Anche in caso di unico edificio composto di più unità immobiliari aventi parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c., quando i condomini siano in totale più di sessanta, la gestione ordinaria delle parti comuni del pur unico edificio viene affidata all’assemblea dei rappresentanti.
Ci sono delle leggi che sono come il vino cattivo, passano gli anni e peggiorano.
L’art. 67, comma 3, disp. att. c.c., introdotto
dalla Riforma del Condominio entrata in vigore nel
2013, dispone, com'è noto, che “nei casi di cui
all'articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti
sono complessivamente più di sessanta,
ciascun condominio deve designare, con la maggioranza
di cui all'articolo 1136, quinto comma,
del codice, il proprio rappresentante all'assemblea
per la gestione delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell'amministratore. In
mancanza, ciascun partecipante può chiedere che
l'autorità giudiziaria nomini il rappresentante del
proprio condominio (…)”.
Per lo meno il presupposto numerico cui è legata
l'applicabilità della disposizione in esame è chiaro:
quando i partecipanti sono complessivamente
più di sessanta, cioè quando i condomini, intesi
come proprietari esclusivi, pro indiviso, di un’unità
compresa nel complesso immobiliare, in conseguenza
di acquisto per atto tra vivi, o di divisione
o anche di successione mortis causa, divengano,
appunto, più di sessanta.
Peraltro, tutti, leggendo il comma 3 dell’art. 67
disp. att. c.c., hanno finora inteso che l'obbligo
di nomina del rappresentante sussistesse solo
quando si sia in presenza di una pluralità di edifici,
costituiti o meno in distinti condomini, ma
compresi in un più ampio contesto connotato
dall'esistenza di cose, impianti o servizi comuni
(il viale di accesso, le zone verdi, l’impianto di
illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio
di portierato, ecc.). Insomma, la previsione è
apparsa nelle sue prime interpretazioni rivolta a regolamentare quei complessi residenziali formati
da un insieme di edifici, raggruppati in blocchi,
ciascuno dei quali comprenda diversi corpi di fabbrica,
e caratterizzati da parti comuni a ognuno
dei blocchi e da parti comuni, invece, unicamente
ai singoli blocchi, e perciò appartenenti ai soli
proprietari delle unità site in ognuno di essi.
E’ però incontestabile che la lettera della norma
dice qualcosa di diverso e di più ampio: l'obbligo
della nomina del rappresentante per la gestione
delle parti comuni sussiste, non appena i partecipanti
siano più di sessanta, “nei casi di cui
all’articolo 1117-bis del codice”. E i “casi di cui
all'articolo 1117-bis del codice” non suppongono
necessariamente che vi siano più edifici, costituiti
o meno in distinti condomini, in quanto, piuttosto,
comprendono “tutti i casi in cui più unità
immobiliari o più edifici ovvero più condomini di
unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni
ai sensi dell’art. 1117”.
Il senso fatto palese dal significato proprio delle
parole (art. 12 delle preleggi) utilizzate negli art.
67, comma 3, disp. att. c.c. e 1117-bis c.c. porta
allora a ritenere che, anche in caso di unico edificio
composto di più unità immobiliari aventi parti
comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c., quando i condomini
siano in totale più di sessanta, la gestione
ordinaria delle parti comuni del pur unico edificio
viene affidata all'assemblea dei rappresentanti.
Si può obiettare che l'art. 67, comma 3, disp. att.
c.c. afferma che “ciascun condominio” deve designare
il proprio rappresentante e che le parti
da gestire devono essere “comuni a più condominii”.
Ma ciò cosa vuol dire? Non certo che ciascun
gruppo di unità immobiliari chiamato ad esprimere
un proprio rappresentante debba per forza rivelare una tipologia costruttiva tale da dar luogo
ad un edificio “indipendente” ed “autonomo”,
tale da consentirne lo scioglimento ai sensi degli
artt. 61 e 62 disp. att. c.c. Per aversi un “condominio”,
sempre in base al nuovo art. 1117-bis
c.c., basta che si hanno almeno due unità immobiliari,
di diversa proprietà esclusiva, che abbiano
parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c. Se poi le
unità immobiliari di diversa titolarità esclusiva,
ma aventi parti comuni ex art. 1117 c.c., sono
più di otto, allora è obbligatoria la nomina di un
amministratore, come vuole l’art. 1129, comma 1,
c.c. Quando le unità immobiliari appartenenti a
distinti condomini ed aventi parti comuni ex art.
1117 c.c. siano oltre dieci, è pure necessario formare
il regolamento (art. 1138, comma 1, c.c.).
In definitiva, per come sono state scritte le due
norme analizzate, può fondatamente sostenersi
che il legislatore del 2012 abbia pensato di istituzionalizzare
un’assemblea di soli rappresentanti
per la gestione ordinaria delle parti comuni di tutti
i complessi immobiliari recanti (indipendentemente
dal numero degli edifici autonomi di cui
sia composto) oltre sessanta unità immobiliari di
proprietà esclusiva che presentino almeno una o
più parti comuni fra quelle elencate nell'art. 1117
c.c., in maniera da semplificare il procedimento
di convocazione e di votazione della relativa assemblea.
Le parti del più ampio complesso che
siano, per contro, per loro struttura e destinazione,
comuni soltanto ad un numero più limitato
degli oltre sessanta condomini, saranno gestite
da costoro secondo le ordinarie regole degli artt.
1135 e 1136 c.c.
La situazione di fatto che giustifica, ed anzi impone,
l'operatività dell'art. 67, comma 3, disp.
att. c.c. è che vi siano almeno sessantuno unità
immobiliari di titolarità frazionata, le quali abbiano
alcune parti comuni a tutte (ad esempio,
anche il cortile, il portone di ingresso, l’androne)
ed altre parti (scale, terrazze, impianti) destinate
a servire unicamente una frazione di esse (art.
1123, comma 3, c.c.).
Se, per assurdo, tutte le
oltre sessanta unità immobiliari del medesimo
complesso abbiano in comune le stesse medesime
parti, e non vi siano, cioè, beni connotati da
una più limitata contitolarità spettante soltanto
ad un gruppo di condòmini, come immagina l’art.
1123, comma 3, c.c., non vi sarebbe possibilità
logica per delegarne ad un unico rappresentante
la gestione ordinaria. D’altro canto, neppure
l’art. 67, comma 3, disp. att. c.c. può funzionare
quando vi siano più di sessanta proprietà singole
in sequenza, tipo villette a schiera, dotate di
strutture portanti e di impianti in comune, perché
non avrebbe senso designare un rappresentante in
luogo del titolare esclusivo di ciascuna di esse.
di Antonio Scarpa
Consigliere della Corte di Cassazione
- LE CRITICITA’ DELLA RIFORMA DEL 2013
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