martedì 23 gennaio 2018

Indicatori dei permessi di costruire


A partire da questa edizione, vengono diffuse dall'Istat le serie storiche destagionalizzate degli indicatori dei permessi di costruire. Inoltre, la cadenza di pubblicazione dei dati passa da semestrale a trimestrale.

Nel secondo trimestre del 2017 si rileva un significativo incremento congiunturale del numero di abitazioni in nuovi fabbricati residenziali (+7,8%), che rafforza i segnali di crescita già rilevati nei primi tre mesi (+3,5%). La superficie in fabbricati non residenziali, dopo il forte aumento registrato nel primo trimestre (+20,2%), nel secondo subisce invece una flessione (-4,7%).

Il numero di abitazioni rilevato per i nuovi fabbricati aumenta, in termini tendenziali, del 9,5% nel primo trimestre 2017 e del 13,6% nel secondo. Una dinamica sostanzialmente analoga contraddistingue la superficie utile (rispettivamente +12,3% e +11,4%).

Dopo la fase di contrazione rilevata, in media, nel 2016, anche l'edilizia non residenziale torna, nel 2017, a crescere con variazioni tendenziali molto elevate: +49,8% nel primo trimestre (dato influenzato dal valore particolarmente basso dell'indicatore nel primo trimestre 2016) e +28,1% nel secondo.

Nel complesso del primo semestre del 2017 si registra una crescita tendenziale diffusa che interessa sia la parte residenziale (+11,7% sui primi sei mesi del 2016 per le abitazioni in nuovi fabbricati residenziali; +11,8% la superficie utile abitabile) che quella non residenziale (+37,7% la superficie non residenziale).
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Produzione nelle costruzioni e costi di costruzione



A novembre 2017, rispetto al mese precedente, l'indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni registra un incremento dello 0,4%. Nello stesso mese, gli indici di costo del settore aumentano dello 0,1% per il fabbricato residenziale e dello 0,2% per il tronco stradale senza tratto in galleria mentre diminuisce dello 0,1% l'indice del tronco stradale con tratto in galleria.

Nella media del trimestre settembre-novembre l'indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente.

Su base annua, a novembre 2017 si registra un aumento del 0,6% per l'indice della produzione nelle costruzioni corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 21 come a novembre 2016). L'indice grezzo aumenta dello 0,6% rispetto a novembre 2016.

Sempre su base annua, gli indici del costo di costruzione aumentano dello 0,7% per il fabbricato residenziale, dell'1,4% per il tronco stradale con tratto in galleria e del 2,1% per quello senza tratto in galleria.

A novembre 2017, l'aumento tendenziale del costo di costruzione del fabbricato residenziale è da attribuire all'incremento dei costi dei materiali (+0,9 punti percentuali).

Anche l'incremento tendenziale degli indici del costo di costruzione dei tronchi stradali deriva esclusivamente dall'aumento dei costi dei materiali, sia per quello con tratto in galleria (+1,6 punti percentuali) che per quello senza tratto in galleria (+2,3 punti percentuali).
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OSSERVATORIO SUL PRECARIATO: Pubblicati i dati di novembre 2017



LA CONSISTENZA DEI RAPPORTI DI LAVORO 
Nei primi undici mesi del 2017, nel settore privato si registra un saldo tra assunzioni e cessazioni pari a +801.000, superiore a quello del corrispondente periodo sia del 2016 (+569.000) che del 2015 (+675.000). Calcolando il saldo annualizzato, la differenza tra assunzioni e cessazioni realizzate negli ultimi dodici mesi, si ottiene la misura della variazione tendenziale delle posizioni di lavoro: a fine novembre questa risultava pari a +557.000, stabile rispetto a quella rilevata a ottobre (+555.000). Questo risultato è la somma algebrica di: -14.000 per i contratti a tempo indeterminato, +61.000 per i contratti di apprendistato, +11.000 per i contratti stagionali e, soprattutto, +499.000 per i contratti a tempo determinato. 

LA DINAMICA DEI FLUSSI 
Nel corso del 2017 è aumentato il turnover dei posti di lavoro grazie soprattutto alla forte crescita delle assunzioni (tra gennaio e novembre 2017 in aumento del 18,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Sono aumentate anche le cessazioni (+16,1%) ma ad un ritmo inferiore. Alla crescita delle assunzioni il maggior contributo è stato dato dai contratti a tempo determinato (+26%) e dall’apprendistato (+13,9%); sono invece diminuite le assunzioni a tempo indeterminato (-5,2%), contrazione interamente imputabile alle assunzioni a part time. 
Tra le assunzioni a tempo determinato appare significativo l’incremento dei contratti di somministrazione (+20,3%) e ancora di più dei contratti di lavoro a chiamata che, con riferimento sempre all’arco temporale gennaio-novembre, sono passati da 179.000 (2016) a 392.000 (2017), con un incremento del 119,2%. 
Questo significativo aumento – come, in parte, anche quello dei contratti di somministrazione e dei contratti a tempo determinato – può essere posto in relazione alla necessità per le imprese di ricorrere a strumenti contrattuali sostitutivi dei voucher, cancellati dal legislatore a partire dalla metà dello scorso mese di marzo e sostituiti, da luglio e solo per le imprese con meno di 6 dipendenti, dai nuovi contratti di prestazione occasionale. 

Questi andamenti convergono nella compressione dell’incidenza dei contratti a tempo indeterminato sul totale delle assunzioni: 23,4% nei primi undici mesi del 2017 mentre nel 2015, quando era in vigore l’esonero contributivo triennale per i contratti a tempo indeterminato, la quota di assunzioni a tempo indeterminato era stata del 38,8%. 

Le trasformazioni complessive - includendo accanto a quelle da tempo determinato a tempo indeterminato anche le prosecuzioni a tempo indeterminato degli apprendisti - sono risultate nei primi 11 mesi del 2017 335.000, in flessione rispetto al medesimo periodo del 2016 (-2%). 

Per le cessazioni, la crescita è dovuta principalmente ai rapporti a termine (+24,2%) mentre le cessazioni di rapporti a tempo indeterminato risultano sostanzialmente stabili (-0,5%). 

Tra le cause di cessazione, i licenziamenti riferiti a rapporti di lavoro a tempo indeterminato risultano pari a 535.000, in riduzione rispetto al corrispondente periodo di gennaio-novembre 2016 (-6,6%) mentre in aumento risultano le dimissioni (+5,6%). 

Il tasso di licenziamento, calcolato sull’occupazione a tempo indeterminato, compresi gli apprendisti, è risultato per i primi undici mesi del 2017 pari al 4,6%, inferiore a quello registrato per lo stesso periodo del 2016 (4,9%). 

LE RETRIBUZIONI INIZIALI DEI NUOVI RAPPORTI DI LAVORO 
Quanto alla struttura retributiva dei nuovi rapporti di lavoro, si registra, per le assunzioni a tempo indeterminato intervenute a gennaio-novembre 2017, una riduzione della quota di retribuzioni inferiori a 1.750 euro che passano dal 57,9% del 2016 al 54,7% del 2017. 


LA FRUIZIONE DEGLI INCENTIVI “OCCUPAZIONE GIOVANI” E “OCCUPAZIONE SUD” 
Tra gennaio e novembre 2017 sono stati incentivati 54.449 rapporti di lavoro nell’ambito del Programma “Garanzia Giovani” e 103.907 rapporti di lavoro (83.637 assunzioni e 20.270 trasformazioni) nell’ambito della misura “Occupazione Sud”.
 


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Fisco; al via spesometro light, slitta termine 28 febbraio: Provvedimento Ruffini, online bozza semplificata

È online sul sito di Agenzia delle entrate la bozza del provvedimento che illustra le regole tecniche semplificate per la trasmissione telematica dei dati delle fatture emesse e ricevute e delle eventuali successive variazioni. La bozza recepisce le novità introdotte dal decreto-legge n. 148 del 2017 finalizzate a semplificare il set informativo da trasmettere, ad esempio prevedendo una comunicazione cumulativa per le fatture di importo inferiore a 300 euro. Per consentire agli operatori di prendere visione delle nuove indicazioni, la scadenza dell’invio dei dati relativi alle fatture del secondo semestre 2017 viene spostata al sessantesimo giorno successivo alla pubblicazione del provvedimento definitivo.


Meno dati e possibilità di comunicare il documento riepilogativo delle fatture di importo inferiore a 300 euro - Sarà facoltativo compilare i dati anagrafici di dettaglio delle controparti e sarà possibile comunicare solo i dati del documento riepilogativo registrato, anziché i dati dei singoli documenti, per le fatture emesse e ricevute di importo inferiore a 300 euro. I contribuenti che hanno utilizzato un software di mercato per la predisposizione della comunicazione del primo semestre 2017 e non intendono modificarlo, potranno continuare a compilare la comunicazione secondo le previgenti regole tecniche (retro-compatibilità). Le nuove semplificazioni potranno essere utilizzate anche per inviare le comunicazioni integrative di quelle errate riferite al primo semestre 2017. 

Due nuovi software di controllo e di compilazione - Per semplificare l’adempimento e limitare gli scarti delle comunicazioni dovuti a errori nella fase di compilazione, saranno pubblicati sul sito dell’Agenzia, congiuntamente al provvedimento definitivo, anche due pacchetti software gratuiti per il controllo dei file delle comunicazioni e per la loro predisposizione. Strumenti che si aggiungeranno ai servizi già disponibili nel portale “Fatture e Corrispettivi” del sito internet di Agenzia.

Nuove scadenze ok anche per l’invio telematico dei dati fattura - Secondo quanto previsto dalla bozza, i termini per l’invio della comunicazione vengono allineati a quelli della comunicazione obbligatoria. Anche chi esercita l’opzione, infatti, potrà decidere se inviare con cadenza trimestrale o semestrale le comunicazioni delle fatture riferite alle operazioni del 2018.

Più tempo per inviare i dati delle fatture del secondo semestre 2017 - Per consentire agli operatori un periodo di consultazione delle nuove regole e per garantire il rispetto delle norme dello Statuto del contribuente la scadenza del 28 febbraio per la comunicazione dei dati delle fatture del secondo semestre 2017 viene spostata al sessantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del provvedimento definitivo. 
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Nuova disciplina della detrazione Iva sulle fatture: l’Agenzia delle Entrate risponde ai dubbi degli operatori

Arrivano i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate sulla detrazione Iva, dopo le modifiche introdotte dal Dl n. 50/2017. La circolare n. 1/E di oggi, infatti, analizza le criticità derivanti dall’applicazione delle nuove disposizioni e scioglie i dubbi sollevati dalle associazioni di categoria, fornendo indicazioni operative per applicare correttamente la nuova disciplina. Le istruzioni dell’Agenzia tengono conto dei principi espressi dalla Corte di Giustizia Ue, in base ai quali l’esercizio del diritto alla detrazione Iva, oltre al requisito dell’esigibilità dell’imposta, è subordinato anche a quello formale del possesso della fattura d’acquisto. Il Dl n. 50/2017 ha ridotto il termine per l’esercizio della detrazione Iva spettante sulle operazioni di acquisto di beni e servizi, modificando anche la disciplina della registrazione delle fatture. Il nuovo termine entro il quale può essere esercitato il diritto alla detrazione dell’Iva si applica alle fatture ed alle bollette doganali emesse dal 1°gennaio 2017, purché relative ad acquisti di beni e servizi e importazioni effettuati, e la cui relativa imposta sia divenuta esigibile, a decorrere dalla stessa data.



Come applicare la disciplina - Per esercitare il diritto alla detrazione dell’Iva per le fatture ricevute nei primi mesi del 2018 ma relative ad operazioni effettuate nel 2017, l’Iva può essere detratta attraverso la registrazione nel 2018, secondo le modalità ordinarie, in una delle liquidazioni periodiche di tale anno. In alternativa è possibile effettuare la registrazione tra il 1° gennaio 2019 e il 30 aprile 2019 in un’apposita sezione del registro Iva degli acquisti relativo a tutte le fatture ricevute nel 2018, facendo concorrere l’imposta medesima alla formazione del saldo Iva della dichiarazione relativa al 2018, da presentare entro il 30 aprile 2019. L’Iva risultante da fatture ricevute nel 2017, relativa ad operazioni effettuate e la cui imposta sia divenuta esigibile in tale anno, può invece essere detratta previa registrazione entro il 31 dicembre 2017, secondo le modalità ordinarie, al più tardi entro il 30 aprile 2018 previa registrazione (tra il 1° gennaio 2018 e il 30 aprile 2018) in un’apposita sezione del registro Iva degli acquisti relativo a tutte le fatture ricevute nel 2017, facendo concorrere l’imposta medesima alla formazione del saldo Iva della dichiarazione 2017. In ossequio ai principi dello Statuto del contribuente, e in considerazione del fatto che i chiarimenti sopra riportati sono stati forniti in una data successiva al 16 gennaio 2018 (termine fissato per la liquidazione periodica dell’IVA relativa al mese di dicembre 2017), non saranno sanzionati i comportamenti difformi adottati dai contribuenti in sede di tale liquidazione periodica.

Diritto alla detrazione ed esigibilità anticipata nell’ambito dello Split payment – Con il documento di prassi firmato oggi, l’Agenzia fornisce chiarimenti anche per le pubbliche amministrazioni e gli enti soggetti al meccanismo della scissione dei pagamenti (cd Split payment) che decidono di optare per l’esigibilità dell’imposta anticipata (spostando l’esigibilità dal momento del pagamento al momento della ricezione o al momento della registrazione della fattura). In base al Dl n. 50/2017, questa scelta può essere effettuata in relazione a ciascuna fattura. Una volta esercitata la scelta, il diritto alla detrazione potrà essere esercitato dalla Pa che sia in possesso della fattura di acquisto, nel momento in cui l’imposta diventa esigibile (perciò al momento della ricezione o della registrazione della fattura). 

Detrazione dell’imposta e dichiarazione integrativa a favore – La circolare ricorda che in linea generale con la dichiarazione integrativa a favore è possibile correggere errori od omissioni che hanno determinato l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o di una minore eccedenza detraibile. Ricorrendo alla dichiarazione integrativa, il soggetto passivo cessionario/committente può recuperare l’imposta per la quale non ha esercitato il diritto alla detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti documentati nelle fatture ricevute nei termini. Il termine massimo per ricorrere all’integrativa a favore è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. In ogni caso il soggetto passivo cessionario/committente deve regolarizzare la fattura di acquisto irregolare ed è soggetto alle sanzioni per la violazione degli obblighi di registrazione.
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Superamento delle barriere architettoniche e distanze legali

Poiché l’art. 3, cit., segue l’art. 2, i portatori di handicap possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garage.
In una controversia in cui gli attori avevano lamentato il mancato rispetto della distanza di cinque metri dal confine da parte dei proprietari del fabbricato esistente nel fondo vicino con riferimento alla realizzazione di una rampa esterna di accesso al piano superiore di tale fabbricato ed i convenuti avevano invocato l’esenzione dall’obbligo del rispetto delle distanze in base all’art. 3, comma 2, l. n. 13 del 1989, secondo cui nella realizzazione di opere dirette al superamento delle barriere architettoniche “E’ fatto salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli artt. 873 e 907 c.c., nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune”, la S.C. ha affermato che tale disposizione deve essere interpretata come volta a consentire deroghe alla normativa sulle distanze, a prescindere dalla relativa fonte, solo in ambito condominiale e non ove vengano in rilievo rapporti fra edifici distinti appartenenti a proprietà separate (Cass. 19 settembre 2017, n. 21645).

Secondo tale decisione, in sostanza, poiché l’art. 3, cit., segue l’art. 2, il cui secondo comma prevede che nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap possono installare, a proprie spese, servoscala nonchè strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages, emerge da un mero esame letterale di tali disposizioni che le opere considerate sono solo quelle necessarie a rimuovere le barriere architettoniche all’interno di edifici condominiali, essendo esse finalizzate ad impedire che l’inerzia od il rifiuto degli altri condomini comportino un danno per il soggetto con difficoltà di deambulazione.
Se potesse essere condivisa, tale interpretazione avrebbe il merito di dare un senso alle disposizioni di cui constano il primo ed il secondo comma dell’art. 3, cit.

Purtroppo alla applicabilità della deroga alle distanze legali solo nei rapporti tra condomini si frappongono ostacoli insuperabili.

La deroga in questione, infatti, nel primo comma è prevista con riferimento alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, le quali disciplinano i rapporti tra proprietari di fondi confinanti.
Il successivo secondo comma conferma, invece, l’obbligo del rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune.

Ora, anche volendo ammettere che le distanze di cui agli artt. 873 0 907 c.c. trovano applicazione anche nei rapporti tra condomini, il riferimento ai fabbricati alieni fa capire chiaramente che la disposizione presuppone l’esistenza di un fabbricato su un fondo confinante diverso da quello in condominio nel quale le opere vengono realizzate. Rimangono, pertanto, le perplessità causate dalla formulazione dell’art. 2 l, secondo comma, e dell’art. 3 l. 9 gennaio 1989 n. 13.

La prima di tali disposizioni sembrerebbe stabilire che, nel caso in cui l’assemblea non assuma le delibere dirette ad eliminare le barriere architettoniche, il portatore di handicap può realizzare a spese proprie soltanto le opere previste da tale disposizione, ma non un ascensore (in tal senso, in dottrina, cfr. PEDICINI, Commento all’art. 2 l. 9 gennaio 1989 n. 13, in Nuove leggi civili commentate, 1991, 343; in giurisprudenza, in motivazione, cfr. Cass. 29 luglio 2004, n. 14384).
Se così fosse, da un lato, l’art. 3, cit., si occuperebbe del problema delle distanze, che non può, però, presentarsi con riferimento alle opere previste nel precedente art. 2, secondo comma,dal momento che le stesse non costituiscono “costruzione”, e dall’altro, si arriverebbe all’assurdo che al portatore di handicap non sarebbe consentito quanto qualsiasi condomino può effettuare in applicazione della norma generale principio di cui all’art. 1102 c.c., il che comporterebbe problemi di costituzionalità della norma.

Va, infatti osservato che è pacifico in giurisprudenza che la norma di cui all’art. 1120 c.c., nel prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, tende a disciplinare l’approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per tutti i condomini; ma, ove non debba procedersi a tale ripartizione per essere stata la spesa relativa alle innovazioni di cui si tratta assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la norma generale di cui all’art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, ed in forza della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune. Ne consegue che, ricorrendo dette condizioni, il condomino ha facoltà di installare a proprie spese nella tromba delle scale dell’edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini, e può far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo (Cass. 10 aprile 1999, n. 3508; in senso conforme, in precedenza, cfr.: Cass. 12 febbraio 1993 n. 1781; Cass. 5 aprile 1977 n. 1300; in dottrina, con specifico riferimento all’ art. 2 l. 9 gennaio 1989 n. 13, cfr. CELESTE, Portatori di handicap: quanti scalini devono ancora salire per raggiungere le proprie abitazioni?, in Foro it., 2008, I, 601, il quale peraltro sembra ritenere che anche in tal caso troverebbe applicazione l’art. 1121, ultimo comma, c.c.).

Per quanto riguarda l’art. 3, cit., a prescindere dalla imperfetta formulazione del secondo comma in ordine alla menzione congiunta degli spazi e delle aree, come se si trattasse di entità differenti, ed alla menzione in entrambi i commi di spazi “di uso comune” (di incerta individuazione) distinti da quelli in proprietà comune, senza precisare se tali spazi devono essere comuni al solo edificio interessato dalle opere od anche all’edificio confinante, il primo comma prevede una deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine, trascurando che: a) le norme relative alle dimensioni dei cortili non riguardano la distanza tra le costruzioni; b) per le chiostrine (cioè i cortili interamente interni ai fabbricati) non è comunque concepibile un problema di distanze. Per dare un senso a tale disposizione si può solo ipotizzare che il legislatore abbia inteso stabilire che è possibile una deroga non solo per quanto riguarda le distanze legali, ma anche per quanto riguarda le dimensioni dei cortili e delle chiostrine, quali previste nella normativa locale.
Come, poi, è stato osservato in dottrina (VILLANI, Commento all’art. 3 l. 9 gennaio 1989 n. 13, in Nuove leggi civili commentate, 1991, 344 ss.), il legislatore nel primo comma ha esonerato il costruttore dal rispetto dei regolamenti senza dire se tale esonero si estenda anche al rispetto delle norme di legge, mentre nel secondo comma ha tenuto fermo l’obbligo di rispetto di due specifiche norme codicistiche, gli artt. 873 e 907, senza nulla dire nè dei regolamenti edilizi, pure nelle stesse norme espressamente richiamati.

Si è sostenuto (VILLANI, op. cit., 346 ss.) che il primo comma andrebbe letto nel senso che se tra gli edifici vi sono spazi comuni o di uso comune, o se si tratta di costruire in spazi interni ad un edificio (cortili, chiostrine, etc.) lo si può fare in esenzione da ogni limite di legge (artt. 873 e 907 c.c.) e di regolamenti edilizi; il secondo comma andrebbe letto come se testualmente affermasse che nell’ipotesi di costruzioni tra fondi alieni, non separati da spazi comuni, è fatto l’obbligo di rispetto delle distanze previste dagli art. 873 c.c. ivi compresi i regolamenti da esso richiamati, e 907 c.c. Anche volendo aderire a tale interpretazione, rimarrebbe comunque oscura la ratio di tali disposizioni, a prescindere dal fatto che esse non potrebbero trovare applicazione con riferimento alle chiostrine, essendo esse interne ad un fabbricato.

di Roberto Triola
già Presidente della Seconda Sezione Civile della Cassazione
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I proprietari di posto auto scoperti sono condomini a tutti gli effetti - Cassazione 16/01/2018, N. 884 - Testo


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CASSAZIONE 16 GENNAIO 2018, N. 884

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

                           
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. MATERA  Lina  -  Presidente   
Dott. ORILIA  Lorenzo  -  Consigliere 
Dott. COSENTINO Antonello  -  Consigliere 
Dott. FALASCHI  Milena  -  Consigliere   
Dott. SCARPA  Antonio  -  rel. Consigliere 

ha pronunciato la seguente:                                          

ORDINANZA
                                    
sul ricorso 20800/2013 proposto da: 
C.N.,  G.F.,  D.M.G., T.P.,  elettivamente domiciliati in ROMA, presso lo studio dell'avvocato G. P., che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato DANIELE GRANARA; 
- ricorrenti - 

CONTRO
B.A.,  CH.AN., c.a.,  V.C., elettivamente domiciliati in ROMA, presso lo studio dell'avvocato A. P., che li rappresenta e difende; 
BA.GI., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato L. R. F., che lo rappresenta e difende; 
- controricorrenti - 

E CONTRO
P.G.; 
- intimata - 
avverso la sentenza n. 222/2013 della CORTE D'APPELLO di GENOVA, 
depositata il 15/01/2013; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/11/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.                                    

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

D.M.G., G.F., C.N. e T.P. hanno proposto ricorso articolato in cinque motivi contro la sentenza della Corte d'Appello di Genova n. 222/2013, depositata il 15 gennaio 2013. Resistono con un controricorso Ch.An., V.C., C.A. ed B.A., nonchè, con altro controricorso, Ba.Gi., mentre l'ulteriore intimata P.G. non ha svolto attività difensive.

D.M.G., G.F., C.N., T.P., R.A. e R.A.M., condomini del Condominio (OMISSIS), in quanto proprietari di appartamenti e di box auto, con citazione del 13 aprile 2001, convennero Ch.An., V.C., C.A., B.A., Ba.Gi. e P.G., a loro volta proprietari soltanto di posti auto scoperti, perchè fosse accertata l'inesistenza in capo ai convenuti di una servitù di passaggio sull'area denominata "B", e fosse inibito agli stessi il passaggio su detta area, nonchè l'uso delle aree "A" e "B" di proprietà condominiale, rimuovendo gli ingombri ivi collocati e non utilizzando i beni ed i servizi comuni. Dedussero gli attori che Ch.An., V.C., C.A., B.A., Ba.Gi. e P.G., in quanto proprietari non di appartamenti, nè di box, ma soltanto di stalli di sosta scoperti, fossero unicamente titolari di servitù di passaggio sui tratti di strada carrabile "A" (dalla via (OMISSIS) fino alla cinta muraria del complesso condominiale, nella quale si apre un cancello) e "B" (oltre il cancello e fino ai posti auto). Alcun diritto, quindi, i convenuti potevano vantare con riferimento alle aree "A" e "B" di proprietà condominiale, ubicate all'esterno della strada carrabile. I convenuti, nel costituirsi, eccepirono tutti che, in forza dei loro titoli di acquisto e della costante partecipazione alle assemblee, i loro immobili dovevano essere considerati appartenenti al complesso condominiale (OMISSIS) di (OMISSIS). Il Tribunale di Chiavari, con sentenza del 14 luglio 2004, accolse le domande degli attori quanto all'inesistenza in capo ai convenuti del diritto di servitù di passaggio sull'area "B", come del diritto di uso delle aree "A" e "B", rigettando invece per difetto di prova le domande inerenti la rimozione dei materiali, dei contatori dell'acqua e del gas e l'utilizzo dell'acqua del giardino condominiale. Proposto appello in via principale da Ch.An., V.C., C.A., B.A., Ba.Gi. e P.G., e formulato appello incidentale dagli originari attori, la Corte d'Appello di Genova accolse il primo, respingendo il secondo, e perciò rigettò la domanda formulata da D.M.G., G.F., C.N., T.P., R.A. e R.A.M., volta ad inibire alle controparti l'uso ed il passaggio sull'area denominata "A" e"B". La Corte d'Appello affermò che la strada denominata "B" rientri in una comproprietà pattizia, che vede gli stessi appellanti principali come partecipanti al condominio. Sulla base dei rilievi del CTU, la Corte di Genova ha evidenziato come il Condominio (OMISSIS) sia cinto da mura e che gli appellanti Ch.An., V.C., C.A., B.A., Ba.Gi. e P.G. sono proprietari di posti auto posti all'interno dell'area condominiale, pur trovandosi le loro abitazioni al di fuori della cinta muraria. I giudici dell'appello hanno esaminato ed interpretato l'art. 2 bis, del Regolamento di condominio, il quale ha riguardo sia al tratto che parte dalla strada comunale ed arriva fino alle mura del complesso condominiale (tratto "A", su cui il Condominio esercita un passaggio gratuito), sia al tratto che si snoda all'interno delle mura di cinta del Condominio (tratto "B", di proprietà del condominio e che "reca servizio ai box e ai posti auto"). La stessa sentenza impugnata ha quindi considerato come nelle Tabelle millesimali del Condominio (OMISSIS) siano compresi anche i proprietari dei posti auto, i quali, proprio in virtù dell'utilizzo della strada "B", hanno sempre partecipato alle assemblee di condominio e pagato le relative spese di manutenzione, come stabilito dal citato art. 2 bis, del Regolamento. Ancora, la Corte d'Appello ha affermato che nei titoli di acquisto dei posti auto gli appellanti erano indicati come "facenti parte" del complesso immobiliare (OMISSIS).

I ricorrenti ed il controricorrente Ba.Gi. hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1.

I. Il primo motivo di ricorso di D.M.G., G.F., C.N. e T.P. denuncia la violazione e mancata applicazione dell'art. 1069 c.c.. Assumono i ricorrenti che la Corte d'Appello avrebbe errato nel ricavare dall'art. 2 bis del Regolamento condominiale la qualità di condomini dei signori Ch., V., c., Br., Ba. e P., essendo tale previsione regolamentare volta unicamente a stabilire i criteri di ripartizione delle spese di uso e di manutenzione dei tratti "A" e "B" della strada carrabile, e vantando le controparti unicamente una servitù di passaggio su tale area.

Il secondo motivo di ricorso denuncia poi la violazione e falsa applicazione dell'art. 1117 c.c., e di tutte le norme del Codice Civile in tema di "Condominio negli edifici", osservando che "non è configurabile tra i posti auto di proprietà degli appellanti e gli immobili degli appellati odierni resistenti, l'istituto del condominio, difettandone il presupposto strutturale e costitutivo". Ciò perchè "per acquisire la qualità di condomino è necessario essere proprietario di un'unità immobiliare nell'ambito dell'edificio condominiale", ossia di piani o porzioni di piani, mentre i resistenti sono unicamente proprietari di posti auto, a nulla rilevando, per ritenere gli stessi condomini, il fatto della loro inclusione nelle tabelle millesimali.

Il terzo motivo di ricorso allega la violazione e mancata applicazione dell'art. 1027 c.c. e ss., e l'omesso esame di fatto decisivo, contestandosi che nella decisione impugnata non si sia tenuto in alcun conto il tenore letterale degli atti di acquisto dei posti auto, dai quali non si evincerebbe affatto che ne fosse oggetto un bene ricompreso nel Condominio (OMISSIS), a tanto non valendo l'espressione "facente parte del complesso immobiliare". Viene invocato altresì il Regolamento condominiale, il quale escludeva dalle spese per le aree e i giardini comuni i titolari di soli posti auto.

Il quarto motivo di ricorso denuncia, in via subordinata, la violazione degli artt. 1138 e 1321 c.c., e l'omesso esame di fatto decisivo, giacchè la Corte d'Appello avrebbe comunque dovuto impedire ai signori Ch., V., c., Br., Ba. e P. il passaggio o l'uso delle aree "A" e "B" di proprietà condominiale, in quanto beni diversi dalla strada di accesso ai posti auto.

Il quinto motivo censura la violazione dell'art. 115 c.p.c., e dell'art. 949 c.c., nonchè l'omesso esame di fatto decisivo, circa il rigetto, confermato dalla Corte d'Appello, per mancanza di prova, delle domande inerenti l'utilizzo dell'acqua del giardino condominiale e la rimozione del materiale depositato dai proprietari dei posti auto sulle aree comuni "A" e "B". Si assume che i convenuti non avessero mai contestato di aver fatto uso del sistema di irrigazione e che la prova dell'esistenza del materiale nelle aree comuni non fosse necessaria, trattandosi di "negatoria servitutis".

II. In via pregiudiziale, va premesso che non risultano intimati R.A. e R.A.M., i quali avevano agito insieme D.M.G., G.F., C.N. e T.P. proponendo la citazione di primo grado. R.A. risulta anche nella sentenza impugnata tra gli appellanti incidentali, mentre R.A.M. era rimasta contumace nel giudizio di appello. Tuttavia, poichè il ricorso appare prima facie infondato, è superflua la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c., per l'integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti (Cass., Sez. U, 22 marzo 2010, n. 6826).

Nel caso in esame, alcuni condomini del Condominio (OMISSIS) proposero azione negatoria convenendo i proprietari di posti auto compresi nel complesso immobiliare, indicati come meri titolari di servitù su una limitata area comune, per sentir accertare l'inesistenza di ulteriori diritti vantati dai convenuti e la cessazione di turbative o molestie da costoro poste in essere su altre parti condominiali. I convenuti, tuttavia, sia pure in via di eccezione, dedussero che gli immobili di loro proprietà, per quanto costituiti da posti auto scoperti, appartenessero a pieno titolo al Condominio (OMISSIS), difesa che è stata infine condivisa dalla Corte d'Appello di Genova nella sentenza impugnata. In tale situazione, per consolidata interpretazione di questa Corte, il contraddittorio, essendo oggetto di lite un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile, deve essere integrato nei confronti di tutti i condomini, atteso che la sentenza, ancorchè di accertamento, pronunciata in assenza di alcuni di essi, in quanto loro non opponibile, sarebbe inutiliter data. Poichè, infatti, la lite involge l'accertamento della "condominialità", ovvero la ricomprensione, o meno, di una o alcune porzioni di proprietà esclusiva nel condominio edilizio, di cui all'art. 1117 c.c. (ed all'art. 1117 bis c.c., per come aggiunto dalla L. n. 220 del 2012, pur qui inapplicabile ratione temporis), e proprio perchè viene messa in discussione - con finalità di ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato - l'estensione della comproprietà di tutti i partecipanti al condominio, la mancata partecipazione di uno o alcuno dei condomini al giudizio comporta la nullità dello stesso (arg. da Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez. 2, 01/04/1999, n. 3119; Cass. Sez. 2, 06/10/1997, n. 9715; nonchè da Cass. Sez. 2, 14/10/1988, n. 5566; Cass. Sez. U, 13/11/2013, n. 25454, che suppone l'eccezione di proprietà esclusiva del bene, frapposta dal condomino convenuto da altro condomino, senza però mettere in discussione la comproprietà degli altri soggetti). L'eventuale difetto del contraddittorio, in difetto di giudicato espresso o implicito sul punto, può, tuttavia, essere eccepita per la prima volta o rilevata d'ufficio anche in sede di legittimità, con conseguente rimessione degli atti al primo giudice, sempre che gli elementi che rivelino la sussistenza di litisconsorti pretermessi emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito.

III. I cinque motivi di censura possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e si rivelano infondati.

La Corte d'Appello di Genova è pervenuta al rigetto delle domande degli attuali ricorrenti, avendo dato per accertato che il tratto di strada carrabile "B", che va dal cancello posto nella cinta muraria del Condominio (OMISSIS) fino al caseggiato, alle aree esterne ed ai posti auto scoperti, appartiene in comproprietà anche ai soli proprietari di tali posti auto, che si trovano all'interno del perimetro condominiale. Ciò la sentenza impugnata ha desunto, oltre che dallo stato dei luoghi, descritto dal CTU (il quale ha evidenziato il collegamento funzionale di tale tratto di strada con i posti macchina), anche dall'art. 2 bis, del Regolamento di condominio e dall'allegata tabella millesimale, che chiamano tutti i proprietari dei posti auto (siano, o meno, titolari di appartamenti compresi nelle mura del Condominio (OMISSIS)) a contribuire alle relative spese di manutenzione di quel tratto, che "reca servizio ai box e ai posti auto". Anche i titoli di acquisto dei proprietari dei posti auto, a dire della Corte di Genova, indicano questi come "facenti parte" del complesso immobiliare (OMISSIS).

Questa Corte ha più volte affermato che la disciplina del condominio degli edifici, di cui all'art. 1117 c.c. e ss., è ravvisabile ogni qual volta sia accertato in fatto un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni, quale quelle elencate in via esemplificativa - se il contrario non risulta dal titolo - dall'art. 1117 c.c., a porzioni, o unità immobiliari, di proprietà singola, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso. La nozione di condominio si configura, pertanto, non solo nell'ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale ma anche nel caso di beni adiacenti orizzontalmente, purchè dotati delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dal citato art. 1117 c.c.. Peraltro, pure quando manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, la condominialità di un complesso immobiliare, che comprenda porzioni eterogenee per struttura e destinazione, può essere frutto della autonomia privata.

Anche, dunque, i proprietari esclusivi di spazi destinato a posti auto, compresi nel complesso condominiale, possono dirsi condomini, in base ai criteri fissati dall'art. 1117 c.c., e quindi presumersi comproprietari (nonchè obbligati a concorrere alle relative spese, ex art. 1123 c.c.) di quelle parti comuni che, al momento della formazione del condominio, si trovassero in rapporto di accessorietà, strutturale e funzionale, con le singole porzioni immobiliari (arg. da Cass. Sez. 2, 02/03/2007, n. 4973; Cass. Sez. 2, 08/05/1996, n. 4270; Cass. Sez. 2, 16/04/1976, n. 1371).

Ai fini dell'accertamento della proprietà condominiale ex art. 1117 c.c., del tratto di strada "B" e delle adiacenti aree "A" e "B" in favore dei titolari dei posti auto, non assumevano, allora, carattere dirimente, il regolamento di condominio e l'annessa tabella di ripartizione delle relative spese, non costituendo il regolamento un titolo di proprietà (così Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8012).

Tuttavia, la Corte d'Appello di Genova ha compiuto il proprio accertamento operando una valutazione dello stato effettivo dei luoghi ed un'indagine in ordine all'ubicazione dei beni, nonchè ricostruendo la volontà pattizia in base ai titoli di acquisto, così pervenendo al convincimento che i posti auto di proprietà esclusiva dei signori Ch., V., C., B., Ba. e P. appartengono strutturalmente al complesso edilizio condominiale e perciò, rispetto ad essi, sussiste il collegamento strumentale, materiale o funzionale, ovvero la relazione di accessorio a principale ed il rapporto di pertinenza - che è il presupposto necessario del diritto di condominio - con le parti comuni costituite dal tratto di strada "B" e delle adiacenti aree "A" e "B".

Tale indagine, diretta a stabilire, anche attraverso l'interpretazione dei titoli di acquisto, se la situazione obiettiva presenti i caratteri necessari a rendere applicabile la presunzione di comunione prevista dall'art. 1117 c.c., si risolve in un apprezzamento di fatto, che esula dal sindacato di legittimità se non nei limiti dell'omesso esame di fatto storico ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Di tale vizio non può dirsi affetta la sentenza impugnata, in quanto esso, a differenza di come denunciato dai ricorrenti nel secondo, nel terzo, nel quarto e nel quinto motivo di ricorso, per come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, che abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e che non può concernere elementi istruttori concernenti fatti storici (quali il contenuto degli atti di acquisto, del regolamento e delle tabelle millesimali, o l'ubicazione dei beni e lo stato dei luoghi) che siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

Una volta ritenuto il nesso di condominialità corrente tra i posti auto di proprietà esclusiva dei signori Ch., V., c., B., Ba. e P. e il tratto di strada "B", in uno alle aree "A" e "B", l'uso di tali beni da parte dei controricorrenti trova regolamentazione nella disciplina del condominio di edifici, la quale è costruita sulla base di un insieme di diritti e obblighi, armonicamente coordinati, contrassegnati dal carattere della reciprocità, che escludono la possibilità di fare ricorso alla disciplina in tema di servitù, presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati, uno al servizio dell'altro. Nè può quindi astrattamente ipotizzarsi, come fatto a fondamento del quinto motivo di ricorso, un'azione negatoria ex art. 949 c.c., per la cessazione delle molestie attribuite (e peraltro ritenute indimostrate dalla Corte d'Appello) ai controricorrenti con riguardo al giardino condominiale ed alle aree "A" e "B", in quanto la qualità di condomini riconosciuta in capo a quest'ultimi lascerebbe al più ipotizzare un'azione, del tutto diversa per causa petendi, avente per oggetto l'uso illegittimo delle cose comuni in violazione dell'art. 1102 c.c..

IV. Il ricorso va perciò rigettato e, in ragione della soccombenza, i ricorrenti vanno condannati a rimborsare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, sia ai controricorrenti Ch.An., V.C., C.A. ed B.A., sia al controricorrente Ba.Gi., mentre non occorre provvedere al riguardo per l'ulteriore intimata P.G., la quale non ha svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l'art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell'obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti Ch.An., V.C., c.a. ed B.A., ed al controricorrente Ba.Gi., le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida per i primi in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, e per Ba.Gi. in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2018
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I proprietari di posto auto scoperti sono condomini a tutti gli effetti - Cassazione 16/01/2018, N. 884 - Commento

Anche i proprietari esclusivi di spazi destinato a posti auto, compresi nel complesso condominiale, possono dirsi condomini, in base ai criteri fissati dall'art. 1117 c.c., e quindi presumersi comproprietari (nonché obbligati a concorrere alle relative spese, ex art. 1123 c.c.) di quelle parti comuni che, al momento della formazione del condominio, si trovano in rapporto di accessorietà, strutturale e funzionale, con le singole porzioni immobiliari.



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Chi può fare l'amministratore? Art. 71 Bis disp. att. e trans c.c.

Fino alla Riforma del Codice nessuno si era mai ufficialmente interessato su chi potesse amministrare un condominio.
In questo mondo di totale anarchia legislativa si arrabattavano poche associazioni o, meglio, pochi individui che cercavano - in qualche modo - di unirsi in associazioni più o meno valide.
Non esistevano regole e tutti potevano amministrare dei fabbricati in condominio, purché - almeno - godessero dei diritti civili.
E non si venga a dire che i criteri selettivi e di individuazione erano affidati ai condomini: con tutto il rispetto, non si poteva pretendere che il gregge scegliesse e indicasse la via al pastore.

Pochi articoli di legge, pochissima giurisprudenza, poca o quasi nulla informazione, inducevano i pur volenterosi condomini a fare scelte quasi al buio Tizio amministra già il condominio di fianco, Caio è a buon mercato, di Sempronio mi hanno parlato bene... La scelta, la nomina spesso, se non sempre, veniva fatta così.Poi, finalmente - anche se in modo incompleto, come vedremo - è arrivata la Riforma.

Ai punti f) e g) dell’indicato Articolo, si legge che possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio coloro i quali hanno conseguito un diploma di scuola secondaria di secondo grado e che hanno frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale.
Qualche eccezione è prevista in casi particolari che vedremo in appresso.
La nuova legge dispone, quindi, che l’amministratore di condominio deve aver conseguito “almeno” il diploma di scuola secondaria.

Viene così a cadere la giusta obiezione che fece l’allora Ministro Zamberletti al Presidente Nazionale dell’ANAI che era andato a Roma a perorare la formazione di un Albo degli Amministratore Immobiliari o, comunque, un qualche riconoscimento giuridico.
“Ma Lei lo sa che tanti Suoi colleghi non sono neppure capaci di scrivere la convocazione dell’assemblea in un italiano almeno corretto?”
Lo sapevamo, ma per colpa di costoro non ci pareva accettabile che tanti dovessero essere praticamente emarginati o comunque non riconosciuti professionalmente.
Ora l’Art. 71 bis dice che l’Amministratore deve avere un diploma e frequentare corsi di formazione iniziale e periodica.
Ben venga, ma, come spesso succede, sono queste delle disposizioni incomplete.
Bene il diploma - che deve essere rilasciato da una scuola riconosciuta - ma quali possono essere i corsi di formazione e da chi debbono essere gestiti. Un minimo di chiarezza ci verrà fornito, successivamente alla Riforma, del D.M. 140/2014 - che tratteremo in altra sede - ma anche questo in modo non esaustivo.
L’Articolo che stiamo considerando afferma, in ogni caso, che tutti coloro i quali vogliono esercitare l’attività di Amministratori debbono possedere - specificatamente - i requisiti di cui ai succitati punti f) e g).
Tutti: ragionieri, geometri, commercialisti, avvocati, ingegneri, ecc. ecc, anche se iscritti ai rispettivi Ordini o Albi professionali, debbono assoggettarsi - in particolare - alla disposizione del punto g).
E non si dica che questo è opinabile o non è chiaro e che lo si deve interpretare: la lingua italiana è chiarissima, siamo noi che, a volte, tentiamo di rigirarla a nostro piacimento.

Chiunque deve svolgere attività di formazione periodica se intende amministrare degli immobili in condominio.
Non viene, però, detto chi debba tenere corsi di formazione iniziale e periodica.
Qualcosa ci dice il D.M. 140/2014 ma non tutto e non in modo esaustivo.
Ne consegue che molti furbetti tengono corsi - magari per corrispondenza - concedono diplomi ed attestati a pagamento ma senza avere i requisiti necessari.

Quali sono questi requisiti?
Non importa, deve dirli la legge, lo Stato, il Ministero di Grazia e Giustizia, chiunque - cioè - che con cognizione di causa abbia possibilità e diritto di gestire una tale situazione.
Agli Amministratori seri non importa come si dovrà svolgere questo iter: così è disposto e così si deve fare.
Da questa disposizione sono esentati esclusivamente coloro i quali risiedano o abbiano proprietà nell’immobile che amministrano.
Questo è indubbiamente corretto, anche se spesso si verificano situazioni di tipo particolare.

Il fabbricato gestito da un Amministratore non professionista deve avere un limite di unità immobiliari?
Dieci unità, o venti, o cento, presentano certamente problematiche diverse e abbisognano di esperienze e conoscenze professionali anche particolari.
Nessuna Associazione di Amministratori, che mi risulti, ha mai eccepito che un non professionista amministri tali fabbricati, ma esistono Enti e Persone che affermano il contrario.
A pag. 37 de “ Il Sole 24 Ore “ del 4/7/2017, il Presidente di Confedilizia, per “difendere” chi amministra il condominio in cui ha legittimi interessi diretti, afferma che la Confedilizia stessa è contraria ad un Odg parlamentare che ipotizzi un elenco di amministratori che abbiano sostenuto corsi di formazione obbligatori.
E afferma anche, in modo virgolettato che: “Sarebbe una burocratizzazione fuori dal tempo che sembra avere il solo scopo di ostacolare l’attività di tanti amministratori del proprio condominio: una figura apprezzata dai condomini di tutta Italia”.
A parere di chi scrive è appena il caso di rilevare ed osservare che:
  1. Lo stesso Presidente accenna ad amministratori che abbiano sostenuto corsi di formazione obbligatoria.
  2. Dimentica che l’Art. 71 bis esclude esplicitamente da questo obbligo chi amministra il proprio condominio.
  3. Nessun ostacolo si verrebbe a creare fra un eventuale Albo od Elenco di amministratori in regola con il 71 bis e coloro i quali non hanno assolutamente tale obbligo per i già accennati motivi.
  4. E’ appena il caso di dire che Confedilizia è inspiegabilmente prevenuta o che forse nessuno di loro ha letto la nuova legge. 
  5. Assodato in modo inconfutabile che i “protetti” da Confedilizia possono continuare ad esistere liberamente, è possibile che tutti gli altri si attivino, si gestiscano, si uniscano e richiedano un qualche riconoscimento giuridico?
Si ha l’impressione che quella di Confedilizia sia una difesa immotivata, ingiustificata ed ingiustificabile. In ogni caso, o ha ragione chi scrive o ha ragione il Presidente di Confedilizia.
Rileggete anche Voi l’Art. 71 bis disp. att. e trans. c.c. e date ragione a chi ce l’ha.

di Franco Folli
Presidente Nazionale Onorario ANACI
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sabato 20 gennaio 2018

L’accettazione della nomina dell’amministratore di condominio



I. L’obbligo di nomina
II. Il perfezionamento del rapporto di amministrazione
III. Contenuto della delibera di nomina
IV. Nomina e regolamento
V. Contenuto dell’atto di accettazione
VI. La polizza come condizione di efficacia della nomina.


Il riformato comma 1 dell’art. 1129 c.c. stabilisce che l’obbligo di nomina dell’amministratore si determina quando i condomini sono più di otto. L’obbligo sorge a carico dei condomini, e dunque della relativa assemblea, ovviamente, e giammai a carico del venditore delle singole unità abitative di cui è composto il condominio . Lo stesso obbligo di nomina diviene attuale non appena venga raggiunto il requisito numerico, cosi rideterminato da quattro ad otto dalla legge n. 220/2012, ovvero quando i condomini, intesi come proprietari esclusivi, pro indiviso, di una parte dell’edificio medesimo, in conseguenza di acquisto per atto tra vivi, o di divisione o anche di successione mortis causa, divengano, appunto, più di otto.
La norma non esclude, peraltro, la possibilità di nomina di un amministratore quando i condomini siano otto o meno di otto. Qualora, cioè, in relazione al numero degli appartamenti, non sia integrato il requisito numerico di nomina obbligatoria, può darsi comunque incarico ad un apposito mandatario di svolgere taluna delle funzioni attribuite dalla legge all’amministratore.
Vengono contemplate in dottrina due situazioni che sfuggono all’esplicita regolamentazione dell’art. 1129 c.c.: l’ipotesi dell’amministratore nominato, appunto, in un edificio in cui il numero dei condomini sia inferiore a nove, che dovrebbe comunque rimanere soggetto alla relativa disciplina; l’ipotesi, all’inverso, in cui, pur essendo i partecipanti più di otto, gli stessi concordino sulla superfluità di nominare l’amministratore, nel qual caso, ferma la possibilità sempre di sperimentare la strada della nomina giudiziale, il punto di riferimento nei rapporti con i soggetti esterni al condominio dovrebbe individuarsi nella «persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell’amministratore» (v. art. 1129, comma 6, c.c.).

II. Il perfezionamento del rapporto di amministrazione.

La nomina dell’amministratore è da ritenere realizzata, con la derivante efficacia nei confronti dei terzi, anche ai fini della rappresentanza processuale dell’ente, solo dal momento in cui sia adottata la rispettiva deliberazione dell’assemblea nelle forme di cui all’art. 1129 c.c. e ad essa consegua l’accettazione dell’amministratore designato. Non rileva, quanto meno sotto l’aspetto dei rapporti con i terzi, il dato che l’amministratore possa anche essere nominato pure mediante una manifestazione di volontà diversa dall’espressa investitura nell’ufficio da parte dell’assemblea: la formale deliberazione di nomina, nelle modalità supposte dall’art. 1129, comma 1, c.c., e la sua conforme accettazione soddisfano le esigenze di certezza e di affidamento avvertite dagli estranei che debbano negoziare con il condominio o agire in giudizio nei suoi confronti. Il terzo che vuol far valere in giudizio un diritto nei confronti del condominio ha, quindi, l’onere di chiamare in causa colui che ne ha la rappresentanza sostanziale secondo la delibera dell’assemblea dei condomini, e non può tener conto di risultanze derivanti da documenti diversi dal relativo verbale, sicché è inesistente la notificazione di un atto processuale a soggetto che appaia soltanto essere amministratore del condominio.
La necessità dell’accettazione della nomina da parte dell’amministratore dall’assemblea si desume da due esplicite norme della riformata disciplina del condominio:
  1.  l’art. 1129, comma 2, c.c. prevede che l’amministratore “contestualmente all’accettazione della nomina e ad ogni rinnovo dell’incarico” debba comunicare “i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale, o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione, il locale ove si trovano i registri di anagrafe condominiale, il registro dei verbali delle assemblee, il registro di nomina e revoca dell’amministratore ed il registro di contabilità, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all’amministratore, può prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata”.
  2. l’art. 1129, comma 14, c.c., secondo il quale “l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”.
L’art. 1130, n. 7, c.c. postula, a sua volta, anche che il verbale di nomina dell’amministratore debba essere annotato in apposito registro.
L’esigenza di un’accettazione formale della nomina da parte dell’amministratore incaricato è conclusione quindi imposta dalla Riforma del 2012, a differenza di quanto poteva sostenersi in precedenza. La fattispecie normativa della nomina assembleare dell’amministratore assume, infatti, inequivoci contorni di proposta contrattuale, rivolta dal gruppo dei condomini, inteso quale unitaria parte complessa, all’amministratore designato, avendosi per perfezionato l’accordo sol con l’accettazione di quest’ultimo.
L’art. 1129, comma 2, c.c., che enuncia gli obblighi di informazione, di trasparenza e di completezza, cui è vincolato l’amministratore al momento stesso del conferimento dell’incarico, e l’art. 1129, comma 14, c.c., che sancisce un generale principio di predeterminazione onnicomprensiva del corrispettivo, rendono, infatti, incompatibile con la nomina dell’amministratore del condominio la disposizione dell’art. 1392 c.c., secondo cui, salvo che siano prescritte forme particolari e solenni per il contratto che il rappresentante deve concludere, la procura che conferisce il potere di rappresentanza può essere verbale o anche tacita. Sembra non più sostenibile, in sostanza, che la nomina dell’amministratore possa risultare, indipendentemente da una formale investitura da parte dell’assemblea e dall’annotazione nello speciale registro, pure dal comportamento concludente dei condomini che abbiano considerato l’amministratore tale a tutti gli effetti, rivolgendosi abitualmente a lui in detta veste, senza metterne in discussione i poteri di gestione e di rappresentanza del condominio.
Si perviene così ad un’interpretazione ormai omogenea rispetto a quella che si segue per gli amministratori delle società di capitali, con riguardo ai quali si sostiene pacificamente che, ai fini della costituzione del rapporto di amministrazione, non è sufficiente la nomina, essendo indispensabile l’accettazione del nominato, cui fa espresso riferimento l’art. 2385 c.c.
In quanto accettazione di proposta contrattuale, quella dell’amministratore nominato rimane regolata dall’art. 1326 c.c., sicchè essa, per determinare l’instaurazione del rapporto di amministrazione, deve essere conforme alle condizioni stabilite nella deliberazione dell’assemblea ed essere comunicata all’assemblea stessa nel termine da questa stabilito, ovvero in quello che possa ritenersi necessario, vista la natura dell’affare.
E’ da intendersi quindi per superato, alla stregua dei citati riferimenti di diritto positivo emergenti dalla legge n. 220/2012, l’orientamento giurisprudenziale che riconosceva pienezza di poteri gestori all’amministratore la cui nomina assembleare non era stata immediatamente seguita dall’accettazione (nella specie, per aver il nominato amministratore subordinato l’accettazione dell’incarico a determinate condizioni, successivamente non avveratesi), sull’assunto che l’operatività della nomina dell’amministratore condominiale non discende dall’accettazione, perché “questo specifico rapporto di mandato non ha una fonte contrattuale, ma trova la sua regolamentazione iniziale nell’investitura dell’assemblea” . Già, del resto, si era negata l’ammissibilità del giuramento, sia decisorio che suppletorio, sulla qualità di amministratore di condominio, essa implicando, appunto, l’accettazione della nomina, che è un atto negoziale e non un fatto storico.

III. Contenuto della delibera di nomina. 
L’obbligo di cui all’art. 1129, comma 1, c.c. può però dirsi rispettato soltanto allorché, nel condominio, al quale partecipino più di otto condomini, l’amministratore sia nominato dall’assemblea per un periodo di un anno, con facoltà di revoca in ogni tempo, ma con conferimento delle “normali” attribuzioni previste dall’art. 1130 c.c. L’assemblea, al più, può esonerare l’amministratore da talune delle competenze ad esso riservate dal citato art. 1130 c.c., ma non invece privarlo di ogni sua funzione, ovvero delle sue essenziali mansioni gestorie e rappresentative, perché ciò equivarrebbe ad un’elusione dei meccanismi di nomina e di revoca, posti dal medesimo art. 1129 c.c., e lascerebbe inevasa, di conseguenza, la necessità di darsi un amministratore effettivo, sottolineata dalla disciplina inderogabile in esame. Stando al dato testuale dell’art. 1131 c.c., pare perciò indubbio che l’assemblea o il regolamento possano ampliare i poteri dell’amministratore, ma non espropriarlo delle medesime attribuzioni. Le facoltà dell’amministratore sono inderogabili “in peius” dall’assemblea, sia pur soltanto per dettarne norme di comportamento, e ciò in ragione innanzitutto della tutela dei terzi che entrano in contatto col condominio. Anzi, il potere dell’amministratore di rappresentare il condominio nell’ambito delle attribuzioni conferitegli dall’art. 1130 c.c. non risulta limitabile nemmeno per volontà dell’amministratore stesso.
Per alcuni non si può affatto consentire all’assemblea di ridurre la rappresentanza processuale e sostanziale dell’amministratore, stante l’inderogabilità dell’art. 1131 c.c. da parte del regolamento di condominio, in base al rinvio operato dall’art. 1138, comma 4, c.c. Sicché nemmeno una deliberazione unanime, o comunque l’assenso di tutti i condomini, potrebbero negare o diminuire la funzione di rappresentanza esterna dell’amministratore, in quanto espressione della coesione del gruppo posta a presidio degli interessi dei terzi . Il discorso potrebbe dirsi diverso unicamente per i condomini che non hanno più di otto membri, laddove l’assemblea è libera di nominare o meno un amministratore, e deve perciò essere altrettanto libera di conferirgli, o meno, in tutto, o in parte, i tipici poteri di rappresentanza.
Sennonché, la contrapposta derogabilità dell’art. 1130 c.c. ha indotto la giurisprudenza ad ammettere che il regolamento condominiale (approvato per contratto o frutto di deliberazione della maggioranza) possa legittimamente sottrarre all’amministratore stesso, e quindi conferire all’assemblea, il potere di decidere autonomamente in ordine al compimento di eventuali atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, subordinando alla decisione dell’organo collegiale l’esercizio da parte dell’amministratore della relativa azione giudiziaria . Si sostiene, altrimenti, che l’assemblea dei condomini, essendo provvista di una competenza generalizzata, può in ogni momento sostituirsi all’amministratore e privarlo dei suoi poteri, in base al criterio di normale revocabilità del mandato di cui all’art. 1723 c.c. . Né sarebbe ravvisabile un interesse giuridico dell’amministratore all’esecuzione dell’attività gestoria delle cose comuni, in forza di un obbligo assunto in tal senso dall’assemblea, tale da rendere irrevocabile il mandato, ai sensi dell’art. 1723, comma 2, c.c., essendo, piuttosto, il potere di rappresentanza dell’amministratore unicamente orientato alla tutela dell’interesse comune, è, cioè, alla tutela dell’interesse espresso dalla maggioranza dei condomini all’utilizzazione ed al godimento delle parti comuni. L’argomento è che “l’amministratore agisce infatti per conto del condominio e non può quindi opporsi a che il condominio decida e compia atti che lo concernono” . Se, del resto, fosse appropriata la configurazione normativa in termini di mandato della relazione che unisce l’amministratore ai condomini, bisognerebbe consentirsi all’assemblea di rimodulare, in misura, anche rilevante la sfera di attribuzioni delineata dall’art. 1130 c.c. Essendo l’assemblea quella che conferisce il mandato, essa potrebbe sempre ampliarlo o restringerlo.
Si è anche richiamata l’attenzione sul diverso trattamento che le norme sul condominio dedicano al profilo processuale della rappresentanza dell’amministratore, nel senso dell’inderogabilità dell’art. 1131 c.c., ed al profilo sostanziale del mandato ex lege, nel senso, invece, della derogabilità dell’art. 1130 c.c. Le attribuzioni gestorie dell’amministratore non sembrano, insomma, privare l’assemblea della competenza a deliberare circa l’amministrazione delle cose comuni, dovendosi comprendere il potere di amministrare nel contenuto del diritto di condominio; e nella generalizzata competenza dell’assemblea si include la facoltà di modificare o di ridurre – mediante approvazione di norma regolamentare o di deliberazione adottata a norma dell’art. 1138, comma 3, c.c. - le attribuzioni sostanziali dell’amministratore, fino al punto di sostituirsi a quest’ultimo nelle decisioni di gestione, sia pur sempre per taluni affari o per un tempo definito, in modo da non lasciare il condominio privo dell’indispensabile rappresentante voluto dal codice. Poco conta che i poteri appaiano conferiti all’amministratore - mandatario direttamente dalla legge, atteso che il mandato voluto dall’art. 1130 c.c. persegue esclusivamente gli interessi dei condomini-mandanti. Per l’intima connessione esistente tra mandato e rappresentanza processuale, ridotte le attribuzioni sostanziali dell’amministratore, ne verrebbe corrispondentemente limitata pure la rappresentanza processuale. Beninteso, tale limitazione della rappresentanza processuale dell’amministratore sarebbe concepibile per la sola legittimazione ad agire, e non per la legittimazione ad essere convenuto in giudizio: giacché la legittimazione attiva attiene essenzialmente alla relazione tra condomini ed amministratore, e ammette, quindi, di essere ampliata e circoscritta secondo volontà ed interesse dell’assemblea, laddove non può rimettersi alla disponibilità della medesima assemblea la legittimazione passiva dell’amministratore in ordine alle liti concernenti le parti comuni, prevista dall’art. 1131, comma 2, c.c., sopperendo in questi casi la rappresentanza processuale attribuitagli all’esigenza di rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del condominio, senza necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti di tutti i condomini.

IV. Nomina e regolamento.
L’art. 1138, comma 4, c.c., peraltro, elenca una serie di disposizioni, relative all’ordinamento condominiale, ivi comprese quelle concernenti la nomina e la revoca dell’amministratore, la cui inderogabilità è assoluta: la disciplina non può subire deroghe o modifiche neppure in base a regolamenti condominiali, ancorché contrattuali, o ad altre convenzioni intercorse tra le parti. Ne discende che le clausole con le quali, ad esempio, il costruttore del fabbricato intenda derogare ai presupposti numerici di nomina obbligatoria dell’amministratore, o ai doveri informativi e di predeterminazione del compenso, incombenti sullo stesso amministratore contestualmente alla sua nomina o al suo rinnovo, o ai poteri dell’assemblea di esigere la prestazione di una polizza per la responsabilità civile, o alla durata dell’incarico, o alla necessità dei requisiti soggettivi imposti dall’art. 71-bis disp. att. c.c., ancorché contenute in un regolamento condominiale contrattuale o nei singoli rogiti d’acquisto, devono ritenersi prive di effetti.
In particolare, ove una clausola regolamentare preveda la non obbligatorietà della nomina dell’amministratore, essa sarà inefficace sin dall’inizio se i condomini, intesi appunto come proprietari pro indiviso delle parti dell’edificio, siano originariamente almeno nove, e, diversamente, diventa inefficace nel momento in cui i condomini raggiungano tale numero.
Del pari nulla è la clausola che, in contrasto con quanto stabilisce l’art. 1129 c.c. con riguardo alla competenza assembleare circa la nomina dell’amministratore ed alla durata dell’incarico, riservi ad un determinato soggetto, per un tempo indeterminato, la carica di amministratore del condominio.
A proposito dell’evidenziato presidio di inderogabilità assoluta dell’art.1129 c.c., per come richiamato dall’art. 1138, comma 4, c.c., bisogna considerare il comma 11 dell’art. 1129 c.c., il quale stabilisce che la revoca dell’amministratore può essere deliberata dall’assemblea non soltanto con la maggioranza legale, ma anche “con le modalità previste dal regolamento di condominio”, dal che sembra desumibile che pure la stessa disciplina concernente la revoca dell’amministratore possa avere matrice strettamente regolamentare, in quanto rivolta a disegnare l’organizzazione e la gestione dell’ente comune, e possa perciò essere validamente disposta con deliberazione maggioritaria dell’assemblea, ai sensi dell’art 1136, comma 2, c.c..

V. Contenuto dell’atto di accettazione.
Circa le comunicazioni cui l’amministratore è chiamato dall’’art. 1129, comma 2, c.c. all’atto di accettare la nomina, va aggiunto che l’indicazione delle generalità, del domicilio e dei recapiti, anche telefonici, dell’amministratore deve, inoltre, essere “affissa sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune, agevolmente raggiungibile pure dai terzi” (art. 1129, comma 5, c.c.).
In mancanza di amministratore nominato, ad analoga affissione pubblicitaria, relativa a dati anagrafici e recapiti, è soggetta la “persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell’amministratore” (art. 1129, comma 6, c.c.). La norma sembra riferirsi all’eventualità in cui, in relazione al numero degli appartamenti, non sia stato nominato l’amministratore del condominio, rivolgendosi a colui il quale, avendone ricevuto incarico, svolga, a titolo di mero mandatario, talune delle mansioni attribuite dalla legge all’amministratore.
L’omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati indicati costituisce “grave irregolarità” sanzionata con la revoca dell’amministratore (art. 1129, comma 12, n. 8, c.c.).
Si tratta di un dovere di informazione ex lege che non precede la fase della nomina, e, dunque, di un’informazione non richiesta ai fini di una corretta formazione della volontà assembleare: il dovere informativo in esame non è, in sostanza, relativo a circostanze di cui mettere a corrente i condomini prima della deliberazione di designazione. L’obbligo di informazione è esigibile, piuttosto, contestualmente all’accettazione della nomina o del rinnovo, e quindi già in fase esecutiva del mandato.
Il difetto di una comunicazione completa e veritiera dei dati anagrafici e dei recapiti dell’amministratore, non relazionandosi ad un obbligo precontrattuale di informazione incombente sul mandatario, non è dunque sanzionato con l’annullamento della nomina, ma identificato come “grave irregolarità”, motivo di possibile revoca.
L’omissione informativa, elevata a causa di rimozione dell’amministratore, viene, cioè, presuntivamente intesa come condotta che possa pregiudicare o porre in pericolo gli interessi comuni. Ciò tuttavia lascia supporre che, nonostante la mancata comunicazione dei dati e dei recapiti in sede di nomina, il rapporto di amministrazione si sia regolarmente costituito, producendo per intero i suoi effetti tipici.
I dati da fornire all’atto della nomina specificano, così, legalmente l’obbligo di diligenza del mandatario amministratore, dando contenuto a quella correttezza che è lecito attendersi da qualunque soggetto, consapevole degli impegni e delle relative responsabilità proprie dell’amministrazione condominiale. La comunicazione tempestiva di dati anagrafici e recapiti costituisce, allora, un’attività preparatoria e strumentale, di necessario complemento rispetto al diligente compimento, da parte dell’amministratore, delle sue attribuzioni.
Si consideri, in ogni caso, come, nell’esercizio dei suoi poteri di rappresentanza, compresi quelli correlati alla gestione amministrativa del condominio, quale, ad esempio, la riscossione dei contributi, deve considerarsi altrimenti che l’amministratore domicili nel luogo od ufficio a ciò specificamente destinato nell’ambito dell’edificio in condominio. La diffusa qualificazione dell’amministratore condominiale come mandatario ha generalmente indotto in passato ad ammettere, ai sensi dell’art. 1717 c.c., che lo stesso potesse delegare le proprie funzioni ad un terzo, con conseguente attribuzione altresì della rappresentanza processuale, in difetto di contraria manifestazione da parte dell’assemblea nella delibera di nomina . Questo perché il mandato, pur essendo caratterizzato dall’elemento della fiducia, non è tuttavia basato necessariamente sull’intuitus personae, di tal che al mandatario non è vietato avvalersi dell’opera di un sostituto, a meno che il divieto sia espressamente stabilito oppure si tratti di attività rientrante nei limiti di un incarico strettamente fiduciario.
Parimenti, la giurisprudenza aveva ritenuto che non sussistessero norme incompatibili con l’attribuzione ad una pluralità di persone della qualità di amministratore del condominio . La possibilità di nominare più amministratori, anzi, è apparsa conforme a quanto il legislatore, nell’art. 1106, comma 2, c.c., prevede per la comunione e che, in relazione al rinvio generale contenuto nell’art. 1139 c.c., ben può essere esteso al condominio, stante l’esportabilità della ratio che giustifica la delega dell’amministrazione della comunione a più partecipanti (come anche ad un estraneo), e cioè la maggiore tutela degli interessi dei singoli partecipanti rimessa alla loro volontà. Neppure l’art. 1131 c.c. escluderebbe la possibilità di configurare come legittima una pluralità di amministratori, comportando, piuttosto, in linea di principio, l’attribuzione della qualità di rappresentanti del condominio a tutti i soggetti che amministrano, anche rispetto ai terzi, e rimettendosi ai condomini, per una migliore organizzazione ed al fine di evitare conflitti nell’azione dei vari amministratori, la predisposizione di regole che ripartiscano le competenze di ciascuno con esclusiva validità nei rapporti interni. Ora, è da osservare che tanto in ipotesi di nomina di pluralità di amministratori, come di sostituzione dell’amministratore (che sia, poi, non autorizzata dall’assemblea, ovvero autorizzata dall’assemblea senza indicazione della persona del sostituto, o, ancora, autorizzata dall’assemblea con contemporanea indicazione del sostituto), l’incarico, congiunto o delegato, non possa essere svolto da persona non in possesso dei requisiti inderogabili posti dall’art. 71-bis disp. att. c.c..
Gli artt. 1129 c.c. e 71-bis disp. att. c.c. corredano, peraltro, di forme necessarie e di condizioni soggettive essenziali la nomina dell’amministratore affidata all’assemblea.
Di conseguenza, lo svolgimento in via di fatto da parte di un singolo condomino, o addirittura di un estraneo, di attribuzioni tipiche dell’amministratore condominiale non dovrebbe fondare alcun affidamento dei terzi in ordine al mandato tacito o all’utile gestione svolti da quello, di tal che non è dato comprendere il senso dell’obbligo di renderne accessibile a tutti l’indicazione delle generalità e dei recapiti.
Sempre dall’atto formale di accettazione dell’incarico deve emergere, in forza dell’art. 1129, comma 14, c.c., “a pena di nullità, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”.
La locuzione “attività svolta” deve ovviamente intendersi “attività da svolgersi”, non potendo il compenso correlarsi, al momento della nomina, ad un’attività già espletata, ovvero commisurarsi ad un fatto o ad un’opera già avvenuti prima che avesse inizio il rapporto di amministrazione.
Si deve del resto, alla stessa Riforma del 2012 il richiamo, nei rapporti tra l’amministratore e ciascuno dei condomini, all’applicabilità delle disposizioni sul mandato. In tal senso, la presunzione di onerosità del mandato, prevista dall’art. 1709 c.c., va qui considerata con riferimento al disposto dell’art. 1135, n. 1), c.c., che continua a prevedere come “eventuale” la retribuzione dell’amministratore, ciò lasciando intendere che l’assemblea o il regolamento possono espressamente determinarsi per la gratuità dell’incarico.
L’amministratore deve quindi stabilire, in sede di nomina prima e poi in sede di rinnovo, quale sia il suo compenso. Il compenso così fissato sarà corrispettivo di tutte le attribuzioni gestorie, ovvero, oltre che delle attività espressamente elencate dalla legge, anche degli atti preparatori e strumentali, nonché di quelli ulteriori, che dei primi costituiscono il necessario completamento e ne raffigurano lo svolgimento naturale.
La mancata analitica specificazione del compenso preteso dall’amministratore è causa di nullità della nomina, la quale, pertanto, deve sostanziarsi nella redazione di un apposito documento, proveniente dall’amministratore e rivolto all’assemblea, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto di amministrazione con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da rendere ed al compenso da corrispondere. Il compenso potrà allora essere determinato dall’assemblea nella delibera di nomina, valendo essa così come proposta completa di tutti gli elementi essenziali del contratto di amministrazione, sicchè il perfezionamento del rapporto si ha al momento stesso dell’accettazione integrale dell’amministratore consacrata nel verbale della riunione. Secondo il generale principio normativamente sancito dall’art. 1326 c.c., un’accettazione dell’amministratore non conforme alla proposta dell’assemblea sull’importo del compenso equivale, invece, a nuova proposta, e comporta l’ovvia conseguenza che solo con l’accettazione di quest’ultima da parte dell’assemblea si dia per verificata la conclusione del contratto, e alle diverse condizioni della controproposta. Fin quando non sussista un verbale di assemblea che consacri in un unico documento le clausole disciplinanti il rapporto di amministrazione, ivi compreso il compenso spettante all’amministratore, non c’è valida instaurazione dell’incarico.
La previsione espressa di nullità della nomina, in assenza di specificazione del compenso, porta a ritenere che tale invalidità investa totalmente il contratto di mandato tra amministratore e condominio, e non soltanto il sistema di determinazione del corrispettivo, soluzione, quest’ultima, cui sarebbe altrimenti conseguita la determinazione del medesimo, in relazione all’opera effettivamente prestata, secondo le tariffe, o gli usi, o in via giudiziale, a norma degli artt. 1709 e 1419, comma 2, c.c.
Il difetto di predeterminazione del compenso e la conseguente nullità della nomina possono evidentemente essere rilevati d’ufficio dal giudice chiamato a decidere sulla domanda dell’amministratore volta al pagamento della sua retribuzione.
Rimanere invocabile dall’amministratore, comunque, l’art. 1720 c.c., secondo cui il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni e risarcirgli i danni che abbia subito a causa dell’incarico, oltre a pagargli il compenso spettante.

VI. La polizza come condizione di efficacia della nomina.
L’art. 1129 c.c., al comma 3, prevede, inoltre, che “l’assemblea può subordinare la nomina dell’amministratore alla presentazione ai condomini di una polizza individuale di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell’esercizio del mandato”.
La mancata presentazione della polizza per la responsabilità civile, richiesta dall’assemblea, non è stata elevata dalla Riforma a motivo di nullità della nomina dell’amministratore, né a causa tipica di sua revoca, facendosi quindi comunque salva la regolare costituzione del rapporto di amministrazione. Il legislatore ha, piuttosto, disposto che l’assemblea possa “subordinare la nomina dell’amministratore” alla presentazione della polizza (art. 1129, comma 3, c.c.).
Si è in presenza, allora, della previsione di una prestazione contrattuale come condizione sospensiva della nomina dell’amministratore, potendo questa, per volontà dell’assemblea, non spiegare gli effetti suoi propri sino a quando non sia realizzata, appunto, la condizione sospensiva stabilita. Solo stipulando il contratto di assicurazione, l’amministratore designato adempie il proprio obbligo e fa realizzare la condizione imposta. La polizza richiesta dall’assemblea, ai sensi del riformato art. 1129, non è, pertanto, un semplice contratto (concluso fra amministratore e società assicuratrice) a favore del terzo (condominio); essa appare un elemento della struttura della deliberazione di nomina, essendo questa subordinata alla copertura assicurativa, a diretto beneficio del gruppo dei condomini ed indiretta garanzia dell’amministratore dalla responsabilità civile.

di Antonio Scarpa
Consigliere della Corte di Cassazione
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