Per la giurisprudenza il ricorso per decreto ingiuntivo presentato ex art. 63 citato, può riguardare soltanto colui che è condomino al momento della sua richiesta. Però gli oneri condominiali risalenti a un tempo molto precedente alla compravendita di un’unità immobiliare, sita nel condominio, sono a carico del venditore, precedente condomino, in quanto, in materia di riscossione dei contributi condominiali , il criterio di riparto temporale dell’onere delle spese intercorrente tra condomino venditore ed acquirente dell’appartamento in condominio, in applicazione dell’art. 63 disp. att. cod. civ., non può prescindere dal momento in cui siano emesse le delibere condominiali di distribuzione degli oneri relativi [Cass., Sez. II, 11 novembre 2011, n. 23682].
Ne consegue che non può essere emesso il decreto
de quo nei confronti del venditore per queste
annualità trascorse, considerato che l’art. 63 disp.
att. cod. civ. trova applicazione soltanto nei confronti
di coloro che siano condomini al momento
della proposizione del ricorso monitorio [Cass.,
Sez. II, 9 settembre 2008, n. 23345] atteso che
l’obbligo di pagamento degli oneri de quibus sorge
dal rapporto di natura reale che lega l’obbligato
alla proprietà dell’immobile [Cass., Sez. II, 9
novembre 2009, n. 23686].
Trattasi di spese condominiali riportate nei rendiconti
consuntivi delle annualità risalenti, considerato
che il rendiconto preventivo o è approvato
dallo stesso acquirente o è quello dell’anno in corso
nel momento in cui si è perfezionata la compravendita;
infatti, come si è visto, anche per la
morosità inerente a un rendiconto preventivo può
essere richiesto un decreto ingiuntivo ex art. 63
disp. att. cod. civ. [Cass. n. 24299/2008, citata].
La responsabilità solidale dell’acquirente per il
pagamento dei contributi dovuti al condominio
dal venditore è limitata, ut supra dedotto, alla
gestione in corso e a quella immediatamente precedente all’acquisto, trovando applicazione l’art.
63, IV comma, disp. att. cod.civ., e non già l’art.
1104 cod.civ., atteso che, giusta il disposto di cui
all’art. 1139 cod.civ., la disciplina dettata in tema
di comunione si applica (anche) al condominio
solamente in mancanza di norme che (come appunto
il citato art. 63) specificamente lo regolano
[Cass., Sez. II, 27 febbraio 2012, n. 2979; Cass.,
Sez. II, 18 agosto 2005, n. 16975]; in questa fattispecie
l’acquirente è quindi solo garante delle
obbligazioni sorte in capo all’alienante e non, in
queste, subentrante.
Del resto il legislatore, con questa previsione legislativa,
ha voluto consentire al condominio di
avere sempre la disponibilità finanziaria necessaria
a sopportare le spese indispensabili per la sua gestione,
potendo trovarsi, viceversa, in difficoltà se
dovesse aggredire il condomino alienante che potrebbe
non possedere più alcun bene pignorabile.
Proprio in virtù di ciò l’art. 63, in esame, si applica
anche nei confronti dell’aggiudicatario di un’unità
immobiliare in conseguenza di una procedura
esecutiva immobiliare; non si applica, quindi,
l’art. 2919 cod. civ., considerato, da una parte, il
testo letterale dell’articolo de quo, che si riferisce
genericamente a colui che subentra nella proprietà
e, dall’altra, il principio generale, desumibile
dall’art. 1104 cod. civ., concernente l’insorgere
dell’obligatio propter rem dall’essere divenuto
comproprietario delle cose comuni.
Tale principio non si applica agli eredi del de cuius
che subentrano, a titolo universale, in ogni
diritto e in ogni onere del loro dante causa, per
cui questi sono obbligati a corrispondere l’intero
importo dovuto anche se antecedente l’anno precedente
all’accettazione dell’eredità; per contro
non vi è tenuto colui che subentri al de cuius
a titolo particolare, quale è un legatario [Cass.,
Sez. II, 13 novembre 2009, n. 24133].
La manutenzione straordinaria delle cose comuni
Il problema più rilevante, molto dibattuto e contrastato
in giurisprudenza, inerisce, però, a chi
debbano essere addebitate, tra i due soggetti sopra
citati, le spese relative ad interventi di natura
straordinaria effettuati a cavallo della compravendita,
seppure deliberati prima di tale atto.
A tale proposito si può ritenere che il principio
informatore della valutazione del problema è costituito
dal vecchio brocardo latino cui prodest,
vale a dire che la spesa incombe su colui che da
tale intervento deliberato dal condominio abbia
tratto vantaggio.
Si rammenta che parte della giurisprudenza stabilisce
che l’obbligo del condominio di pagare i
contributi per le spese di manutenzione delle parti
comuni dell’edificio deriva non dalla preventiva
approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo
e non costitutivo di tali delibere, ma dal momento
in cui sia sorta la necessità della spesa ovvero la
concreta attuazione dell’attività di manutenzione
e quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente
compiuta e non per effetto dell’autorizzazione
accordata all’amministrazione per il compimento
di una determinata attività di gestione. [Cass. n. 23686/2009 e n. 23345/2008, citate].
Altra parte della giurisprudenza reputa, per contro,
che il suddetto obbligo sorge allorché viene
deliberata la spesa, anche se il riparto della stessa
avviene in altra successiva assemblea, poiché
questa serve solo a rendere esigibile un debito
già sorto in precedenza, costituendo il frutto di
una semplice operazione matematica e a nulla
rilevando che le relative opere siano state eseguite
successivamente [Cass., Sez. II, 3 dicembre
2010, n. 24654 e Cass., Sez. II, 21 luglio 2005,
n. 15288].
Ovviamente si tratta di spese di straordinaria manutenzione
o relative a innovazioni e non di ordinaria
manutenzione.
Per queste ultime l’obbligo al pagamento sorge ex
lege al loro compimento stante l’obbligo dell’amministratore
di erogare le spese correnti ex art.
1130, n. 3, cod. civ. e, quindi, della gestione
stessa dell’amministratore, indipendentemente
che la spesa sia stata prevista nel rendiconto preventivo,
la cui approvazione ha la sola finalità di
convalidare la congruità delle spese che il condominio
prevede di dover sostenere.
In sostanza la giurisprudenza sembra distinguere
tra obbligazione, che nasce dalla comproprietà
dei beni, e debito, determinato dal dovere di
adempiere il quantum deliberato dall’assemblea.
Le questioni per l’amministratore, sul come operare
concretamente, sono rimaste per alcuni anni.
Infatti:
Quid juris quindi se le spese vengono deliberate
e i lavori iniziati prima della vendita? E se la
deliberazione avviene prima della vendita mentre
l’inizio dei lavori si deve datare dopo la vendita?
E se la deliberazione avviene prima della vendita
al pari dell’inizio dei lavori, ma la stipula di un
pagamento rateale con l’impresa si attua dopo la
vendita? E se l’approvazione del consuntivo dei
lavori, effettuati prima della vendita, viene approvato
dopo questa ultima? [Gino Terzago,
Il condominio, Giuffrè Editore,
2006].
La giurisprudenza più recente ha risolto
la vexata quaestio stabilendo:
In caso di vendita di una unità immobiliare in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori
di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o
innovazioni sulle parti comuni, qualora venditore
e compratore non si siano diversamente accordati
in ordine alla ripartizione delle relative spese, è
tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario
dell’immobile al momento della delibera assembleare
che abbia disposto l’esecuzione dei detti
interventi, avendo tale delibera valore costitutivo
della relativa obbligazione. Di conseguenza,
ove le spese in questione siano state deliberate
antecedentemente alla stipulazione del contratto
di vendita, ne risponde il venditore, a nulla
rilevando che le opere siano state, in tutto o in
parte, eseguite successivamente, e l’acquirente ha
diritto di rivalersi, nei confronti del medesimo,
di quanto pagato al condominio per tali spese,
in forza del principio di solidarietà passiva di cui
all’art. 63 disp. att. c.c. [Cass., Sez. II, 3 dicembre
2010, n. 24654].
E la giurisprudenza di merito si è adeguata [Trib.
Salerno, Sez. II, 9 luglio 2014 e Trib. Roma, Sez.
X, 12 gennaio 2016, in Leggi d’Italia].
Fattispecie particolari, infine, ineriscono sia al
pagamento delle spese legali per una sentenza di
condanna del condominio, relativa a una causa
iniziata antecedentemente l’avvenuta compravendita
sia il pagamento di somme dovute per una
condanna al risarcimento di un danno a favore di
un terzo, condomino compreso.
Nel primo caso è l’acquirente che se ne deve fare
carico, considerato che solo al medesimo è concesso
il diritto di appellare la sentenza sfavorevole
nell’inerzia dell’amministratore e, comunque,
l’obbligo del pagamento sorge nel corso della gestione
annuale nella quale egli è condomino.
Nella seconda ipotesi, l’onere della spesa compete
al venditore in quanto l’evento dannoso si è verificato
allorquando egli era condomino e in tale
momento sorge la relativa obbligazione di conservazione
del bene condominiale [Cass., Sez. II, 12
luglio 2011, n. 15309].
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