martedì 10 ottobre 2017

Balconi in condominio

Si ritiene nulla la delibera condominiale che approvi interventi di manutenzione e/o ricostruzione sui balconi aggettanti. Se si accede a tale soluzione, laddove una delibera di tale portata fosse comunque assunta dall’assemblea di condominio, essa risulterebbe comunque inefficace ed, ineseguibile da parte dell’amministratore.
Relativamente alla trattazione dell’argomento in epigrafe, sembra opportuno citare innanzitutto una nota pronuncia a Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione risalente al 2005 (n. 4806); quest’ultima, sebbene emessa al fine precipuo di comporre il contrasto giurisprudenziale insorto con riferimento ai vizi della delibera in caso di omessa convocazione di un condomino, contiene un’importante elencazione dei criteri di classificazione delle delibere nulle/ annullabili, nonché dei più importanti esempi di delibere che appartengano all’una o all’altra delle predette categoria di invalidità. A tal riguardo, si fa notare la seguente affermazione: “debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale che incidono sui diritti individuali, sulle cose o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini”.

Per quanto qui di interesse, la predetta enunciazione assume la veste di principio generale al quale ricorrere allorquando si discuta di lavori di manutenzione straordinaria aventi ad oggetto i balconi cosiddetti “aggettanti”. Infatti, tali beni sono ritenuti – da giurisprudenza ormai celebre e consolidata – di esclusiva pertinenza dell’unità immobiliare alla quale accedono e, di conseguenza, nella piena disponibilità del proprietario di questa. In coerenza con tale definizione la stessa Cassazione ha espressamente qualificato i suddetti balconi quali “elementi accidentali e non portanti della struttura del fabbricato”, non costituenti “parti comuni dell’edificio” e, pertanto, di appartenenza dei “proprietari delle unità immobiliari corrispondenti” da considerarsi, quindi, “gli unici responsabili dei danni cagionati dalla caduta dei frammenti di intonaco o muratura, che si siano da essi staccati” (cfr. Cass. n. 8159 del 7 settembre 1996). Ad ulteriore supporto di quanto or ora riportato, nonché a conferma del fatto che si è configurato un vero e proprio orientamento di legittimità, può servire il richiamo ad una più recente pronuncia nella quale si legge che “i balconi aggettanti, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell’edificio” (cfr. Cass. n. 6624 del 30 aprile 2012).
Alla luce di quanto precisato in merito alla natura privata dei balconi “aggettanti” va da sé che le spese per la loro manutenzione e ricostruzione gravino interamente sul proprietario dell’unità immobiliare della quale costituiscono il prolungamento; in proposito la Cassazione ha asserito, nello specifico, che non sussiste per tali tipi di balcone alcuna possibilità di interpretazione estensiva dell’art. 1125 c.c., che disciplina la ripartizione delle spese dei soffitti, delle volte e dei solai, norma che invece si applica in via estensiva ai cosiddetti “balconi incassati” (cfr. Cass. n. 11155 del 24 dicembre 1994), vista la loro funzione di sostegno e copertura del piano sovrastante.
Come già rilevato innanzi, sembra evidente che dalla stessa distinzione tra parti di proprietà esclusiva e parti di proprietà comune consegue anche l’individuazione del soggetto responsabile di eventuali danni originatisi dal distacco di porzioni di balcone o da infiltrazioni dallo stesso provenienti.
Secondo quanto finora asserito ed argomentato, in piena conformità alle pronunce della giurisprudenza di legittimità, non si può che ritenere radicalmente nulla la delibera condominiale che approvi interventi di manutenzione e/o ricostruzione sui balconi aggettanti. Se si accede a tale soluzione, laddove una delibera di tale portata fosse comunque assunta dall’assemblea di condominio, essa risulterebbe comunque inefficace (quod nullum est nullum producit effectum) e, pertanto, ineseguibile da parte dell’amministratore. La diligenza professionale dell’amministratore di condominio impone, infatti, la non esecuzione delle delibere nulle, come tali improduttive di effetti giuridicamente rilevanti. Più in chiaro, sul piano pratico, le ulteriori conseguenze della nullità giuridica di una delibera condominiale sono:
  1. la totale inefficacia degli atti esecutivi posti in essere dall’amministratore in ossequio ad essa; egli, infatti, “agendo” su parti di proprietà esclusiva, risulterebbe se non altro sfornito dei poteri rappresentativi e delle attribuzioni legali di cui all’art. 1131 c.c.;
  2. la impugnabilità della stessa senza limiti temporali da parte di chiunque vi abbia interesse;
  3. l’impossibilità di una qualsiasi “sanatoria” o convalida della stessa, costituendo questi rimedio rispettivamente eccezionale e riservato solo agli atti annullabili.
Oltre agli aspetti che concernono l’invalidità della delibera assunta, sembra opportuno affrontare anche altri profili di estrema rilevanza per l’attività dell’amministratore; si pensi alle implicazioni che si possono verificare, in primis, rispetto al compenso straordinario dell’amministratore medesimo, ed in secundis, rispetto al recupero crediti ed alla gestione del conto corrente condominiale. Sul piano generale, occorre tener presente che la giurisprudenza si orienta nel senso di tener distinti i lavori su parti comuni da quelli sui beni comuni.
Nello specifico, con riferimento al primo profilo sopra posto in rilievo, si ricorda che la Suprema Corte, in una vicenda in cui i singoli condomini avevano sottoscritto un unico contratto di appalto, commissionando opere concernenti sia parti di loro esclusiva proprietà sia parti comuni, per un unico prezzo unico da dividere, poi, nei rapporti interni, ha negato il diritto dell’amministratore a percepire una provvigione per la mediazione prestata in relazione alla conclusione dell’operazione limitatamente alle parti di proprietà esclusiva dei condomini asserendo che per queste ultime egli risultava sprovvisto del potere di rappresentanza (cfr. Cass. n. 10419 del 23 ottobre 1997).

Con riferimento invece al potere/dovere dell’amministratore di agire per il recupero delle quote condominiali eventualmente emesse a seguito di interventi manutentivi su parti di proprietà esclusiva (quali risultano essere i balconi “aggettanti”), deve essere segnalata la recente pronuncia della Corte di Cassazione del 12 gennaio 2016 n. 305. La Suprema Corte, in questa occasione, ha statuito che deve essere revocata l’ingiunzione di pagamento per il recupero delle spese dei lavori, se l’assemblea ha deliberato la manutenzione straordinaria anche sui balconi di proprietà esclusiva, senza chiedere l’autorizzazione al proprietario. In sede di opposizione a decreto ingiuntivo, infatti, il giudice può sempre rilevare d’ufficio la nullità della delibera a fondamento del provvedimento monitorio, laddove la validità della stessa rappresenti comunque un elemento costitutivo della domanda. Più in chiaro, come si legge nella medesima pronuncia, il divieto di eccepire l’invalidità delle delibere condominiali in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, vale solo nei casi di annullabilità delle stesse, ben potendo invece essere rilevata la nullità quando si controverta in ordine all’applicazione di atti (delibera condominiale) posti a fondamento della richiesta del decreto ingiuntivo reso, la cui validità rappresenta elemento costitutivo della domanda.



Infine, per quanto concerne gli obblighi dell’amministratore, fissati dall’art. 1129 c.c., in relazione all’utilizzazione del conto corrente condominiale, assume particolare rilevanza l’affermazione che gestione del conto stesso non debba eseguirsi “secondo modalità che possono generare possibilità di confusione fra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomini”. Orbene, a ben riflettere, il pagamento di somme afferenti beni di proprietà esclusiva come parti di “quote” confluenti sul conto corrente condominiale provocherebbe un duplice effetto negativo per l’amministratore: da un lato, la deplorata confusione dei patrimoni dei condomini con la gestione condominiale, dall’altro il rischio di utilizzare indebitamente somme esorbitanti la gestione dei beni comuni con conseguente possibilità che si configuri l’illecito di appropriazione indebita di somme di denaro.
In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi, si condivide il monito espresso da autorevole dottrina in ordine alla necessità di tenere sempre distinte le opere relative a beni comuni e beni esclusivi dei singoli condomini. In particolare, si afferma che “sarebbe sempre auspicabile la stipula di separati contratti di appalto, uno per le parti comuni e tanti altri quante siano le proprietà esclusive interessate dall’intervento di manutenzione”; coerentemente, quindi, “l’amministratore nell’effettuare pagamenti all’appaltatore nella qualità di rappresentante del codominio per i beni comuni dovrà indicare, di volta in volta, il debito al quale riferire l’adempimento, in modo da evitare che a ciascun versamento non segua l’effetto solutorio di una delle distinte obbligazioni, spettando diversamente al condominio o al singolo condomino, convenuto per il pagamento del saldo residuo del rispettivo rapporto di appalto, provare, a norma dell’art. 2697 c.c., il fatto o parzialmente estintivo dedotto.

di Gianni Masullo
Componente CSN ANACI

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