La sentenza n. 22239/2011 è stata emessa il 5.5.2011 dalla Quarta Sezione della Corte di Cassazione in relazione ad un infortunio mortale accaduto all’interno di un condominio. Nel caso trattato un lavoratore, impiegato a pulire le scale all’interno di un condominio, decedeva a seguito della caduta nelle trombe delle scale i cui parapetti erano inferiori ad un’altezza di un metro in violazione dell’art. 26, primo comma, lettera b), del DPR n. 547/1955. Il giudice dell’udienza preliminare assolveva con la formula “perché il fatto non costituisce reato” l’amministratore di condominio. Detta sentenza veniva annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione sulla base delle seguenti argomentazioni:
- l’accertata e non contestata violazione della norma cautelare da parte dell’amministratore del condominio che manteneva l’altezza del parapetto delle scale inferiore a quella prevista dalla legge ;
- il ritenuto collegamento dell’infortunio con l’espletamento dell’attività lavorativa della vittima;
- La mancanza di elementi oggettivi tali da indurre ad ipotizzare un suicidio o un omicidio;
- la mancanza in atti di un qualsiasi fattore eccezionale in grado di interrompere il nesso causale tra l’espletamento dell’attività lavorativa e la morte del lavoratore.
In particolare la sentenza afferma quanto segue. “Il compito del datore di lavoro è molteplice ed articolato, e va dalle istruzioni dei lavoratori sui rischi di determinati lavori, e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure. La prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente altrui, non rileva allorchè chi la invochi versa in re illecita, per non avere negligentemente impedito l’evento lesivo ; giova ricordare al riguardo che le Sezioni Unite di questa Corte ebbero modo di precisare che il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi che l’ambiente di lavoro abbia i requisiti di affidabilità e legalità quanto a presidi antinfortunistici, idonei a realizzare la tutela del lavoratore, e di vigilare costantemente a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera (Sez. Un., n. 5 del 25.11.1998, dep. il 11.3.1999, - Rv. 212577). Tanto meno la causa esimente è invocabile, se la si pone alla base del proprio errore di valutazione, assumendo che il sinistro si è verificato non perché si sia tenuto un comportamento antigiuridico, ma perché vi sarebbe stata, da parte di altri soggetti, una condotta anomala ed inopinata ; chi è responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilità tale da rendersi interprete, in via di prevedibilità, del comportamento altrui, così come è condivisibilmente precisato nella giurisprudenza di legittimità :”In tema d’infortuni sul lavoro, il principio d’affidamento va contemperato con il principio di salvaguardia degli interessi del lavoratore “garantito” dal rispetto della normativa antinfortunistica ; ne consegue che il datore di lavoro, garante dell’incolumità personale dei suoi dipendenti, è tenuto a valutare i rischi e prevenirli, e non può invocare a sua discolpa, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, eventuali responsabilità altrui (in termini, Sez. 4, n. 22622 del 29.4.2008- dep. Il 5.6.2008, Rv. 240161). Va sottolineato che le misure di sicurezza previste dalla normativa antinfortunistica sono state evidentemente ritenute dal legislatore indispensabili per la salvaguardia dell’incolumità del lavoratore con riferimento all’attività lavorativa cui le specifiche misure sono riferibili: di tal che, avuto riguardo alla fattispecie in esame, deve ritenersi che il legislatore se ha stabilito in un metro l’altezza di un parapetto ha evidentemente ritenuto che un’altezza inferiore non possa considerarsi idonea ad assicurare al lavoratore una tutela efficace. Giova precisare che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno al funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all’esercizio di talune attività lavorative,”anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi sino conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operi subordinati”( in termini, Sez. 4, 14.12.1984 n. 11043; in tal senso, ex plurimis, anche Sez. 4, n,. 4784 del 13.2.1991- dep. 27.4.1991 –imp. Simili ed altro, Rv. 187538). Se è vero, poi, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, giova ricordare, tuttavia, che l’inosservanza da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell’operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. Sez. 4 n. 10121 del 23.12007 – dep. Il 9.3.2007, Rv. 236109). Preme poi evidenziare, ancora, che sussiste continuità normativa tra la disposizione di cui all’art. 26, comma primo lettera b), del DPR 27.4.1955 n. 547 e la vigente normativa antinfortunistica, posto che il contenuto di detta disposizione risulta ad oggi recepita nel d.lgs. n. 81 nell’allegato 4, punto 1.7.2.1..”
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