La legge n. 220/2012 ha innovato significativamente la figura dell’amministratore, introducendo nuove regole in merito alla nomina, revoca, attribuzioni, poteri ed obblighi di tale soggetto.
Più rigorosi sono anche i requisiti richiesti per la nomina.
Il novello articolo 71 bis delle Disposizioni di attuazione del codice civile e disposizioni transitorie prevede, infatti, cinque requisiti di “onorabilità” (dalla lettera a alla lettera e) e due requisiti di “professionalità” (lettere g e f) che il soggetto deve possedere per svolgere l’incarico di Amministratore, con la precisazione che i requisiti di “professionalità” (diploma scolastico di secondo grado ed obbligo di formazione iniziale e di formazione periodica) non sono richiesti qualora l’amministratore sia nominato tra i condomini dello stabile.
Ulteriore elemento di novità è la previsione espressa circa la possibilità che l’incarico di amministratore di condominio venga svolto anche da società. In tal caso è specificato che i requisiti devono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi.
La prima questione da affrontare è se l’art. 71 bis disp. att. c.c. sia una norma di ordine pubblico, come sostengono autorevoli commentatori della legge n.220/2012 e come ritiene questa commissione, oppure no. A seconda della tesi cui si aderisce, infatti, discendono conseguenze diverse con riferimento al rapporto tra Amministratore e Condominio e con riferimento agli atti e contratti conclusi dall’Amministratore.
1) NORMA DI ORDINE PUBBLICO
Tale tesi si fonda sul fatto che la norma in questione è posta a tutela di interessi generali della collettività ed in particolare del consumatore. Ciò ancor più alla luce della Legge n.4/2013 che riguarda anche la professione di Amministratore di condominio. In ogni caso i requisiti richiesti dall’art. 71 bis disp.att.c.c. sono identici e/o similari a quelli prescritti per l’esercizio di altre professioni e va da sé che le conseguenze derivanti dalla loro mancanza siano le stesse.
Se trattasi di norma di ordine pubblico, la stessa, in quanto tale, ha carattere imperativo ed inderogabile, indipendentemente dall’espresso richiamo o meno da parte dell’art. 72 disp.att.c.c.. La mancanza ab origine dei requisiti di cui all’art. 71 bis disp att. c.c., pertanto, comporta la nullità della deliberazione di nomina, in quanto adottata in violazione di norme imperative, e quindi la nullità dell’incarico (contratto di mandato). Tale nullità può essere eccepita da chiunque vi abbia interesse (concreto e dimostrabile) ed in qualsiasi tempo. Da ciò deriva che deve ritenersi nulla la clausola, seppur contenuta in un regolamento contrattuale o negli atti di acquisto dei singoli condomini, che consenta la nomina ad amministratore di un soggetto privo dei requisiti di onorabilità e professionalità. Altra conseguenza è che l’amministratore sprovvisto dei requisiti previsti dall’art. 71 dis disp. att. c.c. non potrà agire nei confronti del condominio con l’azione contrattuale per conseguire il compenso relativo all’attività espletata, essendo, come già detto, il relativo contratto nullo. Si potrebbe, semmai, ritenere che tale soggetto possa agire nei confronti del condominio ai sensi dell’art.2041 c.c. con l’azione di arricchimento senza causa. La nullità originaria del contratto di mandato, inoltre, non sarà sanabile neppure se, nel corso del rapporto, sopraggiungano le condizioni di capacità, inizialmente mancanti.
Ciò avrà delle conseguenze pesanti anche con riferimento agli atti e contratti conclusi dall’Amministratore, quale falsus procurator, non potendo gli stessi produrre alcun valido effetto in capo al Condominio. La conseguenza del compimento di atti in eccesso rispetto ai poteri conferiti è, come è noto, il risarcimento dei danni subiti dai condòmini nonché il risarcimento del danno al terzo contraente cagionatogli in considerazione dell'incolpevole affidamento circa la validità del contratto. A sostegno di tale tesi si segnala, infine, l’ordinanza emessa dal Tribunale di Sciacca il 16.06.2014 nell’ambito di un giudizio per provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. promosso dall’amministratore nominato giudizialmente e volto ad ottenere dall’amministratore nominato dall’assemblea la consegna della documentazione dello stabile. Il tribunale di Sciacca ha rilevato d’ufficio l’invalidità della nomina dell’amministratore effettuata dall’assemblea poiché lo stesso era già stato condannato per reati di violazione dell’art.2, comma 1 e 1bis, legge n.638/83 costituenti un’ipotesi speciale di appropriazione indebita (e dunque in violazione di quanto disposto dall’art. 71 bis lettera b disp. att.c.c.).
2) NORMA NON DI ORDINE PUBBLICO
Qualora, invece, si volesse anche soltanto ipotizzare la non imperatività della norma in questione e quindi la sua derogabilità si dovrebbe accettare la possibilità di una diversa previsione da parte di un regolamento contrattuale nonchè la mera annullabilità della delibera di nomina dell’Amministratore privo dei requisiti di legge, con conseguente validità della sua nomina, in difetto di impugnazione nei termini di legge. Gli atti e contratti dallo stesso perfezionati nel mentre sarebbero, inoltre, ratificabili da parte dell’assemblea e quindi produrrebbero effetti in capo al Condominio.
Tale tesi, a parere della commissione, comporterebbe il serio rischio di veder aggirato di fatto non solo l’art.71 bis disp. att. c.c., ma tutto il complesso normativo (L. n.4/2013 e D.M. 140/2014) finalizzato all’introduzione nel nostro ordinamento di una figura qualificata di Amministratore condominiale, a tutto discapito dei condomini-amministrati e di quanti svolgono in modo serio, “professionale” e qualificato detta attività.
La perdita sopravvenuta dei requisiti di onorabilità comporta, invece, la cessazione dall’incarico di amministratore, tanto che ciascun condomino potrà convocare (“senza formalità”) l’assemblea per provvedere alla nomina del nuovo amministratore. A parere di alcuni commentatori, però, tale cessazione non sarebbe automatica, ma l’amministratore potrebbe continuare a svolgere i propri compiti, nonostante la perdita dei requisiti richiesti dalla legge, se tale circostanza non gli venisse contestata da alcun condomino.
Poiché il comma 4 della disposizione in esame richiama espressamente i soli requisiti dalla lettera a) alla lettera e), sembrerebbe doversi escludere che il mancato assolvimento dell’obbligo di formazione periodica possa dar luogo alla (immediata) cessazione dell’incarico.
Vi è allora da chiarire quali siano le conseguenze che derivino dal mancato assolvimento dell’obbligo di formazione periodica (c.d. aggiornamento) e quindi dalla perdita sopravvenuta del requisito di cui alla lettera g) dell’art. 71 bis disp. Att. c.c. E’ ovvio, infatti, che il requisito di cui alla lettera f), una volta conseguito, non possa successivamente venir meno.
Si potrebbe, dunque, verificare l’ipotesi che l’amministratore al momento della nomina sia in possesso dei requisiti di professionalità, ma che, poi, negli anni successivi di rinnovo del proprio incarico non rispetti l’obbligo di formazione periodica.
Secondo una prima tesi, cui aderisce questa commissione, il mancato assolvimento dell’obbligo di formazione periodica può costituire motivo di revoca dell’amministratore da parte dell’assemblea o da parte dell’Autorità Giudiziaria su ricorso di ciascun condomino. Tale conclusione scaturisce dal fatto che l’art. 1129 c.c. (norma inderogabile) sanziona con la revoca, considerandola una “grave irregolarità” (cfr. comma 12 punto 8), la semplice omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati professionali da parte dell’amministratore al momento dell’accettazione della nomina e/o ad ogni rinnovo del proprio incarico. Se, infatti, la mera dimenticanza da parte dell’amministratore di comunicare di essere in possesso dei requisiti professionali (che in effetti ha) può comportare la revoca dello stesso (addirittura da parte dell’Autorità Giudiziaria su iniziativa di un solo condomino, senza la previa convocazione dell’assemblea), ancor più ciò potrà verificarsi nell’ipotesi in cui l’amministratore non sia più in possesso del requisito di professionalità relativo alla formazione periodica.
La questione degli strumenti rimediali attivabili in caso di mancato adempimento, da parte dell’amministratore condominiale, dell’obbligo di formazione periodica è complessa e fa sorgere tutta una serie di riflessioni, poiché non tutti aderiscono alla tesi di cui sopra, sostenuta da questa commissione.
Secondo alcuni, ai fini dell’inquadramento del problema in esame può essere opportuno distinguere due ipotesi da cui potrebbero discendere conseguenze giuridiche diverse.
- Potrebbero verificarsi, infatti, i seguenti casi:
- mancata ottemperanza all’obbligo di formazione periodica da parte dell’amministratore condominiale a cui sia seguita la deliberazione assembleare di nomina ed il successivo contratto sul presupposto, errato, che l’amministratore fosse in possesso del requisito in esame;
- il venir meno nel corso del rapporto contrattuale del requisito della formazione periodica annuale da parte dell’amministratore condominiale ed omissione, da parte dello stesso, dell’informazione relativa alla sopravvenuta carenza di detto requisito.
Tale distinzione potrebbe, infatti, consentire di valutare se la carenza del requisito di cui si discute possa ritenersi rilevante (a) quale mero comportamento scorretto postnegoziale o se tale carenza incida, invece, (b) su un elemento intrinseco della deliberazione e del contratto.
La suddetta distinzione tra regole di validità e regole di comportamento è importante giacchè la giurisprudenza ha sempre affermato che la violazione di norme imperative comporta la nullità solo nel caso in cui la norma imperativa concerna elementi intrinseci del contratto, ossia la sua struttura o il suo contenuto.
Tale assunto è stato ribadito anche dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nelle pronunce del 19/12/2007 n.26724 e n.26725. Stando, dunque, alla giurisprudenza delle SS.UU. la nullità potrebbe configurarsi soltanto nell’ipotesi 1) e non nell’ipotesi 2).
- La prima ipotesi da verificare è se l’assenza del requisito di formazione periodica possa integrare un’ipotesi di nullità virtuale (o nullità non testuale). Con questa locuzione la dottrina designa il caso in cui la nullità del contratto non sia prevista espressamente e specificamente come conseguenza della violazione di una norma. La nullità virtuale è disposta dall'art. 1418 c.c. che al 1° comma prevede che la violazione di norme imperative procuri la nullità del contratto, salvo che la legge non disponga diversamente. In tal senso la nullità virtuale si contrappone al principio della nullità testuale prevista nel 3° comma dell'art. 1418 c.c..
L’argomento, dibattutissimo in dottrina, è fittissimo di implicazioni e di distinzioni che hanno determinato, nel corso degli anni, una elaborazione ponderosa della dogmatica non riassumibile, ovviamente, nelle presenti note.
Poiché, come già detto, a pare di questa Commissione l’art. 71 bis disp. att. c.c. è norma imperativa di ordine pubblico in quanto posta a tutela di un interesse generale della collettività ed in particolare
del consumatore, è necessario affrontare sommariamente l’argomento delle c.d. “nullità di protezione” invocabili, nel caso in esame, in ragione della qualificazione soggettiva di “professionista” dell’amministratore e di “consumatore” del condominio.
Da molto tempo si assiste ad una via via crescente espansione delle norme imperative riconducibili al c.d. “ordine pubblico di protezione”. Si tratta di una protezione che si realizza attraverso significative deviazioni rispetto alla disciplina delle nullità tradizionali come per esempio il profilo della legittimazione o quello della rilevabilità d’ufficio. La distinzione tra interesse generale e interesse particolare ha mostrato, dunque, secondo la dottrina, tutta la sua inadeguatezza al cospetto delle nullità di protezione le quali sono poste a tutela di interessi particolari (rectius “seriali”).
Proprio facendo riferimento alle nullità protettive ciò che rileva non è tanto l’inderogabilità della norma posta a tutela di un interesse generale, quanto piuttosto l'indisponibilità dell'interesse protetto che costituisce indice sicuro della sua imperatività.
Ebbene, come è noto un cospicuo coacervo di norme imperative, in funzione di protezione del contraente debole, è rappresentato dal Codice del consumo che è costellato di previsioni che impongono molteplici vincoli quanto a requisiti di trasparenza ed obblighi informativi che si traducono in altrettante limitazioni al principio di autonomia privata.
Si tratta dell’art. 2 c. cons. che definisce “fondamentali” i diritti dei consumatori ad una “adeguata informazione” nonché alla “correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali”. A tal proposito va ricordato che tali diritti sono considerati, dall’art. 143 c. cons. come “irrinunciabili” con ciò confermandosi la natura “essenziale” ed inviolabile degli stessi. Da tenere presente, inoltre, le modifiche introdotte dal d.lgs. 21 febbraio 2014 n.21 (emanato in attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti del consumatore) che ha novellato l’art. 48 c. cons. circa gli obblighi gravanti sul professionista.
Ed allora, in tale prospettiva, la nullità dell’atto potrebbe profilarsi proprio in ragione delle qualificazioni soggettive dei contraenti.
Come già evidenziato, l'art. 71 bis disp. att. c.c., la L. n. 4/2013 e il D.M. 140/2014 costituiscono “un complesso normativo finalizzato all'introduzione nel nostro ordinamento di una figura qualificata di Amministratore condominiale” sicchè una sostanziale elusione di tale assetto andrebbe “a tutto discapito dei condomini-amministrati e di quanti svolgono in modo serio, "professionale" e qualificato detta attività”.
Ebbene, lo scopo di tale complesso normativo indicato è evidente: impedire che si produca un determinato assetto di interessi a sfavore del contraente più svantaggiato e garantire che certe attività siano svolte da soggetti giuridicamente qualificati ed evitare la conservazione degli atti compiuti da soggetti non qualificati.
Si ritiene doveroso, infine, fornire un elemento di riflessione in ordine al rilievo che potrebbe assumere la condotta dell’amministratore in riferimento alle c.d. pratiche commerciali sleali. A riguardo la dottrina rileva che le pratiche commerciali sleali determinano pur sempre un vizio del consenso ed una alterazione del processo di formazione della volontà contrattuale sicché è possibile affermare, in via interpretativa, una più ampia utilizzabilità del rimedio se non della nullità quantomeno dell'annullamento del contratto qualora la sua conclusione sia stata determinata da un approfittamento della posizione di subalternità del consumatore.
Ferma rimanendo la posizione di questa commissione in ordine alla ritenuta nullità del contratto per contrasto con una norma di ordine pubblico, si evidenzia che secondo altri nel quadro sommariamente
sopra delineato non mancano elementi che possono ricondurre la fattispecie in esame ad una ipotesi di annullabilità.
L’annullabilità è prevista nei casi disciplinati dal codice a tutela di una parte, che è l’unico soggetto legittimato a chiedere, nel rispetto del termine di cinque anni, la declaratoria di annullamento del contratto, che peraltro produce i suoi effetti fino al momento in cui viene annullato.
Il contratto annullabile è soggetto alla convalida: le parti stipulano altro contratto con il quale il soggetto legittimato rinuncia a chiedere l’annullamento.
La sanzione dell’annullabilità indica una valutazione normativa di minore gravità rispetto alla nullità demandando all’apprezzamento discrezionale del portatore dell’interesse leso l’opportunità o meno di farla valere.
Tra le cause di annullamento del contratto rientrano i vizi del consenso: l’errore, quando è essenziale e riconoscibile, ed il dolo (cause queste particolarmente adattabili al caso di cui ci occupiamo anche i riferimento alla configurabilità di una pratica commerciale sleale).
L’annullamento del contratto non pregiudica i diritti dei terzi acquirenti di buona fede a titolo oneroso con ciò differenziandosi dalla nullità che, invece, sacrifica i diritti dei terzi.
Il comma 5 dell’art. 71 disp.att.c.c., infine, ha introdotto una disciplina transitoria, consentendo a coloro che abbiano svolto l’attività di amministratore condominiale per almeno un anno, nell’arco dei tre anni precedenti alla data di entrata in vigore della legge n.220/2012 (18 giugno 2013), di svolgere l’attività di amministratore anche in mancanza dei “requisiti di professionalità” del titolo di studio e della formazione iniziale, pur restando fermo l’obbligo di formazione periodica.
Il legislatore - con il D.L. n.145 del 23.12.2013 (“Decreto Destinazione Italia”), convertito nella Legge del 21.02.2014 n. 9 - ha apportato alcuni correttivi alla nuova disciplina dell’art 71 bis disp. att. c.c.. tra cui la nuova disposizione che ha programmato l’emanazione di un apposito regolamento emanato con Decreto del Ministero della Giustizia - n. 140 del 13 agosto 2014 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 222 del 24 settembre 2014 - relativo alla formazione degli amministratori di condominio; tale indirizzo era già stato approvato dal Consiglio di Stato (cfr. parere n. 1802 del 4 giugno 2014) e dalla Corte dei Conti.
Il D.M. n.140/2014 individua sia i requisiti (di onorabilità e professionalità) necessari per svolgere l’attività formativa (dei docenti/formatori e del responsabile scientifico dei corsi) sia i criteri, i contenuti e le modalità di svolgimento dei corsi di formazione, ciò al fine di garantire che gli standard per la formazione iniziale e l’aggiornamento dell’amministratore siano omogenei per tutto il territorio nazionale. Anche tale circostanza conferma la volontà del legislatore di avere un amministratore “professionista” e fa propendere ulteriormente per ritenere l’art. 71 bis disp att c.c. come norma di ordine pubblico inderogabile.
Non essendo stata prevista alcuna norma transitoria non sembrano in alcun modo considerabili come validi i corsi frequentati prima dell’emanazione del regolamento contenente le direttive sopra esposte (ore di lezione, requisiti di formatori e responsabili scientifici, materie dei corsi, ecc.).
Appare però strano che tali corsi possano essere organizzati liberamente da qualunque associazione o ente che si limiti ad ottemperare ai requisiti formali previsti da legge e regolamento, senza che il legislatore si sia preoccupato di circoscrivere i soggetti che possano organizzarli (associazioni di categoria, enti di formazione, categorie professionali, ecc.). Appare, inoltre, strano che il legislatore si sia limitato a prevedere che il Ministero di Giustizia recepisca quanto gli enti di formazione comunicheranno tramite PEC (l’inizio del corso, le modalità di svolgimento, i nominativi dei formatori e dei responsabili scientifici), senza né verificare la veridicità e la conformità a legge e regolamento di tali comunicazioni telematiche né avere il potere di emanare qualsivoglia sanzione agli eventuali enti trasgressori (cfr. art. 5.4 del regolamento).
Allo stato, pertanto, in assenza di controlli e sanzioni, saranno i condomini a dover verificare il possesso dei requisiti di cui all’art. 71 bis disp. att. c.c. in capo al proprio amministratore con le conseguenze di cui si è detto innanzi:
- nullità della nomina in caso di mancanza ab origine dei requisiti, con conseguente nullità di tutti gli atti compiuti e contratti conclusi dal falsus procurator con possibilità di obbligo risarcitorio nei confronti dei condomini e dei terzi. Nel caso in cui, invece, si aderisse alla diversa tesi (non condivisa da questa Commissione) dell’annullabilità della nomina, la relativa delibera, seppur viziata, sarebbe sanabile trascorsi trenta giorni, il contratto con l’Amministratore diverrebbe quindi valido così come gli atti e contratti da questi effettuati;
- cessazione/decadenza dall’incarico in caso di perdita sopravvenuta dei requisiti di onorabilità;
- revoca deliberata dall’assemblea o disposta dall’autorità giudiziaria su ricorso anche di un solo condomino in caso di mancato assolvimento all’obbligo di formazione periodica, potendo tale comportamento dell’amministratore integrare una “grave irregolarità”. L’azione si ritiene radicabile ex art. 737 c.p.c., considerato che un’azione ordinaria vanificherebbe la volontà e l’interesse dei condomini interessati. Secondo altra tesi, cui questa Commissione non aderisce, ciò comporterebbe invece l’annullabilità del contratto di mandato, che può essere convalidato.
Si ritiene opportuno rammentare:
a) che la frequenza del corso iniziale di formazione e di quelli di aggiornamento di cui al D.M. n.140/14
(dal 09 Ottobre all’08 Ottobre dell’anno successivo) gioverà ai fini dell’acquisizione dei crediti formativi ANACI;
b) che, viceversa, la frequenza di iniziative formative associative non espressamente organizzate ai sensi del D.M. 140/14 non varrà ad integrare i requisiti previsti dall’art.71 bis disp. att. c.c.;
c) che la Sezione ANACI organizzatrice dei corsi deve emettere regolare fattura al Corsista con applicazione dell’IVA con aliquota di legge;
d) che l’attestato di frequenza/superamento dell’esame non deve essere sottoposto ad imposta di bollo.
IL CENTRO STUDI NAZIONALE ANACI
Si ringrazia per il contributo fornito l’Avv. Claudio Belli
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