sabato 4 giugno 2016

VERANDA: le innovazioni che recano danno alle parti comuni

Sul punto, anche se con riferimento al vecchio testo dell'art. 1122 c.c. - ossia prima delle modifiche adottate dalla legge n. 220/2012 che, oggi, si riferisce espressamente alle opere, sulle proprietà individuali, che determinino pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio - i magistrati del Palazzaccio già ritenevano che, nel vietare le innovazioni che rechino danno alle parti comuni dell'edificio, si facesse riferimento non soltanto al danno materiale, inteso come modificazione esterna o dell'intrinseca natura della cosa comune, ma a tutte le opere che elidono o riducono in modo apprezzabile le utilità da essa detraibili, anche se di ordine edonistico o estetico, sicché dovevano ritenersi vietate tutte quelle modifiche che comportassero un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato, puntualizzando, al riguardo, che il decoro era correlato non solo all'estetica, ma anche all'aspetto di singoli elementi o di singole parti dell'edificio che avessero una sostanziale e formale autonomia o fossero suscettibili per sé di considerazione autonoma (v. Cass. 19 gennaio 2005, n. 1076, in Immobili & diritto, 2005, n. 7, 18: nella specie, era stato, però, escluso che l'installazione di una controporta a filo del muro di separazione fra l'appartamento del condomino ed il ballatoio avesse un'incidenza apprezzabile sull'armonia complessiva del pianerottolo, cioè sul complesso delle sue linee e delle sue forme).
Nello stesso ordine di concetti, si era affermato che l'esercizio del diritto del singolo sulle parti di sua esclusiva proprietà non poteva ledere il godimento dei diritti degli altri sulle cose comuni, come si ricavava dall'art. 1122 c.c., il quale stabiliva che ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non poteva eseguire opere che arrechino danno ad una parte comune dell'edificio, essendo tenuto al rispetto anche della qualità della stessa (v. Casd. 27 aprile 1989, n. 1947, in Arch. loc. e cond. 1989, 463): infatti, il concetto di "danno", cui la norma faceva riferimento, non doveva essere limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o dell'intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidevano o riducevano apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico o estetico (nella specie, trattavasi del sopralzo dei parapetti del terrazzo di copertura dell'edificio che - secondo il giudice di merito - aveva compromesso sul piano estetico il rispetto dell'aspetto architettonico del fabbricato).
Per completezza, va registrato, tuttavia, anche un indirizzo giurisprudenziale più permissivo (v., tra le altre, Cass. 17 ottobre 2007, n. 21835, in Immob. & diritto, 2008, n. 9, 25), nel senso che la lesività estetica dell'opera abusivamente compiuta da uno dei condomini non può assumere rilievo in presenza di una "già grave evidente compromissione del decoro architettonico dovuto a precedenti interventi sull'immobile" (nella specie, si era confermata la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di rimozione di un ballatoio realizzato da un condomino sul preesistente terrazzo, in considerazione del fatto che non tutte le modifiche compiute avevano danneggiato il decoro dell'edificio, peraltro già compromesso da precedenti interventi, alcuni dei quali opera dello stesso condomino attore).
Nella medesima corrente di pensiero, si collocano altre pronunce - v. Cass. 27 ottobre 2003, n. 16098, in Riv. giur. edil., 2004, I, 1293, e Cass. 15 aprile 2002, n. 5417, in Giur. it. 2003, 649 - ad avviso delle quali il giudice, nel decidere dell'incidenza di un'innovazione sul decoro architettonico, deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente ed in quale misura un'unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all'innovazione dedotta in giudizio, nonché se su di essa avessero o meno inciso, menomandola, precedenti diverse modifiche operate da altri condomini (cui adde Cass. 29 luglio 1989, n. 3549, in Riv. giur. edil., 1989, I, 850).

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