Ormai la gran parte delle comunicazioni avviene a mezzo e-mail che, per comodità e velocità, ha sostituito la posta tradizionale: quindi oggi il proprio indirizzo mail è, di fatto, l’indirizzo “postale virtuale” di ognuno di noi.
Da una piccola indagine ho scoperto che oltre il 60% dei professionisti si affida a servizi di posta elettronica gratuiti: la
parte del leone la fanno Gmail, Libero (con Iol),
Telecom (con Tin, Alice e Virgilio) e Tiscali.
Il fatto non è confortante perché, se questi gestori
possono andare bene per un uso personale, a patto
di accettare tutti gli inconvenienti di cui dirò
dopo, per l’uso professionale dobbiamo essere certi
che il “postino virtuale” utilizzi sistemi rispettosi
della privacy ed affidabili per evitare inconvenienti
che potrebbe avere conseguenze negative sulla nostra
attività e sulla nostra immagine.
Il primo nodo da sciogliere è proprio l’immagine:
“non esiste una seconda possibilità per fare
una prima buona impressione”. E la prima impressione
sarà fortemente condizionata dall’indirizzo
mail che utilizzerai per la tua corrispondenza
professionale. Non c’è nulla che dica “non sono
veramente serio” più di un indirizzo email professionale
su hotmail.com, yahoo.com, google.com,
libero.it o altri provider gratuiti: come minimo
una casella di posta elettronica generica (usata
da uno studio professionale) fa pensare ad una
persona che ha appena iniziato a lavorare, oppure
che non ha dimestichezza con lo strumento.
Anche la gratuità di questi provider (che poi comunque
qualcosa in cambio ti chiedono, come vedremo
dopo) non è più un elemento determinante
per la scelta: con pochi euro è possibile registrare
un proprio dominio (che servirà anche per il sito
dello studio). Con due vantaggi: il primo è che chi
riceverà una tua mail potrà raggiungere immediatamente
il tuo sito, di cui conoscerà il nome; il
secondo che potrai impostare una mail per ogni
collaboratore e/o servizio del tuo studio, organizzando
al meglio il flusso della corrispondenza e la
sua archiviazione, facilitando anche le successive
ricerche. Da ultimo, ma non ultimo, potrai avere
una tua casella per la corrispondenza riservata a
te personalmente (così finalmente le nostre circolari
non verranno cestinate dalla tua segretaria!).
Un altro problema concreto è che i più diffusi
servizi gratuiti di posta elettronica hanno i loro server localizzati all’estero, anche (o esclusivamente)
al di fuori della UE.
Dal punto di vista della normativa sulla privacy ci
sarebbe una ulteriore incombenza da assolvere: i
dati esportati nei paesi extra UE sarebbero soggetti
ad un regime giuridico diverso, che potrebbe
essere meno protettivo, rispetto a quello UE, e di
questo dovrebbero essere avvisati gli interessati.
Si pensi solo al Patriot Act che è entrato in vigore
il 26 ottobre 2001, nelle settimane successive
all’attentato alle Torri Gemelle. Senza entrare
nel merito degli immensi poteri che questa legge
fornisce agli investigatori dell’antiterrorismo,
dovrebbe comunque essere applicabile solo a chi
vive o transita per gli Stati Uniti.
Il problema è che questa normativa riguarda anche
l’infrastruttura tecnologica presente sul territorio
degli Stati Uniti, e le aziende che lì operano.
Yahoo collabora con l’FBI che ha elaborato un
software che setaccia gli indirizzi di posta elettronica
degli utenti (Reuters 05/10/2016) e in
passato ha consegnato all’intelligence statunitense
parte delle mail dei suoi clienti (La Stampa
13/10/2016). Inoltre, chi di noi legge i termini
di servizio con cui ci vengono fornite le caselle di
posta elettronica, formalmente gratuite?
E parliamo di utilizzo dei dati (indirizzi e contenuti
delle mail) per scopi commerciali ed esenzione
di responsabilità in caso di disservizi, due cose
che abbiamo accettato mettendo la spunta alla
casella quando abbiamo attivato la nostra mail
(ecco come li paghiamo!). Nel primo caso, per
esempio Google (ma anche gli altri provider) ottiene
dall’utente una licenza irrevocabile, eterna,
mondiale, priva di royalty e non esclusiva a riprodurre,
adattare, modificare, pubblicare, eseguire
pubblicamente, visualizzare pubblicamente e distribuire
qualsiasi contenuto trasmesso, inviato o
visualizzato su Gmail.
Ci siamo mai accorti che quando consultiamo la
posta da una web mail gratuita come Libero o
Gmail, ecc… ci troviamo della pubblicità sotto
forma di banner con proposto un prodotto guarda
caso corrispondente al contenuto scritto nel
testo della nostra mail o di una mail scritta in
precedenza?
Consumer Watchdog, una associazione dei consumatori
statunitensi, ha proposto una class
action presso una corte federale USA contro la
pratica della scansione delle mail degli utenti a
scopi pubblicitari. Ebbene, nella memoria di risposta depositata da Google si afferma che non
ci si può ragionevolmente attendere protezione
della privacy affidando la corrispondenza a terze
parti (Il Fatto quotidiano 14/8/2013 - Sole24ore
15/8/2013).
Per quanto riguarda i disservizi, questi riguardano
essenzialmente i provider nostrani che utilizzano
molte volte server (in uscita) inadeguati o vetusti,
col rischio di rallentamenti o blocchi, dovuti
alla mole di mail da smaltire, oppure di vedersi
inserire nella famigerata black list e quindi di non
consegnare la posta affidatagli (peraltro senza che
l’utente sia avvisato). Nel tentativo di risolvere
i problemi legati alla mole di lavoro molto alta,
creatasi anche per colpa dello spam che ricevono,
e di non finire nella black list, i provider gratuiti
sono obbligati ad avere dei filtri anti-spam molto
potenti che moltissime volte creano ulteriori disservizi
bloccando anche le mail “buone”.
E potremo continuare con l’assenza di altre caratteristiche,
indispensabili per chi usa la posta
elettronica per lavoro: l’assistenza tecnica e conservazione
dei log (la registrazione cronologica
delle operazioni eseguite per risalire all’inconveniente),
il backup delle e-mail.
Che queste siano questioni importanti se ne è
accorto anche lo stato che ha inventato, e obbligato
gli utilizzatori professionali a dotarsene, la
PEC (posta elettronica certificata) che, a mezzo
di dati aggiuntivi e di un protocollo di sicurezza
particolare, implementati dal gestore, garantisce
la data di spedizione, di ricevimento e che il
contenuto del messaggio non sia stato alterato.
Tant’è che, proprio per questi motivi, della PEC
ormai si abusa.
In conclusione, ritengo che l’utilizzatore professionale
debba:
- dotarsi di un dominio personale univoco e facilmente identificabile, appoggiato ad un provider affidabile ed a lui vicino che gli garantisca l’assistenza necessaria ed il rispetto della privacy (anche spendendo qualche euro in più);
- creare una mail per ogni collaboratore o servizio dello studio, in modo da organizzare al meglio il flusso delle informazioni;
- creare una mail del professionista riservata alla corrispondenza di interesse personale e/o riservata; - sviluppare, assieme al professionista informatico, un filtro anti-spam e delle regole che permettano di bloccare la posta indesiderata senza perdere le comunicazioni “buone”, e aggiornare gli strumenti costantemente;
- approfondire la conoscenza dell’argomento e far istruire almeno un collaboratore per poter essere velocemente reattivi davanti agli inconvenienti;
- per ultimo, e lo do per scontato nonostante ancora dei colleghi sottovalutino il problema, dotarsi di una suite di protezione internet completa e sempre aggiornata.
E finalmente potrete dormire sonni tranquilli, ed
io, che dal 2013 mi occupo della gestione del
sito, della comunicazione, e della organizzazione
di corsi e convegni per ANACI Venezia e per ANACI
Veneto (per me è quindi essenziale riuscire a
raggiungere tutti gli iscritti per far sì che siano
sempre aggiornati sulle iniziative, e sono molteplici,
dell’associazione) non riceverò più telefonate
o mail di un socio che lamenta di non aver ricevuto
una circolare, un invito, una newsletter.
di Guido Bartolucci
Segretario del Centro Studi ANACI Veneto
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