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martedì 31 gennaio 2017

LA REVOCA GIUDIZIALE DELL'AMMINISTRATORE

La regola del <<DEVE>> e <<PUO'>>.
Tutta la problematica della perdita dell'incarico in via giudiziaria è fondata su queste due paroline: "deve" e "può".
Il Tribunale in alcuni casi deve e in altri può togliere l'incarico all'amministratore a suo tempo scelto dall'assemblea.
  • L'INCOLPEVOLE
Il primo comma dell'art 1129 c.c. è l'articolo più sottovalutato dagli amministratori. E fanno male. Molto male.
L'art. 1129 c.c. è inderogabile per espressa previsione di legge (art. 1138 c.c.). Quindi nessuna delibera o norma contrattuale lo può intaccare. Quindi quanto prescritto da tale articolo è legge ferrea. 
La previsione legisiativa (rimasta nella sostanza invariata anche dopo la ben nota novella riformatrice) è una tagliola affilatissima, nella sua apparente semplicità.
II primo comma è molto chiaro nel disporre che l'amministratore venga nominato dall'assemblea dei condomini.
Se i condomini non lo fanno, per un motivo qualsiasi, interviene il Tribunale su richiesta anche di un solo condomino (ora anche dell'amministratore che se ne voglia andare).
Pertanto é sufficiente che, in un condominio di più di otto condomini, due o tre assemblee non riescano a deliberare sulla nomina/conferma dell'amminlstratore affinché il Tribunale debba nominare l'amministratore, sostituendosi ai condomini inerti.
Dobbiamo fare attenzione, per i giudici nomina e conferma nella sostanza sono sinonimi. La lunga e difficile lotta per far passare la dovuta distinzione tra le due parole, cioè tra due situazioni in realtà ben diverse, è ancora ben lungi dall'essere vinta.
Se e quando sarà riconosciuta questa evidente differenza alzerò un bicchiere di vino e farò un brindisi alla memoria del buon Troiani che per primo me ne parlò con fondata passione oramai più di 15 anni fa.
Per ora dobbiamo aver ben presente che i giudici di ogni grado, salvo rare eccezioni, sono arroccati sulla perfetta coincidenza nel significato delle due parole.
Non ha alcuna rilevanza il motivo per cui i condomini riuniti in assemblea non provvedano alla nomina: non ha rilevanza il perchè non si raggiunga il quorum costitutivo o quello deliberativo oppure perchè i voti si disperdano tra più candidati.
Il risultato finale, amaro, non cambia: l'assembla non nomina/conferma, allora lo fa il Tribunale, su richiesta anche di un solo condomlno.
L'amministratore in carica, anche da molti anni, seppure bravissimo e seppure amato dai condomini, si vede sostituito dal Tribunale per l'inerzia o la litigiosità dei condomini.
Vista la norma, il suggerimento, che non posso assolutamente dare, è che sia meglio avere una delibera invalida, la quale confermi nella carica l'amministratore.
Sappiamo bene tutti che una delibera invalida per difetti nel quorum o nell'iter formativo è sanata allorché siano trascorsi 30 giorni senza che uno o più condomini l'abbia impugnata.
E comunque rimane valida ed efficace fino a quando il Tribunale con la sentenza non ne pronunci l'annullarnento, il che avviene dopo circa 2/3 anni dalla proposizione del giudizio, se tutto fila liscio in Tribunale.
Pertanto non posso suggerirvi di scegliere una delibera palesemente errata rispetto ad una corretta verbalizzazione che attesti la mancata deliberazione da parte dell'assemblea.
Però non posso fare a memo di notare il fatto paradossale che, in caso di azione giudiziaria da parte di un condomino, la corretta verbalizzazione di non avere deliberato porterebbe in poco tempo alla sostituzione certa dell'amministratore, quella invalida all'eventuale annullamento della delibera dopo 2/3 anni.
Altra soluzione, gradita a molti e giuridicamente sostenibile, è quella di non mettere all'ordine del giorno la nomina/conferma fino a quando i condomini non lo chiedano o fino a quando l'amministratore non si sia stancato e voglia dimettersi.
In questo caso non si avrebbe la mancata delibera sulla nomina/conferma e quindi mancherebbe il presupposto per l'intervento del giudice ex art. 1129 c.c., 1° comma.

***
  • IL COLPEVOLE
Ho riflettuto a lungo se utilizzare una parola così dura, e alla fine ha prevalso il dovere morale di essere per quanto possibile chiaro, senza nascondere nulla.
La revoca dell'amministratore condominiale per gravi irregolarità significa, banalmente, che egli si è reso colpevole di gravi mancanze professionali.
Pertanto è inutile la ricerca di parole che addolciscano, mascherandola, la realtà.
L'art. 1129 c.c., 11° e 12° comma, fa un lungo, articolato e anche un po' confuso elenco delle mancanze professionali che possono assurgere a responsabilità gravi, tali da legittimare la revoca dell'amministratore.
Ma l'essenza dell'intera disposizione è nel verbo "può".
L'11° comma dell'art.1129 c.c. recita testualmente: "Può altresì essere disposta dall'autorità giudiziaria...".
Oggi abbiamo la possibilità di comprendere meglio la rilevanza di tale apertura lasciata alla discrezionalità del giudice perchè il Tribunale di Roma ha avuto modo già in diverse occasioni di pronunciarsi al riguardo.
Alla luce delle motivazioni poste alla base delle ordinanze emesse dal Tribunale di Roma emerge in modo netto che le "gravi irregolarità" di cui all'art. 1129 c.c. siano un presupposto necessario, ma non suffciente per disporsi la revoca di un amministratore.
Occorre altro, occorre una valutazione di opportunità e di "rilevanza", lasciate alla prudente, soggettiva valutazione del magistrato.
E' senza alcun dubbio un aspetto positivo la non automaticità della revoca in relazione a fatti definiti e qualificati come "gravi irregolarità" dal codice civile.
Nettamente positivo, quel "può" benedetto permette al Tribunale di respingere la richiesta di revoca per fatti risibili, ad esempio perchè lamministratore abbia dimenticato, con la dichiarazione da rendere insieme all'accettnzione, di indicare il numero civico del suo studio o perché non abbia eseguito immediatamente la delibera che disponga il cambio delle lampadine dell'androne.
Ma debbo anche rilevare che la cliscrezionalità è un'arma pericolosa, va adoperata con saggezza: infatti potrebbe portare a soluzioni non sempre conformi alla "ratio" della normativa rivoluzionata dalla ben nota riforma: l'eliminazione degli amministratori non professionisti, non qualificati.
Se un magistrato adopera la sua discrezionalità per sostenere che l'apposizione della classica targhetta nell'androne del palazzo equivalga alla dichiarazione di accettazione prevista dal 2° e 14° comma dell'art. 1129 c.c., allora la discrezionalità diventa arbitrio, una specie di "tana libera tutti". Allora precipitiamo tutti nel caos, senza una bussola che ci dica cosa sia legittimo e cosa no.
Infine un'avvertenza importante: il mio lavoro si fonda su alcuni, recentissimi provvedimenti del Tribunale di Roma, che mostrano con sufficiente chiarezza alcune linee guida, ma è ancora troppo presto per avere delle certezze.

1) La valutazione discrezionale della rilevanza delle conseguenze dannose
Scrive il Tribunale di Roma con ordinanza del 23 marzo 2016 che "l'art. 1129 comma 12, c.c., nell'enucleare alcune condotte che giustificano la revoca dell'amministratore, comunque sempre soggette, quanto alla loro concreta rilevanza, al prudente apprezzamento del giudice, indica infatti l'omessa presentazione del rendiconto, non anche il mero ritardo nella convocazione della relativa assemblea spogliando in tal modo tale ultima condotta di una propria intrinseca gravità... Non risultano infatti allegati particolari e specifici pregiudizi conseguenti al ritardo lamentato".
In modo conforme, con il decreto n. 5560/16, RGN. 9113/16 il Tribunale Civile di Roma il 14 luglio 2016 ha respinto la richiesta di revoca di un amministratore, motivando, tra l'altro, "occorre che la violazione abbia determinato conseguenze pregiudizievoli per gli interessi di coloro che avanzano la domanda di revoca".
Tale principio è stato confermato ancora una volta dal Tribunale Civile di Roma con l'ordinanza del 5 ottobre 2016 con la quale ha respinto la domanda di revoca dell'amministratore perché "l'amministratore è certamente responsabile per l'omesso ritiro dell'atto di citazione notificato ex art. 140 c.p.c. E tuttavia la vicenda non integra gli estremi della grave negligenza suscettibile, per il danno arrecato, di determinare la revoca giudiziale in quanto:...".
Nel proseguio della motivazione il Tribunale illustra in modo diffuso e convincente il perchè, nello specifico caso, il non avere ritirato l'atto di citazione da parte dell'amministratore non avesse arrecato un danno significativo ai condomini.
Ma ciò che rileva per noi, oggi, è il principio affermato dal Tribunale, cioè che per disporre la revoca non basta la sussistenza di una grave irregolarità, seppur qualificata come tale dal codice, necessita ben di più, si deve dimostrare che da questa discenda un danno rilevante per i condomini.
In altre parole il discorso che fa il Tribunale di Roma è questo: va ben, abbiamo accertato che l'amministratore ha commesso una o più irregolarità gravi. Ma questi fatti, queste irregolarità in concreto che danni hanno arrecato ai condomini?
Addirittura con il citato provvedimento del 14 luglio 2016 il Tribunale precisa che il danno, conseguenza della grave irregolarità, oltre a dover essere rilevante, deve essere arrecato proprio ai condomini che propongono l'istanza di revoca.
Pertanto la tesi sostenuta dal Tribunale romano fa pendere in modo decisivo la bilancia della giustizia a favore dell'amministratore di cui si chieda la revoca in Tribunale nel caso in cui sussista la grave irregolarità, ma questa non sia fonte di danni rilevanti per i condomini che chiedono la revoca.
Una garanzia non da poco per gli amministratori.

2) Il rapporto di fiducia amministratore/condomini
Sempre il Tribunale di Roma, con l'ordinanza del 25 maggio 2016, spiega che "le gravi irregolarità di cui all'art.1129 c.c. ricorrono in presenza di elementi gravemente significativi del venir meno del necessario rapporto di fiducia fra amministratore e condomini, e tale situazione è esclusa nel caso di doglianze attinenti ad una gestione che si è svolta - come nel caso di specie - anche in attuazione di deliberazioni assembleari mai annullate o sospese in sede contenziose, né, comunque, impugnate dalle odierne ricorrenti."
Da questa pronuncia ricaviamo un dato importante e un suggerimento operativo. Nella decisione del Tribunale sulla revoca il perdurare del rapporto fiduciario può avere nella decisione finale un peso più rilevante di quello negativo delle gravi irregolarità commesse.
Chiariamo meglio il concetto.
Se un amministratore riceve un'istanza di revoca giudiziale per gravi mancanze professionali promossa da una sparuta minoranza di condomini, ma è consapevole di avere ancora la fiducia di una larga maggioranza, allora egli può tentare di costituirsi una forte arma di difesa nel processo, convocando l'assemblea per una data antecedente alla prima udienza in Tribunale.
In tale assemblea l'amministratore deve giocare a carte scoperte con i condomini: cioè deve porre all'ordine del giorno la propria conferma quale amministratore, allegando la copia dell'istanza giudiziale di revoca, così da poter illustrare ai condomini la propria posizione rispetto alla richiesta di revoca.
Nel caso in cui l'assemblea approvi la sua conferma nonostante abbia saputo della domanda giudiziale di revoca, allora si potrà portare tale delibera come argomento di difesa nella discussione in Tribunale, sostenendo con prova certa che la irregolarità, seppure grave, non ha fatto venir meno la fiducia dei condomini. Evidenzio che ottenere una delibera come quella da me suggerita è utile, ma non da la certezza che l'istanza di revoca sarà poi respinta.
Siamo sempre nel campo delle probabilità.

3) Il tribunale che revoca non nomina (e io non sono daccordo)
Il Tribunale di Roma ha affermato di recente, in modo deciso, che non sia legittimo formulare contestualmente sia la domanda di revoca giudiziale sia, in caso di pronuncia della revoca, di nomina dell'amministratore giudiziale, ribaltando così una prassi che per anni non aveva sollevato perplessità.
Sostiene infatti il Tribunale di Roma che non "può essere nominato un amministratore giudiziario in assenza di prova di plurimi tentativi, non andati a buon fine, da parte dell'assemblea di nominare l'amministratore...".
Chiaro riferimento al primo comma dell'art. 1129 c.c.
Affermazione quindi corretta, ma semplicistica, perché a mio avviso applicabile nel caso di gestione normale del condominio.
Come scritto più sopra, il primo comma dell'art. 1129 c.c. trova applicazione allorché l'amministratore in carica - oppure un qualsiasi condomino se non esista un amministratore - convochi più di un'assemblea con all'ordine del giorno la nomina o la conferma dell'amministratore e non si raggiunga una decisione. Ma nel caso di revoca giudiziale siamo in una fattispecie giuridica totalmente differente.
Infatti nel caso di revoca giudiziale i condomini hanno nominato o confermato l'amministratore: non abbiamo cioè l'inerzia dei condomini o una situazione di stallo determinato dalla contrapposizione di candidature, nessuna delle quali raggiunga il quorum necessario per la validità della delibera di nomina. Nel caso di revoca giudiziale l'amministratore c'è perché la maggioranza dei condomini lo ha nominato o confermato.
E' una minoranza o addirittura un solo condomino che ne chiede la revoca, perché lo considera autore di gravi irregolarità.
Allora perché in caso di revoca giudiziale non applicare per analogia la previsione del 10° comma dell'art. 1129 c.c. in forza del quale l'assemblea che revoca deve anche contestualmente nominare il nuovo amministratore?
E' (sarebbe) semplice e logico: il magistrato che revoca l'amministratore contestualmente nomina il nuovo.
La soluzione opposta, sostenuta dal Tribunale di Roma, conduce ad una strada tortuosa, costosa, soprattutto di fatto impraticabile e quindi è in realtà la negazione della giustizia.
Ecco cosa accadrebbe secondo la tesi del Tribunale.
Il condomino Tizio chiede (con un ricorso a sue cure e spese) e ottiene la revoca giudiziale dell'ammlnistratore, ma non la nomina del nuovo.
Perché il Tribunale che emette il provvedimento di revoca non provvede alla nomina. Il Tribunale vuole "plurime assemblee" a vuoto.
Quindi, il condomino Tizio, ottenuto soddisfazione con il provvedimento di revoca, dovrebbe sperare che l'amministratore revocato convochi l'assemblea per la nomina del nuovo amministratore (sempre che un amministratore revocato sia legittimato a convocare l'assemblea).
Se l'amministratore revocato è corretto (e sempre che ne sia legittimato, cosa di cui dubito un po') e convoca l'assemblea e i condomini provvedono alla nuova nomina, tutto è risolto.
Ma l'esperienza ci insegna che spesso e volentieri non e così.
Quindi sarà ancora il condomino Tizio che dovrà (sempre a sue cure e spese, secondo il Tribunale di Roma) convocare "plurime assemblee" per la nomina del nuovo amministratore in sostituzione di quello revocato (il quale nel frattempo gestisce il condominio in regime di prorogatio?).
E il condomino Tizio convoca con quali soldi? Si pensi al costo delle convocazioni nei condominii con cento, duecento, trecento condomini.
E il condomino Tizio lo potrà fare se avrà avuto dall'amministratore revocato, di certo non bendisposto con lui, l'anagrafica dei condomini. Chi può credere che tutto ciò sia concretamente possibile?
E non basta un'assemblea a vuoto, ce ne vogliono "plurime".
Qualsiasi condomino che non sia ricco e abbia ben altro da fare ha già lasciato perdere. Perchè dopo le "plurime" assemblee infruttuose il povero condomino Tizio dovrebbe presentare in Tribunale (sempre a sue cure e spese) il secondo ricorso, questo per ottenere la nomina dell'amministratore.
Un percorso insostenibile. Una follia. Un sistema che di fatto nega giustizia alla minoranza e vanifica l'utilità di rivolgersi all'Autorità Giudiziaria.
E' molto più semplice, logico e conforme alle finalità della norma in esame che il magistrato che revochi l'amministratore per gravi irregolarità nomini contestualmente il nuovo amministratore.
Come peraltro il Tribunale di Roma ha fatto per anni senza difficoltà.

***
  • LA NULLITA' DELLA NOMINA
Nullità vuol dire inesistenza sin dall'origine. La nomina "nulla" significa che la nomina non c'e mai stata, l'amministratore non è stato mai l'amministratore. In caso di nullità di un atto i Latini dicevano che l'atto è inesistente "ex tunc", cioè sin da allora, dal primo momento.
I casi più eclatanti di nullità della nomina sono due:
- La nomina decisa al di fuori dell'assemblea di condominio e, in subordine, non dal Tribunale. Tipico, frequente, assurdo esempio che tutti conosciamo: la nomina da parte della società costruttrice, che si è riservata tale potere esplicitandolo in una norma contrattuale del regolamento. L'art. 1129 c.c. è inderogabile, quindi nessuna riserva al riguardo è legittima, neppure se formalizzata in un regolamento avente natura contrattuale.
- L'avere omesso, all'atto di accettazione della nomina, di indicare in modo analitico il compenso.
In questi casi, di fronte alla richiesta anche di un solo condomino, anche dopo che siano passati anni senza problemi, il Tribunale ha le mani legate: deve pronunciare la nullità della nomina.
La nullltà della nomina può portare a conseguenze devastanti per il falsus amministratore.
Infatti egli, sul presupposto di essere l'amministratore, agisce in buona fede come tale, ma non lo è.
Quindi in realtà nulla può fare in nome e per conto del condominio. Rlschia di pagare di tasca propria ciò che egli riteneva fosse di competenza dei condomini.
Come ha detto Han Solo mentre era alla guida del Millenium Falcon "state in campana".


di Ferdinando della Corte
responsabile ufficio legale ANACI
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lunedì 2 maggio 2016

QUESITO: LA GRAVE IRREGOLARITA’ FISCALE, ANCHE SE SANATA, PUO’ DARE ORIGINE ALLA REVOCA GIUDIZIALE?

L’amministratore di condominio, così come previsto dal novellato articolo 1130 del c.c., è l’organo di gestione e rappresentanza del condominio. Il suo incarico è riconducibile a quello del mandato con rappresentanza, in virtù dell’espressa previsione contenuta al comma n. 15 dell’art. 1129 del c.c., il quale prevede che, per tutto quanto non disciplinato dal presente articolo, si applicano le disposizioni sul mandato (artt. 1703-1741 c.c.).

Definiti, in tal modo, i caratteri della figura dell’amministratore di condominio, occorre, poi, evidenziare come la legge di riforma del condominio n. 220/2012 ha disciplinato, in maniera più puntuale, recependo gli indirizzi giurisprudenziali dominanti in materia, i casi di revoca dell’amministratore, individuando le ipotesi di gravi irregolarità che possono portare alla revoca dello stesso. Nell’esaminare i casi di revoca dell’amministratore di condominio, è possibile individuare due ipotesi ben distinte e separate. La prima è quella che possimo definire non contenziosa, cioè la revoca dell’amministratore da parte dell’assemblea, che può avvenire in qualsiasi momento, con la stessa maggioranza prevista per la sua nomina. Quelle successive individuate sempre dall’art. 1129 c.c. integrano ipotesi giudiziali, prevedendo il ricorso all’autorità giudiziaria. E’ consentito, infatti, il ricorso al Tribunale da parte di ciascun condomino nel caso previsto dal 4° comma dell’art. 1131 del c.c. (quando l’amministratore non comunica tempestivamente all’assemblea il contenuto di una citazione o di altro provvedimento giudiziale che esorbita dalle proprie attribuzioni), se non rende il conto della propria gestione o in caso di gravi irregolarità. Prevede, inoltre, la legge che l’amministratore può essere revocato dall’autorità giudiziaria quando siano emerse gravi irregolarità fiscali e nell’ipotesi di cui al n. 3 del comma 12 dell’art. 1129 del c.c. (cioè quando non provvede all’apertura ed all’utilizzazione del conto corrente intestato al condominio). In tal caso, i condomini, anche singolarmente, possono chiedere la convocazione dell’assemblea, al fine di revocare il mandato all’amministratore ed, in caso di mancata revoca da parte dell’assemblea, ciascun condominio potrà, poi, rivolgersi all’autorità giudiziaria (una sorta di condizione di procedibilità). L’art. 1129, poi, al comma n. 12 dai nn. da 1 ad 8 prevede una casistica che integra tutte ipotesi di gravi irregolarità. Trattasi, comunque, di una elencazione non tassativa ma esemplificativa, essendo ulteriori fattispecie state individuate, nel tempo, dalla giurisprudenza. Esse fanno riferimento a:
  1. l'omessa convocazione dell'assemblea per l'approvazione del rendiconto condominiale, il ripetuto rifiuto di convocare l'assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge;
  2. la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni dell'assemblea;
  3. la mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale;
  4. la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini;
  5. l'aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio;
  6. qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l'aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva;
  7. l'inottemperanza agli obblighi di cui all'articolo 1130, numeri 6 (registro anagrafe condominiale), 7 (registro verbali assemblea; registro nomina e revoca amministratore; registro contabilità) e 9 (attestazione stato pagamenti e liti in corso);
  8. l'omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al secondo comma del presente articolo (dati anagrafici e professionali, codice fiscale - se si tratta di società anche la sede legale e la denominazione - il locale dove si trovano i registri, i giorni e le ore di presa visione e rilascio della documentazione). 
Trattasi, dunque, di una norma a fattispecie aperta, il cui elenco non esaurisce tutti i possibili casi di gravi irregolarità, potendo gli stessi essere integrati da altri comportamenti tenuti dall’amministratore che rientrino nel generale concetto di mala gestio, derivato dalle norme generali in materia di mandato con rappresentanza, che in virtù dell’espresso rinvio di cui al comma n. 15 dell’art. 1129 c.c. sono espressamente applicabili alla figura dell’amministratore di condominio. Egli, quale mandatario dei condomini, da un lato, è tenuto ad eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia e gli amministrati, dall’altro, sono tenuti a fornirgli i mezzi necessari per la corretta esecuzione del mandato. Al fine di potere correttamente e compiutamente rispondere al quesito sottoposto alla nostra attenzione, è utile citare la casistica risultante dall’esame dei provvedimenti di merito dell’autorità giudiziaria di primo grado. Infatti, data la recente introduzione del concetto di gravi irregolarità fiscali e l’assenza di giurisprudenza di Cassazione sul punto, non è rinvenibile una risposta univoca. In linea generale, è possibile definire le cd. gravi irregolarità fiscali, anche al fine di una loro distinzione rispetto al genus più ampio delle gravi irregolarità, in generale, una qualsiasi violazione delle norme in materia di versamento di imposte, nonché dei correlati obblighi di certificazione e dichiarazione. Il concetto di gravità viene ricondotto dalla giurisprudenza di merito ad un comportamento di tale importanza da far venir meno il rapporto fiduciario tra amministratore e condomini e da incidere, in maniera decisiva, anche sotto il profilo del danno potenzialmente arrecabile: “Le gravi irregolarità presuppongono l’individuazione di comportamenti indicativi del venir meno del necessario rapporto di intuitu personae (ossia di piena fiducia) tra amministratore e condomini ….la grave irregolarità, che può legittimare la revoca giudiziaria dell’amministratore nominato, è integrata solo quando siano presenti seri elementi probatori che facciano prevedere, come del tutto verosimile, un pregiudizio imminente e irreparabile per l’ente” (Tribunale di Santa Maria Capua Vetere 26/05/2015).

Tra le ipotesi tipizzate di mala gestio e di gravi irregolarità fiscali rientrano, senza dubbio, il mancato versamento degli oneri previdenziali ed assistenziali, il mancato versamento delle contribuzioni Inail (cfr. in tal senso Tribunale di Palermo 21/01/2015). Altresì, integra fattispecie della grave irregolarità fiscale la mancata redazione e presentazione del modello 770, anche se la stessa non è stata, espressamente, prevista tra le ipotesi di mala gestio di cui al comma n. 12 dell’art. 1129 del c.c.

Dal punto civilistico, in caso di comportamenti che integrino gli estremi della grave irregolarità, anche fiscale, è possibile che l’amministratore dello stabile venga chiamato a rispondere dei danni arrecati alla compagine condominiale. Ecco perché, si è detto che il ripetuto rifiuto di mettere a disposizione dei condomini la documentazione contabile, in sede di approvazione del consuntivo comporta la violazione dell’obbligo di diligenza di cui all’art. 1710 c.c., con la conseguente possibilità di chiedere al Tribunale l’accertamento dell’invalidità della relativa delibera di approvazione, e la condanna dell’amministratore al risarcimento del danno (Tribunale di Monza 06/11/2007). Assimilabile a tale fattispecie è quella della mancata restituzione della documentazione condominiale, alla scadenza del mandato. In tal caso, l’amministratore è stato condannato, anche, al risarcimento del danno, consistente nella rifusione delle spese legali sostenute dai condomini nei procedimenti giudiziali avanzati nei confronti del condominio, da parte di fornitori che lamentavano ritardi nei pagamenti, da imputarsi alla mancanza della necessaria documentazione, rimasta nella disponibilità dello stesso amministratore che rifiutava, ripetutamente, di consegnarla (Tribunale Genova 03/07/2007). Per cercare di rispondere, in via definitiva, al quesito se la grave irregolarità fiscale, anche se sanata, possa determinare, comunque, la revoca dell’amministratore dello stabile, occorre effettuare alcune considerazioni. Come già accennato, la norma di cui all’art. 1129 c.c., nella parte di cui al comma n. 12 è una norma a fattispecie aperta, nel senso che possono esistere altri comportamenti che integrino gli estremi delle gravi irregolarità, anche fiscali, e che possono determinare la revoca dell’amministratore.

Pertanto, occorre capire, in primis, se in presenza di una di tali ipotesi la revoca giudiziaria scatti o meno automaticamente. Tale sanzione di regola viene applicata dai tribunali solo se, in concreto, viene ravvisato un comportamento contrario ai doveri di legge. In sostanza, anche dopo la formulazione della norma, a seguito della riforma del condominio, è rimasto un discreto potere discrezionale al collegio giudicante, anche nelle prime tre ipotesi di revoca tipizzate dall’art. 1129 c.c. al comma n. 11 (il caso previsto dal 4° comma dell’art. 1131 c.c., la mancata presentazione del rendiconto condo-miniale e le gravi irregolarità). In sostanza, il giudice andrà a verificare, caso per caso, in relazione alle circostanze in cui l’amministratore si trova ad operare, se vi sia un comportamento contrario agli obblighi imposti dalla legge, con esclusione di qualsiasi automatismo nell’applicazione della sanzione della revoca. Tale soluzione è confermata anche dalla lettera della norma, allorquando al comma n. 11 dell’art. 1129 c.c., si legge: “Può (la revoca) essere, altresì, disposta dall’autorità giu-diziaria….” A dimostrazione di quanto sostenuto, è possibile citare altra casistica dei tribunali di merito. Lo stesso caso (ricorso per revoca dell’amministratore per la mancata presentazione all’assemblea del rendiconto condominiale, entro gg. 180 dalla scadenza dell’annualità) sottoposto all’attenzione di tre diversi tribunali viene risolto in maniera diversa. Il Tribunale di Mantova (22/10/2015) non ritiene tale comportamento motivo sufficiente per la revoca dell’amministratore “per giusta causa”: Ove ricorra una delle ipotesi astrattamente considerate dall’art. 1129 c.c. quali gravi irregolarità, l’autorità giudiziaria, può disporre la revoca dell’amministratore solo se venga ravvisato in concreto un comportamento contrario ai doveri imposti per legge, con esclusione di ogni automatismo (nel caso di specie la ritardata predisposizione del rendiconto annuale e della convocazione dell’assemblea da parte dell’amministratore è stata ritenuta giustificata in considerazione della mancata disponibilità della documentazione contabile necessaria per predisporre il bilancio). Al contrario, il Tribunale di Taranto (21/09/2015) e quello di Udine (25/03/2014) hanno emesso, entrambi, un provvedimento di revoca dell’amministratore che si è reso colpevole di tale comportamento di mala gestio. Circa, infine, l’atteggiamento assunto dai giudicanti nel caso in cui l’amministratore, che si sia reso responsabile di un comportamento integrante gli estremi di una grave irregolarità, anche fiscale, abbia, poi, sanato l’errore sono citabili le pronunce del Tribunale di Trento (05/06/2014) ed ancora quella del Tribunale di Taranto (21/09/2015). Il Tribunale di Trento ha ritenuto di dover disporre l’immediata revoca dell’amministratore, nonostante questi abbia rimediato all’errore commesso, poiché, a detta del collegio, aveva integrato: “un’inescusabile superficialità.” Pertanto, anche il successivo ravvedimento non è bastato ad evitare la sanzione della revoca giudiziale. Il caso di specie trae origine da un’attività, posta in essere dall’amministratore, di per se incompatibile con la tutela delle parti comuni. Egli, sebbene, avesse, poi, provveduto alla chiusura del foro, senza autorizzazione alcuna, aveva praticato un’apertura sul muro, al di sopra della porta tagliafuoco dell’accesso al garage, con ciò di fatto vanificando l’efficacia dei rimedi antincendio. Il Tribunale di Taranto ha disposto la revoca dell’amministratore, ritenendo che l’omesso rendiconto, per più anni, integri gli estremi della grave irregolarità, anche ove, poi, lo stesso ne predisponga uno complessivo e che, ai fini di evitare l’applicazione della sanzione, non valga neppure la successiva approvazione dell’assemblea.

In conclusione, al quesito sottoposto alla nostra attenzione sembra possibile dare una risposta univoca. Sebbene la valutazione in merito all’applicazione della sanzione della revoca sia rimessa al potere discrezionale del collegio giudicante, anche se pare sia esclusa un’applicazione automatica della stessa, deve ritenersi che, nel caso in cui il comportamento dell’amministratore integri gli estremi della grave irregolarità, anche fiscale, (atto di mala mala gestio che abbia leso irrimediabilmente il rapporto fiduciario con i condomini e che faccia prevedere come verosimile un pregiudizio imminente ed irreparabile per il condominio), si debba far luogo, sussistendone i presupposti, irrimediabilmente alla revoca giudiziale, anche se poi l’amministratore abbia posto rimedio alla cd. attività “gravemente irregolare”.
Continua a leggere...

lunedì 21 dicembre 2015

Presentazione del rendiconto oltre i 180 giorni, cosa succede?


Prima di analizzare l’argomento e rispondere alla domanda bisogna far riferimento agli articoli 1129 e 1130 del c.c..

Proprio per questi due articoli, mutati con la riforma del condominio, l’amministratore ha l’obbligo ed il dovere di presentare il rendiconto della gestione all’organo assembleare entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio (1130) e, proprio per questo, se lo stesso non provvede a convocare nei termini l’assemblea per portare all'approvazione gli argomenti posti all'ordine del giorno (nello specifico il rendiconto), commette una gravissima irregolarità che può dar adito alla revoca giudiziale (1129).

Diversi lettori ci hanno scritto per domandare chi e come deve procedere per revocare l’amministratore.

Questo aspetto viene trattato nell’art. 1129 del c.c. ossia che la revoca può essere chiesta anche da un solo condomino.

Altra cosa molto importante e non di poco conto è che lo stesso art. 1129 c.c. al comma 13 specifica che l’amministratore revocato per tale atto non potrà mai più essere nominato nel condominio in questione.

Diversi Tribunali si sono pronunciati su questo argomento asserendo che la revoca è automatica nel momento in cui venga disatteso il termine previsto per la presentazione del rendiconto all'assemblea (cfr. Tribunale di Udine decreto 25/4/2014 e Tribunale di Taranto 21/9/2015).


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mercoledì 5 giugno 2013

Per la revoca giudiziale dell’amministratore è necessaria la mediazione?



In occasione di un procedimento per revoca dell’amministratore di un condominio il Tribunale di Padova dichiarava che la “controversia” rientrava tra quelle soggette ad obbligo di mediazione ex art. 71 bis disp. att. c. c. e art. 5, comma 1 bis, legge 28/2010 (rectius: d. lgs. 28/2010) ed assegnava un termine per l’inizio della relativa procedura.
Successivamente il ricorrente presentava istanza di revoca di tale ordinanza, ribadendo le ragioni per le quali riteneva che nella specie non poteva trovare applicazione la mediazione obbligatoria.
Il Tribunale di Padova, con ordinanza in data 15 dicembre 2014, rigettava l’istanza con la seguente testuale motivazione:
“… il Tribunale evidenza che l’art. 71 quater disp. att. c.c. prevede ex professo che le controversie in materia di condominio siano soggette a mediazione, riferendosi esplicitamente agli att. da 61 a 72 delle disposizioni di attuazione. In particolare l’art. 64 disp. att. c.c. prevede che sulla revoca dell’amministratore il Tribunale provveda in Camera di consiglio con decreto motivato. La circostanza che l’art. 5 comma quarto alla lettera f) preveda che non possano essere soggetti a mediazione i procedimenti che si svolgono in camera di consiglio non costituisce un dato ostativo alla applicabilità a questa tipologia di procedimenti del procedimento di mediazione. Ed invero, la norma di cui all’art. 71 quater disp. att. c.c. deve essere considerata norma speciale ed in quanto tale prevalente rispetto alla norma generale di cui all’art. 5 comma 4 lettera f) che esclude la esperibilità della mediazione in presenza di procedimenti in camera di consiglio.” 
Si tratta di una conclusione non condivisibile per un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo l’art. 71 quater disp. att. c.c. deve considerarsi come norma mai entrata in vigore, in quanto presupponeva la vigenza dell’art. 5, comma 1, d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, che era stato dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza 6 dicembre 2012 n. 272.
Ne consegue che, per giustificare, in linea puramente teorica, le conclusioni del Tribunale di Padova avrebbe dovuto essere reintrodotto espressamente dal d.l. 21 giugno 2013 n. 69, convertito con legge 9 agosto 2013 n. 98, che ha nuovamente disciplinato la materia della mediazione. Ma anche volendo ritenere il contrario, rimane il fatto che il procedimento di volontaria giurisdizione previsto dall’art. 64 disp. att. c.c. non rientra tra le controversie in materia di condominio, le quali, in base all’art. 5 comma 1 bis, d.l. 1 giugno 2013 n. 69, sono quelle che presuppongono l’esercizio di una “azione”, cioè l’instaurazione di un giudizio di natura contenziosa. Il Tribunale di Padova riconosce che il procedimento per la revoca dell’amministratore rientra nella volontaria giurisdizione, ma ritiene che l’art. 71 quater disp. att. c.c., stabilendo espressamente che per controversie in materia di condominio
si intendono quelle derivanti dalla violazione o dalla errata applicazione (anche) delle disposizioni degli articoli da 61 a 72 avrebbe fatto rientrare nella mediazione obbligatoria anche il procedimento in questione, previsto dall’art. 64 disp. att. c.c., in deroga al principio generale di cui all’art. 5, comma 4, lett. f), del d. lgs. n. 28 del 2010. Se ciò fosse esatto e cioè se ogni volta in cui le disposizioni in materia di condominio prevedono il ricorso al giudice, si dovrebbe esperire la procedura di mediazione, si arriverebbe all’assurdo che tale procedura sarebbe necessaria per la nomina dell’amministratore, in caso di inerzia dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1129, comma 1, c.c., e per la nomina del curatore speciale ai sensi dell’art. 65 disp. att. c.c.,senza sapere in entrambe le ipotesi chi dovrebbe essere la controparte. Per comprendere la ratio dell’art. 71 quater disp.att. c.c. occorre partire dalla considerazione che nella interpretazione dell’art. 23, comma 1, c.p.c., nel suo testo originario, il quale prevedeva una speciale competenza territoriale per le “cause tra condomini”, si era manifestato un contrasto nella giurisprudenza della S.C., nel senso che secondo un orientamento maggioritario il foro speciale trovava applicazione anche per le controversie relative alla riscossione dei contributi condominiali (cfr., in tal senso: Cass. 24 giugno 2005 n. 13640; Cass. 18 aprile 2003 n. 631), mentre secondo un orientamento minoritario per causa vertente tra condomini doveva intendersi quella avente ad oggetto rapporti giuridici attinenti al diritto reale di proprietà o all’uso delle cose comuni, con esclusione di quella in cui l’amministratore, in rappresentanza del condominio, pretenda nei confronti del singolo condomino il pagamento delle spese condominiali (Cass. 10 gennaio 2003 n. 269; Cass. 21 aprile 2000 n. 5235).
Il contrasto era stato risolto nel senso che il foro speciale trova applicazione anche nelle liti tra condominio ed amministratore in ordine al pagamento dei contributi per l’utilizzazione delle cose comuni, agendo l’amministratore, nell’attività di riscossione, nella sua veste di mandatario con rappresentanza dei singoli condomini (Cass. sez. un. 18 settembre 2006 n. 20076). Per eliminare ogni dubbio, con l’art. 31 l. 11 dicembre 2012 n. 220, è stato modificato l’art. 23, comma 1, c.p.c., nel senso che la speciale competenza per territorio è stata prevista per le “cause tra condomini, ovvero tra condomini e condominio”. Non contento di ciò, il legislatore della riforma del condominio, nell’individuare le controversie condominiali per le quali è prevista l’obbligatorietà della mediazione, ha fatto riferimento non ai soggetti interessati, ma alla materia, cioè alla violazione od errata applicazione di tutte le disposizioni in materia di condominio, ma nulla autorizza a ritenere che abbia inteso estendere la necessità della mediazione anche ai procedimenti di volontaria giurisdizione previsti da tali disposizioni, in asserita deroga al principio generale di cui all’art. 5, comma 4, lett. f), del d. lgs. n. 28 del 2010. Occorre, in proposito, partire dalla considerazione che l’art. 5, comma 1 bis, l. 4 marzo 210 n. 28 (la cui rubrica recita “Condizioni di procedibilità e rapporti con il processo”) prevede la preventiva mediazione per chi “intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia” in determinate materie, per cui dovrebbe essere evidente che il successivo comma 4, il quale esclude la necessità della mediazione in determinate ipotesi in cui non si può dubitare dell’esistenza di una “controversia“, quando include tra le eccezioni, alla lettera f), i “procedimenti in camera di consiglio”, intende evidentemente riferirsi ai procedimenti di natura contenziosa per i quali è previsto il rito della camera di consiglio (come, ad es., nel caso di giudizi in tema di separazione personale tra i coniugi e di divorzio), non avendo senso tale previsione per i procedimenti in tema di volontaria giurisdizione, per i quali non si può parlare di “processo”, di “controversia”, di “azione”.
Ne consegue che l’art. 71 quater, cit. il quale prevede la necessità della mediazione alle “controversie” in cui si discute della violazione od errata applicazione di tutte le disposizioni in materia di condominio non può essere interpretato nel senso che ha esteso tale obbligo anche ai procedimenti di volontaria giurisdizione previsti da tali norme, perché essi non integrano “controversie” nel senso inteso dall’art. 5, cit.
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