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martedì 14 novembre 2017

Fisco, Agenzia Entrate, mail false con virus, grazie a cittadini per segnalazioni

Nuovamente in giro i furbetti del PC che provano a prendere i vostri dati per truffe e furti.

L'Agenzia delle Entrate informa che stanno arrivando false mail col logo di Agenzia contenenti, in allegato, un pericoloso software (malware) che potrebbe infettare il computer o le utenze informatiche in uso. 

I messaggi di posta elettronica segnalati in queste ore da alcuni cittadini, ai quali va il ringraziamento per la pronta comunicazione e lo spirito di collaborazione, contengono informazioni totalmente false (il nome del file riporta delle cifre e la denominazione F24) relative a presunti avvisi di pagamento predisposti da Agenzia delle Entrate. 

Per evitare danni al proprio pc, Agenzia invita a porre la massima attenzione, a non aprire i file allegati né a collegarsi al link contenuto nel testo del messaggio elettronico e a cancellare immediatamente la falsa mail.
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martedì 10 ottobre 2017

Perplessità sulla notifica via Pec

Le ricevute di “accettazione” e di “avvenuta consegna” sono essenziali per provare la rituale notificazione della cartella via Pec. Ed infatti, qualora il contribuente eccepisca in giudizio la illegittimità della procedura prevista, l’Ufficio dovrà versare in atti copie conformi agli originali delle ricevute, pena l’accoglimento del ricorso del contribuente.
Il decreto fiscale D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modifiche con L. 1° dicembre 2016, n. 225 ha aggiunto all’art. 60, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 il nuovo comma 7 il quale prevede che, in deroga all’art. 149-bis del Codice di procedura civile, la notifica degli avvisi di accertamento e degli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato, potrà essere effettuata direttamente dal competente ufficio a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), con le modalità previste dal regolamento di cui al D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68.
Ciò significa, che a decorrere dal 1° luglio 2017 anche gli uffici dell’agenzia delle Entrate potranno notificare gli avvisi di accertamento e gli altri atti impositivi direttamente all’indirizzo di Pec dei contribuenti laddove la notifica si intenderà perfezionata:
  • per l’Ufficio-mittente, nel momento in cui il gestore della casella di posta elettronica certificata gli trasmette automaticamente la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio;
  • er il destinatario, alla data di avvenuta consegna contenuta nella ricevuta che il gestore della casella di pec del destinatario trasmette all’ufficio o, nel caso di casella di posta elettronica satura o di indirizzo di posta elettronica del destinatario non valido o attivo, nel quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione dell’avviso nel sito internet di InfoCamere così come già accade per le cartelle esattoriali.
Ebbene, tale modalità che rappresenta una facoltà e non un obbligo, non è certamente una novità  per il processo tributario giacchè è già in uso da parte di Equitalia per le notifiche delle cartelle esattoriali e di altri atti di riscossione.
Ed è proprio a questo proposito, che non si può fare a meno di evidenziare che le recenti decisioni delle commissioni tributarie di merito muovono nella direzione di una invalidità della notifica delle cartelle esattoriali per un serie di motivi di cui di qui a breve.
Orbene, la nullità della cartella di pagamento notificata con posta elettronica certificata deriva dal fatto che il messaggio email non contiene l’originale dell’atto di Equitalia ma solo una copia priva di attestazione di conformità. Ciò significa, che la posta elettronica certificata, non offre le garanzie tipiche della raccomandata tradizionale, in quanto non contiene l’originale della cartella, ma solo una copia informatica, priva peraltro di alcuna attestazione di conformità. Detta copia, quindi, non può assumere alcun valore giuridico perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico, in tutto e per tutto, all’originale che, in questo caso, resta nelle mani di Equitalia. Invece, con la notifica a mezzo di raccomandata a.r., l’originale finisce sempre nelle mani del contribuente. (Ctp Latina n. 992/01/16).
Ecco che, le ricevute di <accettazione> e di <avvenuta consegna> sono essenziali per provare la rituale notificazione della cartella via Pec. Ed infatti, qualora il contribuente eccepisca in giudizio la illegittimità della procedura prevista, l’Ufficio dovrà versare in atti copie conformi agli originali delle ricevute di <accettazione> e di <avvenuta consegna> del messaggio contenente l’atto notificando, pena l’accoglimento del ricorso del contribuente. (Ctp Roma n. 1715 del 26 gennaio 2017).
Secondo l’art. 26, co. 2, D.P.R. 602/1973, come modificato dall’art. 14, D.Lgs. 25.9.2015, n. 159, dall’ 1.6.2016, in virtù di quanto previsto originariamente dall’art. 38, co. 4, lett. b), D.L. 31.5.2010, n. 78, la notifica degli atti di riscossione destinati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi ed elenchi, deve avvenire esclusivamente via Pec.

Nonostante la previsione di legge, non è affatto pacifica la possibilità di notificare la cartella di pagamento tramite Pec, in quanto vi sono delle questioni di legittimità costituzionale che sono emerse da diverse pronunce dalla combinata lettura degli artt. 20, co. 1 e 2 e 53, co. 2, D.Lgs. 546/1992, come pure dalla circ. 12.5.2016, n. 2/D (Ctr Lombardia (Milano), sent. 1711/34/2016, Ctr Lazio (Roma), sent. 54/10/2010, Ctr Emilia Romagna (Bologna), sent. 2065/1/2015 e Ctr Campania (Benevento, sent. 395/1/13). Altresì, la notifica tramite Pec non consente al destinatario di scegliere modalità, tempi e dinamica di ricezione – vista la scomparsa dell’irreperibilità relativa e assoluta - né di opporre un legittimo rifiuto. Si pensi al caso della mancata possibilità di visione della email a causa dello smarrimento della password di accesso all’account di Pec o al caso di degenza ospedaliera del destinatario. Importanti sentenze (Corte Cost., sent. 14.1.2010, n. 3; Corte Cost., 26.11.2002, n. 477; Cass., SS.UU., ord. 21.10.2004, n. 458) sono state poste a sostegno di una eccezione della illegittimità in sede giudiziale della operatività della notifica via Pec.
Oltretutto va detto che, dirigenti, funzionari e dipendenti di Equitalia non sono pubblici ufficiali e, pertanto, non spetterebbe ad essi apporre l’autentica sulle copie delle cartelle di Equitalia. Ciò significa che una semplice copia non può mai assumere un valore giuridico, poiché abbisogna dell’attestazione di un pubblico ufficiale autorizzato per essere ritenuti conformi all’originale, potere che non spetta ai funzionari di Equitalia (Cass. 27.4.2015, n. 8446; contra Ctr Calabria (Catanzaro), sent. 1674/2014) come pure non spetta ai postini (Cass. 6395/2014; Cass. 8333/2015; Ctr Lazio (Roma) sent. 3711/2014).

Il sistema Pec non può garantire infatti che il documento allegato sia effettivamente l’originale.
Non solo, è nulla la cartella notificata via pec con l’allegato in estensione <<.pdf>> e non <<.p7m>> che rappresenta l’equivalente del primo ma firmato digitalmente (Ctp Milano sentenza 1023/1/17 del 3 febbraio 2017) giacchè ai sensi di quanto previsto dall’articolo 26 Dpr 602/73, articoli 20 e 71 Dlgs 82/05, Dpcm 22 febbraio 2013, il <<.pdf>> non soddisfa da solo i requisiti di integrità dell’allegato. Ed ancora, è nulla la cartella di pagamento via Pec, in quanto il documento allegato in <<.pdf>> non può essere considerato un valido documento informatico, bensì una semplice copia informatica e come tale priva di qualsivoglia valore probatorio. (Ctp Savona sentenze n. 100/2017 e n. 101/201 del 10 febbraio 2017).

di Iolanda Pansardi
Avvocato Tributarista in Lecce

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giovedì 16 febbraio 2017

La casella di posta elettronica e il suo uso professionale

Ormai la gran parte delle comunicazioni avviene a mezzo e-mail che, per comodità e velocità, ha sostituito la posta tradizionale: quindi oggi il proprio indirizzo mail è, di fatto, l’indirizzo “postale virtuale” di ognuno di noi.
Da una piccola indagine ho scoperto che oltre il 60% dei professionisti si affida a servizi di posta elettronica gratuiti: la parte del leone la fanno Gmail, Libero (con Iol), Telecom (con Tin, Alice e Virgilio) e Tiscali.
Il fatto non è confortante perché, se questi gestori possono andare bene per un uso personale, a patto di accettare tutti gli inconvenienti di cui dirò dopo, per l’uso professionale dobbiamo essere certi che il “postino virtuale” utilizzi sistemi rispettosi della privacy ed affidabili per evitare inconvenienti che potrebbe avere conseguenze negative sulla nostra attività e sulla nostra immagine.
Il primo nodo da sciogliere è proprio l’immagine: “non esiste una seconda possibilità per fare una prima buona impressione”. E la prima impressione sarà fortemente condizionata dall’indirizzo mail che utilizzerai per la tua corrispondenza professionale. Non c’è nulla che dica “non sono veramente serio” più di un indirizzo email professionale su hotmail.com, yahoo.com, google.com, libero.it o altri provider gratuiti: come minimo una casella di posta elettronica generica (usata da uno studio professionale) fa pensare ad una persona che ha appena iniziato a lavorare, oppure che non ha dimestichezza con lo strumento.
Anche la gratuità di questi provider (che poi comunque qualcosa in cambio ti chiedono, come vedremo dopo) non è più un elemento determinante per la scelta: con pochi euro è possibile registrare un proprio dominio (che servirà anche per il sito dello studio). Con due vantaggi: il primo è che chi riceverà una tua mail potrà raggiungere immediatamente il tuo sito, di cui conoscerà il nome; il secondo che potrai impostare una mail per ogni collaboratore e/o servizio del tuo studio, organizzando al meglio il flusso della corrispondenza e la sua archiviazione, facilitando anche le successive ricerche. Da ultimo, ma non ultimo, potrai avere una tua casella per la corrispondenza riservata a te personalmente (così finalmente le nostre circolari non verranno cestinate dalla tua segretaria!).
Un altro problema concreto è che i più diffusi servizi gratuiti di posta elettronica hanno i loro server localizzati all’estero, anche (o esclusivamente) al di fuori della UE.
Dal punto di vista della normativa sulla privacy ci sarebbe una ulteriore incombenza da assolvere: i dati esportati nei paesi extra UE sarebbero soggetti ad un regime giuridico diverso, che potrebbe essere meno protettivo, rispetto a quello UE, e di questo dovrebbero essere avvisati gli interessati.
Si pensi solo al Patriot Act che è entrato in vigore il 26 ottobre 2001, nelle settimane successive all’attentato alle Torri Gemelle. Senza entrare nel merito degli immensi poteri che questa legge fornisce agli investigatori dell’antiterrorismo, dovrebbe comunque essere applicabile solo a chi vive o transita per gli Stati Uniti.
Il problema è che questa normativa riguarda anche l’infrastruttura tecnologica presente sul territorio degli Stati Uniti, e le aziende che lì operano. Yahoo collabora con l’FBI che ha elaborato un software che setaccia gli indirizzi di posta elettronica degli utenti (Reuters 05/10/2016) e in passato ha consegnato all’intelligence statunitense parte delle mail dei suoi clienti (La Stampa 13/10/2016). Inoltre, chi di noi legge i termini di servizio con cui ci vengono fornite le caselle di posta elettronica, formalmente gratuite?
 E parliamo di utilizzo dei dati (indirizzi e contenuti delle mail) per scopi commerciali ed esenzione di responsabilità in caso di disservizi, due cose che abbiamo accettato mettendo la spunta alla casella quando abbiamo attivato la nostra mail (ecco come li paghiamo!). Nel primo caso, per esempio Google (ma anche gli altri provider) ottiene dall’utente una licenza irrevocabile, eterna, mondiale, priva di royalty e non esclusiva a riprodurre, adattare, modificare, pubblicare, eseguire pubblicamente, visualizzare pubblicamente e distribuire qualsiasi contenuto trasmesso, inviato o visualizzato su Gmail.
Ci siamo mai accorti che quando consultiamo la posta da una web mail gratuita come Libero o Gmail, ecc… ci troviamo della pubblicità sotto forma di banner con proposto un prodotto guarda caso corrispondente al contenuto scritto nel testo della nostra mail o di una mail scritta in precedenza?
Consumer Watchdog, una associazione dei consumatori statunitensi, ha proposto una class action presso una corte federale USA contro la pratica della scansione delle mail degli utenti a scopi pubblicitari. Ebbene, nella memoria di risposta depositata da Google si afferma che non ci si può ragionevolmente attendere protezione della privacy affidando la corrispondenza a terze parti (Il Fatto quotidiano 14/8/2013 - Sole24ore 15/8/2013).
Per quanto riguarda i disservizi, questi riguardano essenzialmente i provider nostrani che utilizzano molte volte server (in uscita) inadeguati o vetusti, col rischio di rallentamenti o blocchi, dovuti alla mole di mail da smaltire, oppure di vedersi inserire nella famigerata black list e quindi di non consegnare la posta affidatagli (peraltro senza che l’utente sia avvisato). Nel tentativo di risolvere i problemi legati alla mole di lavoro molto alta, creatasi anche per colpa dello spam che ricevono, e di non finire nella black list, i provider gratuiti sono obbligati ad avere dei filtri anti-spam molto potenti che moltissime volte creano ulteriori disservizi bloccando anche le mail “buone”.
E potremo continuare con l’assenza di altre caratteristiche, indispensabili per chi usa la posta elettronica per lavoro: l’assistenza tecnica e conservazione dei log (la registrazione cronologica delle operazioni eseguite per risalire all’inconveniente), il backup delle e-mail.
Che queste siano questioni importanti se ne è accorto anche lo stato che ha inventato, e obbligato gli utilizzatori professionali a dotarsene, la PEC (posta elettronica certificata) che, a mezzo di dati aggiuntivi e di un protocollo di sicurezza particolare, implementati dal gestore, garantisce la data di spedizione, di ricevimento e che il contenuto del messaggio non sia stato alterato. Tant’è che, proprio per questi motivi, della PEC ormai si abusa.
In conclusione, ritengo che l’utilizzatore professionale debba:
  • dotarsi di un dominio personale univoco e facilmente identificabile, appoggiato ad un provider affidabile ed a lui vicino che gli garantisca l’assistenza necessaria ed il rispetto della privacy (anche spendendo qualche euro in più);
  • creare una mail per ogni collaboratore o servizio dello studio, in modo da organizzare al meglio il flusso delle informazioni;
  • creare una mail del professionista riservata alla corrispondenza di interesse personale e/o riservata; - sviluppare, assieme al professionista informatico, un filtro anti-spam e delle regole che permettano di bloccare la posta indesiderata senza perdere le comunicazioni “buone”, e aggiornare gli strumenti costantemente;
  • approfondire la conoscenza dell’argomento e far istruire almeno un collaboratore per poter essere velocemente reattivi davanti agli inconvenienti;
  • per ultimo, e lo do per scontato nonostante ancora dei colleghi sottovalutino il problema, dotarsi di una suite di protezione internet completa e sempre aggiornata.
E finalmente potrete dormire sonni tranquilli, ed io, che dal 2013 mi occupo della gestione del sito, della comunicazione, e della organizzazione di corsi e convegni per ANACI Venezia e per ANACI Veneto (per me è quindi essenziale riuscire a raggiungere tutti gli iscritti per far sì che siano sempre aggiornati sulle iniziative, e sono molteplici, dell’associazione) non riceverò più telefonate o mail di un socio che lamenta di non aver ricevuto una circolare, un invito, una newsletter.

di Guido Bartolucci
Segretario del Centro Studi ANACI Veneto

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martedì 18 ottobre 2016

La posta elettronica certificata in condominio

Le uniche comunicazioni tra amministratore e condomini per cui necessita la conferma dell’avvenuta ricezione sono quelle inerenti alla convocazione dell’assemblea, alla trasmissione del verbale d’assemblea, alla contestazione di inadempienze del condomino.

Con il D.P.R. 11 febbraio 2005 n. 68 e successiva emanazione delle regole tecniche di attuazione di cui al D.M. 2 novembre 2005, il legislatore italiano ha introdotto la possibilità di interloquire tra soggetti privati e tra questi con Enti pubblici in modo informatico; è stato necessario, però, provvedere a una regolamentazione al fine di assicurare la certezza, non solo, dell’autenticità della documentazione trasmessa, ma anche del mittente di detta comunicazione, qualora ci si voglia avvalere di tale strumento.
Il D.P.R. 68/2005 ha stabilito le caratteristiche e le modalità per l’erogazione e la fruizione di servizi di trasmissione di documenti informatici mediante posta elettronica certificata. A tale scopo ha precisato che i soggetti operanti con il servizio de quo sono: a) il mittente; b) il destinatario; c) il gestore del servizio erogato. Infatti il percorso precedurale parte dal mittente, transita dal gestore e perviene, infine, al destinatario. In particolare l’art. 3 del precitato decreto consente di accertare sia l’invio del messaggio di posta elettronica dall’utente al proprio gestore sia la disponibilità dello stesso gestore a trattenerlo nella casella di posta elettronica e, contestualmente, inviarlo nella casella del destinatario.
È stato reso possibile, quindi, un quadro dettagliato del percorso del messaggio dal mittente al destinatario finale.
L’art. 4 D.P.R. 68/2005, ha prescritto le modalità di utilizzo della posta elettronica certificata consentendo a persone fisiche e a Enti collettivi, pubblici o privati, di poter utilizzare tale servizio dichiarando espressamente, a ogni effetto giuridico, il solo indirizzo valido ai fini di ciascun procedimento intervenuto con la Pubblica Amministrazione o di ogni singolo rapporto intrattenuto con un altro soggetto privato.
Anche il destinatario deve dichiarare la disponibilità ad accettare tale servizio indicando il proprio indirizzo valido.
La sicurezza dell’avvenuta consegna del documento elettronico certificato, risulta attraverso una serie di ricevute inviate dal gestore del servizio a tutti i soggetti interessati, affinché sia opponibile ai terzi ogni riferimento temporale interente alla validità dei documenti trasmessi.
Se poi mittente e destinatario utilizzano lo stesso gestore il problema della certificazione è sicuramente agevolato; utilizzando invece due gestori diversi, la comunicazione deve garantire la capacità operativa tra loro dei servizi offerti, cosicché il gestore del destinatario deve rilasciare al gestore del mittente la ricevuta che attesta l’avvenuta presa in carico del messaggio.
Questo non impedisce, ovviamente, ai soggetti, utenti di questo servizio, di utilizzare la posta elettronica senza alcuna certificazione e, quindi, come mero mezzo di comunicazione non avente valore giuridico.
La sicurezza del percorso telematico, pertanto, e di tutte le fasi di trattamento del messaggio deve essere conservato su un apposito log dei messaggi per il tempo ex lege previsto. Le tracce informatiche inserite nel log dei messaggi sono, quindi, opponibili ai terzi; i gestori devono garantire la riservatezza, la sicurezza, l’integrità e l’inalterabilità nel tempo delle informazioni in esso contenute attraverso opportune soluzioni tecniche e organizzative.
È previsto, altresì, che, in caso di mancata consegna del messaggio elettronico o di presenza di virus nella corrispondenza, il mittente debba essere tempestivamente informato dal gestore del servizio. Ovviamente le ricevute rilasciate dai gestori e le buste di trasporto dei messaggi sono sottoscritte con firma elettronica.
I gestori devono essere a loro volta certificati e inseriti in apposito registro che costituisce una garanzia della loro serietà e della loro professionalità. Come sopra indicato il Ministero per l’innovazione e le tecnologie, con decreto 2 novembre 2005, ha fissato i principi generali per la formazione, la trasmissione, la validazione della posta elettronica certificata definendo, anche, la terminologia necessaria per la verifica del regolare processo di trasmissione e la conferma dell’autenticità del messaggio trasmesso; così il decreto ministeriale definisce quali siano il punto di accesso, il punto di ricezione e il punto di consegna nonché cosa siano la firma del gestore di posta elettronica, la ricevuta per accettazione, la ricevuta di presa in carico, la ricevuta di avvenuta consegna, il dominio di posta elettronica certificata; quest’ultima deve contenere unicamente caselle di posta elettronica certificata, affinché si possa, in concreto, realizzare la normativa inerente alla sicura e riservata trasmissione di documenti attraverso il sistema della posta elettronica certificata. 
Vengono, quindi, stabilite con esattezza le caratteristiche dei messaggi e la conservazione, in particolare, dei log dei messaggi.

Sono, altresì, fissate:
  • per i gestori: la prassi d’iscrizione all’elenco dei gestori, nonché la redazione di un prontuario operativo che esponga le procedure attuate dal gestore nell’esecuzione della propria funzione.
  • per i gestori e per i titolari: i requisiti dei messaggi, la conservazione dei log dei messaggi, gli standard di servizio (per esempio il numero massimo dei destinatari, le estensioni del messaggio, etc.).
È sicuramente questo un sistema operativo di interesse e di rilievo particolari perché si adegua alla nuova tecnologia introdotta dalla scienza che indubbiamente consente di potere inviare documenti più velocemente con la sicurezza del giungere a destinazione e con minori costi di inoltro. L’art. 45 D.Lgs. 7 marzo 2005 n. 82, prevede che il documento informatico si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato; dunque, per analogia, non è necessario che il condomino destinatario lo legga concretamente.
La problematica, però, sorge per quanto attiene al condominio e inerisce a come possa essere utilizzato questo strumento nella comunicazione che l’amministratore invia ai condomini e ai terzi quali, ad esempio, i fornitori. È, infatti, necessario prendere in considerazione che le uniche comunicazioni tra amministratore e condomini per cui necessita la conferma dell’avvenuta ricezione sono quelle inerenti alla convocazione dell’assemblea, ordinaria o straordinaria che sia, alla trasmissione del verbale d’assemblea, alla contestazione di inadempienze del condomino, quale la morosità nel pagamento delle rate condominiali, o la violazione del regolamento contrattuale di condominio.
Diverso discorso invece può sorgere nelle comunicazioni tra amministratore e terzi, per esempio con l’istituto assicuratore per una denuncia di sinistro, con l’appaltatore per una denuncia di vizi dell’opera eseguita, con il professionista per il conferimento di incarico etc.; in questi casi la nuova disciplina sopra esaminata può essere applicata in quanto sicuramente aziende e professionisti che sono obbligati ad utilizzare il sistema de quo.
È opportuno allora rammentare che l’assemblea del condominio è l’organo deliberante della gestione e dei rapporti interpersonali tra i condomini con pieni poteri disciplinati, peraltro, dall’art. 1135 del codice civile (Cass. Civ. Sez. II, 25 maggio 2016 n. 10865).
Il codice stabilisce che le delibere adottate in assemblea devono essere assunte con il metodo collegiale e quindi è necessario, da una parte, che vi sia un soggetto attivo legittimato a convocare l’assemblea che l’art. 66 disp. att. c.c. individua nell’amministratore, se esistente, seppure con le dovute eccezioni, per esempio due condomini rappresentanti almeno un sesto del valore dell’edificio in caso di inerzia dell’amministratore stesso ovvero anche un solo condomino che richieda la modifica delle tabelle millesimali ex art. 69 disp. att. c.c.. Dall’altra è necessario che siano chiaramente individuati i soggetti destinatari che hanno il diritto di partecipare all’assemblea.
L’art. 1136 codice civile prescrive, altresì, che tutti i condomini devono essere convocati in assemblea e, considerata la inderogabilità di questa norma, la sua violazione determina l’annullabilità delle delibere assunte in tale assemblea, seppure eccepibile dal solo condomino che non sia stato convocato (Cass. Civ. Sez. II, 18 aprile 2014 n. 9082); per condomino, indubbiamente, si deve far riferimento non soltanto al proprietario di una unità immobiliare, ma altresì al nudo proprietario, all’usufruttuario, ai coniugi che sono in comunione legale dei beni, agli eredi di una comunione ereditaria, ai comproprietari di un’unica proprietà immobiliare e ai legali rappresentanti di coloro che risultano condomini, quale l’amministratore unico di una società a responsabilità limitata, il tutore di una persona interdetta, il curatore di un condomino fallito.
Lo stesso precitato art. 66 disp. att. c.c., come novellato dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220, prescrive le modalità di convocazione dell’assemblea, indicandovi anche proprio la posta elettronica certificata.
L’altra norma inderogabile, costituita dal precitato articolo 66 disp. att. codice civile, prevede che la convocazione d’assemblea deve pervenire agli aventi diritto almeno cinque giorni prima della data dell’assemblea; considerata la modifica apportata dalla legge 220/2012, che, applicando il principio di solidarietà previsto dall’art. 3 della Costituzione, ha privilegiato la partecipazione di tutti coloro che abitano o lavorano nell’edificio condominiale, per aventi diritto a presenziare all’assemblea devono ricomprendersi i conduttori di unità immobiliari, seppure con i limiti relativi agli argomenti dell’ordine del giorno di loro competenza ai sensi dell’art. 10 l. 27 luglio 1978 n. 392.
Nel quadro generale della disciplina codicistica si rinvengono, per la convocazione dell’assemblea, specifici obblighi a carico dell’amministratore che deve adempiere affinché l’assemblea di condominio si possa considerare valida e, soprattutto, si possano considerare valide le singole delibere in essa assunte.
Ma rilevante altresì è l’invio del verbale d’assemblea in quanto l’eventuale impugnazione per annullabilità delle delibere assembleari, che oggi ne costituisce il maggior motivo, decorre dal trentesimo giorno in cui è pervenuto a destinazione il verbale stesso nel caso il condomino fosse stato assente all’assemblea che ha adottato la delibera impugnanda. Infatti, se il condomino fosse stato presente a tale assemblea, i trenta giorni decorrono dal giorno stesso dell’assemblea. 
Ai fini della prova inerente al giorno in cui il condomino assente abbia ricevuto la copia del verbale, l’amministratore deve produrre un documento di data certa che ben può essere rappresentato dalla cartolina di ritorno della raccomandata inviata ovvero dalla ricevuta del gestore accreditato nel caso di inoltro del verbale con posta elettronica certificata.Se questo è il panorama della legislazione codicistica, la nuova legge non può modificare tacitamente la sua disciplina; infatti, l’abrogazione di una norma antecedente da parte di quella susseguente, deve essere o espressa o tacita, ma in questa ipotesi deve essere chiaramente in contrasto con quella abrogata.
È perciò evidente che l’amministratore di condominio può utilizzare questo nuovo strumento della posta elettronica certificata soltanto nell’ipotesi in cui tutti i condomini e gli aventi diritto come sopra individuati, nessuno escluso, siano muniti di posta elettronica per poterla ricevere ma, soprattutto, siano collegati con un gestore che possa certificare l’invio delle mail. Se ciò non fosse possibile, per qualsiasi evidente motivo non ultimo quello della mancanza di un gestore garante del processo di trasmissione, l’utilizzo della posta elettronica come mezzo di convocazione di assemblea o di invio del verbale sarebbe del tutto inefficace ricadendo totalmente sull’amministratore la responsabilità dell’impugnazione di una delibera condominiale da parte del condomino che non è stato convocato in assemblea.
Identico principio si applica in tutti i casi di messa in mora del condomino moroso o di diffida a colui che viola una qualsiasi clausola del regolamento contrattuale di condominio, necessitando sempre la certezza che gli atti de quibus siano regolarmente pervenuti al destinatario.
La posta elettronica è, d’altronde, un mezzo sempre più adoperato per comunicare con gli interlocutori del messaggio inviato dal mittente e, spesso, è uno strumento utilizzato anche per trasmettere comunicazioni per le quali non necessita una conferma certa di essere pervenuta a destinazione; tra queste, per esempio, una richiesta di informazioni da parte dell’amministratore all’avvocato che cura una vertenza giudiziaria per il condominio o una richiesta di preventivi alle ditte alle quali appaltare il rifacimento della facciata del condominio. In questi casi l’uso delle mail ben può sostituire il servizio postale ordinario.
Allo stato, però, questo “nuovo” strumento informatico è di difficile applicazione nell’ambito di un condominio, almeno, come sopra dedotto, nei rapporti tra amministratore e condomini, che sovente ne sono sprovvisti; ma certamente può essere utilizzata per ogni informazione da trasmettere a coloro che già posseggono un indirizzo di posta elettronica certificata.
E’ presumibile che in un prossimo futuro la posta elettronica certificata possa diventare uno strumento validamente impiegato, considerato anche che si potranno compensare gli attuali costi delle raccomandate con avviso di ricevimento con quelli di un gestore accreditato.

di Gian Vincenzo Tortorici
Direttore CSN Anaci

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mercoledì 27 luglio 2016

La dimostrazione che una raccomandata sia stata ricevuta dal destinatario non vale a dimostrare quale fosse il contenuto della lettera

La dimostrazione che una raccomandata sia stata ricevuta dal destinatario non vale di per sé a dimostrare quale fosse il contenuto della lettera; pertanto, in caso di contestazione, è onere di chi pretende che da quella ricezione siano derivati effetti giuridici di dimostrare il reale contenuto della lettera. Con riferimento all'ipotesi analizzata dalla Cassazione, il destinatario può contestare che il documento contenuto nel plico chiuso a lui spedito non contenga alcuna intimazione di pagamento o che il plico sia stato consegnato vuoto ovvero che contenga una dichiarazione non corrispondente a quella di cui il mittente conservi la copia. Si può evitare tali situazioni con una raccomandata “senza busta” chiamata anche raccomandata “alla francese”.


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martedì 5 luglio 2016

CASSAZIONE 12 MAGGIO 2005, N. 10021: l'aver ricevuto una raccomandata non può dimostrare quale fosse il contenuto della lettera



CASSAZIONE 12 MAGGIO 2005, N. 10021

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Francesco SABATINI - Presidente
Dott. Michele VARRONE - Consigliere
Dott. Fabio MAZZA - Rel. Consigliere
Dott. Alberto TALEVI - Consigliere
Dott. Raffaele FRASCA - Consigliere
           
ha pronunciato la seguente                                          

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G. COSTRUZIONI SPA, in persona del suo legale rappresentante p.t. ing. G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell'avvocato V. Z., che la difende, giusta delega in atti;                                                    
                                                      - ricorrente -

contro
SUD FACTORING SPA in liquidazione, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore dott. G. C. elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato B. P., rappresentato e difeso dall'avvocato F. S., giusta delega in atti;                                              
                                              - controricorrente -

avverso la sentenza n. 350/01 della Corte d'Appello di CATANZARO, seconda sezione civile emessa il 19/06/2001, depositata il 16/10/01; RG. 44/1999; 


udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza. Del 04/04/05 dal Consigliere Dott. Fabio MAZZA; 
udito l'Avvocato V. Z.; 
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Renato FINOCCHI GHERSI che ha concluso per rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La spa Sud Factoring, dichiarando di essere cessionaria del credito di lire 9.457.435, originariamente vantato dalla sas Tecnomarmi nei confronti della spa G. Costruzioni, otteneva dal Presidente del Tribunale di Catanzaro un decreto ingiuntivo di pari importo, oltre accessori, a carico del debitore ceduto. La soc. ingiunta proponeva opposizione deducendo di aver saldato il suo debito con pagamento alla Tecnomarmi e di non aver ricevuto la notifica della cessione. La soc. opposta produceva la ricevuta di ritorno di raccomandata da essa inviata alla soc. G. costruzioni e l'attestazione dell'Amministrazione postale di Bari, dalla quale risultava l'avvenuto ricevimento della raccomandata in data 2.7.1991. Il Tribunale, in accoglimento dell'opposizione, revocava il decreto opposto, osservando che la soc. opposta non aveva provato di aver validamente notificato la cessione, in quanto non aveva prodotto la copia della lettera di comunicazione e la distinta di spedizione. In accoglimento dell'impugnazione proposta dalla Sud Factoring, la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza 16.10.2001, rigettava l'opposizione, avendo ritenuto provata l'avvenuta comunicazione della cessione. Avverso la sentenza di appello la G. Costruzioni propone ricorso per cassazione con due mezzi di gravame. La soc. intimata resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte di Appello di Catanzaro ha osservato che la Sud Factoring ha prodotto sia la ricevuta di ritorno, sia l'attestazione dell'Amministrazione Postale di Bari, dalla quale risulta che la raccomandata è stata consegnata alla Gatto Costruzioni in data 2.7.1991; che la suddetta società Sud Factoring non poteva provare il contenuto di tale raccomandata, essendo questa in possesso della società destinataria, cui incombeva l'onere di dimostrare che la lettera recava comunicazione diversa da quella concernente la cessione del credito. Ha quindi dedotto dall'assenza di tale dimostrazione l'avvenuta comunicazione della cessione.
Il ricorrente, con il primo mezzo di gravame, lamenta la violazione degli artt. 2697 del codice civile e 115 del codice di rito. Osserva che la sola dimostrazione della consegna della lettera raccomandata non vale ad invertire l'onere della prova circa l'avvenuta comunicazione della cessione del credito. Rileva ancora che la soc. Sud Factoring non ha prodotto altri elementi a sostegno del suo assunto, quali la copia della lettera, né ha chiesto sul punto la prova per testi e l'interrogatorio. Con la seconda doglianza, il ricorrente lamenta insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia che indica nella ritenuta prova della comunicazione ed afferma essere illogico l'assunto del giudice circa l'onere della prova della comunicazione. Le due censure, essendo strettamente connesse, devono essere esaminate congiuntamente e risultano fondate. L'art. 2697 del codice civile stabilisce che chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. L'avvenuta comunicazione della cessione del credito è certamente un presupposto di fatto del diritto vantato dal cessionario e, come tale, deve essere da lui provato. Detta prova consiste nel dimostrare che la notizia della avvenuta cessione è pervenuta a conoscenza del debitore ceduto e, a tal fine, è sufficiente che la relativa comunicazione sia pervenuta nella sfera di conoscibilità del destinatario, secondo quanto disposto dall'art. 1335 cc, con razionale temperamento del principio della cognizione. Ma la lettera di cui, come nel caso in esame, sia contestato il contenuto, non vale a provare che la notizia in questione sia giunta nella sfera di conoscibilità del debitore ceduto, poiché in tal caso l'onere gravante sul cessionario non è compiutamente assolto. La lettera, infatti, poteva avere qualsiasi contenuto, anche del tutto estraneo alla cessione, o poteva non averne alcuno, anche per semplice disguido di spedizione, pur sempre possibile. Del resto, l'assunto del giudice a quo, secondo cui la mancanza di prova, da parte del destinatario, circa il diverso contenuto della lettera, sta a dimostrare l'avvenuta comunicazione della cessione, appare essere viziato da evidente illogicità, ove si consideri doverosamente che la busta della raccomandata poteva essere priva di contenuto o, invece, avere un contenuto irrilevante e tale, quindi, da non richiedere di essere conservato. Devesi pertanto affermare il principio secondo cui la sola ricezione della busta raccomandata da parte del destinatario non costituisce prova del contenuto di essa e a tale principio vorrà uniformarsi il giudice del rinvio. La sentenza impugnata deve essere quindi cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

PQM
La Corte
Accoglie il ricorso. Cassa e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro, anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, addì 4.4.2005

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 12 MAG. 2005
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giovedì 7 gennaio 2016

Come deve essere comunicato l'avviso di convocazione dell'assemblea?

L'avviso di convocazione dell assemblea deve essere comunicato nelle forme tassativamente previste dalla legge e il condominio ha l'onere di provarne la regolare comunicazione

Cassazione ordinanza 23 giugno 2015 n. 13015

Secondo l'art. 66 co.3 delle disposizioni di attuazione del codice civile l'avviso di convocazione "deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione".
Le prime sentenze in materia di forma dell'avviso di convocazione ritengono che l'elencazione contenuta nella norma sia da considerare tassativa (cfr. Trib. Genova 23 ottobre 2014 n. 3350) e che non ammetta mezzi analoghi.
La norma non specifica però se la raccomandata postale debba essere corredata di avviso di ricevimento o meno.
Se nessuno può ritirare la missiva al momento della consegna, il portalettere deve introdurre nella cassetta postale del destinatario un avviso di giacenza.
La giurisprudenza ha specificato che al momento del deposito dell'avviso in cassetta la comunicazione si ha per conosciuta legalmente, potendosi considerare operante la cool detta presunzione di conoscenza degli atti recettizi disciplinata dall'art. 1335 c.c..
Tuttavia, in caso di contestazione da parte del condomino relativamente alla corretta convocazione a partecipare all'assemblea di condominio al condominio convenuto in giudizio dare prova della regolare comunicazione del predetto avviso.
Solitamente si ritiene che in questi casi sia sufficiente produrre in giudizio la distinta delle raccomandate attestanti l'invio dell'avviso di convocazione, non sempre è così.
Il condomino aveva impugnato la deliberazione assembleare lamentando di non essere stato convocato. In primo grado il Tribunale accoglieva la domanda, mentre in secondo grado la Corte d'Appello ribaltava la decisione affermando che era provato che la comunicazione era andata a buon fine stante l'inserimento nella cassetta postale dell'avviso di giacenza. La Corte di Cassazione è andata in diverso avviso circa la legittimità di tale affermazione.
Si legge nell'ordinanza che "l'avviso di convocazione era stato spedito a mezzo posta e, pacificamente, non consegnato al destinatario, con la conseguenza che era onere del condominio provare non solo la spedizione, ma anche che l'avviso di giacenza (adempimento che consente di acquisire conoscenza dell'invio della comunicazione e la conoscibilità del suo contenuto) fosse stato immesso nella cassette postale del destinatario".
Si pone dunque maggiore rigore nella considerazione dell'avvenuta conoscenza della convocazione in capo al destinatario assente, richiedendosi anche la prova dell'immissione in cassetta dell'avviso di giacenza.
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lunedì 16 novembre 2015

PROBLEMI CON LA PEC (Posta elettronica certificata)

Se la casella PEC è piena, disattivata o non funziona la notifica è nulla?

Il destinatario della posta elettronica certificata ha un obbligo di curare il proprio account, tuttavia la norma presenta delle lacune: la sentenza del tribunale di Viterbo.
La nuova forma di notifica a mezzo di posta elettronica certificata sta generando non poche perplessità sia tra i cittadini, timorosi che un uso non corretto della propria casella email possa implicare decadenze dalla possibilità di azionare i propri diritti a seguito, per esempio, del ricevimento di un atto processuale, di una cartella esattoriale, di una multa, ecc. Ma anche tra gli stessi professionisti che, a breve, conosceranno nuove forme di irregolarità e improcedibilità degli atti processuali (e relative cause di nullità delle notifiche e sentenze) a causa di vizi “informatici”.
Quel che al momento è certo è che il titolare della PEC (sia esso un professionista, un imprenditore, una società, ecc.) ha l’onere di controllare periodicamente (più opportunamente, almeno una volta al giorno) la propria casella, per verificare l’eventuale arrivo di notifiche.
Una dimenticanza o l’incuria o anche la semplice incapacità di compiere tale adempimento potrebbe implicare seri problemi.
Difatti, se anche il destinatario è assente per lavoro, per malattia, o se incapace di utilizzare l’account, o ancora nell’ipotesi di un guasto tecnico al computer, o di assenza di linea internet, o di perdita della password e delle altre credenziali di accesso alla casella, la notifica si considera ugualmente perfezionata.
Quel che conta, infatti, è la ricevuta di conferma, da parte del gestore PEC, inoltrata al mittente.
Sarà questa la prova dell’avvenuta notifica, che farà sì che il procedimento si considera valido anche se il destinatario non ha preso visione della comunicazione o dell’atto.
Il problema, però, potrebbe porsi nel caso di casella piena (ossia priva di spazio libero), in quello di PEC non funzione o, ancora, nell’ipotesi di disattivata volontariamente da parte del destinatario. 

In questi casi, la notifica può considerarsi ugualmente valida?

Una recente sentenza del tribunale di Viterbo, citata in un noto portale internet, sosterrebbe di sì.
Sembra quasi che il giudice abbia voluto, in questo modo, addossare la responsabilità per la mancata notifica, e cura del proprio account di PEC, al relativo proprietario.
Quest’ultimo, pertanto, oltre all’obbligo di controllare periodicamente la casella, dovrebbe anche scaricare i messaggi e poi cancellarli, in modo da liberare lo spazio per le successive notifiche.
Stesso discorso per il caso di non funzionamento o di disattivazione dell’account, artificio che potrebbe evidenziare l’intenzione di rendersi deliberatamente irreperibili (un po’ come cancellare il nome dal citofono o dal box della posta).

La sentenza in commento è tuttavia criticabile

Innanzitutto essa non tiene conto del fatto che, per legge, la notifica via PEC si considera valida solo nel momento in cui il mittente riceve la mail con la conferma di recapito del messaggio, mail che è inoltrata dal Gestore: cosa che, ovviamente, non avviene se l’account del destinatario non esiste più o è pieno. Il mittente, infatti, non avrebbe la prova del regolare compimento di tale formalità.
Peraltro, la normativa del 2012 prevede che, in caso di non funzionamento della PEC dell’avvocato per fatto a lui imputabile, la notifica debba avvenire in cancelleria.
Il che funziona un po’ come il vecchio deposito presso la Casa Comunale, come residuale mezzo per consentire al destinatario di venire, in qualche modo, a conoscenza dell’atto.
Ebbene, se ciò è previsto per gli avvocati non si vede perché non debba avvenire anche per le parti e per i cittadini.
Di fatto, la norma è completamente lacunosa su tale aspetto. Sarà la giurisprudenza a chiarire in futuro come ci si debba comportare, salvo un (auspicato) intervento del legislatore.


Sullo stesso argomento:
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Sentenza Cassazione n° 27526/2015



La Cassazione ha chiarito che la lettera raccomandata spedita a mezzo del servizio postale, non consegnata al destinatario a causa della sua assenza e/o delle persone abilitate a riceverla, si presume pervenuta alla data in cui è rilasciato il relativo avviso di giacenza presso l’ufficio postale.


Resta dunque irrilevante, ai fini della tempestività della disdetta, il periodo legale del compimento della giacenza e quello intercorso tra l’avviso di giacenza e l’eventuale ritiro da parte del destinatario.
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martedì 10 febbraio 2015

Assemblea di condomino, ordine del giorno, varie ed eventuali



L’avviso di convocazione dell’assemblea deve contenere l’elenco preciso delle materie da trattare; questo elenco viene detto "Ordine del Giorno".
In base all'ordine del giorno i condomini hanno la possibilità di informarsi ed essere così pronti ad affrontare gli argomenti trattati senza incorrere in "sorprese".
L'Assemblea viene "convocata" in prima convocazione e, a distanza di oltre 24h, in seconda convocazione se nella data precedente non si è raggiunto il numero legale delle teste e dei millesimi per poter affrontare gli argomenti che, devono essere gli stessi in entrambe le adunanze.
Gli argomenti non possono essere vaghi, ma devono essere indicati in modo chiaro. La descrizione dell'argomento può essere sintetica e non è obbligatorio che abbiano un'indicazione particolareggiata, ma che si capisca il fine dell'argomento stesso consentendo la discussione e la delibera in merito da parte dell'assemblea. Vedi sentenze di Cassazione nr. 23269/2005 e nr. 14814/2006
Per quanto sin'ora detto, se la descrizione dell'argomento è generica, la delibera assembleare è annullabile, ovvero entro 30 giorni per i presenti in assemblea (di persona o per delega) e 30 giorni del ricevimento del verbale per gli assenti.
La genericità dell'argomento o la sua incompletezza non comporta necessariamente l’invalidità della delibera, ma la stessa è valida se il condomino sia stato compiutamente informato in altro modo che non sia quello della convocazione ufficiale.
La preventiva informazione non è infatti un adempimento formale, ma risponde solo all’esigenza di mettere tutti i condomini a conoscenza degli argomenti che verranno affrontati, come da Cassazione nr.63/2006.
Se uno o più degli argomenti inseriti all’ordine del giorno dovessero richiedere una discussione particolarmente lunga, la riunione potrà essere proseguita in altra data e la nuova riunione, come da Cassazione nr. 1516/1988, sarà considerata come la legittima continuazione della precedente assemblea a condizione che il rinvio sia stabilito con l’accordo degli intervenuti e che a tutti coloro che risultavano assenti venga comunicata la data fissata per la prosecuzione dell’assemblea.
L’ultimo punto dell’ordine del giorno generalmente viene inserito con la dicitura “varie ed eventuali” e sotto questa voce vengono indicate le materie che l’amministratore o i partecipanti intendono trattare a puro titolo informativo.
Sotto tale voce infatti è consentita solo la discussione su argomenti di ordinaria amministrazione, ed in particolare vi si fanno rientrare indicazioni, suggerimenti, solleciti, richieste di chiarimenti o raccomandazioni al fine di una migliore gestione del condominio.
Se in seguito alle informazioni fornite o alla discussione che ne è scaturita, dovesse sorgere la necessità di assumere una delibera sott la voce “varie ed eventuali”, si dovrà rimandarne la decisione ad un’altra assemblea in cui l’argomento venga indicato come espressamente nell’ordine del giorno.
In questo modo tutti i condomini, compresi quelli che non hanno partecipato alla precedente assemblea, ne saranno messi a conoscenza e si eviterà il rischio che venga presa una delibera su argomenti non inseriti nell’ordine del giorno.
Non è possibile infatti, come da cassazione nr. 4316/1986, fare rientrare sotto la voce “varie ed eventuali” esborsi di spesa, salvo che si tratti di esborsi minimi, o decisioni relative al rifacimento della facciata del condominio o innovazioni riguardanti parti comuni dell’edificio, oppure la stipula di un contratto di assicurazione contro gli incendi così come il pagamento del compenso ad un professionista che ha operato per il condominio.
Nel caso in cui si deliberi ugualmente su uno di questi argomenti non inclusi nell’ordine del giorno, la delibera è invalida e può essere impugnata.
Secondo numerosi giuristi, la voce “varie ed eventuali” può comprendere comunicazioni da parte dell’amministratore o dei condomini senza che da ciò ne derivino impegni di spesa per il condominio, salvo minimi esborsi; suggerimenti e raccomandazioni rivolte dai condomini nei confronti dell’amministratore e viceversa; richieste di chiarimenti rivolte dai condomini allo stesso amministratore al fine di ottenere indicazioni operative in merito a particolari condotte o prassi applicative; richieste di inserimento di una determinata questione o argomento all’ordine del giorno di una prossima assemblea; relazioni di aggiornamento su questioni già oggetto di precedente discussione all’esito di mandati esplorativi o di attività di scrutinio e selezione di preventivi di spesa ed argomenti di secondaria importanza e di minimo rilievo pratico tali pertanto da non richiedere una specifica menzione nell’ordine del giorno e di essere oggetto di una deliberazione assembleare.
Per quanto sopra, quindi, qualora a seguito dell’informazione e della relativa discussione sul punto dovesse emergere la necessità di votare su una specifica questione particolarmente rilevante, l’assemblea dovrà essere aggiornata ad altra data e l’argomento dovrà essere inserito espressamente nel relativo ordine del giorno.
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martedì 4 giugno 2013

RACCOMANDATE: avvisi di giacenza, tempistiche

Si considera l’avviso di giacenza per la conoscenza

Non conta la data dell’eventuale ritiro da parte del destinatario, ma quella in cui è rilasciato l'avviso di giacenza.

Cosa succede se non ritirate la raccomandata che il postino ha tentato di consegnarvi?

Le ragioni possono essere tante: un vostro rifiuto, il rifiuto da parte dei soggetti legittimati a ritirare la posta al posto vostro, ma anche la momentanea assenza dal domicilio, oppure un cambio di residenza non ancora comunicato alle autorità amministrative. Fatto sta che il postino è tenuto a riportare il plico presso l’ufficio postale dove rimane per 30 giorni. È quella che viene detta “giacenza”.

Cosa succede in pratica? 

In buona sostanza, il portalettere, quando non trova il destinatario della raccomandata, gli lascia un avviso di giacenza nella cassetta delle lettere (si tratta di una cartolina bianca o di uno “scontrino” stampato da moderni terminali). In tale avviso viene indicato l’ufficio postale e il giorno a partire dal quale sarà possibile andare a ritirare la raccomandata.

La compiuta giacenza 

Se entro 30 giorni il destinatario non ritira la lettera presso l’ufficio postale indicato nell’avviso di giacenza, si forma quella che tecnicamente viene detta “compiuta giacenza”, ossia la raccomandata si presume come consegnata (almeno ai fini legali) e, nello stesso tempo, viene restituita al mittente con un timbro (o una scritta a penna del postino) che indica, appunto, la compiuta giacenza. In questo modo, la busta così riconsegnata al mittente farà fede sia ai fini della prova dell’avvenuta spedizione che del tentativo di consegna.

Quando si presume conosciuta la raccomandata?

Come detto, ai fini della legge, una raccomandata non ritirata è considerata al pari di una consegnata regolarmente, sempre che l’indirizzo del destinatario sia stato indicato correttamente (così non sarebbe, per esempio, se il destinatario, pur non avendo rimosso il proprio nome dalla buca delle lettere, ha cambiato ufficialmente residenza).
Con una recente sentenza [n. 27526/2015]
La sentenza è stata resa in tema di locazioni: la Corte ha deciso un caso di una lettera contenente la disdetta di un contratto di affitto.
Per valutare se essa era pervenuta nei termini per interrompere l’automatico rinnovo del contratto, i giudici hanno ritenuto di dover prendere in considerazione il momento in cui il plico è recapitato al suo indirizzo e non il diverso momento in cui questi ne prenda effettiva conoscenza.
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