martedì 16 maggio 2017

L’opponibilità delle limitazioni alla destinazione delle unità immobiliari

In proprietà esclusiva nel caso di mancata trascrizione del regolamento c.d. contrattuale

Il richiamo, la menzione, l’accettazione o approvazione di un regolamento già esistente, così come l’impegno a rispettarlo contenuti nell’atto di acquisto di chi diventa condomino, sono giuridicamente irrilevanti in quanto un regolamento, una volta approvato, in base all’art. 1107, 2° comma, c.c. è efficace anche verso gli aventi causa dagli originari condomini.

Secondo la S.C. la mancata trascrizione delle servitù a carico delle unità immobiliari in proprietà esclusiva (in genere si tratta del divieto di dare alle stesse determinate destinazioni) previste del c.d. regolamento contrattuale con conseguente inopponibilità delle stesse agli aventi causa dagli originari stipulanti sarebbe superabile da una “accettazione” di tali servitù.
In ordine ai requisiti di tale “accettazione” non vi è uniformità di indirizzo.
In alcune ipotesi sono stati ritenuti sufficienti l’accettazione del regolamento (Cass. 26 ottobre 1974 n. 3168, in Giust. civ., 1975, I, 799), perché le parti dimostrerebbero di essere a conoscenza delle limitazioni in questione e di accettarne il contenuto (Cass. 14 gennaio 1993, n. 395, in Giust. civ., 1994, I, 504), il richiamo del regolamento (Cass. 3 novembre 2016 n. 22310; Cass. 6 luglio 2016 n. 21024; Cass. 20 aprile 2016 n. 19212), il richiamo ed approvazione del regolamento, sì che lo stesso venga a far parte per relationem del contenuto dell’atto di acquisto (Cass. 30 luglio 1999 n. 8279, in Arch.locazioni, 2000, 63 ; Cass. 21 febbraio 1995 n. 1886; Cass. 7 gennaio 1992 n. 49, in Giust. civ., 1992, I, 2407; Cass. 18 luglio 1989 n. 3351, in Riv. giur. edilizia, 1989, I, 854), il semplice riferimento al regolamento (Cass. 31 luglio 2009 n. 17886; Cass. 3 luglio 2003 n. 105239). In tale ordine di idee si è affermato che ove il regolamento sia richiamato con precisione ed espressamente accettato, non occorre nemmeno una specifica descrizione del contenuto della limitazione, trattandosi generalmente di vincoli relativi a tutte le unità che compongono l’edificio condominiale (Cass. 23 febbraio 1980 n. 1303, con riferimento alla clausola vietante l’adibizione degli appartamenti ad attività di pensione o di albergo).
In senso più rigoroso si è richiesto l’impegno dell’acquirente di osservare il regolamento già predisposto (Cass. 8 febbraio 1975 n. 506, per la quale, inoltre, l’accettazione può risultare anche da fatti concludenti). Non è ben chiaro il pensiero delle decisioni le quali ritengono sufficiente la accettazione delle clausole del regolamento (Cass. 11 febbraio 1977 n. 621; Cass. 27 giugno 1973 n. 1856; Cass. 24 marzo 1972 n. 899; Cass. 22 luglio 1963 n. 2024).
Se si parte dalla considerazione che il contenuto tipico del regolamento di condominio è quello previsto dall’art. 1138, primo comma, c.c., è difficile comprendere come dal semplice richiamo, riferimento ad esso o anche dall’impegno di rispettarlo da parte del nuovo condomino nel proprio atto di acquisto sia possibile desumere l’accettazione dell’eventuale contenuto atipico dello stesso, costituito dalle limitazioni alla destinazione delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, che costituiscono delle servitù.
A ciò va aggiunto che il richiamo, la menzione, l’accettazione od approvazione di un regolamento già esistente, così come l’impegno a rispettarlo contenuti nell’atto di acquisto di chi in base ad esso diventa condomino sono giuridicamente irrilevanti, in quanto un regolamento, una volta approvato, in base all’art. 1107, secondo comma, c.c. è efficace anche nei confronti degli aventi causa dagli originari condomini.
Va, poi, rilevato che l’orientamento in questione si pone in contrasto con quando affermato dalla stessa S.C. in ordine alla opponibilità della servitù non trascritta al terzo acquirente del fondo servente. E’ stata, infatti, richiesta la espressa menzione della servitù nell’atto di trasferimento al terzo del fondo medesimo, rimanendo, altrimenti, vincolante solo tra le parti (Cass. 28 aprile 2011 n. 9457; Cass. 21 febbraio 1996 n.1329), ancorché indirettamente attraverso il richiamo alla situazione dei luoghi, ma inequivocabilmente (Cass. 28 gennaio 1999 n. 757), senza che sia sufficiente che, in luogo della descrizione della servitù esistente, l’atto di trasferimento contenga frasi generiche o di mero stile, ricorrenti negli atti notarili (Cass. 3 aprile 2003 n. 5158), che restano prive di effetti giuridici, atteso che siffatte espressioni, in mancanza della legale certezza della conoscenza della servitù da parte del terzo acquirente, derivante dalla trascrizione dell’atto costitutivo, non danno neppure la certezza reale di tale conoscenza, che si consegue soltanto mediante la specifica indicazione dello “ius in re aliena” gravante sull’immobile oggetto del contratto (Cass. 3 febbraio 1999 n. 884, in Giur. it., 2000, 937; Cass. 8 agosto 1990 n. 8038). In particolare si è ritenuto che ove nell’atto di acquisto non sia fatta specifica menzione della servitù, ma sia contenuto un semplice richiamo ad altro contratto o documento nel quale sia specificamente menzionata la servitù, questa non può essere opposta all’acquirente, non essendo sufficiente la possibilità per il compratore di consultare l’atto costitutivo (Cass. 10 maggio 1963 n. 1149, in Giust. civ., 1963, I, 1256).
Sembrano aderire a tale impostazione (la quale è fortemente avversata in dottrina) le decisioni secondo le quali l’espressa accettazione del regolamento di condominio richiede uno specifico richiamo contenuto in apposita clausola dell’atto di acquisto (Cass. 12 maggio 1982 n. 2966, in Arch. locazioni, 1982, 347) oppure che l’obbligo o il divieto di dare a taluni locali una determinata destinazione, in tanto è opponibile al terzo acquirente di tali beni, in quanto sia esplicitamente riportato nel contratto d’acquisto, ovvero il terzo acquirente abbia espressamente dichiarato di essere a conoscenza del vincolo suddetto, senza che siano ammessi equipollenti e che il terzo acquirente sia tenuto a svolgere indagini per conoscere aliunde l’esistenza di vincoli, oneri o servitù non risultanti chiaramente dall’atto trascritto (Cass. 14 aprile 1983 n. 2619, in Riv. giur. edilizia, 1983, I, 917).

di Roberto Triola
già Presidente della Seconda Sezione Civile della Cassazione

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