai canoni dell'art. 1125 c.c., adottati in luogo di quelli dell’art. 1126 c.c. - oppure al caso dell’approvazione di una ripartizione per quote uguali) (Cfr. Cass. 14 giugno 2013, n. 15402, Cass. 19 marzo 2010,n. 6714, Cass. 16 febbraio 2001, n. 2301, Case. 8 gennaio 2000, n. 126. Peraltro, è nulla anche la delibera con cui, a maggioranza, vengano stabiliti interessi moratori a carico dei condomini in ritardo con i pagamenti: cfr. Cass. 30 aprile 2013, n. 10196);
c) al contrario, un’errata applicazione “in concreto” di un criterio legale di ripartizione determinerà la mera annullabilità della relativa delibera (come avviene, per esempio, nel caso di erronea esclusione di uno o più condomini dalla ripartizione; o di erronea ricomprensione di costi attinenti ad altre poste all'interno di una ripartizione basata su di un corretto criterio legale) (Cfr. Cass. 14 gennaio 2009, n. 747; Cass. 27 aprile 2005, n. 8732; Cass. 8 giugno 1993, n. 6403. Sull'errata inclusione e/o esclusione di uno o più condomini dalla ripartizione di spesa l’orientamento della giurisprudenza è meno “armonico”. Infatti: per la nullità in caso di errata inclusione, si veda Cass. 3 ottobre 2013, n. 22634).
Sempre nell'ambito delle “conferme” che ci vengono dalla riforma in materia di ripartizione delle spese.
6) Vanno ricordati soprattutto l’art. 1125 e l'art. 1126 c.c. che, proprio in materia di ripartizione delle spese regolavano (e regolano) la fattispecie delle “volte, soffitti e solai e, soprattutto, quella del lastrico solare esclusivo”. Per tali due norme va confermata anche la sterminata giurisprudenza precedente alla riforma che ha analizzato con minuzia le due fattispecie arrivando a regolarne quasi ogni possibile aspetto. In merito all'applicazione prevista dall'art. 1126 c.c., sembra opportuno cogliere quì l’occasione di richiamare la recente Cass. 13 giugno 2014, n. 13526, la quale con riferimento ai danni da infiltrazioni provenienti da lastrico solare di proprietà o uso esclusivo - non dipendenti da fatto imputabile al solo utilizzatore - si chiede (o meglio trasmette il quesito alle Sezioni Unite) se debba configurarsi un ipotesi di inadempimento di un obbligazione (art.1126 c.c.) oppure un caso di responsabilità per danni da cose in custodia (art. 2051 c.c.).
7) Risulta inalterato anche l’art. 1132 c.c. sul c.d. dissenso alle liti che permane regolato come per il passato (in ordine all'estraneazione del condomino dissenziente rispetto al solo pagamento delle spese liquidate a controparte).
8) Inalterato anche l’art. 1121 c.c. in ordine alla possibilità della separazione della spesa nel caso di innovazioni “gravose e/o voluttuarie”, i cui costi devono essere ripartiti tra i soli condomini che aderiscono alla realizzazione dell’opera.
Sul punto, va quindi confermata tutta la giurisprudenza precedente alla riforma che (sempre con sostanziale riferimento alla ripartizione delle spese) aveva affermato che:
  • ai condomini “non partecipanti” va attribuito un vero e proprio “diritto” (potestativo) al subentro successivo;
  • costoro sono però obbligati al rimborso della quota parte a loro attribuibile (come se avessero partecipato ab origine);
  • in tale ultimo caso, è necessario calcolare sia il deprezzamento di valore del bene o dell’impianto oggetto di innovazione, sia i costi sostenuti dagli originari installatori per la conservazione dell’opera;
9) Dovrebbe considerarsi ancora del tutto applicabile il fenomeno della prescrizione del credito condominiale (con conseguente liberazione del singolo condomino rispetto al pagamento), recentemente ribadita dalla Suprema Corte (Cass. 25 febbraio 2014, n. 4489, in conferma della precedente Cass. 28 agosto 2002, n. 12596) per la quale si applica il §4 dell'art. 2948 c.c., riguardante le spese di natura periodica, con conseguente prescrizione quinquennale.
Da porre attenzione al fatto che da tale principio dovrebbe derivare che nel caso di spese straordinarie, la cui necessità è improvvisa ed imprevedibile (e che, quindi, non hanno una cadenza periodica costante) il periodo prescrizionale (“ordinario”) è di dieci anni ex art. 2946 c.c., il tutto senza dimenticare la critica assai argomentata che di tale affermazione ha fatto un'autorevole dottrina (Izzo), la quale ha affermato l'inapplicabilità dell'istituto della prescrizione in ambito condominiale (in considerazione del fatto che “fintanto che sussista l'attualità dell’adempimento dell’obbligazione che fa capo ai condomini per le spese riguardanti le cose comuni, appare fuori luogo configurare la cessazione dell’obbligo di contribuzione per prescrizione”).
Tuttavia, la fattispecie va ora (dopo la “riforma”) ricollegata all'obbligo di riscossione entro sei mesi introdotto dalla riforma che dovrebbe, se rispettato, bypassare qualsiasi prescrizione.
10) Per quanto riguarda I'art. 1134 c.c. riguardante le spese anticipate dal singolo condomino, la novella è (apparentemente) intervenuta in due punti:
a) sulla rubrica, nella quale il concetto di “spese fatte dal condomino” è stato sostituito con “gestione di iniziativa individuale”;
b) nel corpo della norma, dove l'iniziativa del singolo che “ha fatto spese per le cose comuni” è stata diversamente indicata come quella di assunzione della gestione di tali cose.
La modifica sembra voler ampliare il concetto di attività posta in essere dal singolo che transita dalla mera effettuazione di spese al più esteso concetto di attività di gestione. Gli effetti concreti di tale cambiamento testuale, tuttavia, appaiono completamente frustrati se si pensa che il diritto affermato resta sempre e solo quello al rimborso, elemento che non può che riferirsi, anche dopo la riforma, alle spese anticipate dal singolo. Rimane inalterata la condizione dell’“urgenza” come requisito imprescindibile per ottenere, appunto, detto rimborso, con relativo onere della prova che grava, ovviamente, sul richiedente (cioè sul condomino che, nell’interesse comune, ha anticipato la spesa) (Cfr., pacificamente, Cass. 19 dicembre 2011, n. 2751 9, Cass. 12 ottobre 2001, n. 21015; Case. 23 aprile 201 0, n. 9743, Case. 10 agosto 2009, n. 18192; Cass. 19 luglio 2007, n. 16075, Cass. Sez. Un. 31 gennaio 2006, n. 2046, Trib. Roma 17 gennaio 2006, n. 1260, Case. 22 giugno 2005, n. 13371, Trib. Roma 7 marzo 2005, n. 7679, Cass. 8 marzo 2003, n. 3522, Cass. 26 marzo 2001, n. 4364; Cass. 4 agosto 1997, n. 7181).
11) La riforma integra il testo dell’art. 1118 c.c. considerando espressamente l’ipotesi del c.d. distacco unilaterale dall'impianto centralizzato per il riscaldamento, e, stimando ammissibile l’ipotesi, ne regola le conseguenze sulla partecipazione alle spese come segue: “il condomino può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.
Il testo adottato appare una conferma (quasi una riproduzione) dei principi di diritto affermati dal giudice di legittimità (cfr., da ultime tra le molte conformi, Cass. 30 aprile 2014, n. 9526, Cass. 31 luglio 2012, n. 13718; Cass. 31 maggio 2012, n. 8750, Case. 3 aprile 2012, n. 5331; Cass. 29 settembre 2011, n. 19893, Cass. 27 maggio 2011, n. 11857), risultando comunque da sottolineare i seguenti aspetti:
  • la riforma conferma che il condomino che si distacca resta comunque tenuto al pagamento di tre generi di costi: a) spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto, b) spese per la sua conservazione (quindi, anche spese ordinarie); C) spese per l’eventuale messa a norma; rimanendo in pratica da escludere solo le “spese di esercizio”;
  • viene stabilita una condizione impeditiva al distacco consistente nell'assenza di notevoli squilibri di funzionamento, ponendosi il problema non solo della valutazione in sede giudiziale di tale “quantità”, ma anche del fatto se siano consentiti (e, quindi, da tollerarsi) squilibri non notevoli.
Se quelle finora accennate sono le “conferme” presenti nel testo della riforma relativamente al “sistema” di regole previsto dal codice per la ripartizione delle spese condominiali, un rapido accenno va fatto alla (sola) vera modifica prevista in tale materia che è quella effettuata sull'art. 1124 c.c..
A tale proposito, va evidenziato che la novella colma una (nota) lacuna testuale inserendo anche i costi per l’impianto di ascensore nella ripartizione prevista per le scale.
L’estensione del disposto dell’art. 1124 c.c. anche a tale impianto (e cioè della ripartizione metà per millesimi e metà per altezza), conferma l’identica ratio applicabile (alle scale e, appunto, anche all'ascensore) che si fonda sul maggior logorio della parte comune determinato dall'accesso ai piani superiori.
L'intervento della novella è perfettamente conforme ad una giurisprudenza (che in precedenza era a dir poco definitiva) secondo cui l'art. 1124 c.c. va applicato per analogia (e, come detto, per identica ratio) alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente (Cfr., tra le ultime, Cass. 17 febbraio 2005, n.3264, Trib. Salerno 10 settembre 2010, Trib. Bari 14 giugno 2010, n. 2123; Trib. Salerno 3 novembre 2009; App. Milano 21 febbraio 2006, n. 76).
Più rilevante (sempre con riferimento all'art. 1124 c.c.) e il cambiamento del concetto di “ricostruzione” con quello di “sostituzione” che, a ben vedere, risolve definitivamente il problema della ripartizione applicabile al caso della “sostituzione integrale” dell’impianto di ascensore già esistente (nel concreto, disposta solitamente per antieconomicità delle continue riparazioni). Per detta ipotesi la giurisprudenza non è riuscita nel passato a fissare un criterio definitivo di ripartizione (se, quindi, si dovesse applicare il comma 1 dell’art. 1123 c.c. - a millesimi - oppure l’art. 1124 c.c. - sostanzialmente, in base all'uso), trovandosi un po’ a metà tra la manutenzione e l’installazione ex novo. La riforma compie una chiara “scelta di campo” prescrivendo l'applicazione del secondo criterio e dando, certamente, un contributo alla deflazione del contenzioso sul punto (anche se, a ben vedere, in tal modo determinando un certo aggravio di costi per i proprietari dei piani superiori, soprattutto per quelle componenti di spesa che, pur facendo parte della sostituzione integrale, non dipendono dall'utilizzo dell'impianto e quindi dall'altezza). In ogni caso, può dirsi che rimane valida, ed estranea a questa ipotesi di “sostituzione” integrale dell'impianto, quella giurisprudenza che ha diffusamente affermato la necessità di ripartizione a millesimi (comma 1, art. 1123 c.c.) per le spese di “messa a norma” e/o “adeguamento” dell’impianto (cioè quelle determinate dall'entrata in vigore di “nuove” normative tecniche).
Infatti, è sempre stato pacifico che “le spese per l’adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE non rientrano tra quelle previste dall'art. 1124 c.c., poiché non dipendono da interventi correlati con l’intensità dell’uso, con la vetustà, con guasti accidentali: ne discende che esse vanno ripartite in base ai valori di proprietà delle unità immobiliari (cfr. Trib. Taranto 23 maggio 1996; nonché le conformi Trib. Parma 29 settembre 1994, n. 859; e Trib. Bologna 2 maggio 1995, n. 685). Principio altrettanto pacifico è quello per cui nell'ipotesi d’installazione ex novo dell'impianto dell'ascensore (prima non esistente) trova applicazione la disciplina dell'art. 1123 c.c. relativa alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza (proporzionalità al valore della proprietà di ciascun condomino) (cfr., fra tante conformi, Cass. 25 marzo 1999, n. 2833, Cass. 16 maggio 1991, n. 5479).
Analizzate le “conferme” della riforma (sulla materia della ripartizione delle spese), e le scarne modifiche espresse della relativa disciplina, è opportuno ora affrontare quelle che sono le “novità” che in tale ambito derivano (in maniera sostanzialmente indiretta) come effetti di altre “modifiche” che il legislatore adotta per altri aspetti della normativa condominiale.

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