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martedì 8 maggio 2018

Cassazione: Se un condomino/avvocato difende il proprio condominio non concorre alle spese legali - 21 febbraio 2018, N. 4259 - Il commento

La Suprema Corte afferma, sulla base di un consolidato orientamento, di aver già sancito l’invalidità della deliberazione assembleare che «all’esito di un giudizio che abbia visto contrapposti il Condominio ed un singolo condomino, disponga anche a carico di quest’ultimo, “pro quota”, il pagamento delle spese sostenute dallo stesso Condominio per il compenso del difensore nominato in tale processo, non trovando applicazione nella relativa ipotesi, nemmeno in via analogica, gli artt. 1132 e 1101 c.c.



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Cassazione: Se un condomino/avvocato difende il proprio condominio non concorre alle spese legali - 21 febbraio 2018, N. 4259 - Il testo

CASSAZIONE 21 FEBBRAIO 2018, N. 4259

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE 



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Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. PICARONI  Elisa  -  Presidente   
Dott. GRASSO  Giuseppe  -  Consigliere  
Dott. ABETE  Luigi -  Consigliere  
Dott. SCARPA Antonio  -  rel. Consigliere  
Dott. CRISCUOLO Mauro  -  Consigliere  
ha pronunciato la seguente:        
                                  
ORDINANZA

sul ricorso 2240/2017 proposto da: 
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO LUIGI ANTONELLI, 10, presso lo studio dell'avvocato            C.A., che lo rappresenta e difende; 
- ricorrente - 

CONTRO
CONDOMINIO (OMISSIS); 
- intimato - 
avverso la sentenza n. 11351/2016 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 06/06/2016; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

L'avvocato C.A., condomino del Condominio (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi (violazione dell'art. 112 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell'art. 1123 c.c.; violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c.), avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 11351/2016 del 6 giugno 2016, che ne ha rigettato l'appello avanzato contro la sentenza resa in primo grado il 27 dicembre 2013 dal Giudice di Pace di Roma.

L'intimato Condominio (OMISSIS), non ha svolto attività difensive.

C.A. impugnò la deliberazione assembleare del 2 aprile 2013 approvata dal Condominio (OMISSIS), la quale aveva ripartito in parti uguali (Euro 14,00 per ogni condomino), e non secondo millesimi, le spese dovute dal medesimo Condominio per effetto della soccombenza maturata con riguardo al decreto ingiuntivo n. 1780/2013 del Giudice di Pace di Roma, pronunciato su domanda del medesimo avvocato C. per l'attività di difensore svolta in favore del Condominio. Il Giudice di Pace aveva dichiarato improcedibile l'impugnazione di delibera giacchè proposta con ricorso e non con citazione. Il Tribunale di Roma ha invece ritenuto legittima la ripartizione in quote paritarie delle spese di soccombenza derivanti dal decreto ingiuntivo n. 1780/2013 non opposto dal condominio, non esistendo tabelle millesimali e non essendo applicabile l'art. 1132 c.c. proprio perchè quest'ultimo non aveva deliberato di resistere alla pretesa monitoria.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c., in relazione all'art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio.

Il primo motivo di ricorso dell'avvocato C.A. è infondato. Se è vero che il Tribunale non ha espressamente statuito sul motivo d'appello relativo alla declaratoria di improcedibilità della domanda (la quale effettivamente contrastava con l'interpretazione fornita da Cass. Sez. Un. 14/04/2011, n. 8491, trovando nella specie applicazione l'art. 1137 c.c., nel testo antecedente alle modifiche introdotte con L. n. 220 del 2012, e dovendosi perciò ritenere comunque valida l'impugnazione delle delibere dell'assemblea proposta impropriamente con ricorso, purchè l'atto risultasse depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall'art. 1137 citato), è pur vero che la sentenza impugnata ha esaminato il merito della pretesa dell'attore appellante, con ciò implicitamente superando la questione di improcedibilità sollevata erroneamente dal Giudice di pace.

E' invece fondato il secondo motivo di ricorso.

Ove, come nel caso in esame, vi sia stata una condanna giudiziale definitiva del condominio, in persona dell'amministratore (nella specie, a seguito di decreto ingiuntivo non opposto), al pagamento di una somma di denaro in favore di un creditore della gestione condominiale (nella specie, dello stesso condomino avvocato C. a titolo di compenso per prestazioni professionali), la ripartizione tra i condomini degli oneri derivanti dalla condanna del condominio va comunque fatta alla stregua dei criteri dettati dall'art. 1123 c.c., salvo diversa convenzione (arg. da Cass. Sez. 2, 12/02/2001, n. 1959). Nè ha rilievo in senso contrario alla necessaria ripartizione interna dell'importo oggetto di condanna la mera mancanza formale delle tabelle millesimali (come considerato dal Tribunale di Roma), spettando semmai al giudice di stabilire l'entità del contributo dovuto dal singolo condomino conformemente ai criteri di ripartizione derivanti dai valori delle singole quote di proprietà (Cass. Sez. 2, 26/04/2013, n. 10081; Cass. Sez. 2, 30/07/1992, n. 9107). La deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione in parti uguali degli oneri derivanti dalla condanna del condominio, in deroga all'art. 1123 c.c., proprio come avvenuto nell'impugnata delibera del 2 aprile 2013, va peraltro certamente ritenuta nulla (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233).

E' egualmente fondato il terzo motivo di ricorso. Il Tribunale di Roma ha affermato che l'avvocato C., in quanto condomino, doveva egli stesso partecipare al pagamento delle spese legali in suo favore consacrate nel decreto ingiuntivo n. 1780/2013 non opposto dal condominio, richiamando la giurisprudenza sul necessario concorso del condomino danneggiato al risarcimento del danno da lui subito per effetto della mancata custodia o manutenzione di un bene comune. Questa Corte ha invece già sancito l'invalidità della deliberazione dell'assemblea che, all'esito di un giudizio che abbia visto contrapposti il condominio ed un singolo condomino, disponga anche a carico di quest'ultimo, "pro quota", il pagamento delle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore nominato in tale processo, non trovando applicazione nella relativa ipotesi, nemmeno in via analogica, gli artt. 1132 e 1101 c.c. (Cass. Sez. 2, 18/06/2014, n. 13885; Cass. Sez. 2, 25/03/1970, n. 801).

Il secondo motivo ed il terzo motivo di ricorso devono, quindi, essere accolti, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, che deciderà la causa uniformandosi ai richiamati principi e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta - 2 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2018

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mercoledì 7 marzo 2018

Se si costituisce una servitù non è possibile aprire la recinzione per accesso diretto alla proprietà - Cassazione 12/02/2018, N. 3345 - Il testo



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CASSAZIONE 12 FEBBRAIO 2018, N. 3345

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. BIANCHINI Bruno   -  Presidente   
Dott. MANNA   Felice  -  rel. Consigliere 
Dott. LOMBARDO  Luigi Giovanni  -  Consigliere 
Dott. CORRENTI  Vincenzo  -  Consigliere 
Dott. CRISCUOLO Mauro  -  Consigliere  
ha pronunciato la seguente:                                          
                     
ORDINANZA
                                   
sul ricorso 1396-2013 proposto da: 

C.F., domiciliata in ROMA ex lege, P.ZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE rappresentata e difesa dagli avvocati G. B., C. P.; 
- ricorrente - 

CONTRO
CO.LU., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell'avvocato M. A., rappresentata e difesa dall'avvocato C. D'A.; 
- controricorrente - 

avverso la sentenza n. 586/2012 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 04/05/2012; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/10/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.F., partecipante al condominio di via (OMISSIS), agiva nei confronti di Co.Lu., proprietaria di un fondo confinante con il fabbricato condominiale, per l'accertamento negativo (tra altre pretese non più in questione) del diritto di lei a scaricare acque nere nella condotta fognaria condominiale e di accedere al cortile del medesimo condominio tramite un cancello aperto tra quest'ultimo e la ridetta proprietà individuale.

Nel resistere in giudizio la convenuta eccepiva l'acquisto della servitù di scarico fognario per usucapione e deduceva di aver sempre esercitato il passaggio dal proprio fondo al cortile condominiale. (Proponeva anche domande riconvenzionali sul cui rigetto non vi è più questione in causa).

Le suddette domande della C., accolte in primo grado (insieme con altre), erano disattese dalla Corte d'appello dell'Aquila con sentenza n. 586 pubblicata il 4.5.2012. Riteneva la Corte distrettuale, limitatamente a quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, che la prova della maturazione del termine di usucapione della servitù di scarico fognario derivava dalla nuova produzione in appello, ammissibile ex art. 345 c.p.c., comma 3, per la sua indispensabilità, che dimostrava come l'allaccio della proprietà Co. alla fognatura condominiale era avvenuto nel 1968 (e non nel 1996, allorchè furono soltanto sostituite le vecchie tubazioni).

In merito al contestato passaggio, detta Corte osservava che non di una servitù di passo si trattava, ma del più inteso uso del cortile comune, compatibile con la prescrizione dell'art. 1102 c.c., giacchè "il passaggio della Co., attraverso il cancello pedonale dalla proprietà esclusiva sino al piazzale condominiale (ove la stessa è condomina), non intralcia(va) l'utilizzazione del cortile degli altri condomini" (v. pag. 12 sentenza impugnata).

La cassazione di quest'ultima sentenza è chiesta da C.F. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso Co.Lu..

Attivato il procedimento camerale ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., comma 1, introdotto, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L.31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 (applicabile al ricorso in oggetto ai sensi del medesimo D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 2), la ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Il primo motivo di ricorso espone la violazione o falsa applicazione dell'art. 1102 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Deduce parte ricorrente che nella sentenza impugnata è richiamata, a sostegno della decisione, giurisprudenza (Cass. n. 8830/03) che riferendosi al collegamento tra proprietà condominiale e proprietà esclusiva facente parte del medesimo fabbricato condominiale, non è pertinente alla fattispecie. Infatti, prosegue, il cancello di cui si discute mette in collegamento tra loro il cortile condominiale con altro immobile della Co. che non è ricompreso nell'edificio condominiale. E richiama, pertanto, altra giurisprudenza di questa Corte sulla relativa questione.

1.1. - Il motivo è fondato.

Dalla sentenza impugnata si ricava che il contestato cancello pedonale mette in comunicazione tra loro una proprietà esclusiva della Co. con il cortile del condominio cui quest'ultima partecipa (v. pag. 12 sentenza impugnata, nella parte sopra testualmente trascritta in narrativa). Dal che si ricava che tale collegamento avviene tra un'area condominiale ed una proprietà estranea al condominio stesso, da non confondersi con un'altra unità immobiliare appartenente alla stessa Co., ma facente parte del condominio di via (OMISSIS).

Questo essendo l'accertamento di fatto operato dalla Corte di merito, si rileva che la sentenza impugnata ha ritenuto che tale apertura sia legittima in quanto non pregiudica il pari godimento del cortile da parte degli altri condomini. Conclusione, questa, cui i giudici d'appello sono pervenuti richiamando in particolare (oltre ad altre sentenze del tutto non pertinenti al caso in esame) Cass. nn. 8591/99 e 42/00.

Entrambe dette sentenze, però, si riferiscono al diverso caso di modifiche apportate su di un muro o una recinzione comune che separavano un cortile condominiale deputato proprio all'utilità delle proprietà individuali.

In particolare, la prima delle due suddette sentenze, al di là di quanto riportato nella massima (non sufficientemente precisa), chiarisce in motivazione che "negli edifici soggetti al regime del condominio, ciascun partecipante ha il diritto di servirsi delle cose comuni a vantaggio del proprio piano o appartamento. Spesso il godimento si attua mediante l'imposizione sulla cosa comune di un vero e proprio peso a vantaggio della cosa propria: di uno di quei pesi che, al di fuori del condominio, darebbero luogo al sorgere di una servitù prediale (apertura di porte, finestre, luci, vedute sul cortile comune). Al singolo condomino non è consentito costituire sulla cosa comune una servitù a vantaggio della cosa propria, essendo richiesto per la costituzione della servitù il consenso (negoziale) di tutti i partecipanti (art. 1059 c.c.). Peraltro, non si fa luogo a costituzione di servitù quando la destinazione della cosa comune è precisamente quella di fornire alle unità immobiliari in proprietà esclusiva, site nell'edificio, quella specifica utilità, che formerebbe il contenuto di una servitù prediale. Per conseguenza, fino a che il partecipante, esercitando il suo diritto, rispetta la destinazione della cosa, di questa gode iure proprietatis. Non sussiste, infatti, imposizione di servitù sulla cosa comune, posto che il potere rientra tra quelli inerenti al diritto di condominio. Se invece il godimento del singolo partecipante si concreta in un peso sulla cosa comune, che la destinazione della cosa in sè non consente, tale forma di godimento non può essere giustificata con il diritto di condominio. In questo caso inevitabilmente si pone in essere una servitù e, per conseguenza, ogni atto di godimento di fatto assoggetta la cosa comune ad un peso, che le norme sul condominio non permettono".

Di qui l'inapplicabilità di tali precedenti al caso di specie. Il fatto che la Co. per altro titolo partecipi al condominio di via (OMISSIS), e perciò abbia al pari degli altri condomini libero accesso al cortile condominiale, non le attribuisce il potere di asservire tale bene comune al diverso ed adiacente altro suo immobile, che di tale condominio non fa parte.

E di conseguenza l'applicabilità, invece, del costante indirizzo di questa Corte in base al quale in tema di uso della cosa comune, viola l'art. 1102 c.c. l'apertura praticata da un condomino nella recinzione del cortile condominiale, senza il consenso degli altri condomini al fine di creare un accesso dallo spazio interno comune ad un immobile limitrofo di sua esclusiva proprietà, determinando, tale utilizzazione illegittima della corte condominiale, la costituzione di una servitù di passaggio a favore del fondo estraneo alla comunione ed in pregiudizio della cosa comune (v. Cass. n. 24243/08).

Nello stesso senso si è altresì affermato che l'azione con cui un condomino metta in comunicazione il cortile condominiale con una sua proprietà estranea alla comunione, determina uno stato di fatto corrispondente ad una servitù di passaggio sul cortile a favore di tale proprietà con la conseguenza che, come può subire l'eliminazione della predetta sua posizione di vantaggio ove i condomini esercitino vittoriosamente l'actio negatoria servitutis, così può consolidarla mercè l'esercizio continuato della servitù per il periodo utile all'usucapione, senza in ogni caso poter porre in essere, per il divieto dell'art. 1067 c.c., una situazione di aggravamento della servitù di fatto esercitata, sicchè questa si configura come molestia del possesso dei comproprietari del cortile (Cass. n. 5888/79; analogamente, v. anche Cass. nn. 23608/06, 9036/06, 17868/03, 360/95, 2773/92 e 5790/88).

2. - Il secondo motivo allega la violazione o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., comma 3, e art. 134 c.p.c., n. 4, nonchè dell'art. 118 disp. att. c.p.c. Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale abbia erroneamente identificato il riferimento all'anno 1968, contenuto nelle cartelle esattoriali relativi ai consumi idrici dell'immobile di proprietà Co., prodotte solo in appello, come dimostrativo dell'epoca di primo allaccio, lì dove, invece, tali documenti proverebbero soltanto che l'utenza della fornitura domestica del fabbricato della convenuta è stata attivata, con l'installazione del relativo contatore, nel 1968.

2.1. - Il motivo è inammissibile, in quanto implica un accertamento di puro fatto (relativo all'epoca di primo allaccio dell'utenza domestica dell'odierna parte controricorrente), precluso a questa Corte Suprema per i limiti interni che connotano il suo sindacato.

3. - L'accoglimento del primo motivo, imponendo con la cassazione parziale della sentenza impugnata un nuovo regolamento complessivo delle spese di giudizio, assorbe l'esame del terzo mezzo di censura, relativo, appunto, al capo della sentenza impugnata inerente alle spese.

4. - Per le considerazioni fin qui esposte, la sentenza impugnata va cassata, limitatamente al motivo accolto, e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa va decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, seconda ipotesi, per cui l'odierna controricorrente va condannata a rimuovere il cancello che collega la sua proprietà, adiacente al condominio di via (OMISSIS), con il cortile del medesimo condominio.

5. - Considerato che l'esito complessivo della lite registra una soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare integralmente fra le parti stesse le spese dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, respinto il secondo ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito condanna Co.Lu. a rimuovere il cancello che collega la sua proprietà, adiacente al cortile del condominio di via (OMISSIS), con il cortile del medesimo condominio; compensa integralmente fra le parti le spese dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2018
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Se si costituisce una servitù non è possibile aprire la recinzione per accesso diretto alla proprietà - Cassazione 12/02/2018, N. 3345 - Il commento



La Suprema Corte ha stabilito che al singolo condomino non è consentito costituire sulla cosa comune una servitù a vantaggio della cosa propria, essendo richiesto per la costituzione della servitù il consenso (negoziale) di tutti i partecipanti (art. 1059 c.c.). Peraltro, non si fa luogo a costituzione di servitù quando la destinazione della cosa comune è quella di fornire alle unità immobiliari in proprietà esclusiva, site nell'edificio, quella specifica utilità, che formerebbe il contenuto di una servitù prediale. Per conseguenza, fino a che il partecipante, esercitando il suo diritto, rispetta la destinazione della cosa, di questa gode iure proprietatis. Non sussiste, infatti, imposizione di servitù sulla cosa comune, posto che il potere rientra tra quelli inerenti al diritto di condominio. Se invece il godimento del singolo partecipante si concreta in un peso sulla cosa comune, che la destinazione della cosa in sè non consente, tale forma di godimento non può essere giustificata con il diritto di condominio. In questo caso inevitabilmente si pone in essere una servitù e, per conseguenza, ogni atto di godimento di fatto assoggetta la cosa comune ad un peso, che le norme sul condominio non permettono".

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lunedì 30 ottobre 2017

RIMBORSO SPESE AL CONDOMINO SOLO SE DIMOSTRABILE L’URGENZA - CASSAZIONE 05 OTTOBRE 2017, N. 23244



Il rimborso spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni sono previste ove queste hanno carattere d’urgenza non potendosi presumere sussistente, un diritto al rimborso, nel caso in cui vi sia solo trascuratezza da parte degli altri condomini. Nel caso di specie l’elemento dell’urgenza delle spese non è stato in alcun modo provato, avendo il Tribunale richiamato esclusivamente l’inerzia dei condomini che comportava una difficoltà nel giungere ad una decisione comune.

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CASSAZIONE: spese rimborsate al condomino se è dimostrato il carattere d'urgenza - 05 OTTOBRE 2017, N. 23244


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CASSAZIONE 05 OTTOBRE 2017, N. 23244

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:   
Dott. BIANCHINI  Bruno  -  Presidente   
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni  -  Consigliere  
Dott. D'ASCOLA Pasquale -  Consigliere  
Dott. GRASSO  Giuseppe  -  Consigliere  
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara  -  rel. Consigliere 

SENTENZA

sul ricorso 2055-2013 proposto da:
F. G. C., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato R. M., rappresentato e difeso dall'avvocato L. M. M.;
- ricorrenti -

NONCHÈ CONTRO
MG S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, in persona del Curatore pro tempore; 
- intimati -

avverso la sentenza n. 250/2011 del TRIBUNALE di SASSARI - SEDE DISTACCATA di ALGHERO, depositata il 06/12/2011; 
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/02/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. La società (…) ha ottenuto nei confronti di F.G.C. (o G. ) un decreto di ingiunzione a pagare una somma di denaro a titolo di pagamento, pro quota, di spese che la ricorrente assumeva di aver sostenuto per la manutenzione ordinaria e straordinaria di parti e impianti comuni compresi nel complesso immobiliare denominato Condominio (omissis) , al cui interno la società esercitava un’attività alberghiera.
F. ha instaurato giudizio di opposizione, chiedendo la revoca del decreto e, in via riconvenzionale, domanda di indennizzo dell’utilizzo esclusivo dei beni comuni. L’opposizione si è chiusa con il rigetto, da parte del Giudice di pace di Alghero, delle domande proposte da F. .
2. Contro tale decisione F. ha proposto appello: il Tribunale di Sassari, con sentenza del 6 dicembre 2011, ha respinto l’impugnazione.
3. F. propone ricorso in cassazione, articolato in sei motivi.
La parte intimata non ha proposto difese.
Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 1134 c.c. nonché motivazione omessa/insufficiente/ contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: il giudice d’appello avrebbe errato nel ritenere richiedibili al ricorrente spese sostenute dalla società (…) per il suo esclusivo godimento di parti comuni e comunque nel ritenere sussistente il requisito dell’urgenza ex art. 1134.
Il motivo è da ritenersi fondato, in conformità a quanto questa Corte ha già statuito, in cause sovrapponibili alla presente (cfr. Cass. 20151/2013, nonché più di recente Cass. 9177/2017).
Il Tribunale ha sì ritenuto che, trattandosi di un condominio, il rimborso delle spese per la conservazione e la manutenzione delle parti comuni, anticipate da uno dei condomini, trova la sua disciplina nell’art. 1134 c.c., in base al quale il diritto è riconosciuto soltanto per le spese urgenti e non in base al mero dato della trascuratezza degli altri comunisti, ma ha poi - con falsa applicazione di legge che si riflette nella contraddittorietà della motivazione - ravvisato l’urgenza in una situazione di fatto in cui tale urgenza delle spese (intesa, secondo lo stesso Tribunale che si richiama alla pronuncia delle sezioni unite n. 2046/2006, come l’erogazione che non può essere differita senza danno o pericolo) non è ravvisabile (il Tribunale richiama infatti la diffusa inerzia degli altri titolari di immobili compressi nel complesso e la "difficoltà di procurarsi tempestivamente il consenso e la necessaria cooperazione degli altri condomini", in relazione all’"adeguamento di tutti gli impianti e servizi comuni alle normative di igiene e sicurezza pubblica disciplinanti l’attività alberghiera" e, comunque, al mantenimento degli spazi comuni).
2. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei restanti cinque motivi, con i quali è denunciata violazione degli articoli 167, 345 c.p.c., 1123 c.c., nullità della sentenza per omesso esame di un motivo d’appello, motivazione omessa/insufficiente/contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (secondo motivo); violazione degli articoli 345, 167 c.p.c., DPR 26 ottobre 1972, motivazione omessa/insufficiente/contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (terzo motivo); violazione dell’articolo 167 c.p.c., motivazione omessa/insufficiente/contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (quarto motivo); motivazione omessa/insufficiente/contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (quinto motivo); violazione dell’articolo 345 c.p.c., motivazione omessa insufficiente contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (sesto motivo).
3. La sentenza impugnata va quindi cassata e la causa rinviata al Tribunale di Sassari, in persona di diverso magistrato, che procederà a un nuovo esame e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; pertanto cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, al Tribunale di Sassari, in persona di diverso giudice.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda Civile, il 16 febbraio 2017.Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2017
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venerdì 31 marzo 2017

PER UN SOPPALCO USATO COME RIPOSTIGLIO NON SERVE IL PERMESSO DI COSTRUIRE

Il Consiglio di Stato ha affermato che non sono necessarie autorizzazioni per realizzare un soppalco destinato a ripostiglio. Al contrario, se il soppalco incrementa la superficie dell’immobile e può essere utilizzato per soggiornarvi, va sempre richiesto il permesso di costruire come previsto dal dall'art. 3 comma 1 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 per l’incremento delle superfici dell'immobile e in una prospettiva di ulteriore carico urbanistico.

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CONSIGLIO DI STATO 02 MARZO 2017, N, 985 - soppalco ad uso ripostiglio



CONSIGLIO DI STATO 02 MARZO 2017, N, 985

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE SESTA


ha pronunciato la seguente:                                          
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4705 del 2012, proposto da:
Cristina Gherbezza, Raffaele Lucio Maria Buongiorno, rappresentati e difesi dall'avvocato Gregoria Maria Failla, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Trieste, 87;

CONTRO

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall’avvocato Rodolfo Murra, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove N.21;
per la riforma della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione I quater 30 novembre 2011 n. 9401, resa fra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso per annullamento della determinazione dirigenziale 29 settembre 2006 n.1803 di Roma Capitale, di demolizione in quanto abusive di opere realizzate senza permesso di costruire all’interno di un’unità immobiliare sita a Roma, in via Ascoli Piceno n.17; 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2017 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Failla e Garofoli, in dichiarata delega dell’avv. Murra;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO  

I ricorrenti appellanti hanno impugnato in primo grado il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale hanno ricevuto ingiunzione a demolire, in quanto realizzate senza permesso di costruire, una serie di opere realizzate all’interno di un immobile di proprietà - sito a Roma, via Ascoli Piceno 17, e distinto al catasto al f. 622 part. 300 sub. 501- costituite da una struttura di putrelle in ferro orizzontali e verticali, disposte in modo da formare un soppalco a forma di “L” della superficie di circa 24,80 mq all’interno di un locale più ampio. L’area soppalcata al piano superiore consiste di un solaio in muratura con due finestre, posto ad altezza variabile da un soffitto irregolare, da metri 2,30 a metri 1.55 circa; la struttura del soppalco poggia invece per circa 20 mq su una pedana in muratura di circa 0,40 metri di altezza, ha un distacco di metri 1,88 e un’altezza interna praticabile di circa 1,45 metri; per la parte restante di circa 4,80 mq poggia sul piano di calpestio ed ha un distacco di 2,10 metri. L’area sottostante il soppalco è poi priva di finestre, con nuove tramezzature  ed attacchi per impianti idrici ed elettrici (v. doc. 1 in primo grado ricorrenti appellanti, ordinanza impugnata). 
Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso, ritenendo in sintesi estrema che l’intervento fosse effettivamente soggetto a permesso di costruire, mai ottenuto né richiesto.
Contro tale sentenza, i ricorrenti in primo grado propongono appello, affidato a due motivi:
- con il primo di essi, deducono propriamente eccesso di potere per carenza di presupposti e mancanza di motivazione. Premettono in fatto che, a loro dire, da un lato per l’opera in questione sarebbe stato pendente un procedimento di condono  edilizio, su istanza dei precedenti proprietari, certi Salvi; dall’altro, che per una porzione dello stesso immobile sarebbe stata emessa un’analoga ordinanza, annullata dal TAR del Lazio con sentenza 30 gennaio 2007 n.636. Ciò premesso, sostengono che l’intervento, in quanto soppalco non praticabile, non sarebbe soggetto a permesso di costruire, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado. 
Ciò sarebbe stato in qualche modo riconosciuto dall’Autorità giudiziaria penale, che ne avrebbe disposto il dissequestro;
- con il secondo motivo, deducono violazione degli artt. 33 e 37 T.U. 6 giugno 2001 n.380, perché il Giudice di primo grado non avrebbe valutato la presentazione da parte loro di una denuncia di inizio attività – DIA a sanatoria, che in ogni caso avrebbe dovuto far venir meno l’abuso.
L’amministrazione ha resistito, con atto 4 giugno e memoria 7 giugno 2016, e chiesto che l’appello sia respinto.
Con memoria 29 dicembre 2016, i ricorrenti appellanti hanno invece insistito sulle loro asserite ragioni.
All’udienza del giorno 9 febbraio 2017, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. Il primo motivo di appello è fondato ed assorbente, nei termini che seguono. 
2. In base ad un rilievo logico, prima che giuridico, la disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all’interno di un locale, di solito come nella specie, un’abitazione, interponendovi un solaio, non è definita in modo univoco, ma va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto.
3. In linea di principio, sarà necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione  dell'immobile preesistente, ai sensi dell'art. 3 comma 1 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con incremento delle superfici dell'immobile e in prospettiva ulteriore carico urbanistico: così per tutte C.d.S. 3 settembre 2014 n.4468. Si rientrerà invece nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile, e ciò sicuramente avviene quando esso non sia suscettibile di utilizzo come stanza di soggiorno. 
4. Quest’ultima è l’ipotesi che si verifica nel caso di specie, in cui, come detto in narrativa, lo spazio realizzato con il soppalco è un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone: si tratta, in buona sostanza, di un ripostiglio.
5. Quanto sopra è sufficiente per affermare l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata, che va annullata, in riforma della sentenza di primo grado, perché fondata, in sintesi, su un presupposto non corretto.
6. Va invece assorbito il secondo motivo, che si fonda sul rapporto fra l’ordinanza impugnata ed un fatto ulteriore, la presentazione in un momento successivo della DIA. E’ evidente infatti che, annullata l’ordinanza stessa, la possibilità che rispetto alla demolizione da essa ordinata si sia prodotta una sanatoria è priva di rilievo.
Spetterà invece all’amministrazione, nel prosieguo della propria attività, valutare se l’opera compiuta integri un diverso e minore tipo di abuso, e in caso affermativo se esso sia stato sanato dalla DIA in questione. Ciò però rientra nel futuro esercizio di poteri amministrativi, sui quali il Giudice non può pronunciare.
7. La particolarità della fattispecie è giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n.4705/2012), lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla la determinazione dirigenziale di demolizione 29 settembre 2006 n.1803 di Roma Capitale. Compensa per intero fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
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giovedì 16 marzo 2017

TERRORE AL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE: pacco bomba

In Francia è nuovamente terrore, questa mattina presso gli uffici del Fondo Monetario Internazionale a Parigi c'è stata un'esplosione di una busta che ha ferito un dipendente.
Il Giornale "Le Soir" riporta le parole di Francois Hollande (Presidente della Repubblica Francese) "L'esplosione del pacco bomba è un attentato!".


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giovedì 10 novembre 2016

Audizione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate presso le Commissioni Riunite Bilancio della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica

COMMISSIONI RIUNITE BILANCIO
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
E
DEL SENATO DELLA REPUBBLICA



AUDIZIONE DEL DIRETTORE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE



Esame del disegno di legge

"Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019"

Atto Camera 4127-bis




Roma, 7 novembre 2016 (ore 13,30 )
Camera dei Deputati - Sala del Mappamondo

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giovedì 17 dicembre 2015

giovedì 3 marzo 2011

Testo unico delle imposte sui redditi: TITOLO IV - DISPOSIZIONI VARIE, TRANSITORIE E FINALI

TITOLO IV
DISPOSIZIONI VARIE, TRANSITORIE E FINALI

Art. 185
Terreni e fabbricati soggetti a regimi vincolistici
1. Per i terreni dati in affitto per uso agricolo, se per effetto di regimi legali di determinazione del canone questo risulta inferiore per oltre un quinto alla rendita catastale, il reddito dominicale e' determinato in misura pari a quella del canone di affitto.
2. In deroga all'articolo 37, per i fabbricati dati in locazione in regime legale di determinazione del canone, il reddito imponibile e' determinato in misura pari al canone di locazione ridotto del 15 per cento. Per i fabbricati siti nella citta' di Venezia centro e nelle isole della Giudecca, di Murano e di Burano, la riduzione e' elevata al 25 per cento.

Art. 186
Societa' civili
1. Ai fini delle imposte sui redditi le societa' civili esistenti alla data di entrata in vigore del codice civile, di cui all'articolo 204, commi primo e secondo, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, sono equiparate alle societa' in nome collettivo o alle societa' semplici secondo che abbiano o non abbiano per oggetto l'esercizio di attivita' commerciali. Alle societa' civili costituite in forma di societa' per azioni, di cui al terzo comma del predetto articolo 204, si applicano le disposizioni del presente testo unico relative a questo tipo di societa'.
Art. 187
Eredita' giacente
1. Se la giacenza dell'eredita' si protrae oltre il periodo di imposta nel corso del quale si e' aperta la successione, il reddito dei cespiti ereditari e' determinato in via provvisoria secondo le disposizioni del titolo I, sezione I, se il chiamato all'eredita' e' persona fisica, o non e' noto, e secondo quelle del titolo II, capo III, se il chiamato e' un soggetto diverso. Dopo l'accettazione dell'eredita' il reddito di tali cespiti concorre a formare il reddito complessivo dell'erede per ciascun periodo di imposta, compreso quello in cui si e' aperta la successione, e si procede alla liquidazione definitiva delle relative imposte. I redditi di cui all'articolo 7, comma 3, se il chiamato all'eredita' e' persona fisica o non e' noto, sono in via provvisoria tassati separatamente con l'aliquota stabilita dall'articolo 12 per il primo scaglione di reddito, salvo conguaglio dopo l'accettazione dell'eredita'.
2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche nei casi di delazione dell'eredita' sotto condizione sospensiva o in favore di un nascituro non ancora concepito.

[Art. 188]

Art. 188-bis
Campione d'Italia
1. Ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, i redditi delle persone fisiche iscritte nei registri anagrafici del comune di Campione d'Italia prodotti in franchi svizzeri nel territorio dello stesso comune per un importo complessivo non superiore a 200.000 franchi sono computati in euro sulla base del cambio di cui all'articolo 9, comma 2, ridotto forfetariamente del 30 per cento. (1)
2. I soggetti di cui al presente articolo assolvono il loro debito d'imposta in euro.
3. Ai fini del presente articolo si considerano iscritte nei registri anagrafici del comune di Campione d'Italia anche le persone fisiche aventi domicilio fiscale nel medesimo comune le quali, gia' residenti nel comune di Campione d'Italia, sono iscritte nell'anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) dello stesso comune e residenti nel Canton Ticino della Confederazione elvetica.
3-bis. Ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, i redditi di pensione e di lavoro prodotti in euro dai soggetti di cui al presente articolo concorrono a formare il reddito complessivo per l'importo eccedente 6.700 euro. La disposizione del primo periodo si applica a decorrere dal 1° gennaio 2015. (2)

(1) Comma così modificato dall’art. 1, comma 631, L. 27 dicembre 2013, n. 147, a decorrere dal 1° gennaio 2014; per l'applicazione di tale disposizione, vedi l'art. 1, comma 633 della medesima L. 147/2013.
(2) Comma aggiunto dall'art. 1, comma 691, L. 23 dicembre 2014, n. 190, a decorrere dal 1° gennaio 2015.
Art. 189
Riferimenti legislativi ad imposte abolite
1. Il riferimento contenuto nelle norme vigenti a redditi, o a determinati ammontari di reddito, assoggettati ad imposte abolite dal 1 gennaio 1974 va inteso come fatto agli stessi redditi nell'ammontare netto determinato ai fini delle singole categorie di reddito previste dall'imposta sul reddito delle persone fisiche.
2. Se il riferimento e' fatto alla non assoggettabilita' all'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo, la condizione si considera soddisfatta quando il reddito complessivo netto determinato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, aumentato dei redditi esenti da tale imposta, diversi da quelli indicati nei primi tre commi dell'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, o assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, non supera lire 960 mila. Quando alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi di lavoro dipendente di cui agli articoli 46 e 47, lettere a) e b), il predetto ammontare viene elevato di lire 360 mila per ogni reddito di lavoro dipendente considerato.
3. Se il riferimento e' fatto ad un reddito complessivo netto agli effetti dell'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo non superiore ad un determinato ammontare indicato nella legge, la condizione si considera soddisfatta quando il reddito complessivo netto determinato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, aumentato dei redditi esenti da tale imposta, diversi da quelli indicati nei primi tre commi dell'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, o assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, non supera l'ammontare indicato nella legge stessa, aumentato come previsto nel comma 2 quando alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi di lavoro dipendente.
4. Se il riferimento e' fatto ad un ammontare dell'imponibile dell'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo iscritto a ruolo, la condizione si considera soddisfatta se il reddito complessivo, determinato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, aumentato dei redditi esenti da tale imposta, diversi da quelli indicati nei primi tre commi dell'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, o assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, non supera la somma indicata dalla legge, aumentata di lire 240 mila per il contribuente, di lire 100 mila per ciascun componente la famiglia che risulti a carico del contribuente al 31 dicembre dell'anno per il quale l'imposta e' dovuta e di lire 360 mila per ogni reddito di lavoro dipendente.
5. Se il riferimento e' fatto alla quota esente dall'imposta completamente progressiva sul reddito o ad un sito multiplo, tale ammontare e' determinato in lire 240 mila o nel rispettivo multiplo.
6. Se il riferimento e' fatto ad una quota o ad un determinato ammontare del reddito imponibile di una o piu' categorie dell'imposta di ricchezza mobile, il riferimento stesso va fatto per le categorie B e C/1 ai redditi netti di lavoro autonomo e di impresa determinati ai sensi del titolo 1, capi V e VI, diminuiti di lire 360 mila, e per la categoria C/ 2 ai redditi di lavoro dipendente ed assimilati determinati ai sensi dello stesso titolo I, capo IV, diminuiti di lire 840 mila. Nelle ipotesi di cui all'articolo 5 il riferimento va fatto alla quota del reddito di impresa o di lavoro autonomo della societa' o associazione, diminuito di lire 360 mila, imputabile all'interessato.
7. Se il riferimento e' fatto alla non iscrizione nei ruoli dell'imposta sui redditi di ricchezza mobile, la condizione si intende soddisfatta se il contribuente non possiede redditi di impresa o redditi di lavoro autonomo di ammontare superiore a lire 360 mila ovvero redditi derivanti da capitali dati a mutuo o redditi diversi.
8. Se i benefici conseguiti consistono in somme che concorrono alla formazione del reddito complessivo ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche di esse somme non si tiene conto agli effetti della verifica dei limiti stabiliti dalle singole leggi per la concessione dei benefici medesimi.
9. Nelle domande agli uffici delle imposte volte ad ottenere certificati da cui risultino le condizioni previste nel presente articolo, il richiedente deve dichiarare se ed in quale misura possiede redditi assoggettati a ritenuta a titolo di imposta e redditi esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche, diversi da quelli indicati nei primi tre commi dell'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601.
10. Gli uffici delle imposte rilasciano i certificati di cui al comma 9 anche in base a dichiarazione attestante i fatti oggetto della certificazione, resa dall'interessato ad un funzionario dell'ufficio competente. Alla dichiarazione si applicano le disposizioni della legge 4 gennaio 1968, n. 15. Per il rilascio dei certificati sono in ogni caso dovuti i diritti previsti nei numeri 1) e 4) della tabella allegato A al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 648.
11. Le disposizioni di cui al comma 10 si applicano altresi' per il rilascio di certificati concernenti la presentazione della dichiarazione dei redditi e la situazione reddituale da essa risultante.

Art. 190
Redditi dei fabbricati
1. Per i periodi di imposta anteriori a quello in cui avranno effetto le modificazioni derivanti dalla prima revisione effettuata ai sensi del comma 2 dell'articolo 34 le rendite catastali dei fabbricati saranno aggiornate mediante l'applicazione di coefficienti stabiliti annualmente, per singole categorie di unita' immobiliari urbane, con, decreto del Ministro delle finanze su conforme parere della Commissione censuaria centrale.
2. Fino al termine di cui al comma 1, qualora il canone risultante dal contratto di locazione ridotto di un quarto sia superiore alla rendita catastale aggiornata per oltre un quinto di questa, il reddito determinato in misura pari a quella del canone di locazione ridotto di un quarto. Per i fabbricati siti nella citta' di Venezia centro e nelle isole della Giudecca, di Murano e di Burano la presente disposizione si applica con riferimento al canone di locazione ridotto di due quinti anziche' di un quarto per i fabbricati strumentali non suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni, la presente disposizione si applica con riferimento al canone di locazione ridotto di un terzo, salvo il disposto del comma 2 dell'articolo 40. Fino al termine medesimo le disposizioni del comma 2 dell'articolo 129 si applicano con riferimento alla rendita catastale aggiornata.
3. L'aggiornamento delle rendite catastali degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi della legge 11 giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni, e' effettuato mediante l'applicazione del minore tra i coefficienti previsti per i fabbricati. Qualora i predetti immobili risultino allibrati al catasto terreni, la relativa rendita catastale e' ridotta a meta' ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi. Il mutamento di destinazione degli immobili medesimi senza la preventiva autorizzazione dell'Amministrazione per i beni culturali e ambientali e il mancato assolvimento degli obblighi di legge per consentire l'esercizio del diritto di prelazione dello Stato sugli immobili vincolati determinano la decadenza dall'agevolazione tributaria, ferma restando ogni altra sanzione. L'Amministrazione per i beni culturali e ambientali ne da' al competente ufficio delle imposte immediata comunicazione, dal ricevimento della quale inizia a decorrere il termine per la rettifica della dichiarazione dei redditi.

Art. 191
Disposizioni in materia di agevolazioni tributarie
1. Restano ferme, le agevolazioni tributarie previste dal decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e successive modificazioni, e da leggi speciali, le agevolazioni disposte a favore di consorzi e di cooperative dal terzo comma dell'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 598 e successive modificazioni.


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