“Il termine «condominio» è assai antico ed era
di uso frequente nel diritto intermedio, in quella
complessa commistione di pubblico e privato che
caratterizzava tutto il sistema feudale. Condominio
era la signoria di più soggetti, ma a diverso
titolo, feudatario, vassallo, valvassore, ecc. su un
unico bene, nozione evidentemente assai diversa
da quella di comunione e comproprietà.
[omissis]
Il r.d. 15-1-1934, n. 56, convertito in l. 10-1-
1935, n. 8, fornisce una disciplina assai più specifica ed adeguata alla crescente importanza del
condomino: indicazione delle parti comuni, diritti
dei partecipanti, innovazioni, sopraelevazione,
manutenzione e ricostruzione, ripartizione delle
spese, individuazione di inediti organi di gestione
(l’assemblea, l’amministratore) e del regolamento.
Con poche varianti la normativa è stata trasferita,
come già si è detto, nel codice civile vigente.
La Carta costituzionale non parla espressamente
di condominio e tuttavia lo presuppone là dove
afferma (art. 42) che la proprietà è riconosciuta e
garantita dalla legge, che ne determina i modi di
acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne
la funzione sociale, e «renderla accessibile a
tutti», e, ancora (art. 47) che la Repubblica «favorisce
l’accesso del risparmio popolare alla proprietà
dell’abitazione»” [Massimo Dogliotti, Alberto Figone,
Condominio negli edifici, Digesto, 2003].
La legge 11 dicembre 2012, n. 220, non ha risolto
la questione ma, introducendo ex novo alcuni
articoli o modificandone altri, inerenti al patrimonio
del condominio, ha indotto la giurisprudenza
a ritenerlo fornito di soggettività giuridica [Cass.,
Sezz. Unite, 18 settembre 2014, n. 19663].
L’art. 1117 cod. civ. consente che un bene o un
servizio possano essere di proprietà individuale,
anziché della collettività condominiale e il titolo
relativo deve contenere una chiara e univoca volontà
di riservare esclusivamente a uno dei condomini
la proprietà di alcuni beni e di escluderne
gli altri [Cass., Sez. II, 20 marzo 2015, n. 5657;
Cass., Sez. II, 27 gennaio 2011, n. 11820].
Si tratta di una rilevante specificazione che costituisce
la base di valutazione degli elementi,
strutturali e tecnologici, e dei servizi che sono
condominiali sia da parte degli stessi condomini
sia da parte del loro rappresentante legale, vale a
dire l’amministratore del condominio.
Su tale presupposto, infatti, si fondano le disposizioni
di tutti gli articoli seguenti dello stesso codice
civile, compresi quelli delle sue disposizioni di
attuazione, e di tutte le leggi speciali in materia,
sovente inerenti alle spese che devono essere sostenute
nell’interesse di tutti i partecipanti per la
conservazione o, addirittura, per il miglioramento
e per l’innovazione delle cose comuni.
Nel condominio, considerata l’evoluzione sociale e culturale che si è manifestata, in particolare negli
ultimi decenni, è sempre più richiesta la qualità
dell’abitare in edifici decorosamente mantenuti;
la tutela della salute in un luogo ove convivono
persone che abitano e lavorano; la sicurezza degli
impianti; la salvaguardia dell’ambiente.
Il testo del codice civile del 1942 è stato composto
dal legislatore per riferirisi non soltanto ai giuristi,
ma direttamente ai cittadini, utenti di una determinata
norma regolatrice dei loro rapporti.
Infatti, le parole sono sovente riprese dalla lingua
comune, i periodi sono brevi e chiari, gli articoli
non rinviano ad altri articoli per essere compresi.
Pure tuttavia, non sempre erano adeguati alla nuova
realtà tecnologica ed economica in essere; si
pensi solo ai consorzi imobiliari e ai condomìni di
posti barca. La gestione del condominio comporta
l’obbligo, non soltanto di conciliare le diverse
esigenze personali dei condomini, ma anche di
effettuare alcune spese al fine di garantire la costante
funzionalità di alcuni servizi (ad esempio,
la pulizia delle scale) e la perenne conservazione
delle parti e dei manufatti comuni dello stabile
(per esempio, l’impianto dell’autoclave o le facciate
dello stabile).
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