lunedì 19 marzo 2018

CASSAZIONE: La condominialita’ del lastrico va ricercata nella funzione di copertura dell’edificio - 01/03/2018, N. 4906



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. GIUSTI  Alberto  -  Presidente   
Dott. PICARONI  Elisa  -  Consigliere  
Dott. GRASSO  Giuseppe  -  Consigliere 
Dott. SCARPA  Antonio  -  Consigliere  
Dott. CRISCUOLO Mauro  -  rel. Consigliere  

ha pronunciato la seguente: 
                                         
ORDINANZA

sul ricorso 9344/2016 proposto da: 
B.A.,    BA.AN. elettivamente domiciliate in ROMA, presso lo studio dell'avvocato A. D. A., rappresentate e difese dall'avvocato R. M. giusta procura a margine del ricorso; 
- ricorrenti - 
E CONTRO
S.M.A.; 
- intimata - 

avverso la sentenza n. 4501/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 05/03/2015; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

S.M.A. ha agito nel dicembre 1998 contro le sorelle Ba. An. e A. per far accertare la proprietà comune del lastrico solare del fabbricato sito in (omissis), nel quale ella è proprietaria dell’appartamento avente ingresso da via (omissis), sottostante quello delle convenute, avente ingresso da via (omissis).
Lamentava che dal 1991-92 le convenute avevano realizzato una scala per accedere al lastrico, impedendole di recarvisi.
Nella resistenza delle convenute che affermavano di essere le costruttrici del lastrico in luogo dell’originario tetto in legno, eccependone l’usucapione, il Tribunale di Cagliari ha accolto la domanda principale, rilevando che l’opposizione all’accesso della S. risaliva a sei - sette anni prima dell’atto di citazione e che la costruzione della scala di accesso risaliva al 1980, epoca insufficiente al maturare dell’usucapione in favore delle B. .
La Corte di appello di Cagliari con sentenza dell’8 aprile 2008 ha confermato la sentenza di primo grado, osservando che era irrilevante che l’attrice non avesse accesso diretto al lastrico, ma vi giungesse attraverso un edificio confinante di proprietà della sorella.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4501/2015 ha rigettato il ricorso delle B., osservando che correttamente era stata ravvisata la comproprietà del bene in capo alla S. in applicazione della previsione di cui all’art. 1117 c.c., rientrando il bene conteso tra quelli appunto contemplati dalla norma in questione.
A nulla poi rilevava che la S. non avesse un accesso diretto al lastrico, circostanza che a detta delle ricorrenti avrebbe permesso di vincere la presunzione di cui all’art. 1117 c.c..
Tale norma, con riferimento ai beni in esso indicati e a quegli altri che assolvano in vario modo alle medesime funzioni (tra i quali rientrano i tetti e i lastrici solari, v. art. 1117 n. 1), atteso il carattere non tassativo dell’elencazione, non sancisce una mera presunzione di condominialità, ma afferma in modo positivo detta natura condominiale, che può essere esclusa non già con qualsiasi mezzo di prova (come sarebbe nell’ipotesi di presunzione), ma solo in forza di un titolo specifico, inevitabilmente in forma scritta, riguardando beni immobili. Correttamente i giudici di merito avevano concentrato la loro indagine sull’esistenza o meno di un titolo che riservasse la proprietà del lastrico solare ai danti causa nell’atto costitutivo del condominio, con la conseguenza che in assenza di un titolo siffatto, la proprietà era comune.
Dopo avere disatteso anche il quarto motivo di ricorso, con il quale si affermava che la S. non avrebbe contitolarità del lastrico solare dell’edificio condominiale poiché esso "dal punto di vista soggettivo è nel godimento esclusivo dei titolari del piano superiore", mancando "possibilità di accesso dal piano terreno", riteneva non decisiva l’affermazione dei giudici di merito che avevano ritenuto che non costituisse indebito esercizio di servitù, l’accesso al lastrico esercitato dalla S. passando attraverso un edificio alieno confinante. Ed, infatti trattasi di condotta che manifesta l’asservimento del lastrico solare, in comunione tra le parti, a favore del fondo posto a confine, e che contrasta con la costante giurisprudenza della Corte che reputa illegittima l’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale dal comproprietario per mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva ubicato nel medesimo fabbricato con altro immobile pure di sua proprietà estraneo al condominio.
Tuttavia tale affermazione non inficia la ratio della decisione, relativa alla proprietà condominiale del lastrico solare conteso. Infine, quanto al sesto motivo, la Corte chiariva che l’effettivo contenuto della decisione impugnata era nel senso che una volta riconosciuta la comproprietà di un bene condominiale, andava consentito al comproprietario di utilizzare il bene con le modalità di cui all’art. 1102 c.c., pur palesandosi illegittimo l’accesso attraverso altro fabbricato. Restava dunque ferma la validità della generica condanna delle convenute a non impedire l’accesso, se ed in quanto esercitato con modalità compatibili con tale norma.
Ba.An. e B.A. hanno proposto ricorso per revocazione avverso tale sentenza sulla base di un motivo. S.M.A. non ha svolto difese in questa fase. L’unico motivo di ricorso per revocazione denunzia l’errore di fatto nel quale sarebbe incorsa questa Corte, laddove è stata rigettata l’eccezione di usucapione formulata dalle ricorrenti.
Si rileva che erroneamente si sarebbe ritenuto non maturato il termine utile a tal fine, avuto riguardo al fatto che il primo atto di interversione del possesso sarebbe avvenuto solo 6-7 anni prima dell’introduzione del giudizio, risalendo invece la costruzione della scala esterna solo al 1980.
Si deduce a contrario che le ricorrenti avevano sempre sostenuto di avere utilizzato il lastrico in maniera esclusiva e da almeno 50 anni, in quanto, anche prima della creazione della scala esterna, il lastrico era raggiungibile tramite una scala a pioli sistemata all’interno dell’appartamento delle B., come peraltro confortato anche dalla deposizione testimoniale di A.M. .
Ne consegue che le ricorrenti avevano escluso la S. dal godimento del lastrico, utilizzandolo come proprietarie esclusive.
Il motivo è manifestamente infondato, in quanto la doglianza non si confronta con il tenore della decisione impugnata.
La Corte ha, invero, affermato che la natura comune del lastrico discendeva dalla sua qualificazione come bene condominiale rientrando evidentemente tra quelli di cui all’art. 1117 c.c., ed in assenza di un titolo contrattuale che deponesse in maniera inequivoca in senso contrario.
In tal senso, la sentenza impugnata, nell’esaminare il quarto motivo di ricorso che appunto mirava a contestare la natura comune del bene, sul presupposto che fosse stato goduto in maniera esclusiva dalle B., ha evidenziato che il lastrico assolveva alla sua naturale funzione di copertura di un fabbricato comune, che vedeva la sovrapposizione delle proprietà esclusive sia dell’attrice che delle convenute.
Non esistevano quindi obiettive caratteristiche strutturali che potessero far propendere per un asservimento esclusivo del lastrico all’uso ed al godimento solo di una parte dell’immobile, ribadendosi quindi, a pag. 7, che deve essere tenuto ben distinto "il profilo della destinazione strutturale dei tetti e lastrici solari, che fonda la condominialità, da quello del godimento di fatto, che esclude la condominialità solo se il bene non esplichi nel contempo funzione essenziale (ad es. di copertura) anche per la porzione di immobile dal quale non vi si acceda direttamente".
Alla luce di tali motivazioni, anche laddove voglia ravvisarsi un errore di fatto (il che non è dato affermare, non avendo la Corte sostenuto in sentenza l’esistenza di circostanze di fatto in contrasto con quanto dedotto dalle ricorrenti), lo stesso sarebbe del tutto privo del carattere della decisorietà, posto che l’acceso esclusivo al lastrico, ancorché risalente ad oltre cinquanta anni prima dell’introduzione del giudizio, non avrebbe menomato il compossesso della S. (e dei suoi danti causa), essendo la condominialità legata alla sola funzione obiettiva della copertura dell’immobile, essendo invece necessario ai fini dell’usucapione, come appunto evidenziato dalla pronuncia gravata, il compimento di uno specifico atto di interversione da parte del condomino, che non può essere ravvisato nel fatto che le sole B. potessero accedervi direttamente.
Il motivo appare quindi surrettiziamente volto a denunciare un errore di giudizio e ciò in contrasto con i limiti e le finalità dell’istituto della revocazione.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese atteso che l’intimata non ha svolto attività difensiva.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2018
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mercoledì 7 marzo 2018

Dichiarazione precompilata 2018: C’è tempo fino al 9 marzo per le comunicazioni di asili nido, amministratori di condominio ed enti che rimborsano le spese sanitarie

Gli asili nido, gli amministratori di condominio e gli enti e casse con finalità assistenziali possono effettuare l’invio dei dati per l’elaborazione della dichiarazione precompilata fino al 9 marzo anziché fino al 28 febbraio. Sempre al 9 marzo slitta il termine entro cui i contribuenti possono esercitare la propria opposizione all’utilizzo, ai fini dell’elaborazione della dichiarazione precompilata, delle spese sostenute nel 2017 relativamente alle rette per la frequenza degli asili nido. Il nuovo termine, fissato con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, d’intesa con il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, è stato individuato per venire incontro alle esigenze manifestate dalle associazioni di categoria rappresentative dei soggetti obbligati alla trasmissione e non comprometterà la tempistica per l’elaborazione della dichiarazione precompilata. 

Quali sono i dati interessati - Entro il 9 marzo, gli asili nido devono trasmettere telematicamente alle Entrate una comunicazione con le informazioni relative alle spese sostenute dai genitori, e a eventuali rimborsi, avvenuti nell’anno precedente per ciascun figlio in relazione al pagamento di rette di frequenza e per i servizi formativi infantili. Gli amministratori di condominio devono, a loro volta, inviare i dati relativi alle spese di ristrutturazione edilizia e risparmio energetico effettuati sulle parti comuni, utilizzando le nuove specifiche tecniche che sono state adeguate alle disposizioni normative in tema di cessione del credito e perfezionate rispetto allo scorso anno. Infine, gli enti e le casse aventi esclusivamente fine assistenziale sono tenuti a trasmettere le informazioni sui rimborsi delle spese sanitarie, utilizzando le nuove specifiche tecniche, anch’esse perfezionate rispetto all’anno passato. 

Per gli asili nido, più tempo ai genitori per opporsi alla comunicazione - Con il Provvedimento di oggi, slitta al 9 marzo anche il termine, per i contribuenti che hanno sostenuto spese per le rette relative alla frequenza degli asili nido, per decidere di non rendere disponibili all'Agenzia delle Entrate i dati di queste spese, inclusi i relativi rimborsi ricevuti, e di non farli inserire quindi nella propria dichiarazione precompilata.
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Cittadini residenti nei Comuni colpiti dagli eventi sismici del 2016: La rateizzazione delle ritenute è possibile anche per chi è senza lavoro



I cittadini residenti nelle zone colpite dal terremoto dell’agosto 2016 non perdono il diritto a versare a rate le ritenute finora non operate anche se è venuto meno il loro rapporto di lavoro, ad esempio per sopravvenuta inoccupazione, nonché in caso di revoca della sospensione già richiesta. È questo il principale chiarimento della risoluzione n. 19/E di oggi, con cui l’Agenzia delle Entrate risponde ai quesiti ricevuti in materia di ripresa della riscossione delle ritenute sospese dal Dl n. 189/2016. 

I termini della ripresa - L’articolo 48 del Dl n. 189/2016 ha stabilito il termine del 31 maggio 2018 per la ripresa della riscossione delle ritenute non operate dai sostituti di imposta dietro richiesta dei residenti nei comuni colpiti dal sisma del 2016. Il versamento di queste ritenute può comunque essere effettuato senza applicazione di sanzioni e interessi mediante rateizzazione fino a un massimo di 24 rate mensili di pari importo, a decorrere dal 31 maggio 2018. I sostituti d’imposta che non hanno operato le ritenute, dietro richiesta dei contribuenti interessati, devono indicare l’ammontare delle ritenute operate, e quello delle ritenute sospese, nella Certificazione Unica (CU). Ciò per consentire ai contribuenti che hanno fruito della sospensione di effettuare i versamenti dovuti nei termini previsti. 

Cosa succede se non c’è più un rapporto di lavoro - Le Entrate affermano che il diritto alla rateazione sussiste anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro, ad esempio per sopravvenuta inoccupazione, nonché in caso di revoca della sospensione già richiesta. A decorrere dal 31 maggio 2018, pertanto, anche questi cittadini potranno rateizzare il versamento delle ritenute dovute fino a un massimo di 24 rate mensili di pari importo. 

La rateazione resta valida anche per gli eredi – Nel documento di prassi, l’Agenzia chiarisce che nel caso in cui sia sopravvenuto il decesso del soggetto che ha richiesto al proprio sostituto d’imposta la rateazione, il diritto alla rateazione sussiste anche in capo agli eredi. Questo in base a quanto disposto dall’articolo 65 del DPR n. 600 del 1973 in materia di obbligazioni tributarie degli eredi.
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Il voto in conflitto di interessi può generare invalidità della delibera - Cassazione 25/01/2018, N. 1853 - Il testo


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CASSAZIONE 25 GENNAIO 2018, N. 1853

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE 
SOTTOSEZIONE 2

Dott. MANNA  Felice  -  Presidente   
Dott. D'ASCOLA Pasquale  -  Consigliere  
Dott. ORICCHIO Antonio  -  Consigliere  
Dott. GRASSO Giuseppe  -  Consigliere  
Dott. SCARPA Antonio  -  rel. Consigliere  

ha pronunciato la seguente:  
                                        
ORDINANZA
sul ricorso 2026/2017 proposto da: 
C.G.,  G.F.,  N.M.S., CO.SA.,  A.R.E., elettivamente domiciliati in ROMA,, presso lo studio dell'avvocato A. T., rappresentati e difesi dall'avvocato M. S.; 
- ricorrenti - 

CONTRO
CONDOMINIO, elettivamente domiciliato in ROMA,  presso lo studio dell'avvocato F. D. C., rappresentato e difeso dall'avvocato D. S.; 
- controricorrente - 

avverso la sentenza n. 1666/2016 della CORTE D'APPELLO di CATANIA, depositata il 10/11/2016; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/12/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
             
FATTI DI CAUSA

G.F. , Co.Sa., A.R.E., C.G. e N.M.S. hanno proposto ricorso articolato in due motivi (violazione e falsa applicazione dell’art. 1394 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 2373 c.c.) avverso la sentenza 10 novembre 2016, n. 1666/2016, resa dalla Corte d’Appello di Catania, la quale, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Condominio (omissis), contro la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Catania, ha respinto l’impugnazione della deliberazione assembleare del 19 febbraio 2010.
Il Condominio (omissis), resiste con controricorso.
La Corte d’Appello di Catania ha escluso che fosse ravvisabile, in relazione all’impugnata deliberazione assembleare, un conflitto di interessi (in analogia al disposto di cui all’art. 2373 c.c.) in capo al condomino L.S. , in quanto titolare dell’impresa appaltatrice dei lavori di manutenzione dell’edificio condominiale, le cui spese erano state approvate appunto con la delibera del 19 febbraio 2010. Ha sostenuto la Corte d’Appello che fosse rimasta indimostrata la circostanza che i lavori condominiali, se affidati in appalto ad altra impresa, avrebbero comportato un risparmio di spesa rispetto al corrispettivo da versare all’impresa del condomino L., sicché mancava in concreto prova dello specifico conflitto di interessi denunciato.
Ora G.F., Co.Sa., A.R.E., C.G. e N.M.S., condomini che avevano proposto due distinte azioni ex art. 1137 c.c., poi riunite, allegano, col primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1394 c.c., giacché, a differenza di quanto affermato dalla Corte di Catania, per aversi annullamento del contratto concluso da rappresentante in conflitto di interessi, non occorrerebbe prova specifica di un concreto danno arrecato al rappresentato, avendo peraltro, nella specie, l’assemblea dovuto votare "in blocco" il bilancio consuntivo degli anni 2004-2008, con indicazione dei lavori eseguiti in un’unica voce, senza neppure poter verificare la convenienza di un’eventuale diversa offerta. Col secondo motivo, i ricorrenti prospettano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2373 c.c., ribadendo, pure con riferimento a questa norma, come per la rilevanza del conflitto di interessi basti la potenzialità del danno, nonché un potenziale conflitto tra l’interesse del singolo condomino e quello del condominio.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
I ricorrenti hanno presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c.. Va al riguardo premesso che, come questa Corte ha già precisato, l’art. 380-bis c.p.c., modificato dall’art. 1-bis del d.l. n. 168 del 2016 (conv., con modif., dalla l. n. 197 del 2016), non prevede che la "proposta" del relatore di trattazione camerale possa e debba essere motivata, potendo essa contenere sommarie o schematiche indicazioni, ritenute dal presidente meritevoli di segnalazione alle parti, al momento della trasmissione del decreto di fissazione della camera di consiglio, al fine di una spontanea e non doverosa agevolazione nell’individuazione dei temi della discussione, senza che possa riconoscersi un loro corrispondente diritto (Cass. Sez. 6 - 3, 22/02/2017, n. 4541).
I due motivi di ricorso si rivelano comunque il primo inammissibile ed il secondo infondato.
Il primo motivo rivela carenza di specificità e riferibilità della censura alla decisione impugnata. Si invoca dai ricorrenti, a parametro di legittimità della sentenza della Corte d’Appello di Catania, l’art. 1394 c.c., ma nella fattispecie astratta prevista da questa norma il conflitto di interessi si manifesta al momento dell’esercizio del potere rappresentativo, e verte sul contrasto tra l’interesse personale del rappresentato e quello, pure personale, del rappresentante, laddove, nel caso previsto dall’art. 2373 c.c., sul quale si è incentrata, piuttosto, la presente controversia, il conflitto di interessi si manifesta in sede di assemblea al momento dell’esercizio del potere deliberativo, e verte sul contrasto tra l’interesse proprio del partecipante al voto collegiale e quello comune della collettività (arg. da Cass. Sez. 1, 10/10/2013, n. 23089).
Il secondo motivo di ricorso è infondato alla stregua dell’orientamento espresso sul punto da questa Corte, che il Collegio intende riaffermare. Si è chiarito come, in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del "quorum" costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all’autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio (così Cass. Sez. 2, 28/09/2015, n. 19131; Cass. Sez. 2, 30/01/2002, n. 1201). È noto come tale orientamento discenda dal presupposto dell’ammissibilità, nella disciplina delle assemblee di condominio, di una "interpretazione estensiva" (o meglio, del ricorso ad un’applicazione analogica) dell’art. 2373 c.c., norma riguardante il conflitto di interessi del socio nelle deliberazioni della società per azioni. Nel testo dell’art. 2373 c.c., conseguente alla riformulazione operatane dal d. lgs. n. 6 del 2003, è venuta meno la disposizione che portava a distinguere, in caso di conflitto di interesse, tra quorum costitutivo dell’assemblea e quorum deliberativo della stessa, e si afferma unicamente che la deliberazione approvata con il voto determinante di soci, che abbiano un interesse in conflitto con quello della società, è impugnabile, a norma dell’art. 2377 c.c., qualora possa recarle danno. Nella ricostruzione da ultimo offerta da Cass. Sez. 2, 28/09/2015, n. 19131 (ma si veda anche Cass. Sez. 2, 16/05/2011, n. 10754), dunque, soltanto se risulti dimostrata una sicura divergenza tra l’"interesse istituzionale del condominio" e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti, i quali non si siano astenuti ed abbiano, perciò, concorso con il loro voto a formare la maggioranza assembleare, la deliberazione approvata sarà invalida. L’invalidità della delibera discende, quindi, non solo dalla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione. Il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condomini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell’interesse condominiale all’utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell’edificio. In ogni modo, il sindacato del giudice sulle delibere condominiali deve pur sempre limitarsi al riscontro della legittimità di esse, e non può estendersi alla valutazione del merito, ovvero dell’opportunità, ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei partecipanti (si veda, ad esempio, Cass. Sez. 2, 20/06/2012, n. 10199). L’impugnazione ex art. 1137 c.c., grazie anche al rinvio all’art. 1109 c.c. consentito dall’art. 1139 c.c., si amplia al più all’ipotesi in cui la delibera ecceda dai poteri dell’organo assembleare, non potendosi consentire alla maggioranza del collegio, distolta dal perseguimento di interessi particolari, di ledere l’interesse collettivo. Allorché la decisione dell’assemblea sia deviata dal suo modo di essere, perché viene formata con il voto determinante di partecipanti ispirati da finalità extracondominiali, al giudice non può quindi chiedersi comunque di controllare l’opportunità o la convenienza della soluzione adottata dal collegio, quanto, piuttosto, di stabilire che essa non costituisca il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’organo deliberante (cfr. Cass. Sez. 6 2, 21/02/2014, n. 4216; Cass. Sez. 2, 14/10/2008, n. 25128). Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Catania ha fatto corretto uso di questi principi, motivatamente escludendo che, nell’approvare con la delibera del 19 febbraio 2010 le spese dell’appalto eseguito dall’impresa del condomino L. , l’assemblea dei condomini, supportata dal voto dello stesso L. , abbia perseguito apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione di interessi incompatibili con l’interesse collettivo alla buona gestione dell’amministrazione.
Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati a rimborsare al Condominio controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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Il voto in conflitto di interessi può generare invalidità della delibera - Cassazione 25/01/2018, N. 1853 - Il commento


In tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del "quorum" costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all’autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio (così Cass. Sez. 2, 28/09/2015, n. 19131; Cass. Sez. 2, 30/01/2002, n. 1201).

Soltanto se risulti dimostrata una sicura divergenza tra l’"interesse istituzionale del condominio" e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti, i quali non si siano astenuti ed abbiano, perciò, concorso con il loro voto a formare la maggioranza assembleare, la deliberazione approvata sarà invalida. L’invalidità della delibera discende, quindi, non solo dalla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione. Il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condomini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell’interesse condominiale all’utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell’edificio. 
Allorché la decisione dell’assemblea sia deviata dal suo modo di essere, perché viene formata con il voto determinante di partecipanti ispirati da finalità extracondominiali, al giudice non può quindi chiedersi comunque di controllare l’opportunità o la convenienza della soluzione adottata dal collegio, quanto, piuttosto, di stabilire che essa non costituisca il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’organo deliberante (cfr. Cass. Sez. 6 2, 21/02/2014, n. 4216; Cass. Sez. 2, 14/10/2008, n. 25128).

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Manca la firma del presidente sul verbale. L'omissione non comporta l'automatica invalidità della delibera - Cassazione 16/11/2017, N. 27163 - Il testo


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CASSAZIONE 16 NOVEMBRE 2017, N. 27163

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE 
SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. PETITTI  Stefano  -  Presidente   
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni  -  Consigliere  
Dott. PICARONI Elisa  -  Consigliere  
Dott. ABETE  Luigi -  Consigliere  
Dott. SCARPA  Antonio  -  rel. Consigliere  
ha pronunciato la seguente:     
                                     
ORDINANZA

sul ricorso 20459/2016 proposto da: 
CONDOMINIO, rappresentato e difeso dall'avvocato  G. G.; 
- ricorrente - 

CONTRO
L.R.A.,   S.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA AQUILEIA 12, presso lo studio dell'avvocato A. M.,  rappresentati e difesi dall'avvocato V. C.; 
- controricorrenti - 

avverso la sentenza n. 274/2016 della CORTE D'APPELLO di PALERMO,  depositata il 12/02/2016; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/10/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.            

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Condominio di via (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, avverso la sentenza della Corte d'Appello di Palermo n. 274/2016 del 12 febbraio 2016, che, accogliendo l'appello avanzato dal condomino S.N. contro la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Palermo, aveva annullato la deliberazione assembleare del 9 febbraio 2006, attesa la mancata sottoscrizione del verbale da parte del presidente della riunione. Resistono con controricorso L.R.A. e S.G., eredi di S.N.. La Corte d'Appello ha affermato che, essendo la presenza del presidente dell'assemblea imposta dall'art. 10 del regolamento condominiale del Condominio di via (OMISSIS), ne dovesse essere necessaria, ai fini della validità della deliberazione, pure la firma del verbale.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c., in relazione all'art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 07/03/2005, n. 4806, hanno affermato il principio per cui, in tema di condominio negli edifici, debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto.

Nella disciplina del condominio antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 220 del 2012 (ratione temporis applicabile per giudicare la validità dell'impugnata deliberazione assembleare risalente al 9 febbraio 2006), non esisteva alcuna prescrizione legale che imponesse la nomina del presidente dell'assemblea, facendo a tale figura riferimento soltanto l'art. 67 disp. att. c.c., comma 2; nè tale obbligo poteva desumersi per implicito dall'obbligo di redazione del processo verbale delle deliberazioni (ora "delle riunioni") dell'assemblea stabilito dall'art. 1136 c.c., comma 7. Tanto meno sussiste, prima come dopo la Riforma del 2012, una disposizione di legge che prescriva (a differenza di quanto il Codice civile fa all'art. 2375, per le deliberazioni dell'assemblea delle società per azioni) che le delibere dell'assemblea dei condomini debbano constare da verbale sottoscritto dal presidente e dal segretario. E' la natura di organo collegiale dell'assemblea condominiale che lascia presumere che essa agisca sotto la direzione del presidente, il quale ne accerta la regolare costituzione, apre e regola la discussione sugli argomenti indicati nell'ordine del giorno, indice la votazione e ne dichiara il risultato, conferendo all'assemblea concretezza di espressione comunicativa (arg. da Cass. Sez. 2, 13/11/2009, n. 24132).

In epoca risalente, questa stessa Corte aveva così affermato che, proprio perchè la nomina del presidente e del segretario dell'assemblea dei condomini non è prevista da alcuna norma (come anche la redazione per iscritto del verbale che non incida su diritti reali immobiliari), le eventuali irregolarità formali relative alla nomina del Presidente e del segretario dell'assemblea dei condomini non comportano l'invalidità delle delibere dell'assemblea (Cass. Sez. 2, 16/07/1980, n. 4615; Cass. Sez. 2, 27/06/1987, 5709). E' stato invece di recente riaffermato che l'effetto della sottoscrizione del verbale ad opera del presidente e del segretario della riunione è unicamente quello di imprimervi il valore probatorio di scrittura privata con riguardo alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori (Cass. Sez. 6 - 2, 09/05/2017, n. 11375). La Corte d'Appello di Palermo ha desunto che l'invalidità del verbale di assemblea, giacchè non sottoscritto da parte del presidente, discendesse nel caso in esame dall'essenzialità di tale figura alla stregua dell'art. 10 del regolamento del Condominio di via (OMISSIS), ma non può logicamente concludersi che la disposizione regolamentare che obblighi l'assemblea a nominare un presidente comporti ex se l'automatica annullabilità del verbale comunque redatto sotto la direzione del presidente nominato e soltanto da questo non firmato.

Il primo motivo di ricorso deve, quindi, essere accolto, rimanendo assorbito il secondo motivo (in quanto attinente la regolamentazione delle spese processuali), e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo, che deciderà la causa uniformandosi agli enunciati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, regolando anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta - 2 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2017
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Manca la firma del presidente sul verbale. L'omissione non comporta l'automatica invalidità della delibera - Cassazione 16/11/2017, N. 27163 - Il commento



La sottoscrizione del verbale a cura del presidente e del segretario è utile, ai fini probatori, alla stessa stregua delle scritture private, per dimostrare la provenienza delle dichiarazioni da parte dei sottoscrittori. Peraltro, quand’anche l’obbligo di sottoscrizione fosse sancito dal regolamento condominiale, l’omissione non comporterebbe l’automatica invalidità della delibera, trattandosi comunque di verbale redatto sotto la direzione del presidente e soltanto da questo non firmato. La nomina del presidente e del segretario dell’assemblea dei condomini non è prevista da alcuna norma (come anche la redazione per iscritto del verbale che non incida su diritti reali immobiliari), le eventuali irregolarità formali relative alla nomina del Presidente e del segretario dell’assemblea dei condomini non comportano l’invalidità delle delibere dell’assemblea.

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La distanza tra edificio e strada, il marciapiede va conteggiato - TAR Calabria 17/01/2018 N. 138 - Il testo


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TAR CALABRIA 17 GENNAIO 2018, N. 138

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CALABRIA
SEZIONE SECONDA


ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 645 del 2016, proposto da:
Soc. Maredilia Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocatoAlfonso Guaragna, domiciliato ex art. 25 cpa presso Tar Segreteria in Catanzaro, via De Gasperi,76/B;

CONTRO

Comune di Tortora, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Pia Parise, domiciliato ex art. 25 cpa presso Tar Segreteria in Catanzaro, via De Gasperi, 76/B;
per l'annullamento
del provvedimento n.1727/16 di diniego definitivo della richiesta di permesso a costruire.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Tortora;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2018 il dott. Emiliano Raganella e uditi per leparti i difensori come specificato nel verbale;
La ditta ricorrente impugna, per violazione di legge ed eccesso di potere, il diniego di permesso di costruire, opposto dal Comune di Tortora, in relazione alla realizzazione di un immobile in contrada Riviera.

I motivi di diniego riguardano:
- l’impossibilità di accedere alla cessione della cubatura mancante, in applicazione dell’art. 13 del regolamento edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq;
- il mancato rispetto della distanza minima di m. 10 tra pareti finestrate di edifici;
- il mancato rispetto della distanza minima di m. 5 dal ciglio stradale.
In proposito, sostiene la società ricorrente: che non sono consentiti, da parte dell’autorità comunale, limiti ad un istituto civilistico, qual è la cessione di cubatura; che la distanza minima di m. 10 tra pareti finestrate di edifici non opera per le luci e quando solo una delle pareti antistanti risulta finestrata; che, nel computo della distanza minima di m. 5 dal ciglio stradale, non si deve tenere conto del marciapiede.

Resiste il Comune di Tortora.

Il ricorso è infondato e va respinto.
I rilievi della P.A. sono infatti da ritenere tutti legittimi, posto che:
a) lo strumento della cessione di cubatura (o asservimento), quale espressione dell’autonomia negoziale delle parti, è limitabile dalla Pubblica amministrazione solo espressamente ed a chiare e specifiche condizioni (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 27 ottobre 2015 n. 2260) che, nella fattispecie, si rinvengono nel disposto dell’art. 13 del regolamento edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq;
b) le distanze tra pareti di edifici ex art. 9, comma 1, D.M. 1444/1968 valgono non solo per le finestre, ma anche per le luci (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18 giugno 2009 n. 4015; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 2 dicembre 2010 n. 4374) e trovano applicazione anche quando solo una delle pareti antistanti risulta finestrata e non entrambe (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, 16 marzo 2010 n. 823). Inoltre, essendo finalizzate a stabilire un’idonea intercapedine tra edifici nell’interesse pubblico, e non a salvaguardare l’interesse privato del frontista alla riservatezza (cfr. Cass. civ., Sez. II, 26 gennaio 2001 n. 1108), la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio, ovvero di edifici distinti, non può dispiegare alcun effetto distintivo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2005 n. 6909 e T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 8 luglio 2010 n. 2461);
c) la distanza degli edifici dal limite della strada, che va misurata dal profilo estremo degli sporti al ciglio della via (cfr. Cass. civ., Sez. II, 3 agosto 1984 n. 4624), deve tenere conto del marciapiede, il quale fa parte della strada, quale tratto di essa situato fuori dalla carreggiata e normalmente destinato alla circolazione dei pedoni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del codice stradale.
La particolarità della fattispecie consente di compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. 
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Nicola Durante, Presidente
Emiliano Raganella, Primo Referendario, Estensore
Giuseppina Alessandra Sidoti, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Emiliano Raganella Nicola Durante
IL SEGRETARIO
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La distanza tra edificio e strada, il marciapiede va conteggiato - TAR Calabria 17/01/2018 N. 138 - Il commento

I marciapiedi devono essere conteggiati nel calcolo delle distanze tra l’edificio e la strada. Nella determinazione della distanza tra le pareti di due edifici bisogna tenere in considerazione l’interesse pubblico e non la privacy degli abitanti.



I giudici hanno spiegato che il marciapiede fa parte della strada, quale tratto di essa situato fuori dalla carreggiata e normalmente destinato alla circolazione dei pedoni. Fatta questa premessa, hanno concluso che la distanza degli edifici dal limite della strada, che va misurata dal profilo estremo degli sporti al ciglio della via, deve tenere conto del marciapiede.

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Se si costituisce una servitù non è possibile aprire la recinzione per accesso diretto alla proprietà - Cassazione 12/02/2018, N. 3345 - Il testo



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CASSAZIONE 12 FEBBRAIO 2018, N. 3345

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. BIANCHINI Bruno   -  Presidente   
Dott. MANNA   Felice  -  rel. Consigliere 
Dott. LOMBARDO  Luigi Giovanni  -  Consigliere 
Dott. CORRENTI  Vincenzo  -  Consigliere 
Dott. CRISCUOLO Mauro  -  Consigliere  
ha pronunciato la seguente:                                          
                     
ORDINANZA
                                   
sul ricorso 1396-2013 proposto da: 

C.F., domiciliata in ROMA ex lege, P.ZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE rappresentata e difesa dagli avvocati G. B., C. P.; 
- ricorrente - 

CONTRO
CO.LU., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell'avvocato M. A., rappresentata e difesa dall'avvocato C. D'A.; 
- controricorrente - 

avverso la sentenza n. 586/2012 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 04/05/2012; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/10/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.F., partecipante al condominio di via (OMISSIS), agiva nei confronti di Co.Lu., proprietaria di un fondo confinante con il fabbricato condominiale, per l'accertamento negativo (tra altre pretese non più in questione) del diritto di lei a scaricare acque nere nella condotta fognaria condominiale e di accedere al cortile del medesimo condominio tramite un cancello aperto tra quest'ultimo e la ridetta proprietà individuale.

Nel resistere in giudizio la convenuta eccepiva l'acquisto della servitù di scarico fognario per usucapione e deduceva di aver sempre esercitato il passaggio dal proprio fondo al cortile condominiale. (Proponeva anche domande riconvenzionali sul cui rigetto non vi è più questione in causa).

Le suddette domande della C., accolte in primo grado (insieme con altre), erano disattese dalla Corte d'appello dell'Aquila con sentenza n. 586 pubblicata il 4.5.2012. Riteneva la Corte distrettuale, limitatamente a quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, che la prova della maturazione del termine di usucapione della servitù di scarico fognario derivava dalla nuova produzione in appello, ammissibile ex art. 345 c.p.c., comma 3, per la sua indispensabilità, che dimostrava come l'allaccio della proprietà Co. alla fognatura condominiale era avvenuto nel 1968 (e non nel 1996, allorchè furono soltanto sostituite le vecchie tubazioni).

In merito al contestato passaggio, detta Corte osservava che non di una servitù di passo si trattava, ma del più inteso uso del cortile comune, compatibile con la prescrizione dell'art. 1102 c.c., giacchè "il passaggio della Co., attraverso il cancello pedonale dalla proprietà esclusiva sino al piazzale condominiale (ove la stessa è condomina), non intralcia(va) l'utilizzazione del cortile degli altri condomini" (v. pag. 12 sentenza impugnata).

La cassazione di quest'ultima sentenza è chiesta da C.F. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso Co.Lu..

Attivato il procedimento camerale ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., comma 1, introdotto, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L.31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 (applicabile al ricorso in oggetto ai sensi del medesimo D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 2), la ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Il primo motivo di ricorso espone la violazione o falsa applicazione dell'art. 1102 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Deduce parte ricorrente che nella sentenza impugnata è richiamata, a sostegno della decisione, giurisprudenza (Cass. n. 8830/03) che riferendosi al collegamento tra proprietà condominiale e proprietà esclusiva facente parte del medesimo fabbricato condominiale, non è pertinente alla fattispecie. Infatti, prosegue, il cancello di cui si discute mette in collegamento tra loro il cortile condominiale con altro immobile della Co. che non è ricompreso nell'edificio condominiale. E richiama, pertanto, altra giurisprudenza di questa Corte sulla relativa questione.

1.1. - Il motivo è fondato.

Dalla sentenza impugnata si ricava che il contestato cancello pedonale mette in comunicazione tra loro una proprietà esclusiva della Co. con il cortile del condominio cui quest'ultima partecipa (v. pag. 12 sentenza impugnata, nella parte sopra testualmente trascritta in narrativa). Dal che si ricava che tale collegamento avviene tra un'area condominiale ed una proprietà estranea al condominio stesso, da non confondersi con un'altra unità immobiliare appartenente alla stessa Co., ma facente parte del condominio di via (OMISSIS).

Questo essendo l'accertamento di fatto operato dalla Corte di merito, si rileva che la sentenza impugnata ha ritenuto che tale apertura sia legittima in quanto non pregiudica il pari godimento del cortile da parte degli altri condomini. Conclusione, questa, cui i giudici d'appello sono pervenuti richiamando in particolare (oltre ad altre sentenze del tutto non pertinenti al caso in esame) Cass. nn. 8591/99 e 42/00.

Entrambe dette sentenze, però, si riferiscono al diverso caso di modifiche apportate su di un muro o una recinzione comune che separavano un cortile condominiale deputato proprio all'utilità delle proprietà individuali.

In particolare, la prima delle due suddette sentenze, al di là di quanto riportato nella massima (non sufficientemente precisa), chiarisce in motivazione che "negli edifici soggetti al regime del condominio, ciascun partecipante ha il diritto di servirsi delle cose comuni a vantaggio del proprio piano o appartamento. Spesso il godimento si attua mediante l'imposizione sulla cosa comune di un vero e proprio peso a vantaggio della cosa propria: di uno di quei pesi che, al di fuori del condominio, darebbero luogo al sorgere di una servitù prediale (apertura di porte, finestre, luci, vedute sul cortile comune). Al singolo condomino non è consentito costituire sulla cosa comune una servitù a vantaggio della cosa propria, essendo richiesto per la costituzione della servitù il consenso (negoziale) di tutti i partecipanti (art. 1059 c.c.). Peraltro, non si fa luogo a costituzione di servitù quando la destinazione della cosa comune è precisamente quella di fornire alle unità immobiliari in proprietà esclusiva, site nell'edificio, quella specifica utilità, che formerebbe il contenuto di una servitù prediale. Per conseguenza, fino a che il partecipante, esercitando il suo diritto, rispetta la destinazione della cosa, di questa gode iure proprietatis. Non sussiste, infatti, imposizione di servitù sulla cosa comune, posto che il potere rientra tra quelli inerenti al diritto di condominio. Se invece il godimento del singolo partecipante si concreta in un peso sulla cosa comune, che la destinazione della cosa in sè non consente, tale forma di godimento non può essere giustificata con il diritto di condominio. In questo caso inevitabilmente si pone in essere una servitù e, per conseguenza, ogni atto di godimento di fatto assoggetta la cosa comune ad un peso, che le norme sul condominio non permettono".

Di qui l'inapplicabilità di tali precedenti al caso di specie. Il fatto che la Co. per altro titolo partecipi al condominio di via (OMISSIS), e perciò abbia al pari degli altri condomini libero accesso al cortile condominiale, non le attribuisce il potere di asservire tale bene comune al diverso ed adiacente altro suo immobile, che di tale condominio non fa parte.

E di conseguenza l'applicabilità, invece, del costante indirizzo di questa Corte in base al quale in tema di uso della cosa comune, viola l'art. 1102 c.c. l'apertura praticata da un condomino nella recinzione del cortile condominiale, senza il consenso degli altri condomini al fine di creare un accesso dallo spazio interno comune ad un immobile limitrofo di sua esclusiva proprietà, determinando, tale utilizzazione illegittima della corte condominiale, la costituzione di una servitù di passaggio a favore del fondo estraneo alla comunione ed in pregiudizio della cosa comune (v. Cass. n. 24243/08).

Nello stesso senso si è altresì affermato che l'azione con cui un condomino metta in comunicazione il cortile condominiale con una sua proprietà estranea alla comunione, determina uno stato di fatto corrispondente ad una servitù di passaggio sul cortile a favore di tale proprietà con la conseguenza che, come può subire l'eliminazione della predetta sua posizione di vantaggio ove i condomini esercitino vittoriosamente l'actio negatoria servitutis, così può consolidarla mercè l'esercizio continuato della servitù per il periodo utile all'usucapione, senza in ogni caso poter porre in essere, per il divieto dell'art. 1067 c.c., una situazione di aggravamento della servitù di fatto esercitata, sicchè questa si configura come molestia del possesso dei comproprietari del cortile (Cass. n. 5888/79; analogamente, v. anche Cass. nn. 23608/06, 9036/06, 17868/03, 360/95, 2773/92 e 5790/88).

2. - Il secondo motivo allega la violazione o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., comma 3, e art. 134 c.p.c., n. 4, nonchè dell'art. 118 disp. att. c.p.c. Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale abbia erroneamente identificato il riferimento all'anno 1968, contenuto nelle cartelle esattoriali relativi ai consumi idrici dell'immobile di proprietà Co., prodotte solo in appello, come dimostrativo dell'epoca di primo allaccio, lì dove, invece, tali documenti proverebbero soltanto che l'utenza della fornitura domestica del fabbricato della convenuta è stata attivata, con l'installazione del relativo contatore, nel 1968.

2.1. - Il motivo è inammissibile, in quanto implica un accertamento di puro fatto (relativo all'epoca di primo allaccio dell'utenza domestica dell'odierna parte controricorrente), precluso a questa Corte Suprema per i limiti interni che connotano il suo sindacato.

3. - L'accoglimento del primo motivo, imponendo con la cassazione parziale della sentenza impugnata un nuovo regolamento complessivo delle spese di giudizio, assorbe l'esame del terzo mezzo di censura, relativo, appunto, al capo della sentenza impugnata inerente alle spese.

4. - Per le considerazioni fin qui esposte, la sentenza impugnata va cassata, limitatamente al motivo accolto, e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa va decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, seconda ipotesi, per cui l'odierna controricorrente va condannata a rimuovere il cancello che collega la sua proprietà, adiacente al condominio di via (OMISSIS), con il cortile del medesimo condominio.

5. - Considerato che l'esito complessivo della lite registra una soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare integralmente fra le parti stesse le spese dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, respinto il secondo ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito condanna Co.Lu. a rimuovere il cancello che collega la sua proprietà, adiacente al cortile del condominio di via (OMISSIS), con il cortile del medesimo condominio; compensa integralmente fra le parti le spese dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2018
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