In proprietà esclusiva nel caso di mancata trascrizione del regolamento c.d. contrattuale
Il richiamo, la menzione, l’accettazione o approvazione
di un regolamento già esistente,
così come l’impegno a rispettarlo contenuti
nell’atto di acquisto di chi diventa condomino,
sono giuridicamente irrilevanti in quanto un
regolamento, una volta approvato, in base
all’art. 1107, 2° comma, c.c. è efficace anche
verso gli aventi causa dagli originari condomini.
Secondo la S.C. la mancata trascrizione delle
servitù a carico delle unità immobiliari in
proprietà esclusiva (in genere si tratta del
divieto di dare alle stesse determinate destinazioni)
previste del c.d. regolamento contrattuale con
conseguente inopponibilità delle stesse agli aventi
causa dagli originari stipulanti sarebbe superabile
da una “accettazione” di tali servitù.
In ordine ai requisiti di tale “accettazione” non vi
è uniformità di indirizzo.
In alcune ipotesi sono stati ritenuti sufficienti l’accettazione
del regolamento (Cass. 26 ottobre 1974
n. 3168, in Giust. civ., 1975, I, 799), perché le
parti dimostrerebbero di essere a conoscenza delle
limitazioni in questione e di accettarne il contenuto
(Cass. 14 gennaio 1993, n. 395, in Giust. civ.,
1994, I, 504), il richiamo del regolamento (Cass.
3 novembre 2016 n. 22310; Cass. 6 luglio 2016 n.
21024; Cass. 20 aprile 2016 n. 19212), il richiamo
ed approvazione del regolamento, sì che lo stesso
venga a far parte per relationem del contenuto
dell’atto di acquisto (Cass. 30 luglio 1999 n. 8279,
in Arch.locazioni, 2000, 63 ; Cass. 21 febbraio 1995
n. 1886; Cass. 7 gennaio 1992 n. 49, in Giust. civ.,
1992, I, 2407; Cass. 18 luglio 1989 n. 3351, in Riv.
giur. edilizia, 1989, I, 854), il semplice riferimento
al regolamento (Cass. 31 luglio 2009 n. 17886;
Cass. 3 luglio 2003 n. 105239). In tale ordine di
idee si è affermato che ove il regolamento sia richiamato
con precisione ed espressamente accettato,
non occorre nemmeno una specifica descrizione
del contenuto della limitazione, trattandosi
generalmente di vincoli relativi a tutte le unità che compongono l’edificio condominiale (Cass. 23 febbraio
1980 n. 1303, con riferimento alla clausola
vietante l’adibizione degli appartamenti ad attività
di pensione o di albergo).
In senso più rigoroso si è richiesto l’impegno
dell’acquirente di osservare il regolamento già
predisposto (Cass. 8 febbraio 1975 n. 506, per la
quale, inoltre, l’accettazione può risultare anche
da fatti concludenti). Non è ben chiaro il pensiero
delle decisioni le quali ritengono sufficiente la
accettazione delle clausole del regolamento (Cass.
11 febbraio 1977 n. 621; Cass. 27 giugno 1973 n.
1856; Cass. 24 marzo 1972 n. 899; Cass. 22 luglio
1963 n. 2024).
Se si parte dalla considerazione che il contenuto
tipico del regolamento di condominio è quello previsto
dall’art. 1138, primo comma, c.c., è difficile
comprendere come dal semplice richiamo, riferimento
ad esso o anche dall’impegno di rispettarlo
da parte del nuovo condomino nel proprio atto
di acquisto sia possibile desumere l’accettazione
dell’eventuale contenuto atipico dello stesso, costituito
dalle limitazioni alla destinazione delle
unità immobiliari in proprietà esclusiva, che costituiscono
delle servitù.
A ciò va aggiunto che il richiamo, la menzione,
l’accettazione od approvazione di un regolamento
già esistente, così come l’impegno a rispettarlo
contenuti nell’atto di acquisto di chi in base ad esso diventa condomino sono giuridicamente irrilevanti,
in quanto un regolamento, una volta approvato,
in base all’art. 1107, secondo comma, c.c.
è efficace anche nei confronti degli aventi causa
dagli originari condomini.
Va, poi, rilevato che l’orientamento in questione si
pone in contrasto con quando affermato dalla stessa
S.C. in ordine alla opponibilità della servitù non
trascritta al terzo acquirente del fondo servente. E’
stata, infatti, richiesta la espressa menzione della
servitù nell’atto di trasferimento al terzo del fondo
medesimo, rimanendo, altrimenti, vincolante solo
tra le parti (Cass. 28 aprile 2011 n. 9457; Cass. 21
febbraio 1996 n.1329), ancorché indirettamente
attraverso il richiamo alla situazione dei luoghi,
ma inequivocabilmente (Cass. 28 gennaio 1999 n.
757), senza che sia sufficiente che, in luogo della
descrizione della servitù esistente, l’atto di trasferimento
contenga frasi generiche o di mero stile,
ricorrenti negli atti notarili (Cass. 3 aprile 2003 n.
5158), che restano prive di effetti giuridici, atteso
che siffatte espressioni, in mancanza della legale
certezza della conoscenza della servitù da parte
del terzo acquirente, derivante dalla trascrizione
dell’atto costitutivo, non danno neppure la certezza
reale di tale conoscenza, che si consegue soltanto
mediante la specifica indicazione dello “ius
in re aliena” gravante sull’immobile oggetto del
contratto (Cass. 3 febbraio 1999 n. 884, in Giur.
it., 2000, 937; Cass. 8 agosto 1990 n. 8038). In
particolare si è ritenuto che ove nell’atto di acquisto
non sia fatta specifica menzione della servitù,
ma sia contenuto un semplice richiamo ad altro
contratto o documento nel quale sia specificamente
menzionata la servitù, questa non può essere
opposta all’acquirente, non essendo sufficiente
la possibilità per il compratore di consultare l’atto
costitutivo (Cass. 10 maggio 1963 n. 1149, in
Giust. civ., 1963, I, 1256).
Sembrano aderire a tale impostazione (la quale è fortemente
avversata in dottrina) le decisioni secondo
le quali l’espressa accettazione del regolamento di
condominio richiede uno specifico richiamo contenuto
in apposita clausola dell’atto di acquisto (Cass.
12 maggio 1982 n. 2966, in Arch. locazioni, 1982,
347) oppure che l’obbligo o il divieto di dare a taluni
locali una determinata destinazione, in tanto è
opponibile al terzo acquirente di tali beni, in quanto
sia esplicitamente riportato nel contratto d’acquisto,
ovvero il terzo acquirente abbia espressamente
dichiarato di essere a conoscenza del vincolo suddetto,
senza che siano ammessi equipollenti e che il
terzo acquirente sia tenuto a svolgere indagini per
conoscere aliunde l’esistenza di vincoli, oneri o servitù
non risultanti chiaramente dall’atto trascritto
(Cass. 14 aprile 1983 n. 2619, in Riv. giur. edilizia,
1983, I, 917).
di Roberto Triola
già Presidente della Seconda Sezione Civile della Cassazione
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