Si ritiene nulla la delibera condominiale che approvi interventi di manutenzione e/o ricostruzione sui balconi aggettanti. Se si accede a tale soluzione, laddove una delibera di tale portata fosse comunque assunta dall’assemblea di condominio, essa risulterebbe comunque inefficace ed, ineseguibile da parte dell’amministratore.
Relativamente alla trattazione dell’argomento in epigrafe, sembra opportuno citare innanzitutto una nota pronuncia a Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione risalente al 2005 (n. 4806); quest’ultima, sebbene emessa al fine precipuo di comporre il contrasto giurisprudenziale insorto con riferimento ai vizi della delibera in caso di omessa convocazione di un condomino, contiene un’importante elencazione dei criteri di classificazione delle delibere nulle/ annullabili, nonché dei più importanti esempi di delibere che appartengano all’una o all’altra delle predette categoria di invalidità. A tal riguardo, si fa notare la seguente affermazione: “debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale che incidono sui diritti individuali, sulle cose o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini”.
Per quanto qui di interesse, la predetta enunciazione
assume la veste di principio generale al
quale ricorrere allorquando si discuta di lavori di
manutenzione straordinaria aventi ad oggetto i
balconi cosiddetti “aggettanti”. Infatti, tali beni
sono ritenuti – da giurisprudenza ormai celebre
e consolidata – di esclusiva pertinenza dell’unità
immobiliare alla quale accedono e, di conseguenza,
nella piena disponibilità del proprietario
di questa. In coerenza con tale definizione la
stessa Cassazione ha espressamente qualificato i
suddetti balconi quali “elementi accidentali e non
portanti della struttura del fabbricato”, non costituenti
“parti comuni dell’edificio” e, pertanto,
di appartenenza dei “proprietari delle unità immobiliari
corrispondenti” da considerarsi, quindi,
“gli unici responsabili dei danni cagionati dalla
caduta dei frammenti di intonaco o muratura, che
si siano da essi staccati” (cfr. Cass. n. 8159 del 7 settembre 1996). Ad ulteriore supporto di quanto
or ora riportato, nonché a conferma del fatto che
si è configurato un vero e proprio orientamento
di legittimità, può servire il richiamo ad una più
recente pronuncia nella quale si legge che “i balconi
aggettanti, costituendo un prolungamento
della corrispondente unità immobiliare, appartengono
in via esclusiva al proprietario di questa,
non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di
necessaria copertura dell’edificio” (cfr. Cass. n.
6624 del 30 aprile 2012).
Alla luce di quanto precisato in merito alla natura
privata dei balconi “aggettanti” va da sé che
le spese per la loro manutenzione e ricostruzione
gravino interamente sul proprietario dell’unità
immobiliare della quale costituiscono il prolungamento;
in proposito la Cassazione ha asserito,
nello specifico, che non sussiste per tali tipi
di balcone alcuna possibilità di interpretazione
estensiva dell’art. 1125 c.c., che disciplina la
ripartizione delle spese dei soffitti, delle volte
e dei solai, norma che invece si applica in via
estensiva ai cosiddetti “balconi incassati” (cfr.
Cass. n. 11155 del 24 dicembre 1994), vista la
loro funzione di sostegno e copertura del piano
sovrastante.
Come già rilevato innanzi, sembra evidente che
dalla stessa distinzione tra parti di proprietà
esclusiva e parti di proprietà comune consegue
anche l’individuazione del soggetto responsabile
di eventuali danni originatisi dal distacco di
porzioni di balcone o da infiltrazioni dallo stesso
provenienti.
Secondo quanto finora asserito ed argomentato,
in piena conformità alle pronunce della giurisprudenza
di legittimità, non si può che ritenere
radicalmente nulla la delibera condominiale che
approvi interventi di manutenzione e/o ricostruzione
sui balconi aggettanti. Se si accede a tale
soluzione, laddove una delibera di tale portata
fosse comunque assunta dall’assemblea di condominio,
essa risulterebbe comunque inefficace
(quod nullum est nullum producit effectum) e,
pertanto, ineseguibile da parte dell’amministratore.
La diligenza professionale dell’amministratore
di condominio impone, infatti, la non esecuzione
delle delibere nulle, come tali improduttive di effetti
giuridicamente rilevanti. Più in chiaro, sul
piano pratico, le ulteriori conseguenze della nullità
giuridica di una delibera condominiale sono:
- la totale inefficacia degli atti esecutivi posti in essere dall’amministratore in ossequio ad essa; egli, infatti, “agendo” su parti di proprietà esclusiva, risulterebbe se non altro sfornito dei poteri rappresentativi e delle attribuzioni legali di cui all’art. 1131 c.c.;
- la impugnabilità della stessa senza limiti temporali da parte di chiunque vi abbia interesse;
- l’impossibilità di una qualsiasi “sanatoria” o convalida della stessa, costituendo questi rimedio rispettivamente eccezionale e riservato solo agli atti annullabili.
Nello specifico, con riferimento al primo profilo
sopra posto in rilievo, si ricorda che la Suprema
Corte, in una vicenda in cui i singoli condomini
avevano sottoscritto un unico contratto di appalto,
commissionando opere concernenti sia parti di
loro esclusiva proprietà sia parti comuni, per un
unico prezzo unico da dividere, poi, nei rapporti
interni, ha negato il diritto dell’amministratore a
percepire una provvigione per la mediazione prestata
in relazione alla conclusione dell’operazione
limitatamente alle parti di proprietà esclusiva dei
condomini asserendo che per queste ultime egli
risultava sprovvisto del potere di rappresentanza
(cfr. Cass. n. 10419 del 23 ottobre 1997).
Con riferimento invece al potere/dovere dell’amministratore
di agire per il recupero delle quote
condominiali eventualmente emesse a seguito di
interventi manutentivi su parti di proprietà esclusiva
(quali risultano essere i balconi “aggettanti”),
deve essere segnalata la recente pronuncia
della Corte di Cassazione del 12 gennaio 2016 n.
305. La Suprema Corte, in questa occasione, ha
statuito che deve essere revocata l’ingiunzione di
pagamento per il recupero delle spese dei lavori,
se l’assemblea ha deliberato la manutenzione straordinaria anche sui balconi di proprietà esclusiva,
senza chiedere l’autorizzazione al proprietario.
In sede di opposizione a decreto ingiuntivo,
infatti, il giudice può sempre rilevare d’ufficio la
nullità della delibera a fondamento del provvedimento
monitorio, laddove la validità della stessa
rappresenti comunque un elemento costitutivo
della domanda. Più in chiaro, come si legge nella
medesima pronuncia, il divieto di eccepire l’invalidità
delle delibere condominiali in sede di opposizione
a decreto ingiuntivo, vale solo nei casi
di annullabilità delle stesse, ben potendo invece
essere rilevata la nullità quando si controverta in
ordine all’applicazione di atti (delibera condominiale)
posti a fondamento della richiesta del decreto
ingiuntivo reso, la cui validità rappresenta
elemento costitutivo della domanda.
Infine, per quanto concerne gli obblighi dell’amministratore, fissati dall’art. 1129 c.c., in relazione all’utilizzazione del conto corrente condominiale, assume particolare rilevanza l’affermazione che gestione del conto stesso non debba eseguirsi “secondo modalità che possono generare possibilità di confusione fra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomini”. Orbene, a ben riflettere, il pagamento di somme afferenti beni di proprietà esclusiva come parti di “quote” confluenti sul conto corrente condominiale provocherebbe un duplice effetto negativo per l’amministratore: da un lato, la deplorata confusione dei patrimoni dei condomini con la gestione condominiale, dall’altro il rischio di utilizzare indebitamente somme esorbitanti la gestione dei beni comuni con conseguente possibilità che si configuri l’illecito di appropriazione indebita di somme di denaro.
In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi,
si condivide il monito espresso da autorevole
dottrina in ordine alla necessità di tenere sempre
distinte le opere relative a beni comuni e
beni esclusivi dei singoli condomini. In particolare,
si afferma che “sarebbe sempre auspicabile
la stipula di separati contratti di appalto, uno
per le parti comuni e tanti altri quante siano le
proprietà esclusive interessate dall’intervento di
manutenzione”; coerentemente, quindi, “l’amministratore
nell’effettuare pagamenti all’appaltatore
nella qualità di rappresentante del codominio
per i beni comuni dovrà indicare, di volta in volta,
il debito al quale riferire l’adempimento, in modo
da evitare che a ciascun versamento non segua
l’effetto solutorio di una delle distinte obbligazioni,
spettando diversamente al condominio o al
singolo condomino, convenuto per il pagamento
del saldo residuo del rispettivo rapporto di appalto,
provare, a norma dell’art. 2697 c.c., il fatto o
parzialmente estintivo dedotto.
di Gianni Masullo
Componente CSN ANACI
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