Sembrano poche se paragonate a quelle in altri Paesi europei, ma le macchine elettriche in Italia stanno cominciando a entrare nel mercato, grazie anche alla recente legislazione.
Tutti i Comuni entro il 31 dicembre 2017 hanno
l’obbligo di adeguare il regolamento edilizio
prevedendo che il conseguimento del titolo
abilitativo per i nuovi edifici sia vincolato alla
predisposizione di infrastrutture elettriche per la
ricarica dei veicoli. Lo impone il Dlgs 257/2016,
pubblicato in Gazzetta il 13 gennaio che, andando
a modificare il Testo Unico dell’Edilizia (DPR
380/2001, stabilisce i requisiti minimi per la costruzione
di infrastrutture per i combustibili alternativi,
inclusi i punti di ricarica per i veicoli
elettrici e i punti di rifornimento di gas naturale
liquefatto, idrogeno e GPL.
Tale obbligo riguarderà gli edifici di nuova costruzione
a uso diverso da quello residenziale con
superficie utile superiore a 500 metri quadrati e
relativi interventi di ristrutturazione profonda, e
gli edifici residenziali di nuova costruzione con
almeno 10 unità abitative e i relativi interventi di
ristrutturazione profonda.
Le infrastrutture elettriche predisposte dovranno
permettere la connessione di una vettura da
ciascuno spazio a parcheggio coperto o scoperto
e da ciascun box per auto, siano essi pertinenziali
o no, in conformità alle disposizioni edilizie
di dettaglio fissate nel regolamento stesso e, relativamente
ai soli edifici residenziali di nuova
costruzione con almeno 10 unità abitative, per
un numero di spazi a parcheggio e box auto non
inferiore al 20% di quelli totali.
Questo tipo di interventi senz’altro serviranno per
abbattere in parte l’”ansia da ricarica” di molti
potenziali clienti, anche in assenza di colonnine
nelle vicinanze della propria abitazione. Con il
90% della popolazione che non percorre più di 30
km al giorno, e vetture ormai abbastanza economiche
con range facilmente oltre i 100 km, sono molti gli automobilisti che potrebbero guardare
con interesse a questo mercato.
Ma il mercato esiste?
Uno studio dell’ Energy&Strategy Group del Politecnico
di Milano, l’“E-Mobility Report 2016”, ha stimato
che il mercato potenziale delle auto elettriche
potrebbe passare da 75 milioni di euro attuali
a 4,5 miliardi. Per realizzare questo obiettivo però
bisogna cambiare strategia, adottando una visione
di sistema e spostando risorse dagli incentivi per i
punti di ricarica a quelli per l’acquisto dei veicoli.
L’Italia - si legge nel Report – ora pesa solamente
per circa l’1% nel mercato europeo. Nel 2016 sono
state vendute 2.560 auto elettriche, circa lo 0,1%
dell’intero mercato italiano dell’auto e il trend è
stabile (e in controtendenza sul dato globale) rispetto
al 2015.
La quota di mercato dell’auto elettrica è in Italia
circa un decimo di quella degli altri grandi Paesi
europei. Tale divario diventa è ancora più ampio
se paragonato ai Paesi del Nord: in Svezia le immatricolazioni
di veicoli elettrici sono 2,4% del
totale, in Olanda il 9,7% e in Norvegia addirittura
il 23,3%. A spiegare la differenza – sottolineano
i ricercatori dell’E&S Group - è la presenza negli
altri Paesi di meccanismi di incentivazione che in
Italia mancano.
Infatti, in Norvegia si hanno incentivi per circa
20.000 euro se il mezzo è totalmente elettrico
(BEV) e per circa 13.000 per le motorizzazioni ibride.
In Italia invece siamo a circa 3.000 euro per
un’auto full electric e 2.000 per un’ibrida (PHEV).
Anche sull’infrastruttura di ricarica - con un indice
di 0,66 veicoli elettrici/punti di ricarica –
l’Italia è ancora indietro. Nel nostro Paese, infatti,
mostra il report, si possono stimare circa
9.000 punti di ricarica: 7.000-7.500 privati (circa
l’80%) e 1.750 pubblici (circa il 20%).
Le installazioni comunque sono complessivamente
cresciute nel corso dell’ultimo anno di circa
2.500 unità. I punti di ricarica pubblica in particolare
hanno fatto segnare un +28% segnando un
certo livello di fermento ed invertendo drasticamente
un trend rimasto piatto dal 2013 al 2015.
A governare lo sviluppo dell’infrastruttura di ricarica,
si ricorda, in Italia c’è il cosiddetto PNIRE
(Piano Nazionale Infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica) del
Ministero delle Infrastrutture, che ha come target
2020 l’installazione di 4.500-13.000 punti di
ricarica normal power (ossia con un potenza pari
o inferiore a 22 kW) e di 2.000-6.000 punti di
ricarica high power (ossia con una potenza superiore
a 22 kW) e che conta su un fondo di 33,3
milioni di euro.
Il potenziale al 2020
Lo studio si chiude con una stima del potenziale
dell’e-mobility in Italia.
Due i possibili scenari di sviluppo al 2020:
- “EV pull”, ipotizza che il traino venga dalle vendite di auto elettriche attese per i prossimi anni, la stima dei veicoli elettrici che verranno immatricolati tra il gennaio del 2017 e il dicembre del 2020 in Italia, su cui hanno convenuto gli operatori intervistati, vede circa 70.000 unità, con un quota di mercato per le auto elettriche che parte dallo 0,3% del 2017 (aumento del 300% rispetto al 2016) e arriva a circa il 2% rispetto alle immatricolazioni annuali nel 2020. Ciò vuol dire che nell’orizzonte 2017-2020 un controvalore derivante dall’acquisto di veicoli elettrici compreso tra 1,75 miliardi e 2,45 miliardi di euro (contro i circa 75 milioni di euro del 2016) e per gli investimenti in colonnine di ricarica tra 225 e 384 milioni di euro.
- “PNIRE push”, ipotizza che sia invece l’infrastruttura di ricarica a comandare i volumi del mercato, gli investimenti in infrastrutture di ricarica sarebbero compresi tra 337 e 577 milioni di euro, mentre per quanto riguarda l’acquisto di veicoli ci si attende un controvalore compreso tra 3,25 e 4,55 miliardi euro.
Il Piano Nazionale ha l’ambizione di preparare una
infrastruttura per oltre 130.000 veicoli elettrici,
mentre il mercato delle auto sembra non ritenere
possibile andare oltre le 70.000 unità immatricolate
nei prossimi 4 anni, forse perché si riscontra un
invenduto delle auto tradizionali e il mercato spinge
su quelle? Questo di certo non lo sapremo mai.
Comunque quale delle due visioni è corretta? “Forse non è questa la domanda giusta da porsi.
Anzi è proprio l’assenza di coerenza a dover porre
qualche preoccupazione”, spiegano gli autori
del report. Gli esempi di altri Paesi virtuosi (come
Giappone e Cina) – commentano dall’E&S Group
- dovrebbero portare a riflettere sulla necessità
di un riallineamento che può passare da: un “ridimensionamento”
del PNIRE verso un obiettivo
legato alle infrastrutture più in linea con quanto
ci si attende dal mercato delle auto elettriche; un
“rafforzamento” dei sistemi di incentivazione per
l’acquisto di veicoli oppure una soluzione “ibrida”
– che preveda l’impiego di risorse già destinate al
PNIRE per l’incentivazione dell’acquisto di auto
elettriche – in modo da ottenere un bilanciamento
degli obiettivi.
La strada assolutamente da evitare, si avverte, “è
quella di attendere per capire quale scenario avrà più
probabilità di accadimento. È una strada pericolosa,
che può forse essere percorsa ancora nel 2017, ma
che deve essere quanto prima abbandonata, rispondendosi
alla domanda critica di quale ruolo vuole
giocare il nostro Paese nella mobilità elettrica”.
Ma forse non ci sarà bisogno di aspettare che,
come al solito, le cose cadano dall’alto, perché
i cittadini che ogni giorno prendono l’auto per
recarsi al lavoro, si stanno stancando di subire il
“balletto” dei costi del petrolio.
di Annalisa Galante
Membro del Comitato Scientifico Abitare Biotech
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