Come è noto, il legislatore italiano non ha mai definito la natura giuridica del condominio, neppure con la riforma intervenuta con la legge 11 dicembre 2012, n. 220, del codice civile del 1942.
La giurisprudenza, già da tempo, ha definito il
condominio un ente di gestione, confermando che
è privo di personalità giuridica e, del resto, la sua
disciplina è inserita nel libro terzo “della proprietà”
con un privilegio dei diritti di comproprietà sulle
parti e sui servizi comuni, rispetto sia ai rapporti di
natura obbligatoria, anch’essi previsti, sia a quelli
personali sussistenti tra i condomini. La Suprema
Corte di Cassazione, con la sentenza 18 settembre
2014, n. 19663, ha stabilito che, proprio in relazione
alla mutata normativa, il condominio sia fornito,
quanto meno, di una soggettività giuridica, poiché
è dotato di un patrimonio e assume obbligazioni,
derivate da contratti o da fatti illeciti. Come gli enti
collettivi, è gestito da due “organi”: l’assemblea,
che rappresenta il potere decisionale e l’amministratore
che ne rappresenta il potere esecutivo.
L’assemblea delibera, con le maggioranze prescritte,
in particolare, dagli artt. 1117-ter, 1120 e 1136 cod.
civ., nonché dall’art. 67 disp. att. cod. civ., per ogni
questione che rilevi per gli interessi e i diritti dei
condomini, con esclusione, conseguentemente, degli
argomenti che ne esulano, non concernendo beni e
servizi comuni. Qualora avvenga ciò, la delibera è
nulla (Cass. civ., Sez. VI, 15 marzo 2017, n. 6652). Si
rammenta che la delibera è un atto collettivo, anche
se parte della dottrina la definisce un atto complesso.
Le delibere possono essere nulle e, dunque, impugnabili
in ogni tempo, ovvero annullabili e, quindi,
impugnabili entro i trenta giorni previsti dall’art. 67
disp. att. cod. civ., dai condomini assenti o da quelli,
presenti all’assemblea, che ne siano stati contrari o
si siano astenuti; i trenta giorni decorrono dalla data
dell’avvenuta effettiva conoscenza della delibera da
parte del condomino che intenda impugnarla. Una
delibera con cui si decida in modo concreto una spesa
o una attività può essere impugnata, non essendo
impugnabili quelle che abbiano un mero contenuto
generico e programmatico, tale da rinviare a una
successiva l’adozione dell’effettiva delibera (Cass.
civ., Sez. II, 25 maggio 2016, n. 104865). Si ricorda
che le delibere sono nulle quando propongono un
oggetto illecito o impossibile, una causa illecita,
quando sono contrarie a disposizioni imperative di
legge o violino i diritti soggettivi e/o reali anche
di un singolo condomino; per contro, sono annullabili
tutte le altre delibere che, sostanzialmente,
non rispettano le norme procedurali della gestione
condominiale, latu sensu intesa. In quest’ultima fattispecie, legittimato a impugnare la delibera è
esclusivamente il condomino interessato a tutelare
la lesione del suo diritto, per esempio, per non essere
stato convocato in assemblea (Cass. civ., Sez.
II, 23 novembre 2016, n. 23903), e non un altro
condomino, per esempio quello regolarmente convocato.
L’assemblea deve essere convocata dall’amministratore
in carica ex art. 67 disp. att. cod. civ.,
ovvero anche da un terzo che operi quale delegato,
secondo il meccanismo della rappresentanza volontaria,
per esempio, il socio accomodante della società
di persone, amministratrice del condominio,
soprattutto se la convocazione è stata redatta sulla
carta intestata della società (Cass. civ., Sez. II, 10
gennaio 2017, n. 335).
Uniche eccezioni, alla norma sopra citata, consistono:
- nella possibilità che anche un solo condomino convochi l’assemblea, allorché il condominio sia sprovvisto di amministratore ovvero l’amministratore sia decaduto dalla carica per essere venuti meno i requisiti di moralità prescritti dall’art. 71- bis disp. att. cod. civ.; in quest’ultima ipotesi, anche se il testo di legge riporta l’espressione “senza alcuna formalità” ritengo che le prescrizioni, di cui al precitato art. 66, debbano essere rispettate, indicando la frase de qua che non necessita alcuna preventiva dichiarata revoca da parte dell’assemblea o dell’autorità giudiziaria;
- nella convocazione diretta dell’assemblea da parte di un condomino, allorché l’amministratore ne sia obbligato, per esempio per la revisione delle tabelle millesimali o per deliberare una innovazione prevista dal secondo comma dell’art. 1120 cod. civ., ovvero da parte di due o più condomini, rappresentanti almeno un sesto del valore millesimale dell’edificio, che richiedano un’assemblea e l’amministratore non vi provveda nei dieci giorni successivi alla ricezione della relativa raccomandata.
La convocazione deve contenere l’ordine del giorno.
L’ordine del giorno incide sulla validità della relativa
assemblea, poiché i condomini devono partecipare
all’assemblea informati di quanto dovranno decidere.
Non è necessaria, però, un’analitica e minuziosa
elencazione degli argomenti da trattare, essendo
sufficiente che siano indicati con termini essenziali,
tali da essere comprensibili per tutti l’importanza e
il tenore di quanto si dovrà deliberare.
Qualora l’assemblea stabilisca di dibattere ugualmente
un argomento, non ben specificato nell’ordine del
giorno, la partecipazione alla discussione e alla susseguente
deliberazione preclude al condomino, che
non abbia sollevato eccezioni, di poter impugnare la
delibera, adducendo l’incompletezza dell’ordine del
giorno. Una volta riunitisi i condomini nel giorno,
nell’ora e nel luogo dove è convocata l’assemblea, di
norma a maggioranza, eleggono il presidente e il segretario.
La figura del presidente era prevista nel testo
dell’art. 67 disp. att. cod. civ. del 1942; la riforma
della normativa del condominio, introdotta con la
legge 11 dicembre 2012, n. 220, ha modificato l’articolo
de quo eliminando il riferimento al presidente.
Ritengo, tuttavia, che, per analogia con quanto
disposto per gli enti collettivi (cfr. art. 2375 (?)
cod. civ.), la nomina del presidente sia necessaria
per la posizione di direzione della discussione assembleare
e di responsabilità che deve assumere in
relazione ad alcune decisioni da adottare seduta
stante. Ma, considerato che la norma non ne prevede
espressamente la nomina, se l’assemblea non vi
proceda, questa circostanza non dovrebbe produrre
effetti negativi sulla validità delle delibere assunte.
Il presidente, constato il quorum costitutivo, per
la validità dell’assemblea, per la presenza, di persona
o per delega, dei condomini, ne dichiara la
validità, riportando a verbale il loro nominativo e
il corrispondente valore millesimale.
Il novellato art. 67 disp. att. cod. civ. dispone che,
nei condomini il cui numero di condomini sia superiore
a venti, nessuno di essi può essere portatore di
un numero di deleghe superiore a un quinto dell’intera
compagine e dei millesimi del fabbricato.
A prescindere dalle difficoltà operative che in alcune
fattispecie si creano, per esempio, qualora
un solo condomino sia proprietario di più unità immobiliari, per un valore superiore a duecento
millesimi, il legislatore ha desunto la norma dagli
arresti degli Ermellini che, confermando la validità
di una clausola del regolamento di condominio,
intendevano garantire l’effettività del dibattito e
la concreta collegialità delle assemblee, allorché il
regolamento stesso limitasse il potere dei condomini
di farsi rappresentare nelle assemblee (da ultimo:
Cass. civ., Sez. VI, 23 marzo 2017, n. 8015).
Terminata l’assemblea, l’ultimo comma dell’art.
1136 cod. civ. prevede che “si rediga” il processo
verbale che ha la funzione di documentare la valida
costituzione dell’assemblea, il processo formativo e
il contenuto delle delibere e, dopo la novella del
2012, ai sensi dell’art. 1129 cod. civ., le brevi dichiarazioni
che i condomini hanno voluto rilasciare.
La veridicità di questo può essere impugnata avvalendosi
di qualsiasi mezzo di prova, senza necessità
di proporre una querela di falso (Cass. civ., Sez. VI,
9 maggio 2017, n. 11375); incombe sul condomino,
impugnante una delibera, l’onere di sovvertire la
presunzione di verità di quanto risulta dal verbale.
Considerato che l’art. 1137 cod. civ. prescrive che
possano impugnare le delibere esclusivamente
i condomini che sono rimasti assenti all’assemblea,
quelli dissenzienti e quelli astenuti, anche
in questo caso mutuando la tesi giurisprudenziale,
nel verbale devono essere esattamente riportati
i nominativi dei condomini dissenzienti e degli
astenuti, nonché il valore delle rispettive quote
millesimali, non necessitando, per la validità delle
delibere, che siano riportati i nominativi di coloro
che hanno votato a favore, potendosi desumere,
per differenza, la verifica della sussistenza delle
maggioranze prescritte dall’art. 1136 cod. civ..
La forma del verbale, deve essere necessariamente
scritta dovendo essere riportata nel libro verbale prescritto
dall’art. 1129 cod. civ.. È sufficiente la sottoscrizione
del presidente e del segretario, che l’ha
redatto in seguito alle indicazioni dello stesso presidente,
soggetti che non sono, comunque, pubblici
ufficiali, ma soggetti privati. Il verbale deve essere
sottoscritto da tutti i condomini soltanto qualora
costituisca il testo contrattuale di una convenzione
stipulata tra loro. Tuttavia se la delibera inerisca
a diritti reali dei condomini, il verbale deve essere
redatto con forma scritta ad substantiam. Infine si
deve rammentare che i verbali, in caso di contestazioni,
sono interpretati dall’autorità giudiziaria “secondo
i canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362
cod. civ. e ss., privilegiando, innanzitutto, l’elemento
letterale e quindi, soltanto nel caso in cui esso
si appalesi insufficiente, utilizzando gli altri criteri
interpretativi sussidiari indicati dalla legge, tra cui
quelli della valutazione del comportamento delle
parti e della conservazione degli effetti dell’atto.”
(Cass. civ., Sez. II, 23 novembre 2016, n. 23903).
di Gian Vincenzo Tortorici
Direttore CSN Anaci
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