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martedì 16 maggio 2017

La riforma della giustizia tributaria

In occasione dell’apertura dell’anno giudiziario del 26 gennaio 2017, il primo Presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio, ha fatto presente che quasi il 40% dei ricorsi arrivati in Cassazione nel 2016 riguarda la materia fiscale; di questo passo, nel 2020 le liti tributarie rappresenteranno il 56% del contenzioso tributario e nel 2025 addirittura il 64%. Di conseguenza, il Presidente auspica una necessaria ed urgente riforma della giustizia tributaria per evitare il collasso in Cassazione. Sulla stessa lunghezza d’onda si muove la Ragioneria Generale dello Stato nella nota integrativa del Ministero dell’Economia e delle Finanze alla legge di bilancio 2017.
Nel suddetto documento è scritto “Assicurare il supporto alla riforma complessiva della giustizia tributaria per garantire ai cittadini una giurisdizione più efficiente e tempi del giudicato più celeri”.
In merito alla riforma della giustizia tributaria, in Parlamento sono in discussione i seguenti disegni di legge:

1. al Senato:
  • disegno di legge n. 988 dell’01 agosto 2013 “Codice del processo tributario”;
  • disegno di legge n. 1593 del 06 agosto 2014 “Riforma del processo tributario”, che ha ripreso il mio progetto di legge, in gran parte tenuto presente nell’ultima riforma del D.Lgs. n. 156 del 24 settembre 2015 (a tal proposito, rinvio al mio intervento fatto in audizione alle Commissioni riunite Finanze e Giustizia del Senato il 06 dicembre 2016, pubblicato sul mio sito (www.studiotributariovillani.it);
2. alla Camera dei Deputati:
  • proposta di legge n. 3734 dell’08 aprile 2016 “Delega al Governo per la soppressione delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali e per l’istituzione di sezioni specializzate tributarie presso i Tribunali ordinari”.
Questa è la dimostrazione che, finalmente, il mondo politico si è reso conto della necessità ed urgenza di intervenire per modificare strutturalmente e professionalmente la giustizia tributaria. Sulla necessaria ed urgente riforma della giustizia tributaria recentemente si sono pronunciati:
  • la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 227 del 20/10/2016 che ha invitato il legislatore a riformare la giustizia tributaria;
  • il XXXIII Congresso Nazionale Forense che a Rimini il 06, 07 e 08 ottobre 2016 ha approvato una specifica mozione in merito (pubblicata sul sito istituzionale dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura).
A tal proposito, secondo me, nell’auspicata riforma, che può essere una sintesi di tutte le succitate proposte legislative, il legislatore deve tenere conto dei seguenti principi informatori, come previsto nel mio disegno di legge, con relativa relazione, del 14 aprile 2016 (36 articoli pubblicati sul mio sito www.studiotributariovillani.it).

A) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
La gestione della giustizia tributaria non può più essere affidata al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che è una parte in causa e che non deve assolutamente condizionare l’organizzazione processuale (basta citare l’ultimo esempio del mancato rispetto del termine dell’01 giugno 2016 per il Decreto Ministeriale per l’immediata esecutività delle sentenze ex art. 69, comma 2, D.Lgs. n. 156/2016).
Infatti, bisogna rispettare l’art. 111, secondo comma, della Costituzione che stabilisce che “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale” (come oltretutto prevedeva l’art. 10 della Legge Delega n. 23 dell’11 marzo 2014).
Secondo me, la giustizia tributaria deve essere gestita ed organizzata, anche dal punto di vista finanziario, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che deve esercitare l’alta sorveglianza su tutti gli uffici e su tutti i giudici tributari attraverso il Consiglio della Giustizia Tributaria e deve riferire annualmente al Parlamento con una relazione sullo stato della giustizia tributaria.
Di conseguenza, con la riforma, devono essere trasferiti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri i compiti relativi all’attività giurisdizionale delle attuali commissioni tributarie svolti dalla Direzione della giustizia tributaria del dipartimento delle finanze del MEF, nonché i relativi uffici e le corrispondenti risorse umane e finanziarie.
Solo in questo modo la giustizia tributaria oltre che essere può “apparire” terza ed imparziale, rispettando scrupolosamente il dettato costituzionale.
Oltretutto, l’art. 6, comma 1, della CEDU testualmente dispone:
“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il quale deciderà delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta”.
La clausola del giusto processo è comunque applicabile a tutti i processi tributari nei quali si contestano sanzioni sia penali che amministrative (Corte CEDU, sentenza del 23 novembre 2006, Jussila contro Finlandia).
In definitiva, si deve creare una magistratura autonoma specializzata, che non è straordinaria né speciale, per rispettare l’art. 102, secondo comma, della Costituzione, è diversa dalla magistratura ordinaria, amministrativa e contabile.
In conclusione, deve essere istituita la quarta magistratura autonoma rispetto alla magistratura ordinaria, amministrativa e contabile.
I difensori devono continuare ad essere quelli previsti dall’art. 12 D.Lgs. n. 546/1992 e successive modifiche ed integrazioni, che logicamente devono essere preparati e specializzati alla luce delle modifiche processuali, strutturali ed organizzative.

B) TRIBUNALI TRIBUTARI E CORTI D’APPELLO TRIBUTARIE – SEZIONE TRIBUTARIA DELLA CASSAZIONE
Bisogna cambiare denominazione ai nuovi organi della giustizia tributaria, che saranno “Tribunali Tributari e Corti d’Appello Tributarie”.
I Tribunali Tributari devono avere sede presso le attuali circoscrizioni dei Tribunali ordinari.
Il Tribunale Tributario si deve articolare in sezioni, che possono essere specializzate anche per materia. Il Tribunale Tributario giudica in composizione monocratica, con udienze che si devono tenere tre volte alla settimana.
Le Corti d’Appello Tributarie devono avere sede presso gli attuali distretti di Corte d’Appello per non rendere difficile la difesa da parte dei contribuenti, soprattutto in Regioni con lunghe distanze (come per esempio la Puglia).
La Corte d’Appello tributaria giudica in composizione collegiale; ogni collegio giudicante è presieduto dal Presidente della Sezione e giudica con numero invariabile di tre votanti.
Anche in questo caso si devono tenere tre udienze settimanali.
Tutti i giudici tributari ogni cinque anni devono cambiare sezione.
Deve essere istituita una sezione speciale autonoma della Corte di Cassazione.

C) SEZIONE DELLA MEDIAZIONE
Deve essere totalmente abrogato l’attuale art. 17- bis D.Lgs. n. 546/92 perché la mediazione non deve più essere svolta davanti allo stesso organo fiscale che ha notificato l’avviso di accertamento o la cartella esattoriale o gli altri atti impositivi impugnati, questo perché viene altamente compromessa l’imparzialità e la serenità di giudizio.
Di conseguenza, secondo me, presso ciascun Tribunale Tributario deve essere istituita una sezione speciale di mediazione, organo non giurisdizionale e terzo rispetto all’ente accertatore, competente nell’ambito dei procedimenti di cui succitato art. 17-bis.
Come ho più volte scritto, secondo me, la sezione deve essere composta da un giudice del Tribunale Tributario, da un funzionario fiscale e da un professionista abilitato alla difesa dinanzi ai giudici tributari.
Se all’udienza di comparizione delle parti dinanzi alla suddetta sezione non si perfeziona la mediazione, il collegio può formulare d’ufficio una proposta di mediazione avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa ed al principio di economicità dell’azione amministrativa.
Se nonostante l’invito della sezione non si raggiunge la mediazione, il reclamo produce gli stessi effetti del ricorso ed il fascicolo è trasmesso d’ufficio alla segreteria del Tribunale Tributario competente, che logicamente deciderà con giudice diverso da quello che era presente nella sezione della mediazione per un evidente caso di incompatibilità (come più volte correttamente rilevato dalla Corte EDU, con le sentenze del 28 settembre 1995, del 06 giugno 2000 e del 09 novembre 2006).
Tutta la fase della mediazione non deve avere limiti di tempo, come oggi, per dare la possibilità alle parti di potersi confrontare in maniera serena davanti ad un organismo terzo.
Logicamente, ingiustificate resistenze o assurde prese di posizioni, soprattutto se in contrasto con la costante giurisprudenza di merito e di legittimità o con circolari ministeriali, saranno valutate in sede di pronuncia della sentenza di merito, come comportamento processuale delle parti.
Infine, secondo me, si deve aumentare di molto il limite attuale dei 20.000 euro per la mediazione, portando il limite a 200.000 euro (al netto delle sanzioni e degli interessi) anche per deflazionare il contenzioso tributario alla luce delle segnalazioni succitate del primo Presidente della Corte di Cassazione.

D) GIUDICI TRIBUTARI PROFESSIONALI E COMPETENTI
La nomina a giudice tributario si consegue mediante concorso regionale per esame (art. 97, ultimo comma, e art. 106, primo comma, della Costituzione).
Le prove scritte ed orali si dovranno svolgere presso i capoluoghi di regione in base al numero di assunzioni da effettuare, tenendo conto anche delle sezioni distaccate.
L’esame consiste in una prova preselettiva, in due prove scritte di diritto tributario e stesura di sentenza, una prova orale in varie materie tributarie, processuali e contabili (questo per evitare clamorosi casi di nullità assoluta delle sentenze, Cassazione – Sez. VI – sentenza n. 6162 del 17/03/2014).
La commissione giudicante deve essere presieduta da un magistrato della Corte di Cassazione e composta da professori universitari e da avvocati iscritti all’albo speciale dei cassazionisti da oltre venti anni e con specifica competenza professionale nel processo tributario.
I giudici tributari vincitori di concorso e nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri non possono assumere impieghi pubblici o privati, non possono esercitare industrie, commerci o qualsiasi libera professione, non possono essere membri della Corte Suprema di Cassazione, del Parlamento Nazionale o del Parlamento Europeo, né ricoprire qualsivoglia carica politica.
In definitiva, le incompatibilità devono essere assolute proprio perché i giudici tributari saranno a tempo pieno e parificati a tutti gli effetti, anche economici, ai giudici ordinari.
Infatti, ai giudici tributari deve spettare, oltre il trattamento economico corrispondente all’analogo incarico e funzione svolta presso la giurisdizione ordinaria, anche una indennità aggiuntiva da determinarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio della Giustizia Tributaria.
I giudici tributari, indipendentemente dalle funzioni svolte, cessano dall’incarico, in ogni caso, al compimento del settantesimo anno di età.
Ai componenti dei Tribunali Tributari e delle Corti d’Appello tributarie, logicamente, devono applicarsi le disposizioni concernenti il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. In caso di comportamenti non conformi a doveri o alla dignità del proprio ufficio, i giudici tributari sono soggetti, nei casi tassativamente previsti dalla legge, alle sanzioni disciplinari dell’ammonimento, della censura, della sospensione dalle funzioni per un periodo da tre mesi a due anni con perdita dei compensi fissi e, in casi di gravi trasgressioni, della rimozione dall’incarico, senza la possibilità di essere rinominati giudici tributari.
Solo una magistratura specializzata è in grado di interpretare le leggi fiscali (spesso confusionarie e contraddittorie), conoscere e ben gestire un processo, con allo stesso tempo una adeguata preparazione sugli istituti fondamentali del diritto tributario.
Ove, poi, le controversie trattate richiedano competenze ancora più specialistiche, ad esempio in materia contabile, bancaria, di valori e di estimi castali, i giudici tributari possono nominare un consulente tecnico d’ufficio (C.T.U.).

E) UFFICI DI SEGRETERIA
Deve essere istituito il ruolo unico del personale degli uffici di segreteria degli organi della giustizia tributaria.
E’ istituito presso ogni Tribunale Tributario e ogni Corte d’Appello tributaria un ufficio di segreteria con funzioni di assistenza e collaborazione nell’esercizio dell’attività giurisdizionale nonché per lo svolgimento per ogni altra attività amministrativa attribuita alla stessa o ai suoi componenti.
Al personale addetto spetta il trattamento economico previsto per le rispettive qualifiche dalle disposizioni relative al personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Presso l’ufficio di segreteria di ogni Corte d’Appello tributaria è istituita una speciale sezione del massimario che deve provvedere a rilevare, classificare ed ordinare in massime le sentenze della stessa e dei Tribunali Tributari aventi sede nella circoscrizione.
Il personale di segreteria, in definitiva, non deve assolutamente dipendere dal MEF, come stigmatizzato dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria che, nella relazione per l’anno 2000, così scriveva:
“La collocazione del personale degli uffici di segreteria nell’amministrazione finanziaria finisce per determinare condizionamenti, anche involontari, comunque non corrispondenti alla funzione di garanzia imparziale della giurisdizione e alla par condicio delle parti nel processo”.

F) ABROGAZIONE
Dalla data di entrata in vigore della nuova legge di riorganizzazione della nuova giustizia tributaria deve essere abrogato il decreto legislativo n. 545 del 31 dicembre 1992 e successive modificazioni.
Le attuali controversie dinanzi alle commissioni tributarie provinciali e regionali, pendenti alla data di insediamento dei Tribunali Tributari e delle Corti d’Appello tributarie, sono rispettivamente attribuite ai Tribunali Tributari ed alle Corti d’Appello tributarie tenuto conto, quanto alla competenza territoriale, delle rispettive sedi.
Non deve essere assolutamente prevista alcuna istanza di fissazione d’udienza che potrebbe compromettere il diritto di difesa dei contribuenti.

G) CONCILIAZIONE ANCHE IN CASSAZIONE
Si deve prevedere la conciliazione giudiziale anche in pendenza del giudizio in Cassazione, modificando l’art. 48-ter, comma 1, D.Lgs. n. 546/92 e stabilendo la misura del 60% del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento della conciliazione nel corso del giudizio di Cassazione.

H) TESTIMONIANZA E GIURAMENTO
Deve essere abrogato l’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546/92, consentendo il giuramento e la prova testimoniale nel nuovo processo tributario davanti a giudice terzo, imparziale, professionale ed altamente qualificato a seguito del superamento del concorso per esame, come sopra esposto.
Solo in questo modo il contribuente potrà veramente difendersi senza alcuna limitazione e senza alcun condizionamento e si potrà dire che veramente si è raggiunta la “parità delle armi” tra contribuente e fisco, cosa che si è sempre denunciata ma mai seriamente ed efficacemente applicata (nonostante i solleciti della Corte Costituzionale con la sentenza n. 18 del 21 gennaio 2000 e della Corte di Cassazione con le sentenze n. 5018/2015, n. 11785/2010, n. 20028/2011 e n. 8987/2013).

I) CONCLUSIONI
E’ arrivato, finalmente, il momento di riorganizzare strutturalmente e professionalmente la giustizia tributaria, che deve avere una sua autonomia e dignità rispetto alla magistratura ordinaria, amministrativa e contabile, nel rispetto scrupoloso degli articoli 102, secondo comma, 106, 108 e 111 della Costituzione, nel senso che non devono essere istituiti giudici speciali o straordinari, le nomine dei giudici devono avere luogo solo per concorso e le norme sull’ordinamento giudiziario su ogni magistratura sono stabilite soltanto con legge ed infine che il giudice deve essere terzo ed imparziale e la legge deve assicurare la ragionevole durata del processo.
Il processo tributario deve avere le stesse regole processuali del processo civile, senza limitazioni e condizionamenti, proprio perché sarà gestito da giudici professionali.
Oltretutto, l’autonomia della giustizia tributaria può determinare l’estensione della competenza non soltanto agli atti intermedi ed agli interpelli ma a tutti gli atti istruttori lesivi di diritti costituzionalmente garantiti, anche in ordine al risarcimento dei danni consequenziali, senza doversi rivolgere alla magistratura ordinaria con aggravio di tempi e costi e senza dover attendere l’atto di accertamento finale (come oggi, Cassazione – Sez. Unite – sentenza n. 11082/2010).
Inoltre, i giudici tributari devono essere competenti anche per tutte le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento, anche in questo caso per evitare perdite di tempo e duplicazioni di giudizi.
Da ultimo, si potrebbe prevedere la competenza dei nuovi giudici tributari professionali anche per il penale, limitatamente ai reati tributari del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, per evitare le assurdità processuali del c.d. doppio binario (Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza n. 10036 del 06/05/2011); infatti, tra le prove orali del concorso si devono prevedere anche gli elementi di diritto e procedura penale.
Spero che, finalmente, sia approvata la legge di riforma della giustizia tributaria, prima della fine della presente legislatura, con il rispetto dei principi sinteticamente sopra esposti e che ho sempre evidenziato nei miei scritti e nelle mie relazioni congressuali, sin dal mio primo libro “Per un “Giusto” Processo Tributario” - Congedo Editore – del 25 gennaio 2000 e nel mio disegno di legge, con relativa relazione, del 14 aprile 2016.
di Maurizio Villani
Avvocato Tributarista in Lecce
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venerdì 13 gennaio 2017

LA MEDIAZIONE INTERROMPE I TERMINI PER L’IMPUGNAZIONE

Tribunale Milano 02/12/2016, n. 13360 sezione XIII civile

La mediazione interrompe e non sospende il decorso dei termini per l’impugnazione. Principio espresso dal Tribunale di Milano nella sentenza che segue dove ha chiarito che se la domanda di mediazione si limitasse solo a sospendere il termine dei 30 giorni per impugnare la decisione dell’assemblea, per impugnare la delibera in tribunale dopo una mediazione fallita, si avrebbe un numero di giorni pari alla differenza tra i trenta giorni previsti dal codice civile e quelli intercorsi fino alla comunicazione dell’istanza di mediazione. Invece, trattandosi di interruzione del termine di 30 giorni, si ha che, dopo il deposito del verbale negativo della mediazione, si hanno da capo tutti i trenta giorni per depositare la domanda in tribunale.

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SENTENZA TRIBUNALE MILANO 02 DICEMBRE 2016, N. 13360 - Mediazione interrompe termini impugnazione



TRIBUNALE MILANO 02 DICEMBRE 2016, N. 13360

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE TREDICESIMA CIVILE

In funzione di Giudice Unico nella persona del dott. Giacomo Rota ha pronunciato la seguente

SENTENZA
Nella causa promossa
DA

I. B., rappresentato e difeso dall’avv. M. R. in forza di procura in atti ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Vignate,
– ATTORE –

CONTRO

Supercondominio in Pioltello in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. M. Z. come da procura in atti ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Segrate, Via Mazzini n. 5

Oggetto: impugnazione di delibera assembleare Conclusioni: come da fogli allegati al verbale di causa

– CONVENUTO –

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con il presente giudizio I. B., sulla premessa di essere condomino del Supercondominio, ha impugnato la delibera dell’assemblea ordinaria dei rappresentanti del predetto Supercondominio, assunta in seconda convocazione in data 20 novembre del 2014 (per reperire la delibera vedi il doc. n. 4 del fascicolo di parte attrice), nella parte in cui la predetta delibera ha, ai punti dell’ordine del giorno da uno a sei, rispettivamente approvato i consuntivi per gli esercizi di gestione 2011, 2012 e 2013, il consuntivo dei lavori posti in essere per la riqualificazione dell’impianto antincendio, il consuntivo dei lavori posti in essere per i box e il bilancio preventivo per l’esercizio di gestione 2014: a fondamento dell’impugnazione ha dedotto plurimi profili di doglianza che verranno trattati analiticamente nella parte motiva della presente sentenza.

Per ciò che interessa in questa sede, l’attore I. B. ha fatto precedere l’odierno giudizio dal tentativo di mediazione comunicato al Supercondominio convenuto in data 12 dicembre 2014 (vedi il doc. n. 2 fascicolo parte convenuta) e concluso con esito infausto il successivo 12 febbraio 2015 (vedi il doc. n. 15 del fascicolo di parte attrice).

Costituendosi nell’odierno giudizio, il Supercondominio ha contestato le doglianze di parte attrice eccependo in via preliminare l’intervenuta decadenza dell’attore B. dal potere di proporre impugnazione alla delibera del 20 novembre 2014, stante l’asserito spirare del termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c., e concludendo per il rigetto delle domande dell’attore I. B..

Per ciò che interessa nella presente sede, la difesa del Supercondominio ha evidenziato che nelle more del giudizio sono intervenute due delibere assembleari del predetto Supercondominio, una celebrata in data 13 maggio 2016 dai rappresentanti dei singoli plessi ex art. 67 disp. att. c.c. (vedi il doc. n. 14 fascicolo parte convenuta) e l’altra in data 17 maggio 2016 da tutti i condomini (vedi il doc. n. 15 fascicolo parte convenuta), delibere che hanno entrambe provveduto a ratificare il contenuto dell’intero deliberato del 20 novembre del 2014: la difesa di parte convenuta ha pertanto insistito nella sopravvenuta cessazione della materia del contendere con condanna di parte attrice al pagamento delle spese di lite secondo il noto meccanismo della soccombenza virtuale.

Senza alcuna istruttoria orale la causa è giunta al naturale epilogo dopo il deposito degli scritti difensivi di cui all’art. 190 del codice civile.

Questi i fatti di giudizio e le rispettive posizioni difensive delle parti, reputa il Tribunale che le domande formulate da I. B. debbano trovare accoglimento nei ristretti limiti di seguito indicati.

Da disattendere si palesa innanzitutto l’eccezione fatta valere dalla difesa del Supercondominio di improcedibilità dell’impugnazione della delibera del 20 novembre 2014 azionata dall’attore B. per l’intervenuta decorrenza del termine decadenziale di trenta giorni previsto dalla legge ai fini della tempestività dell’azione: instaurato tempestivamente il procedimento di mediazione, il predetto termine decadenziale di trenta giorni è stato interrotto salvo a riprendere nuovamente a decorrere, ai sensi dell’art. 5, comma sesto, del decreto legislativo n. 28 del 2010, a far data dal deposito del verbale presso la segreteria dell’organismo di mediazione avvenuto il 12 febbraio 2015; posto che l’atto di citazione è stato portato alla notifica il successivo 13 marzo 2015, non vi è chi non veda come il termine di trenta giorni – che deve decorrere nuovamente per una sola volta dal 12 febbraio 2015 – sia stato rispettato dal condomino attore, il che rende tempestivo l’odierno gravame e comporta l’infondatezza della superiore eccezione.

La decadenza dall’impugnazione ex art. 1137 c.c. va piuttosto rilevata per i vizi scaturenti dalla violazione degli art. 1130 e 1130 bis c.c. che l’attore I. B. ha dedotto nei confronti dell’approvazione dei consuntivi per gli esercizi di gestione 2011, 2012 e 2013 stante il fatto che tali asseriti vizi non sono stati menzionati nella causa petendi prospettata in sede di mediazione obbligatoria: a fronte della specifica contestazione posta in essere dalla difesa di parte convenuta Supercondominio, la parte attrice nulla ha obiettato, di talché, in applicazione del principio di cui all’art. 115, primo comma, c.p.c. e in assenza di prova contraria desumibile dal vaglio del modello di presentazione della domanda di mediazione che non risulta allegato agli atti di causa, devesi pronunciare il rigetto della domanda attorea in parte qua per decadenza dal termine ad impugnare previsto dalle legge.

Premesso che nel presente giudizio si è in presenza di un Supercondominio formato da più di sessanta condomini per il quale vige la piena operatività dell’art. 67 disp. att. c.c. e la necessità che si convochi l’assemblea dei rappresentanti per statuire sulla gestione ordinaria e sulla nomina dell’amministratore di Supercondominio in conformità a tale ultima norma, il primo profilo di doglianza fatto valere da I. B. attiene alla violazione dell’art. 67 disp. att. c.c. per asserita irregolare composizione dell’assemblea dei rappresentanti del Supercondominio convenuto tenutasi in data 20 novembre 2014: esso è da disattendere atteso che da un lato la difesa di parte convenuta ha dimostrato che quattro dei cinque plessi presenti a tale adunata erano validamente rappresentati dai soggetti comparsi in quella sede (vedi il doc. n. 5 fascicolo parte convenuta riportante i verbali di nomina dei rappresentanti dei singoli plessi formanti il Supercondominio convenuto), mentre, dall’altro lato, la difesa di parte attrice non ha dato la prova che I. B., che pure ha partecipato fattivamente al consesso assembleare di cui qui censura le statuizioni avendo ivi esternato e dichiarato di essere il valido rappresentante della Torre 3, non sia stato realmente nominato dall’assemblea dei condomini di tale ultimo plesso; in mancanza di tale prova, deve ribadirsi la piena legittimità dell’operato dell’assemblea del 20 novembre 2011 con riguardo alla composizione dell’organo nelle persone dei rappresentanti che vi hanno effettivamente partecipato, salvo stigmatizzare il comportamento dell’attore B. che ha partecipato all’adunata palesandosi quale valido rappresentante salvo poi eccepire il proprio difetto di legittimazione al fine della successiva impugnazione.

Altro profilo di doglianza fatto valere da I. B. attiene all’approvazione, in seno ai consuntivi per gli esercizi di gestione 2011, 2012 e 2013, di plurime spese per opere ed interventi di manutenzione straordinaria che, a detta di parte attrice, avrebbero dovuto essere approvate dall’assemblea di tutti i condomini del Supercondominio convenuto e non dai rappresentanti dei singoli plessi convocati ex art. 67 disp. att. c.c. in occasione della delibera gravata: in particolare la difesa di parte attrice ha censurato, con riguardo al consuntivo per l’esercizio di gestione 2011, sia l’approvazione di lavori afferenti il ripristino dei box per un importo di oltre Euro 30.000,00 che l’approvazione di spese a titolo di pulizia per l’acquisto di 650 lampadine per un importo di oltre Euro 7.500,00, con riguardo al consuntivo per l’esercizio di gestione 2012, l’approvazione di spese a titolo di pulizia per l’acquisto di altre 650 lampadine per un importo di oltre Euro 3.000,00, e, con riguardo al consuntivo per l’esercizio di gestione 2013, l’approvazione di spese a titolo di pulizia per l’acquisto di ulteriori 560 lampadine per un importo di oltre Euro 5.500,00, nonché ha censurato l’approvazione dei lavori di riqualificazione dell’impianto antincendio (punto numero quattro dell’ordine del giorno) e di ulteriori spese straordinarie per i box (punto numero quinto dell’ordine del giorno), oltre che, con riguardo all’approvazione del bilancio preventivo per l’esercizio di gestione 2014 (punto numero sesto dell’ordine del giorno), lo stanziamento della somma di Euro 10.000,00 per spese afferenti la manutenzione straordinaria.

Tutte tali doglianze sono da accogliere considerato che i lavori sopra indicati sono tutti di natura straordinaria – non rilevando in alcun modo ai fini del decidere l’eventuale urgenza della loro realizzazione – e che l’assemblea dei rappresentanti di Supercondominio convocata ex art. 67 disp. att. c.c. non poteva statuire su opere di manutenzione straordinaria ma unicamente sulla gestione ordinaria e sulla nomina dell’amministratore di supercondominio: esse determinano la nullità delle relative statuizioni posto che il consesso assembleare ha deciso contra legem su argomenti non rientranti nelle materie costituenti oggetto della sua competenza.

Ciononostante in parte qua devesi pronunciare la sopravvenuta cessazione della materia del contendere stante la ratifica della delibera del 20 novembre 2014 intervenuta a seguito dell’assemblea dei condomini del Supercondominio convenuto datata 17 maggio 2016 (vedi il doc. n. 15 fascicolo parte convenuta) che ha sanato il vizio di costituzione dell’organo deliberativo, avendo infatti deliberato sulle predette spese straordinarie i condomini in luogo dei rappresentanti; di ciò si terrò conto ai fini dell’imputazione delle spese di lite secondo il principio della soccombenza virtuale.

Altro profilo di doglianza fatto valere dalla difesa di parte attrice attiene al criterio adottato dall’assemblea del 20 novembre 2014 ai fini del riparto della spesa di Euro 11.450,00 sostenuta per costi afferenti “Pompe di sollevamento”, spesa che la difesa di parte attrice ha chiesto venisse ripartita in capo alla Torre 3 al 50 % della quota gravante su tale plesso in ragione di una costante “consuetudine dimostrata dai vari consuntivi degli anni pregressi” e di una sedicente “pattuizione intervenuta tra i vari condomini periferici in forza di una perizia tecnica commissionata a tal fine”: questo Giudice non comprende tale profilo di doglianza salvo a precisare che eventuali consuetudini adottate nel tempo dai condomini ai fini della scelta dei criteri di riparto delle spese – od eventuali pattuizioni non deliberate all’unanimità dei condomini – giammai possono derogare ai criteri di legge ai fini del riparto delle spese, il che rende tale doglianza non meritevole di accoglimento.

Del pari non meritevoli di accoglimento si palesano le doglianze afferenti l’approvazione, nei consuntivi di gestione oggetto di censura, delle spese relative alle polizze assicurative sostenute dal Supercondominio convenuto: premesso che questo Giudice non può sindacare l’opportunità di una voce di spesa approvata dai condomini, devesi asserire come del tutto irrilevante si palesi, ai fini della invalidità del deliberato che la spesa per la polizza assicurativa contestata ha approvato, che il plesso Torre 3 di cui fa parte il B. fosse a propria volta assicurato con distinta polizza, apparendo i soggetti assicurati del tutto diversi tra loro ed i relativi rischi non sovrapponibili, di talché l’una spesa sostenuta dalla Torre 3 a scopo assicurativo non escludeva l’altra sostenuta dall’intero Supercondominio per il medesimo scopo.

Infine criptico si palesa l’ultima doglianza prospettata dalla difesa dell’attore B. nei seguenti termini: “si rileva che in tutti i consuntivi alla voce “acqua potabile” non vengono stornati dal costo addebitato al Condominio Periferico Torre 3 i mc di irrigazione del giardino condominiale”; da quanto pare di comprendere trattasi di omessi accrediti per asseriti crediti che l’assemblea del Supercondominio convenuto non avrebbe deliberato a favore della Torre 3 di cui il B. fa parte quale condomino, ma la censura rimane nebulosa non essendosi evidenziata alcuna doglianza specifica sul punto ad opera della difesa di parte attrice.

Consegue in definitiva che vanno rigettate, nei termini di cui sopra, tutte le censure prospettate dalla difesa di parte attrice I. B. avverso la delibera del 20 novembre 2014 gravata ad eccezione della violazione dell’art. art. 67 disp. att. c.c. accertata con riguardo all’approvazione delle spese per opere ed interventi di manutenzione straordinaria che avrebbero dovuto essere approvate dall’assemblea di tutti i condomini del Supercondominio convenuto e non dai rappresentanti dei singoli plessi: in parte qua però va pronunciata la sopravvenuta cessazione della materia del contendere stante l’intervenuta ratifica della delibera del 20 novembre 2014 oggetto della odierna impugnazione ad opera dell’assemblea dei condomini del Supercondominio convenuto celebrata in data 17 maggio 2016.

L’esito della lite che ha visto una reciproca soccombenza delle parti comporta la compensazione delle spese di lite tra di esse in ragione dei due terzi, salvo addossare il rimanente terzo, nella misura di cui al dispositivo, a carico del Supercondominio in quanto parte prevalentemente soccombente.

Q. M.

Il Tribunale di Milano, XIII Sezione Civile, definitivamente pronunciando nella causa fra le parti di cui in epigrafe, ogni altra istanza, domanda ed eccezione disattesa, così provvede:
  1. Dichiara la sopravvenuta cessazione della materia del contendere con riguardo all’approvazione delle spese per opere ed interventi di manutenzione straordinaria adottata dall’assemblea ordinaria dei rappresentanti del Supercondominio, assunta in seconda convocazione, in data 20 novembre del 2014;
  2. Rigetta le rimanenti domande dell’attore I. B.;
  3. Compensate in ragione di due terzi le spese di lite tra le parti di causa, condanna il Supercondominio al pagamento, a favore di I. B., delle spese di lite in ragione del restante terzo, spese liquidate in tale misura in Euro 550,00 per spese ed Euro 2.000,00 per compenso di avvocato, oltre rimborso forfettario spese generali 15 %, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Milano, 30 novembre 2016 Il Giudice
Dott. Giacomo Rota
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giovedì 17 novembre 2016

Change di conciliazione nelle cause condominiali davanti al Giudice di Pace?


LA RIFORMA DELLA MAGISTRATURA ONORARIA


II 10 marzo 2016 è stato approvato, in prima lettura, dal Senato - e, al momento della stesura di queste brevi note, è in attesa dell'altro passaggio parlamentare alla Camera - il disegno di legge di delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace", che prevede l'attribuzione della competenza "esclusiva" di questi ultimi, ossia senza più alcuna ripartizione con il tribunale (l'altro ufficio giudiziario di primo grado), per "le cause e i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia di condominio negli edifici".
In disparte l'opportunità di tale "devoluzione totalitaria" - su cui ci sarà modo di ritornare - preme in questa sede rilevare che, in tal modo, ritorna di viva attualità la vexata quaestio relativa alla possibilità o meno di applicare la mediazione obbligatoria, inaugurate dal d.lgs. 28/2010, affossata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 272/2012 e resuscitata ad opera del c.d. decreto del fare n. 69/2013, convertito con modificazioni nella legge n. 98/2013, alle controversie trattate dal giudice di pace.
Attualmente, in forza dell'art. 7, comma 1, c.p.c. - così come modificato dalla legge n. 69/2009 - il giudice di pace è competente per "le cause relative a beni mobili di valore non superiore a cinquemila euro", ed è, altresì, competente, a norma del comma 3, per materia ("qualunque ne sia il valore"):
  1. per le cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi;
  2. per le cause relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case;
  3. per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità. 

di Alberto Celeste
Magistrato
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IL TENTATIVO OBBLIGATORIO DI CONCILIAZIONE

Oggi, in tutte le suddette controversie, direttamente o indirettamente afferenti alla realtà condominiale - e, in un prossimo futuro, per tutte le cause condominiali - il giudice di pace, in forza dell'art. 320, comma 1, c.p.c., deve, alla prima udienza, interrogare liberamente le parti e tentare la conciliazione, che resta, pur sempre, un connotato caratterizzante la sua figura, infatti, interrogate liberamente le parti, il giudlce di pace dovrebbe aver tratto dalle loro risposte ulterlori elementi rispetto a quelli contenuti nelgli atti introduttivi - atto di citazione e comparsa di risposta - ed essersi fatto un quadro sufficientemente chiaro della fattispecie oggetto della controversia condominiale, sicché potrebbe procedere al tentativo obbligatorio di conciliazione.
In questa prospettiva, l'interrogatorio libero nel procedimento davanti al giudice di pace risulta strettamente implicato con l'attività conciliativa, che deve essere contestualmente svolta da tale magistrato onorario; l'indicativo usato dal legislatore - nella prima udienza il giudice tenta la conciliazione - induce a ritenere come obbligatorio l'espletamento di tale incombente processuale, a differenza del giudice togato per il quale, a norma dell'art. 185 c.p.c. (come modificato dalla legge n. 80/2005), lo stesso è diventato facoltativo, in pratica, prima, il tentativo obbligatorio di conciliazione davanti al tribunale era previsto come adempimento necessario della prima udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c., in cui era espressamente contemplata la comparizione personale dei contendenti, mentre oggi, ai sensi del novellato comma 3, è rimesso alla "richiesta congiunta delle parti", solo in forza della quale il giudice fissa una nuova, apposita, udienza, "al fine di interrogarle liberamente e di provocarne la conciliazione".
A questo punto, se la conciliazione riesce, il comma 2 dell'art. 320 c.p.c. prevede che si debba redigere processo verbale a norma dell'art. 185, ultimo comma, c.p.c., separato da quello di udienza (art. 88 disp. att. c.p.c.), e sottoscritto dalle parti, dal giudice e dal cancelliere, che ha valore di titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., alla conciliazione - che, dal punto di vista sostanziale, produce effetti simili alla transazione - consegue, sotto il profilo processuale, l'estinzione del giudizio che dovrebbe operare di diritto senza formali dichiarazioni, anche se la prassi opta per un provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo.
Se, invece, la conciliazione fallisce - salvo che il magistrato onorario non intenda fissare un'altra udienza per ripetere l'incombente visti gli esiti della trattativa - il processo prosegue il suo iter (art. 320, comma 3, c.p.c.), senza escludere la possibilità di rinnovare il suddetto anche in seguito ex artt. 117 e 185 c.p.c., perché il relativo espletamento è rimesso al potere discrezionale del giudice di pace, al quale compete il dovere funzionale di valutare, dall'esame preliminare del fascicolo nonché in relazione anche agli assunti delle parti ed al loro comportamento processuale, se sussista la possibilità, anche remota, di un esito favorevole, individuando così gli eventuali margini di composizione della lite condominiale.
Una considerazione a parte merita, invece, la conciliazione extragiudiziaria dinanzi al giudice di pace prevista dall'art. 322 c.p.c., attesa la somiglianza e, quindi, il rischio di duplicazione rispetto alla mediazione di cui al d.lgs. n. 28/2010, poiché entrambi i rimedi sono extragiudiziari e rivolti alla soluzione di una controversia insorta tra le parti.
Le principali differenze consistono nella base volontaria, anziché obbligatoria, che caratterizza la conciliazione stragiudiziale dinanzi al giudice onorario, e nel soggetto cui è affidata, ossia un organo giurisdizionale che opera in veste pubblicistica, attraverso un meccanismo caratterizzato da minori costi ed intrinsecamente dotato di maggiori garanzie di autonomia, indipendenza e terzietà, rispetto alla mediazione, la quale può avvenire anche dinanzi ad organismi privati.
La base volontaria della conciliazione dinanzi al giudice di pace, ai sensi del citato art. 322, escluderebbe, poi, che l'istituto possa rientrare tra "i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati", le cui disposizioni "restano ferme" in base all'art. 23, comma 2, delle norme delegate, con la conseguenza che - proprio, o soltanto, perché non obbligatorie - tali conciliazioni non sono esperibili in luogo dei procedimenti di mediazione previsti dal d.lgs. n. 28/2010.
Dunque, accanto all'esercizio della "giurisdizione in materia civile", in ordine alla quale il giudice di pace agisce come un vero e proprio magistrato, onorario, appartenente all'ordine giudiziario (art. 1 della legge n. 374/1991), il legislatore ha contemplato, in capo allo stesso, la "funzione conciliativa in materia civile", regolata da norme specifiche (art. 322 c.p.c.), che richiede ladozione di stili e metodi diversi.
Il tentativo di conciliazione in sede non contenziosa si distingue, comunque, da quello che lo stesso giudice di pace deve esperire in sede contenziosa (art. 320, comma 1, c.p.c.): il primo é un procedimento autonomo rispetto al successivo ed eventuale giudizio, preventivo (in quanto finalizzato ad evitare quest'ultimo) e facoltativo rispetto all'inizio della lite giudiziaria (quale che sia la materla o/e il valore della causa), mentre il secondo è obbligatorio e finalizzato a comporre amichevolmente una lite giudiziaria già in atto (esclusivamente nelle controversie che rientrano nella competenza del giudice onorario).
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LA MEDIAZIONE COME CONDIZIONE DI PROCEDIBILITA'

Orbene, reintrodotta Ia mediazione obbligatoria, in primis, nelle cause condominiali, a seguito del novellato art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010, si pone il problema se, qualora la controversia debba essere decisa dal giudice di pace, é necessario provvedere a tale incombente.
Alcuni hanno avuto modo di evidenziare che potrebbe non apparire conforme ai canoni di ragionevolezza ritenere che la mediazione obbligatoria si applichi anche alle controversie di competenza (per valore o per materia) del giudice di pace, per il rapporto di "sovrapposizione" o di "pregiudizialità necessaria" che si instaura tra la procedura obbligatoria di mediazione ed il tentativo obbligatorio di conciliazione.
Infatti, l'una non esclude l'altra, sicché, per le controversie attribuite alla cognizione del giudice di pace, le strade obbligate per giungere all'accordo conciliativo - quella prevista dal novellato art. 5-comma 1-bis da coltivare ante causam, o con assegnazione di un termine da parte del giudice onorario quando la mediazione sia iniziata e non sia stata conclusa o non sia stata esperita, oppure quella "indirizzata" dallo stesso giudice in corso di causa - potrebbero addirittura triplicarsi, senza contare il richiamato disposto dell'art. 322 c.p.c., nel senso che, qualora una delle parti intenda avvalersi del rimedio conciliativo in sede non contenziosa, "le vie che portano allaccordo" potrebbero ulteriormente moltiplicarsi.
In quest'ordine di concetti, si é posto il Giudice di Pace di Civitanova Marche, il quale, con l'ordinanza del 24 gennaio 2014, a fronte dell'eccezione di improcedibilità sollevata dal convenuto - reo, l'attore, di non aver attivato il preventivo procedimento obbligatorio di conciliazione - ha osservato che listituto della conciliazione è già presente nel codice di rito ed é considerato obbligatorio, laddove il d.lgs. n. 28/2010 sulla mediazione non contiene alcun richiamo al processo dinanzi al giudice di pace.
Atteso che l'art. 320 c.p.c., contenente disposizioni espresse in ordine all'obbligo del tentativo di conciliazione, non risulta essere stato abrogato e/o modiflcato dal citato d.lgs. n.28/2010, l'applicazione dell'istituto della mediazione per le materie del giudice di pace comporterebbe "un'inutile duplicazione" di quanto già assegnato alla competenza di questo ufficio giudiziario e riuscirebbe di ostacolo alla celerità del processo ed alla sua ragionevole durata (artt. 111 Cost. e 6 CEDU).
Ad avviso del magistrato onorario marchigiano - in senso conforme, v. Giud. Pace Cava dei Tirreni 21 aprile 2012, e Giud. Pace Napoli 23 febbraio 2012 una diversa interpretazione si manifesterebbe paradossale, e comunque contra legem, in evidente contrasto con il delineato quadro sistemico, finendo per vanificare lo scopo del legislatore diretto proprio a favorire la conclliazione delle controversie di competenza del giudice di pace che già svolge ex lege la funzione affidata al mediatore, altrimenti, verrebbe conculcato il diritto di cui all'art. 24 Cost. (tertium comparationis, in collegato con l'art. 111, commi 1 e 2, Cost.).
Per converso, si potrebbe obiettare - v. Giud. Pace Salerno 2 luglio 2012, e Giud. Pace Monza 28 gennaio 2015 - che la nuova normativa non prevede, per la mediazione, nessuna distinzione tra i procedimenti dinanzi al tribunale o al giudice di pace, lasciando intendere l'obbligatorietà della mediazione per "tutti" i procedimenti previsti nell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010 (in altri termini, ove il legislatore avesse avuto intenzione di non applicare tale decreto legislativo alle controversie dinanzi al giudice di pace lo avrebbe stabilito espressamente, mentre non ne fa cenno alcuno).
Inoltre, è vero che, in tale decreto, non si menziona la procedura conciliativa davanti al magistrato laico, ma ciò non é sufficiente per ritenere che l'obbligatorietà non vi sia, tanto più che lo stesso legislatore non avrebbe certamente inserito, in tale obbligatorietà, alcune materie che pacificamente sono di competenza proprio del giudice di pace (in primis, le cause condominiali le quali, de iure condendo, dovrebbero essere appannaggio esclusivo di tale giudice onorario, inclusi i procedimenti di volontaria giurisdizione).
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MEDIAZIONE: LE DIFFERENZE TRA I DUE ISTITUTI DEFLATTIVI

A stretto rigore, nel nostro ordinamento, l'istituto della conciliazione é contemplato da diverse disposizioni (artt. 185, 185-bis, 198, 199, 320, 322, 350, 410, 412-ter, 420, 442, 652, 696-bis e 708 c.p.c.): esso si configura come un metodo alternativo di risoluzione delle controversie con cui le parti cercano, all'interno del processo, di raggiungere la soluzione concordata di una controversia attraverso il giudice, la disciplina della mediazione implica, invece, l'attività svolta da un terzo diverso dal giudice, come attività imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con la formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa, la conciliazione é la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione, sicché la mediazione si configurerebbe piuttosto come un'attività, mentre la conciliazione come il risultato di questa attività.
L'opinabilità della questione é acuita nel testo di riforma della magistratura onoraria, il quale, per un verso, riconosce al giudice di pace una determinata indennità per ogni verbale di conciliazione in materia civile, e, per altro verso, affida allo stesso magistrato onorario il compito di provvedere, in luogo del presidente del tribunale, all'omologazione degli accordi conclusi in sede di "mediazione".
Ad ogni buon conto, qualora dovesse prevalere la tesi sulla non obbligatorietà della mediazione nelle controversie di competenza del giudice di pace - superando, per la peculiare materia condominiale, l'argomento che fa leva sulla lex specialis rappresentata dall'art. 71 quater disp. att. c.c., inserito dall'art. 25, comma 1, della legge n. 220/2012 - ci si augura un potenziamento dell'istituto della conciliazione giudiziale, affinché, avvantaggiandosi della maggiore capillarità del magistrato onorario sul territorio nazionale e di una certa specializzazione via via acquisita in relazione ad un determinato contenzioso (quale, appunto, quello condominiale), possa effettivamente rappresentare un utile strumento di prevenzione delle controversie nonché un mezzo efficace per alleggerire il carico dei processi civili, considerando anche i vantaggi per il cittadino sia in termini di rapidità nella composizione della lite sia sotto il profilo economico.
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martedì 16 agosto 2016

La mediazione nel condominio: D.Lgs 4/3/2010 n. 28

di Gisella Casamassima
direttore Centro Studi Provinciale ANACI Roma

Le delibere condominiali per adesione al procedimento

Orientamenti giurisprudenziali: quorum deliberativi

La mediazione obbligatoria - originariamente introdotta dal decreto legislativo 28/2010, dichiarato incostituzionale per eccesso di delega - è stata reintrodotta dalla legge 9 agosto 2013, n.98 che ha convertito con modifiche il D.L. 69/2013, con il quale sono stati "corretti" i profili d'incostituzionalità della normativa originaria.
La materia condominiale è stata inserita tra quelle per cui è obbligatoria la preventiva fase di mediazione e per effetto di tale previsione torna a vita l'art. 71 quater della legge 220/12 che in un primo tempo era stato travolto dalla sentenza della Corte Costituzionale.
I motivi per cui la materia condominiale è inserita tra quelle per cui è obbligatoriamente prevista la mediazione sono vari: innanzitutto vi è uno scopo deflattivo del contenzioso giudiziario, che come si sa per il 20% verte in materia condominiale; quindi la volontà di introdurre la possibilità di soluzioni alternative ai conflitti nell'ambito di contratti e rapporti a larga diffusione sociale con il fine di preservare tali rapporti, piuttosto che vederli cessati al termine del contenzioso giudiziario.
Certo questa impostazione che, mostrando attenzione all'importanza di risolvere i conflitti con metodi capaci di mantenere i rapporti, si vorrebbe richiamare ai principi della mediazione in generale, affermati dagli studiosi storici della materia (Fisher, Ury), contrasta con l'obbligatorietà introdotta nella nostra legislazione.
E a mio parere contrasta anche con la previsione di cui all'art. 16 n. 4 bis del D.lgs n. 28 Secondo cui gli Avvocati iscritti all'albo sono di diritto mediatori, in quanto la conoscenza del diritto di per sé è molto lontana dalla filosofia della mediazione che guarda non già al componimento dei diritti ma alla soddisfazione degli interessi.
Ma tant'è.
Per cui il D.lgs 28/10 prevede all'art. 5 condizioni di procedibilità e rapporti con il processo n. l bis: Chi intende esercitare un azione relativa a una controversia in materia di condominio, ...omissis, è tenuto, assistito dall'Avvocato, preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto,...omissis. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.... L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata ma non conclusa fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6 (tre mesi). Allo stesso modo dispone quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
L'interesse a che si tenti una soluzione alternativa al procedimento giudiziale è tale che il rilievo può essere disposto d'ufficio e che tenuta alla cosiddetta conciliazione demandata dal Giudice non sia solo la parte istante, bensì entrambe le parti del giudizio. Lo stesso vale, in base al n.2 dello stesso art.5, per le cause in fase di appello.
La valutazione dell'interesse concreto al procedimento di mediazione (e quindi la valutazione del comportamento di quella parte in caso di mancato adempimento all'invito del Giudice) è comunque demandata al Giudice stesso, tanto che ad esempio nelle opposizioni a decreto ingiuntivo, qualora l'invito rivolto dal Giudice alle parti di esperire il tentativo di mediazione rimanga disatteso, si determinerà la declaratoria di improcedibilità del giudizio di opposizione con la conseguente conferma della definitiva esecuzione del decreto:

Tr. Genova n. 1914 del 25/6/2015:
- E' da ritenersi condivisibile l'orientamento (Cfr. Trib. Rimini, 05.8.2014, Trib. Firenze 30.10.2014, Trib. Siena 25.06.2012, Trib. Nola 24.02.2015) che individua nell'opponente il soggetto su cui grava l'onere di avviare il procedimento di mediazione e, quindi, anche gli effetti pregiudizievoli di un'eventuale improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo. Pertanto, una volta dichiarata l'improcedibilità dell'opposizione, il corollario giuridico di detta pronuncia non potrà che essere la conferma del decreto ingiuntivo opposto.
L'art. 71 quater delle disposizioni di attuazione c.c. introdotto con la legge 220/12, indica nello specifico della materia condominiale quali siano le controversie soggette alla mediazione, quali siano i soggetti, i luoghi e le modalità per accedere alla mediazione:

[I]. Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall'errata applicazione delle disposizioni del libro terzo, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l'attuazione del codice.

[II]. La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato.

[III]. Al procedimento è legittimato a partecipare l'amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice.

[IV]. Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione.

[V]. La proposta di mediazione deve essere approvata dall'assemblea con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.

[VI]. Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l'amministratore di munirsi della delibera assembleare.
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LA MATERIA - La mediazione nel condominio: D.Lgs 4/3/2010 n. 28

Sono soggette alla preventiva mediazione:

Tutte le controversie relative sia agli artt. da 1117 a 1139 del codice civile, sia agli artt. da 61 a 72 d.a.c.c. e quindi vi rientrano, a titolo esemplificativo, le vicende riguardanti le parti comuni, la destinazione d'uso delle stesse, le controversie relative all'amministratore (artt. 1129-1133 c.c.), alle spese fatte dal condomino senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea (art. 1134 c.c.), all'assemblea dei condomini (artt. 1135-1137 c.c.), al regolamento di condominio (art. 1138 c.c.), nonché le questioni inerenti l'impugnazione delle delibere condominiali (art. 1137 c.c.) e la responsabilità dell'amministratore e la sua revoca, vi rientrano le questioni in tema di scioglimento del condominio e in materia di riscossione dei contributi condominiali, di tabelle millesimali e regolamenti di condominio. Ed essa si intende pacificamente estesa sia al condominio minimo, sia a quello orizzontale che al supercondominio.
L'art. 5 del D.lgs. n. 28/2010, n. 4 dispone che: i commi 1-bis e 2 non si applicano:

  1. nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
  2. nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile;
  3. nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696-bis del codice di procedura civile;
  4. nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;
  5. nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;
  6. nei procedimenti in camera di consiglio;
  7. nell'azione civile esercitata nel processo penale.
Ciò significa che ad alcuni procedimenti ben individuati non è applicabile l'obbligo della preventiva mediazione. Di questi alcuni interessano in maniera particolare il condominio. Ad esempio - con riferimento al decreto ingiuntivo che è di gran lunga lo strumento più frequente adottato dall'amministratore come suo preciso dovere e anche competenza - l'obbligo della mediazione scatta solo a seguito della pronuncia giudiziale sulla richiesta sospensione della provvisoria esecutività.
Ancora ad esempio la norma esclude la preventiva mediazione nei procedimenti in camera di consiglio (comprese le azioni per nomina e revoca dell'amministratore di condominio), nonostante diverso avviso del Trib. Padova sentenza 24 febbraio 2015, allo stato unica.
L'art. 3 del D.lgs. n. 28/2010, prevede anche che "lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale".
Quindi l'amministratore può - ad esempio - promuovere un azione d'urgenza per ottenere le consegna dei documenti da parte del suo predecessore senza presentare, preventivamente, istenza di mediazione.

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I SOGGETTI - La mediazione nel condominio: D.Lgs 4/3/2010 n. 28

L'art. 71 quater disp. att. c.c. dispone al terzo comma che al procedimento è legittimato a partecipare l'amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice civile cioè maggioranza degli intervenuti in assemblea e almeno la metà del valore dell'edificio, fermo il quorum costitutivo formato da tanti condomini che rappresentino:

  • in prima convocazione, la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio;
  • in seconda convocazione, un terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio.
Ciò avviene sia in caso in cui il giudizio sia deliberato dall'assemblea (condominio attore) sia nel caso in cui il condominio debba resistere ad una domanda (condominio convenuto).
In entrambi i casi sarà necessario nominare anche l'avvocato che dovrà assistere l'amministratore, giusto quanto disposto dall'art. 5 n. 1 bis e dall'art. 8 del d.lgs 28/2010.
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LA DELIBERA - La mediazione nel condominio: D.Lgs 4/3/2010 n. 28

Nel caso in cui l'amministratore riceva un invito a comparire dinanzi un Organismo di mediazione (o direttamente dall'Organismo o dalla parte interessata (art. 8), dovrà immediatamente convocare un'assemblea per le delibere conseguenti.
Poiché nel decreto è previsto un limite temporale massimo entro cui l'Organismo deve fissare il primo incontro (non oltre 30 gg dalla presentazione dell'istanza) ma non un limite MINIMO, può succedere che l'amministratore non abbia il tempo per poter convocare l'assemblea ad esprimersi al riguardo.
Dovrà quindi provvedere a chiedere uno spostamento del primo incontro dando prova di aver medio tempore convocato l'assemblea.
L'amministratore professionista conosce già bene i meccanismi della mediazione per cui può tranquillamente trasferire le proprie conoscenze all'assemblea chiedendo che la stessa deliberi oltre che alla partecipazione al primo incontro informativo (formalmente inteso, cioè quello in cui il mediatore chiarisce le funzioni e le modalità di svolgimento dell'istituto, invitando le parti e i loro legali ad esprimersi sulla possibilità di dare avvio alla mediazione) anche nel merito, acquisendo dalla stessa delibera l'indirizzo ed il limite del proprio mandato specifico nella mediazione.
Tanto più che nella formazione dell'atto introduttivo della mediazione, la parte ha l'obbligo di indicare l'oggetto e le ragioni della pretesa (n. 2 art. 4) che possono dunque essere un buon punto di partenza per la discussione in assemblea.
Alcuni Organismi di mediazione seguono la procedura più rigida, per cui impongono un primo incontro formativo e successivamente un primo incontro di discussione. L'unica chance per l'amministratore per tentare di ottimizzare i tempi è quello dl informarsi presso l'Organismo prescelto e comportarsi di conseguenza anche ai fini della convocazione dell'assemblea e dell'odg.
L'assemblea dovrà dunque essere chiamata a deliberare su:

  1. Partecipazione o meno al primo incontro informativo;
  2. Per l'ipotesi di accettazione alla partecipazione (e qualora l'ambito della richiesta di controparte sia stato sufficientemente esplicitato negli atti introduttivi) decisione se procedere o meno con la mediazione e quindi autorizzare l'amministratore alla partecipazione alla mediazione definendo l'ambito del mandato a conciliare.
  3. nomina del legale.
Tutte queste delibere dovranno essere assunte con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice civile cioè maggioranza degli intervenuti in assemblea e almeno la metà del valore dell'edificio, tenendo presente l'orientamento della Cassazione ribadito da ultimo con sentenza 19131 del 25/9/2015 "In tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, quali possono (non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto. Pertanto, anche nell'ipotesi di conflitto d'interesse, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentino la maggioranza personale e reale fissata dalla legge e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria."
Sempre mantenendo ferme le formalità deliberative, occorre tenere presente che il limite imposto al mandato dell'amministratore non potrà essere superato se non da una delibera successiva. Sarà dunque opportuno ottenere un mandato ampio, anche se l'eventuale proposta di accordo finale precisata nei termini che emergeranno dall'incontro/i in mediazione dovrà essere nuovamente e finalmente proposta all'assemblea per la definitiva accettazione.
Va da sé che l'ampiezza del mandato conferito all'amministratore dovrà essere gestito con sapienza, anche nel senso che portare a conoscenza della controparte il limite ultimo al quale si ha possibilità di accedere (che è descritto nel verbale dell'assemblea) smorza la capacita di trattare. Tentare dunque di consegnare il verbale della delibera dopo la partecipazione agli incontri di mediazione, e - allo stesso modo - pur non potendo imporre l'allontanamento dall'assemblea, fare in modo che l'assemblea esamini e valuti il proprio orientamento sulla materia oggetto di mediazione in maniera libera dalla presenza della controparte, aiuterà certamente il condominio ad assumere una posizione più chiara.
D'altra parte la procedura della mediazione, con la riservatezza imposta al mediatore e la possibilità di svolgimento di sessioni singole favorisce e giustifica (anche ad onta dell'obbligo dell'amministratore di consegnare i documenti richiesti dai condomini) un tale atteggiamento.
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IL PROCEDIMENTO - La mediazione nel condominio: D.Lgs 4/3/2010 n. 28

Presentata la domanda all'Organismo di mediazione, che in materia di condominio DEVE essere esclusivamente ubicato nella circoscrizione del Tribunale nella quale il condominio è situato, viene nominato il Mediatore che seguirà la pratica, viene stabilita la data del primo incontro e viene notificato il tutto alla controparte, il che può avvenire anche a cura dell'istante.
Al primo incontro, il mediatore deve chiarire le funzioni e le modalità di svolgimento dell'istituto e inviterà le parti e i loro legali ad esprimersi sulla possibilità di dare avvio alla mediazione vera e propria.
L'amministratore seguirà le disposizioni dell'assemblea sul punto, quindi potrebbe anche non essersi per nulla recato all'incontro in conformità della delibera (costo zero).
Oppure esservisi recato per riportare il volere dell'assemblea e dichiarare che il condominio non ha interesse a procedere nella fase di mediazione (costo 48.80 per diritti di cancelleria dell'Organismo + la vacazione dell'amministratore + il costo dell'Avvocato).
In questo caso, il procedimento si riterrà concluso e la parte sarà libera di procedere giudizialmente, giusta il disposto dell'art. 5 n. 2 bis, che recita: "quando l'esperimento della mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo".
Si tenga però presente che l'art. 8 n. 4 bis prevede che "dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio".
Quindi sarà comunque bene in caso di delibera di mancata partecipazione al primo incontro o di delibera di non procedere alla fase di mediazione motivare adeguatamente la delibera stessa.
In caso, invece, in cui le parti - e l'amministratore dunque partecipi alla mediazione adeguatamente autorizzato e assistito - dichiarino di voler procedere nel tentativo di mediazione, si darà atto di ciò a verbale da parte del Mediatore e si potrà procedere o seduta stante o con un rinvio.
Un limite obiettivo del procedimento di mediazione che coinvolge il condominio è il fatto che l'amministratore non potrà muoversi rispetto al MANDATO ricevuto. E quindi ogni diversa ipotesi di conciliazione che dovesse emergere nel corso della procedura dovrà essere nuovamente sottoposta all'Assemblea per essere nuovamente deliberata con le maggioranze di cui all'art. 71 quater.
Nell'ipotesi in cui si raggiunga un accordo (art. 12) nei termini demandati all'amministratore, il mediatore redigerà apposito verbale allegando il testo dell'accordo medesimo, il quale, una volta sottoscritto anche dagli avvocati dalle parti, costituirà "titolo esecutivo per l'esecuzione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico". Quando l'accordo non è sottoscritto anche dagli Avvocati, ma solo dalle parti, "l'accordo è omologato su istanza di parte dal presidente del Tribunale previo accertamento della regolarità formale e del rispetto alle norme imperative e dell'ordine pubblico".
Nell'ipotesi in cui, invece, non si pervenga ad un accordo, è compito del mediatore formulare una proposta di conciliazione, alla quale le parti, entro un termine congruo, dovranno rispondere, comunicando, per iscritto, la loro accettazione o il rifiuto e l'eventuale silenzio equivale al rifiuto della proposta.
E' dunque evidente, anche in questo caso, la necessità per l'amministratore di munirsi della delibera assembleare ai sensi dell'art. 71 quater disp. att. c.c. che prevede al quinto e al sesto comma, che la "proposta di mediazione" venga approvata.
Si ponga particolare attenzione alla circostanza in cui la proposta di mediazione coinvolga diritti soggettivi dei condomini sottratti alla competenza dell'Assemblea, ancorché con maggioranze qualificate.
Va da sé che in questi casi l'assemblea non potrà deliberare, ma l'atto dovrà predisporsi con la partecipazione dei soggetti titolari e con le eventuali forme previste dalla legge.
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LA DURATA - La mediazione nel condominio: D.Lgs 4/3/2010 n. 28

II d.lgs. n. 28/2010 art.6 fissa in tre mesi il termine di durata massima della mediazione e l'art. 71-quater disp. att. c.c., non dispone diversamente per le controversie condominiali.
II termine di cui al comma 1 art.6 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis dell'articolo 5 ovvero ai sensi del comma 2 dell'articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale.
E' espressamente previsto inoltre (art. 5 punto 6) che dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo. La procedura conciliativa, instaurata con la domanda di mediazione, impedisce il decorso del termine di decadenza (30 giorni) previsto dall'art. 1137 c.c. per impugnare la delibera condominiale.
Se dunque non si perviene all'accordo o la proposta del mediatore non è accettata, il Mediatore rilascerà un verbale negativo. Da quella data si computa il dies a quo per la decadenza di cui all'art. 1137 c.c. (cfr. contra Tribunale Palermo sentenza 19/09/2015 n. 4951 che conclude che, ai fini dei trenta giorni ex art. 1137 c.c., il procedimento di mediazione funzioni come fosse una causa di sospensione, nel senso che, alla cessazione di esso, consacrata dal deposito del verbale presso la segreteria dell'organismo, il termine riprende a correre dal punto di progressione che aveva raggiunto al momento della comunicazione della domanda di comunicazione).
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martedì 2 febbraio 2016

La mediazione in condominio


Lo strumento della mediazione può essere esperito utilmente anche in una controversia tra i condomini e tra il condominio e un condomino o l’amministratore. Qualora si possa raggiungere una conciliazione, l’amministratore deve, con l’assistenza dell’avvocato del condominio, specificare ai condomini i pro e i contro, per il condominio, dei contenuti transattivi da attuare e farsi autorizzare a sottoscrivere il verbale di conciliazione riportando nel verbale dell’assemblea gli esatti termini di questa.

La mediazione

Il legislatore, con l’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha delegato il Consiglio dei Ministri a disciplinare l’istituto della mediazione quale strumento di risoluzione conciliativa delle controversie in materia civile e commerciale, in attuazione della direttiva del Parlamento Europeo 2008/52/CE del 21 maggio 2008 e in alternativa alle cause giudiziarie allo scopo di deflazionarle. Infatti, è nota la cronica lunghezza della giustizia ordinaria nel risolvere le controversie devolute al suo esame con la conseguenza di un loro gravoso accumulo.
Come scrisse il poeta inglese John Donne: Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è  un pezzo del continente, una parte del tutto […] e, dunque, i conflitti tra uomini sono inevitabili e ricorrenti Il d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, attuativo della delega sopra citata, come modificato dal d.l.21 giugno 2013, n. 69 e convertito in legge 9 agosto 2013, n. 98, ha definito la mediazione l’attività svolta da un terzo imparziale finalizzata a ricercare un accordo amichevole per la soluzione di una controversia sorta tra due o più soggetti. Lo scopo è quello di agevolare una conciliazione tra due parti confliggenti che sia proposta e concordata tra loro stesse, seppure con l’intervento di un terzo soggetto indipendente che è il mediatore.

La procedura

In merito alla mediazione in tema di condominio, ritengo che, in relazione alla ratio della norma e alla circostanza che il tentativo di conciliazione è prodromo all’eventuale azione giudiziaria, analogicamente al disposto dell’art. 185 cod. proc. civ., l’amministratore possa aderirvi con una delibera che sia adottata con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’art. 1136 cod. civ. e analogamente, quale rappresentante sostanziale e processuale del condominio ex art. 1131 cod. civ., possa sottoscrivere la conciliazione che nulla è d’altro canto che un contratto.
Si rileva che la materia condominiale, per la quale è obbligatorio il preventivo tentativo di mediazione, è esclusivamente interente alle controversie derivate da inadempienze o comportamenti interpretativi concernenti gli artt. 1117/1139 cod. civ. e relative disposizioni d’attuazione.
Per quanto attiene ai decreti ingiuntivi, si deve rammentare che, quelli concessi ex art. 63 disp. att. cod. civ. sono provvisoriamente esecutivi, nonostante opposizione che, del resto, non può fondarsi sulle eccezioni alla delibera assunta d’approvazione del rendiconto consuntivo o preventivo, ma deve limitarsi ai soli profili amministrativi di questo ovvero a quelli processuali ed esecutivi (Cass. civ., Sezz. Unite, 27 febbraio 2007, n. 4421 e Cass. civ., Sezz. Unite, 18 dicembre 2008, n. 26629). Ne consegue che l’amministratore deve attendere la comunicazione dell’intrapresa procedura da parte del condomino moroso dopo la prima udienza per chiedere all’assemblea l’autorizzazione a partecipare alla mediazione, non avendo interesse a richiederla per primo, in quanto nell’ipotesi il condomino opponente non vi provveda, la sua azione è improcedibile. L’amministratore, d’altronde, ha la facoltà di convocare con un unico atto più assemblee consecutive in forza del nuovo testo dell’art. 66 disp. att. cod. civ..

Le maggioranze

La mediazione, quindi, consente alle parti in conflitto di trovare un accordo negoziale atto a risolverle, anche con proposte alternative al puro motivo dell’insorta controversia.
La conciliazione interviene tra parti che abbiano il potere giuridico di disporre del diritto contestato, come è previsto dall’art. 3 del citato d. lgs. n. 28/2010, per cui abbiano un potere negoziale anche di convenire le condizioni in forza delle quali risolvere l’insorta vertenza. Ritengo, pertanto, che, nell’ambito di una mediazione condominiale, si debba appurare chi abbia questo potere; da una parte, sicuramente, il condomino che, per esempio, abbia impugnato una delibera o contesti l’operato dell’amministratore, potendo ridurre o modificare le pretese da radicare nel successivo giudizio; dall’altra parte l’assemblea ha questo potere, la cui decisione, validamente adottata, vincola anche i dissenzienti, gli astenuti e gli assenti, in riferimento, però, alle maggioranze che rendono valida la deliberazione di accettare la conciliazione, essendo, in caso contrario, invalide essendo l’art. 1136 cod. civ. inderogabile e, soprattutto, se violino i diritti soggettivi dei condomini (da ultime Cass. civ., Sez. II, 30 aprile 2013, n. 10196 e Cass. civ., Sezz. Unite, 7 marzo 2005, n. 4806).
Considerato che il legislatore, nella fretta di licenziare la legge n. 220/2012, sovente ha omesso di richiamare il corpus juris in materia condominiale, reputo che il riferimento alla maggioranza degli intervenuti in assemblea, rappresentanti almeno la metà del valore millesimale, inerisca alla sola decisione di partecipare alla procedura di mediazione, ma allorché si debba transigere la controversia, sia obbligatorio considerare i quorum deliberativi relativi; così in tema di innovazioni si deve prendere in considerazione il quinto comma dell’art. 1136 cod. civ. e in tema di diritti reali e soggettivi, per esempio, di costituzione di una servitù o di una modifica di una clausola contrattuale del regolamento, si rende necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti al condominio.
Del resto se il legislatore avesse voluto indicare una maggioranza in deroga ai principi generali concernenti la validità delle delibere, lo avrebbe espressamente precisato, come è avvenuto per quelle riguardanti le, così dette, innovazioni sociali, richiamata sia nell’art. 1120 sia nell’art. 1136, entrambi del codice civile.


Fonte: Amministrare Immobili
di Gian Vincenzo Tortorici
Direttore CSN Anaci
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