giovedì 16 febbraio 2017

La casella di posta elettronica e il suo uso professionale

Ormai la gran parte delle comunicazioni avviene a mezzo e-mail che, per comodità e velocità, ha sostituito la posta tradizionale: quindi oggi il proprio indirizzo mail è, di fatto, l’indirizzo “postale virtuale” di ognuno di noi.
Da una piccola indagine ho scoperto che oltre il 60% dei professionisti si affida a servizi di posta elettronica gratuiti: la parte del leone la fanno Gmail, Libero (con Iol), Telecom (con Tin, Alice e Virgilio) e Tiscali.
Il fatto non è confortante perché, se questi gestori possono andare bene per un uso personale, a patto di accettare tutti gli inconvenienti di cui dirò dopo, per l’uso professionale dobbiamo essere certi che il “postino virtuale” utilizzi sistemi rispettosi della privacy ed affidabili per evitare inconvenienti che potrebbe avere conseguenze negative sulla nostra attività e sulla nostra immagine.
Il primo nodo da sciogliere è proprio l’immagine: “non esiste una seconda possibilità per fare una prima buona impressione”. E la prima impressione sarà fortemente condizionata dall’indirizzo mail che utilizzerai per la tua corrispondenza professionale. Non c’è nulla che dica “non sono veramente serio” più di un indirizzo email professionale su hotmail.com, yahoo.com, google.com, libero.it o altri provider gratuiti: come minimo una casella di posta elettronica generica (usata da uno studio professionale) fa pensare ad una persona che ha appena iniziato a lavorare, oppure che non ha dimestichezza con lo strumento.
Anche la gratuità di questi provider (che poi comunque qualcosa in cambio ti chiedono, come vedremo dopo) non è più un elemento determinante per la scelta: con pochi euro è possibile registrare un proprio dominio (che servirà anche per il sito dello studio). Con due vantaggi: il primo è che chi riceverà una tua mail potrà raggiungere immediatamente il tuo sito, di cui conoscerà il nome; il secondo che potrai impostare una mail per ogni collaboratore e/o servizio del tuo studio, organizzando al meglio il flusso della corrispondenza e la sua archiviazione, facilitando anche le successive ricerche. Da ultimo, ma non ultimo, potrai avere una tua casella per la corrispondenza riservata a te personalmente (così finalmente le nostre circolari non verranno cestinate dalla tua segretaria!).
Un altro problema concreto è che i più diffusi servizi gratuiti di posta elettronica hanno i loro server localizzati all’estero, anche (o esclusivamente) al di fuori della UE.
Dal punto di vista della normativa sulla privacy ci sarebbe una ulteriore incombenza da assolvere: i dati esportati nei paesi extra UE sarebbero soggetti ad un regime giuridico diverso, che potrebbe essere meno protettivo, rispetto a quello UE, e di questo dovrebbero essere avvisati gli interessati.
Si pensi solo al Patriot Act che è entrato in vigore il 26 ottobre 2001, nelle settimane successive all’attentato alle Torri Gemelle. Senza entrare nel merito degli immensi poteri che questa legge fornisce agli investigatori dell’antiterrorismo, dovrebbe comunque essere applicabile solo a chi vive o transita per gli Stati Uniti.
Il problema è che questa normativa riguarda anche l’infrastruttura tecnologica presente sul territorio degli Stati Uniti, e le aziende che lì operano. Yahoo collabora con l’FBI che ha elaborato un software che setaccia gli indirizzi di posta elettronica degli utenti (Reuters 05/10/2016) e in passato ha consegnato all’intelligence statunitense parte delle mail dei suoi clienti (La Stampa 13/10/2016). Inoltre, chi di noi legge i termini di servizio con cui ci vengono fornite le caselle di posta elettronica, formalmente gratuite?
 E parliamo di utilizzo dei dati (indirizzi e contenuti delle mail) per scopi commerciali ed esenzione di responsabilità in caso di disservizi, due cose che abbiamo accettato mettendo la spunta alla casella quando abbiamo attivato la nostra mail (ecco come li paghiamo!). Nel primo caso, per esempio Google (ma anche gli altri provider) ottiene dall’utente una licenza irrevocabile, eterna, mondiale, priva di royalty e non esclusiva a riprodurre, adattare, modificare, pubblicare, eseguire pubblicamente, visualizzare pubblicamente e distribuire qualsiasi contenuto trasmesso, inviato o visualizzato su Gmail.
Ci siamo mai accorti che quando consultiamo la posta da una web mail gratuita come Libero o Gmail, ecc… ci troviamo della pubblicità sotto forma di banner con proposto un prodotto guarda caso corrispondente al contenuto scritto nel testo della nostra mail o di una mail scritta in precedenza?
Consumer Watchdog, una associazione dei consumatori statunitensi, ha proposto una class action presso una corte federale USA contro la pratica della scansione delle mail degli utenti a scopi pubblicitari. Ebbene, nella memoria di risposta depositata da Google si afferma che non ci si può ragionevolmente attendere protezione della privacy affidando la corrispondenza a terze parti (Il Fatto quotidiano 14/8/2013 - Sole24ore 15/8/2013).
Per quanto riguarda i disservizi, questi riguardano essenzialmente i provider nostrani che utilizzano molte volte server (in uscita) inadeguati o vetusti, col rischio di rallentamenti o blocchi, dovuti alla mole di mail da smaltire, oppure di vedersi inserire nella famigerata black list e quindi di non consegnare la posta affidatagli (peraltro senza che l’utente sia avvisato). Nel tentativo di risolvere i problemi legati alla mole di lavoro molto alta, creatasi anche per colpa dello spam che ricevono, e di non finire nella black list, i provider gratuiti sono obbligati ad avere dei filtri anti-spam molto potenti che moltissime volte creano ulteriori disservizi bloccando anche le mail “buone”.
E potremo continuare con l’assenza di altre caratteristiche, indispensabili per chi usa la posta elettronica per lavoro: l’assistenza tecnica e conservazione dei log (la registrazione cronologica delle operazioni eseguite per risalire all’inconveniente), il backup delle e-mail.
Che queste siano questioni importanti se ne è accorto anche lo stato che ha inventato, e obbligato gli utilizzatori professionali a dotarsene, la PEC (posta elettronica certificata) che, a mezzo di dati aggiuntivi e di un protocollo di sicurezza particolare, implementati dal gestore, garantisce la data di spedizione, di ricevimento e che il contenuto del messaggio non sia stato alterato. Tant’è che, proprio per questi motivi, della PEC ormai si abusa.
In conclusione, ritengo che l’utilizzatore professionale debba:
  • dotarsi di un dominio personale univoco e facilmente identificabile, appoggiato ad un provider affidabile ed a lui vicino che gli garantisca l’assistenza necessaria ed il rispetto della privacy (anche spendendo qualche euro in più);
  • creare una mail per ogni collaboratore o servizio dello studio, in modo da organizzare al meglio il flusso delle informazioni;
  • creare una mail del professionista riservata alla corrispondenza di interesse personale e/o riservata; - sviluppare, assieme al professionista informatico, un filtro anti-spam e delle regole che permettano di bloccare la posta indesiderata senza perdere le comunicazioni “buone”, e aggiornare gli strumenti costantemente;
  • approfondire la conoscenza dell’argomento e far istruire almeno un collaboratore per poter essere velocemente reattivi davanti agli inconvenienti;
  • per ultimo, e lo do per scontato nonostante ancora dei colleghi sottovalutino il problema, dotarsi di una suite di protezione internet completa e sempre aggiornata.
E finalmente potrete dormire sonni tranquilli, ed io, che dal 2013 mi occupo della gestione del sito, della comunicazione, e della organizzazione di corsi e convegni per ANACI Venezia e per ANACI Veneto (per me è quindi essenziale riuscire a raggiungere tutti gli iscritti per far sì che siano sempre aggiornati sulle iniziative, e sono molteplici, dell’associazione) non riceverò più telefonate o mail di un socio che lamenta di non aver ricevuto una circolare, un invito, una newsletter.

di Guido Bartolucci
Segretario del Centro Studi ANACI Veneto

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