lunedì 31 luglio 2017

CASSAZIONE 13 LUGLIO 2017, N. 17400: condizionatore troppo grande? va rimosso!



CASSAZIONE 13 LUGLIO 2017, N. 17400

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. BIANCHINI Bruno -  Presidente   
Dott. ORILIA  Lorenzo -  Consigliere  
Dott. COSENTINO Antonello  -  Consigliere   
Dott. ABETE  Luigi  -  Consigliere    
Dott. GRASSO  Gianluca -  rel. Consigliere  

ha pronunciato la seguente:        
                                  
ORDINANZA

sul ricorso R.G.N. 27393/2012 proposto da:
B. C. e M. M., rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli avvocati A. M. e G. P. S.a, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma,;
- ricorrenti -

CONTRO
CONDOMINIO, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dagli avvocati P. U. e G. I., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato U. in Roma;
- controricorrente –

avverso la sentenza n. 570/2012 del Tribunale di Ravenna, depositata il 28 giugno 2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 maggio 2017 dal Consigliere Gianluca Grasso;
lette le conclusioni scritte del pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Lucio Capasso, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il Giudice di Pace di Ravenna, con sentenza depositata il 12 marzo 2011, in accoglimento della domanda proposta dal Condominio Royal Palace, condannava i convenuti Ma. Ma. e Ba. Cr. a rimuovere l'apparecchiatura esterna dell'impianto di condizionamento installata a servizio del proprio appartamento e al pagamento delle spese di lite;
che Ma. Ma. e Cr. Ba. proponevano appello avverso la pronuncia, deducendo l'errata valutazione delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio svolta nel corso del giudizio e l'omessa valutazione di documenti rilevanti ai fini della decisione;
che il Condominio Royal Palace si costituiva in giudizio contestando il fondamento del gravame;
che con sentenza pronunciata ex art. 281 sexies c.p.c, in data 28 giugno 2012, il Tribunale di Ravenna ha confermato la sentenza nel merito, accogliendo parzialmente il gravame in punto delle spese di lite;
che contro la sentenza del Tribunale di Ravenna, Ma. Ma. e Cr. Ba. propongono ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo;
che il Condominio Royal Palace resiste con controricorso.
Considerato che con l'unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1102 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.). Secondo i ricorrenti, la pronuncia impugnata non rispetterebbe il principio della nozione di pari uso della cosa comune, secondo l'interpretazione della Suprema Corte, ritenendo invece integrata la violazione dell'art. 1102 c.c. in quanto la porzione di parete del ballatoio utilizzata dal Ma. non consentirebbe agli altri tre condomini la medesima installazione. Il giudice, in tal senso, avrebbe ritenuto rispettato l'art. 1102 c.c. solo nel caso in cui tutti e quattro i condizionatori potessero essere posizionati sulla medesima parete, errando in tale affermazione e confondendo l'individuazione della parte comune ai fini dell'art. 1102 c.c. a volte nel ballatoio (unica vera parte comune esistente) altre volte nelle singole pareti dalle quali è composto;
che il ricorso è infondato e deve essere respinto;
che in tema di condominio, ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, purché non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini (Cass. 16 luglio 2004, n. 13261);
che il disposto di cui all'art. 1102 c.c. prevede che il pari godimento della cosa comune è sottoposto a due limiti fondamentali: il divieto di alterarne la destinazione e il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. 14 aprile 2015, n. 7466);
che nel caso di specie, sulla base delle risultanze acquisite, il tribunale ha confermato la decisione di prime cure, ritenendo integrata la violazione della norma che prescrive il pari godimento della cosa comune, in quanto l'impianto di condizionamento dell'aria installato dai ricorrenti, occupando il 60% in superficie disponibile, impediva l'installazione di un analogo apparecchio da parte degli altri condomini del piano. In mancanza del consenso di quest'ultimi o di un loro comportamento inerte (Cass. 9 febbraio 2015, n. 2423), l'installazione costituisce una lesione del loro diritto. Né d'altronde può richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte sul godimento turnario o differenziato nel tempo e nello spazio, giacché la stabilità dell'installazione altera, definitivamente, il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell'oggetto della comunione (Cass. n. 7466/2015).
che inammissibili, infine, risultano le deduzioni riguardanti l'errore da parte del giudice nell'apprezzamento delle emergenze ricavabili dalla consulenza d'ufficio in ordine all'individuazione delle pareti disponibili, in quanto relative a una questione di fatto;
che le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 1.200, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 16 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017
Continua a leggere...

SE IL CONDIZIONATORE E’ TROPPO INGOMBRANTE VA RIMOSSO

La Suprema Corte esprime un importante principio sull’uso della cosa comune e sull’interpretazione dell’art. 1102 c.c. Nella specie trattasi di un condizionatore installato su un ballatoio comune che occupava più della metà dell’intera superficie. In particolare, il ragionamento della Suprema Corte è che «ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, purché non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini» e anche che l’art. 1102 c.c. prevede due limiti all’utilizzo della parte comune: il divieto di alterare la destinazione e il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso. Nel caso in oggetto, il condomino ha utilizzato il 60% della superficie disponibile e di conseguenza aveva impedito agli altri condomini del piano di istallare a loro volta un impianto di condizionamento dell’aria, violando quindi i principi poc’anzi illustrati. Il condizionatore, quindi, costituiva una lesione del loro diritto, con conseguente conferma dell’ordine di rimozione del manufatto già sancita dalle decisioni dei giudici di merito.



Continua a leggere...

lunedì 24 luglio 2017

MANUTENZIONE E ALLACCIO DI UN CONDOMINO ALLA FOGNA. IL COMUNE NON PUO’ RICHIEDERE IL PARERE PREVENTIVO DEL CONDOMINIO

In caso di realizzazione di un'opera da parte di un singolo sulle parti comuni dell'edificio, ma strettamente pertinenziale alla propria unità immobiliare, l'ente locale non è tenuto a richiedere il previo assenso del condominio interessato, posto che il singolo condomino ha facoltà di eseguire opere che, ancorché incidano su parti comuni dell'edificio, siano strettamente pertinenti alla sua unità immobiliare, sotto i profili funzionale e spaziale, con la conseguenza che egli va considerato come soggetto avente titolo per ottenere il provvedimento abilitativo e che il mancato assenso del condominio concerne esclusivamente tematiche privatistiche, cui resta estranea l'amministrazione pubblica. (La fattispecie riguardava l'installazione di una conduttura in materiale plastico di collegamento dell'impianto igienico sanitario alla rete fognante e, in particolare, al sottoservizio fognario posto nel cortile condominiale).

Continua a leggere...

TAR CAMPANIA 26 FEBBRAIO 2016, N. 1077: allaccio fognatura e parere preventivo al condominio



TAR CAMPANIA 26 FEBBRAIO 2016, N. 1077

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA         
(SEZIONE OTTAVA)


ha pronunciato la presente 
                                     
SENTENZA
                          
sul ricorso numero di registro generale 5176 del 2011,  integrato  da motivi aggiunti, proposto da:                                        
Vi. Ca.,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.  U.  G.,  con domicilio eletto presso lo  studio  dell'avv.  A.  A.,  in Napoli;                                         

CONTRO

Comune  di  Pignataro  Maggiore,  rappresentato  e  difeso  dall'avv. G. D'A., legalmente  domiciliato  in  Napoli,  presso  la Segreteria del T.A.R. Campania;      
                                
PER L'ANNULLAMENTO,

previa adozione di misura cautelare,                 
- con  ricorso  principale,  del  provvedimento  prot.  n.  3755/2011 dell'11 aprile 2011 di sospensione  dei  lavori  e  ripristino  dello stato dei luoghi, nonché di irrogazione di una sanzione  pari  a  516 euro;                                                                
- con ricorso per motivi aggiunti, dell'ordinanza dirigenziale n.  59 del 19.7.2011, di  sgombero  della  medesima  unità  immobiliare  nel termine di 45 giorni, pena l'acquisizione del  bene  e  dell'area  di sedime.                                                              
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;           
Visto l'atto di costituzione in  giudizio  del  Comune  di  Pignataro Maggiore;                                                            
Viste le memorie difensive;                                          
Visti tutti gli atti della causa;                                    
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio  2016  il  dott. Fabrizio  D'Alessandri  e  uditi  per  le  parti  i  difensori   come specificato nel verbale;                                             
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Parte ricorrente comunicava al Comune l'effettuazione di interventi di ordinaria manutenzione relativi alla ritinteggiatura di un immobile, alla sostituzione-riparazione dei rivestimenti di una cucina e di un bagno, con la sostituzione degli igienici e riparazione o sostituzione dei tubi della fecale-acque chiare, su un suo immobile sito nel Comune di Pignataro Maggiore, in via (omissis).
Da un sopralluogo dell'8.4.2011 (verbale prot. n. 3678) risultava l'intervenuta installazione di una conduttura di materiale plastico (PVC) di collegamento dell'impianto igienico-sanitario alla rete fognante e, in particolare, al sottoservizio fognario nel cortile condominiale.
Il Comune adottava, quindi, il provvedimento prot. n. 3755/2011, dell'11 aprile 2011, ordinando la sospensione dei lavori e il ripristino dello stato dei luoghi, o, in alternativa, la presentazione di una D.I.A., nonché l'irrogazione di una sanzione pari a 516,00 euro.
Parte ricorrente impugnava quest'ultimo provvedimento, formulando articolati motivi.
Successivamente, il medesimo Comune adottava il provvedimento n. 59 del 19.7.2011, di sgombero della medesima unità immobiliare, nel termine di 45 giorni, pena l'acquisizione del bene e dell'area di sedime.
Il ricorrente impugnava anche questo provvedimento con ricorso per motivi aggiunti.
Si costituiva in giudizio il Comune intimato, deducendo argomentazioni difensive.

DIRITTO

1) Il ricorso principale e quello per motivi aggiunti si rivelano fondati.
2) Quanto al ricorso principale, il provvedimento di sospensione dei lavori e ripristino dello stato dei luoghi è stato motivato dall'amministrazione in base alle circostanze che l'intervento posto in essere risulterebbe qualificabile come di manutenzione straordinaria e non di manutenzione ordinaria. Lo stesso avrebbe comportato una variazione allo schema delle fognature; riguarderebbe parti condominiali dell'edificio; avrebbe necessitato di preventive verifiche del rispetto delle norme igienico-sanitarie, nonché della preventiva autorizzazione di tutti i condomini.
Il medesimo provvedimento ha irrogato la sanzione demolitoria in base all'art. 37, comma 5, D.P.R. n. 380/2001.
Parte ricorrente, nel primo motivo del ricorso principale, ha dedotto che l'intervento in questione consiste nella posa di una tubatura in PVC per collegare un impianto igienico alla rete fognaria preesistente, senza l'esecuzione di opere murarie, e in quanto tale non è soggetto al regime della D.I.A. ma rientra nell'attività libera edilizia, ex art. 6 D.P.R. n. 380/2001, che non necessita di alcun titolo abilitativo.
Il medesimo ricorrente ha rilevato, inoltre, l'incongruità del provvedimento che, dopo aver qualificato come di manutenzione straordinaria le opere poste in essere dal ricorrente, ha irrogato la sanzione demolitoria ai sensi dell'art. 37 D.P.R. n. 380/2001.
Nel secondo motivo di ricorso, il ricorrente ha lamentato che l'art. 37 in questione limita la sanzione alla comminazione di una pena pecuniaria e non prevede la sospensione dei lavori, né tantomeno la riduzione in pristino.
Nel terzo motivo di ricorso, parte ricorrente ha dedotto l'intervenuta decorrenza del termine di cui all'art. 23 D.P.R. n. 380/2001, oltre il quale l'amministrazione può intervenire in sede repressiva solo in via di autotutela.
Nel quarto e quinto motivo di ricorso, parte ricorrente ha contestato che l'intervento in questione non ha comportato alcuna modifica della rete fognante e che non era necessario il consenso di tutti i condomini.
Alla luce di tali censure, il provvedimento gravato si rivela illegittimo.
La posa in opera della conduttura in PVC per il collegamento di un impianto igienico alla rete fognante rientra nell'ambito dell'attività libera ex art. 6 D.P.R. n. 380/2001.
Ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera b), di quest'ultimo D.P.R., sono ricomprese nella categoria degli interventi di manutenzione straordinaria "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso".
L'opera posta in essere rientra in quest'ultima categoria.
La stessa è, infatti, volta a realizzare o integrare i servizi igienico-sanitari e non ha alterato volumi o superfici.
Il citato art. 6 del D.P.R. n. 380/2001, nel testo vigente ratione temporis, prevedeva che potessero essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo "gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), ivi compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell'edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici".
Nel caso di specie l'intervento non riguarda parti strutturali dell'edificio, né comporta aumento del numero delle unità immobiliari o incremento dei parametri urbanistici.
L'opera in esame non necessitava, pertanto, della D.I.A., e risulta, pertanto, illegittima la sanzione comminata ex art. 37 D.P.R. n. 380/2001, riservata all'omissione di tale titolo edilizio.
Inoltre, il Collegio rileva per completezza come, in ogni caso, l'omissione della D.I.A. avrebbe potuto comportare l'applicazione della sanzione pecuniaria ma non di quella ripristinatoria adottata invece dal Comune, peraltro sommandola a quella pecuniaria.
Fermo quanto indicato, si rileva ancora come da accogliere risulti anche la censura relativa alla mancanza della necessità del consenso di tutti i condomini per l'esecuzione dell'opera.
Ciò in primo luogo perché, una volta esclusa la necessità di un titolo abilitativo edilizio, l'indispensabilità del consenso dei condomini per la realizzazione dell'opera diviene una questione relativa all'esercizio del diritto di proprietà o, comunque, inerente ai rapporti civilistici tra condomini.
L'eventuale necessità del consenso, e la pretesa alla stessa connessa, sarà quindi nel caso tutelabile ad opera degli interessati dinanzi alla competente autorità giudiziaria ordinaria, ma non riguarderà l'esercizio del potere autorizzatorio o sanzionatorio del Comune in materia di governo del territorio e, in particolare, in materia urbanistica ed edilizia.
Il Collegio, inoltre, ritiene di poter applicare quella giurisprudenza amministrativa secondo cui, in caso di realizzazione di un'opera da parte di un singolo sulle parti comuni dell'edificio, ma strettamente pertinenziale alla propria unità immobiliare, l'ente locale non è tenuto a richiedere il previo assenso del condominio interessato, ovvero degli altri condomini (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 28-02-2011, n. 367), assumendosi che il singolo condomino ha facoltà di eseguire opere che, ancorché incidano su parti comuni dell'edificio, siano strettamente pertinenti alla sua unità immobiliare, sotto i profili funzionale e spaziale, con la conseguenza che egli va considerato come soggetto avente titolo per ottenere il provvedimento abilitativo e che il mancato assenso del condominio concerne esclusivamente tematiche privatistiche, cui resta estranea l'amministrazione (Cons. Stato Sez. VI, 09-02-2009, n. 717).
Il suddetto principio costituisce evidentemente applicazione della norma contenuta nell'articolo 1102 c.c. , in base al quale "ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto".
Il ricorso principale va quindi accolto.
3) Parimenti fondato si rivela il ricorso per motivi aggiunti.
Innanzitutto per illegittimità derivata, in quanto il provvedimento di sgombero gravato in sede di motivi aggiunti fa chiaro riferimento all'inottemperanza al primo ordine di riduzione in pristino, di cui è stata però acclarata l'illegittimità, e all'assenza di un titolo abilitativo edilizio che, per quanto sovraindicato, non risultava in realtà necessario.
Inoltre, il Comune in questione ha utilizzato un potere inerente alla disciplina delle sanzioni edilizie per mancanza di titolo, rinviando espressamente all'art. 31 D.P.R. n. 380/2001, per sanzionare supposte, ma peraltro non specificatamente evidenziate, carenze rispetto ad aspetti igienico-sanitari.
Infine, del tutto generica è la motivazione del provvedimento impugnato sul punto del cattivo stato di manutenzione e delle pessime condizioni dell'immobile, con la conseguenza di essere inidonea a giustificare un'ordinanza di sgombero.
4) Per i suesposti motivi il ricorso il ricorso principale e quello per motivi aggiunti vanno accolti.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando sul ricorso principale e su quello per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie nei termini di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla i provvedimenti gravati.
Condanna il Comune di Pignataro Maggiore al pagamento, in favore di parte ricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 2.300,00, oltre IVA e CPA.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2016 con l'intervento dei magistrati:

Michelangelo Maria Liguori, Presidente FF
Fabrizio D'Alessandri, Primo Referendario, Estensore
Rosalba Giansante, Primo Referendario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 26 FEB. 2016.
Continua a leggere...

sabato 22 luglio 2017

Controversie tributarie pendenti, ecco come definirle. Entro il 2 ottobre la chiusura agevolata delle liti con le Entrate

COMUNICATO STAMPA

Controversie tributarie pendenti, ecco come definirle
Entro il 2 ottobre la chiusura agevolata delle liti con le Entrate

Definizione facile per le controversie tributarie pendenti in cui è parte l’Agenzia delle entrate. I contribuenti interessati, infatti, possono risolverle entro il 2 ottobre 2017 pagando un importo agevolato. Con un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, firmato oggi, è stato approvato il modello di domanda per la definizione con le relative istruzioni. In particolare, la chiusura riguarda non soltanto le controversie instaurate avverso avvisi di accertamento e atti di irrogazione delle sanzioni, ma anche quelle inerenti agli avvisi di liquidazione e ai ruoli. Restano, invece, escluse le liti relative al rifiuto alla restituzione di tributi, quelle di valore indeterminabile, come, ad esempio, per il classamento degli immobili e, più in generale, quelle per le quali manchino importi da versare da parte del contribuente.

Le liti definibili – A offrire quest’opportunità “agevolata” di risoluzione delle controversie è la manovra correttiva (DL 50/2017), che consente di definire le liti in cui il ricorso in primo grado sia stato notificato dal contribuente entro il 24 aprile 2017 e per le quali, alla data di presentazione della domanda, il processo non sia ancora concluso con pronuncia definitiva. In sintesi, sono definibili le controversie tributarie in cui è parte l’Agenzia delle entrate pendenti in ogni stato e grado di giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, oppure in pendenza del termine di impugnazione della sentenza o per la riassunzione della controversia. 

Come sono determinate le somme per la chiusura – Per la definizione occorre pagare gli importi spettanti all’Agenzia, richiesti con l’atto impugnato e ancora in contestazione, con esclusione delle sanzioni collegate ai tributi contestati e degli interessi di mora. Se la lite riguarda esclusivamente sanzioni non collegate ai tributi o interessi di mora, la definizione comporta l’abbattimento al 40 per cento degli importi in contestazione. Sono naturalmente da sottrarre gli importi già versati in pendenza di giudizio e, chi ha già presentato entro il 21 aprile scorso la domanda di definizione agevolata dei carichi affidati prevista dall’art. 6 del DL 193/2016, scomputa anche gli importi dovuti per detta “rottamazione” dei ruoli, dovendo usufruire unitamente delle due agevolazioni.

Attenzione alla prima scadenza del 2 ottobre per porre fine in tempo alla lite - Per chiudere le liti in modo agevolato occorre tenere presente la scadenza del 2 ottobre 2017. Infatti, entro questa data - primo giorno lavorativo successivo al 30 settembre 2017, che cade di sabato – scade il termine per versare gli importi dovuti o la prima rata e presentare la relativa domanda di definizione della controversia mediante trasmissione telematica. Ciò può avvenire tramite un intermediario abilitato o recandosi presso un qualsiasi Ufficio territoriale dell’Agenzia, ovvero in maniera diretta per i contribuenti abilitati ai servizi telematici dell’Agenzia. La definizione consente di pagare in un’unica soluzione, oppure, se l’importo netto dovuto è superiore ai duemila euro, in due o tre rate, con la possibilità di avvalersi dell’istituto della compensazione.

Dove trovare il modello – Il modello di presentazione della domanda di definizione è reso disponibile gratuitamente dall’Agenzia delle entrate in formato elettronico sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it.


Roma, 21 luglio 2017
Continua a leggere...

Fisco; Ruffini, aiutiamo chi alza saracinesca tutti i giorni

COMUNICATO

“L’Agenzia delle entrate può, in realtà, rappresentare un nuovo motore di sviluppo per tutto il Paese perché questa evasione blocca la crescita; perché un sistema fisco più efficiente e chiaro crea e attrae nuovi investimenti, anche internazionali; perché dobbiamo rendere più leggero lo sforzo di chi ogni mattina alza la saracinesca della propria impresa”.
Lo scrive il neo Direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, in una lettera inviata a tutti i dipendenti. “Agenzia delle entrate dovrà essere ancor di più al fianco di chi produce, così come delle famiglie e di quei cittadini che, troppo spesso, si sono sentiti circondati dal sistema fiscale, dalle tante lettere, da calendari di obblighi mutevoli e lunghi. Così come - spiega Ruffini - deve essere rigorosa con chi finisce in fuorigioco, Agenzia deve saper chiedere scusa se sbaglia.
Deve, quando necessario, fare pulizia al proprio interno e tenere alta la bandiera della legalità”.

Roma, 21 luglio 2017
Continua a leggere...

venerdì 21 luglio 2017

Chiarimenti sulla presentazione del modello 770/2017 da parte delle Amministrazioni dello Stato

RISOLUZIONE N. 95/E

Oggetto: Chiarimenti sulla presentazione del modello 770/2017 da parte delle Amministrazioni dello Stato

Il modello 770/2017 (dichiarazione dei sostituti d’imposta e degli intermediari), relativo al periodo d’imposta 2016, attraverso il quale è possibile l’invio delle informazioni fiscali prima gestite nei modelli 770 Semplificato e 770 Ordinario, è stato fortemente semplificato, anche alla luce del nuovo comma 6-quinquies dell’articolo 4 del DPR n. 322 del 1998, introdotto dalla legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge di stabilità 2016), che ha attribuito valenza dichiarativa alle certificazioni uniche (contenenti tutte le informazioni relative ai percipienti) che i sostituti d’imposta hanno già trasmesso telematicamente all’Agenzia delle Entrate entro il 7 marzo.

Il nuovo modello 770/2017, oltre ai quadri relativi alle informazioni sui redditi di natura finanziaria, precedentemente indicati nel modello “ordinario”, si compone dei quadri ST, SV, SX e del prospetto SY, nei quali sono esposti i dati relativi:
  • ai versamenti (quadri ST e SV);
  • al riepilogo dei crediti e delle compensazioni (quadro SX);
  • alle somme liquidate a seguito di procedure di pignoramento presso terzi, alle ritenute ex articolo 25 del decreto legge n. 78 del 2010 e ai percipienti esteri privi di codice fiscale (prospetto SY).
Con riferimento alle Amministrazioni dello Stato, nelle istruzioni per la compilazione del modello 770/2017 è precisato che queste ultime non sono tenute alla compilazione dei quadri ST, SV e SX, pur essendo ricomprese tra i soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione dei sostituti d’imposta, qualora abbiano effettuato i versamenti esclusivamente tramite Tesoreria.

Ciò premesso, alcune Amministrazioni dello Stato, che hanno già inviato le certificazioni uniche entro lo scorso 7 marzo, hanno rappresentato dei dubbi sull’adempimento relativo alla trasmissione del modello 770, chiedendo se, in mancanza di altre informazioni da comunicare all’Agenzia delle Entrate, siano comunque tenute all’invio del solo frontespizio. 

Al riguardo, si precisa che, nell’ipotesi sopra descritta, le Amministrazioni dello Stato che abbiano già inviato le certificazioni uniche, relative ai redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo, e che non abbiano effettuato versamenti tramite il modello F24 o F24EP, non sono obbligate ad inviare il modello 770 con il solo frontespizio, avendo esaurito l’adempimento dichiarativo dei sostituti d’imposta con l’invio telematico delle citate certificazioni uniche.

Resta inteso che la presentazione del Modello 770/2017 risulta comunque obbligatoria per le Amministrazioni dello Stato che devono compilare altri quadri del predetto modello, come ad esempio in presenza di operazioni da dichiarare nel prospetto SY “Somme liquidate a seguito di pignoramento presso terzi” qualora l’Amministrazione abbia erogato somme a favore di un creditore pignoratizio - persona giuridica - ovvero abbia corrisposto delle somme a percipienti esteri privi di codice fiscale. In tal caso, in presenza dei presupposti che esonerano il sostituto dalla compilazione dei quadri riepilogativi (ossia l’invio delle certificazioni uniche e i versamenti esclusivamente in Tesoreria), sarà cura dell’Amministrazione inserire il codice “1” nella casella “Casi di non trasmissione dei prospetti ST, SV e/o SX” del Frontespizio del Modello 770/2017.

IL DIRETTORE CENTRALE 
Continua a leggere...

lunedì 17 luglio 2017

A quasi due mesi da Piazza San Carlo ecco cosa non ha funzionato

A Torino in piazza San Carlo qualcosa non ha funzionato. Il 3 giugno qualcosa è andato storto. Ho miei dubbi che sia un problema all'italiana, dove le cose sono state fatte male o senza considerazioni. A leggere gli articoli e la macchina che si era messa in moto, si evince chiaramente che più commissioni e più sopralluoghi sono stati fatti, da più autorità competenti e sicuramente più esperti del tipo del bar. Ma qualcosa non ha funzionato. Non c'è stato un attentato, non possiamo prendercela con il solito terrorista, perché a Torino hanno vinto loro. Non c'è stato bisogno che si facessero saltare per aria, non c'è voluto un camion che travolgesse la folla, ma solo la paura, quel terrore che vanno diffondendo. 

Ma noi non ci possiamo fermare. La paura c'è. Ma non ci possiamo fermare. Lasciamo che quello che è successo a Torino ci insegni. Vediamo come analizzare ogni manifestazione e prendiamo le dovute precauzioni, per far sì che non avvenga più che il terrore vinca sull'intelligenza

Ho provato a fare un percorso di analisi, per verificare cosa può non essere andato dritto. Mettendosi da una parte tecnica, presumo che gli incaricati siano arrivati alla conclusione che l’area si altamente permeabile dalla folla, pertanto non è stato previsto un piano di evacuazione volto a gestire e controllare i flussi, poiché le persone sarebbero riuscite comunque ad andarsene celermente senza trovare tappi che li obbligassero. Così sembra sia stato. Non si sono sentite lamentele di persone che non sono riuscite a scappare, anzi! Tuttavia vogliamo analizzare un attimo la situazione con i numeri per esserne certi:

La superficie della Piazza è di 12'700 mq, che moltiplicato per 4 persone/mq (parametro standard per questi eventi), arriviamo a 50'800 persone. Questa cifra è la capienza massima delle aree. Quello che però si deve andare a considerare sono anche le vie di fuga: se non ci passano le persone in caso di emergenza, rischiano di morire per il problema. Ci deve essere un rapporto diretto.

Si considera che un modulo di una persona sia di 60 cm, e per ogni modulo ci possano passare 50 persone se si è in piano. Questo secondo la normativa che segue in qualche modo la logica (pensate se siete in 50 in una stanza e dovete uscire velocemente, l'unica porta è da 60 cm, quanto ci potete mettere?). La formula è: L [m] = A/50 • 0,60. Quindi l'affollamento sostenibile, quello relativo alle vie di fuga, sarà dato dal calcolo delle strada che consentono la fuoriuscita repentina dalla piazza. Ci sono 6 vie di fuga in piazza San Carlo, di cui non sappiamo la larghezza esatta, ma che ipotizziamo essere di 10 m per le secondarie e di 15 per la principale, per un totale di 70 m. Ora calcoliamo:

A= 70 • 50 / 0,6 = 5'833 persone.

Ma la sera del 3 giugno c'erano 30'000 persone secondo i media. Quindi vediamo le vie di fuga quanto sarebbero dovute essere:

L= 30'000/50•0,6= 360 m 

Ora non abbiamo la rotella in tasca per andare a misurarle, ma dubito fortemente che ci sono 360 m lineari per le vie di fuga. Anche il calcolo fu sbagliato!

Quello che è stato mal gestito sono state le misure di prevenzione, ricordiamo che è stato esploso un petardo e che la maggior parte delle persone ferite lo sono state per vetro e lattine abbandonate a terra, oppure perché cadute e calpestate. 




Quello che è certo sono le persone che si sono mosse in maniera casuale, senza essere indirizzate. Questo è stato completamente sbagliato. L'Italia è un Paese Cattolico, e ogni domenica migliaia di pellegrini si riversano in Piazza San Pietro. Per quanto Papa Francesco sia un radunatore di folle non susciterà mai l'emozione che si ha da una finale di Champions League per un tifoso. Ma Piazza San Pietro l'avete mai notata bene? Tutta divisa a settori, maxischermi ovunque, impianto audio impressionante, personale per soccorso sempre disponibile. A Torino quello che è mancata è stata la prevenzione! Se le persone fossero anche riuscite a scappare tutte, altre situazioni si dovevano affrontare preventivamente. Nessuno sui monumenti arrampicati, ne sulle transenne, corridoi per il facile accesso delle persone e dei mezzi di soccorso. Aree esterne sicure, cartelli ben visibili con segnate le vie di fuga. Controlli all'entrata su chiunque a partire da centinaia di metri per evitare che si portassero bottiglie di vetro o lattine. La prevenzione non c'è stata. Anche il post-evento non così ben organizzato, con un numero di soccorritori e ambulanze apparentemente insufficiente.


Sarebbe stato opportuno, da parte degli organizzatori e dei tecnici, andare a creare una serie di corridoi di servizio, sia per separare la folla sia per meglio indirizzarli in caso di evacuazione. Difatti la suddivisione in settori è alla base per la buona riuscita in caso di emergenza.

L’emergenza non è il terrorista che si fa esplodere, è la signora Maria, ultra novantenne, che per il caldo gli viene un malore. Se questo malore si trasforma in un attacco cardiaco, l’ambulanza deve arrivare a pochi metri dalla signora Maria, e deve arrivarci il più velocemente possibile.







Continua a leggere...

Del Rio:' Obbligatorio il certificato di stabilità'

Da diversi anni si parla di regolarizzare i documenti che devono essere presenti in un contratto d'affitto o di compravendita relativi ad un immobile, è stato fatto 10 anni fa con le certificazioni energetiche, e da diversi anni si studia come poter introdurre un documento che certifichi la staticità dell'edificio.

Dopo i spaventosi terremoti che abbiamo vissuto, si è visto come tanti edifici presentino vulnerabilità tali da portarli al crollo troppo facilmente, purtroppo anche senza l'accadimento l'evento sismico. Tuttavia non è mai stato fatto nulla a riguardo per un problema semplicissimo: i costi! Oggi però secondo il ministro Del Rio questo problema verrebbe meno, e potrebbe già nelle prossime settimane, essere abbozzata una legge a riguardo che poi verrà approvata nella legge di bilancio. I dubbi sono ancora tanti, se si parlerà di classi come quelle energetiche, se è relativo al sisma atteso o alla resistenza massima della struttura. Il Ministro ha dichiarato che tale certificato potrebbe rientrare nel  rientri nel sismabonus, e che quindi sarebbe detraibile fino all'85% dall'IRPEF rende più facile le cose.


E' tuttavia da analizzare la situazione in cui i tecnici (speriamo solo ingegneri strutturisti ) andranno ad operare. Infatti, se suoi nuovi edifici la situazione è relativamente semplice, poiché esistono i progetti depositati in comune e le strutture al genio civile, oltre che perizie, foto, ecc... della fase di cantiere, per cui un tecnico sarebbe facilitato ad analizzare la staticità dell'edificio e quindi produrre un documento che si basi su dati certi. Differente è per un edificio esistente: basti pensare che solo fino a pochi anni fa la perizia geologica non veniva sempre fatta e si andava 'a naso', e quindi le fondazioni sono spesso insufficienti a dare la giusta stabilità all'edificio. Per non parlare del complesso lavoro che nascerebbe dall'analizzare la struttura portante: se è facile capire se una struttura è in cemento armato o in muratura, diverso è capire quanti ferri ci possono essere dentro a un elemento strutturale o la durezza della calcestruzzo. Se è un edificio storico, realizzato in muratura la cosa si complica ulteriormente, perché è probabile che abbia subito nella sua vita più interventi in diverse epoche, con diverse tecnologie e con diversi materiali. Se non vengono considerati tutti questi, si rischia di non fare una buona analisi (sopratutto sismica). Infatti si dovranno predisporre delle analisi anche semidistruttive per avere della campionature certe sulle quali basarsi. Questo per fare un buon lavoro, e non una porcata tipo le certificazioni energetiche, che nate per essere un'attenta analisi dei costi energetici dell'edificio, sono ora svendute a 40 € su internet, senza che nessuno venga nemmeno a vedere la casa.  Poiché inserire dentro a un software dei numeri a casaccio per arrivare ad emettere un certificato non corrispondente alla realtà, ma con cui è possibile levarsi il peso dell'atto, è diverso dal verificare con attenzione se gli chi abita una struttura è sicura di non restarci sotto o meno.


Da aggiungere che tale certificato è impossibile che riguardi la singola unità immobiliare, dovrà comprendere tutto l'immobile. I tempi di lavorazione saranno probabilmente anche lunghi che potranno arrivare anche a superare il mese se non oltre! Quindi una volta che tale certificato verrà normato, sarà meglio che i condomini si apprestino celermente a produrlo, poiché la pena sarebbe l'impossibilità da parte del Notaio o dell'AdE di convalidare l'atto di comprevendita, affitto, ecc.... Hanno anche un vantaggio a produrlo, poiché il ministro Del Rio ha dichiarato che tale documento rientrerebbe nel sismabonus, cosa che oggi è esclusa. Oggi solo se nel caso vengano eseguite lavorazioni si ha diritto ad rientrare nel sismabonus e alle detrazioni fiscali irpef.




Continua a leggere...

INSTALLAZIONE DI ANTENNA SU PARTI ESCLUSIVE SOLO SE SI DIMOSTRA L’IMPOSSIBILITA’ DI COLLOCAZIONE SU PARTI COMUNI

La sentenza ha ad oggetto un caso sorto prima della modifica della disciplina del condominio negli edifici di cui alla Legge 220/201. Con riguardo ad un edificio in condominio ed all’installazione d’apparecchi per la ricezione di programmi radio-televisivi, questa Corte fa osservare che il diritto di collocare nell’altrui proprietà antenne televisive, riconosciuto dagli artt. 1 e 3 della legge 6 maggio 1940, n. 554 e 231 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 (applicabili ratione temporis), è subordinato all’impossibilità per l’utente di servizi radiotelevisivi di utilizzare spazi propri, giacché altrimenti sarebbe ingiustificato il sacrificio imposto al proprietario dell’immobile gravato. Occorre considerare che il diritto all’installazione non comporta anche quello di scegliere a piacimento il sito preferito per l’antenna.
E’ evidente che, trattandosi di un fatto costitutivo del diritto all’installazione, l’onere di provare - se del caso anche con una c.t.u. - che non fosse possibile utilizzare una spazio proprio o condominiale per l’installazione, cade a carico del soggetto che intenda effettuarla.

Continua a leggere...

CASSAZIONE 7 LUGLIO 2017, N. 16865: in tema di installazione antenna



CASSAZIONE 7 LUGLIO 2017, N. 16865

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. DI PALMA  Salvatore -  Presidente  
Dott. SAMBITO   Maria Giovanna C.  -  Consigliere 
Dott. VALITUTTI Antonio  -  rel. Consigliere  
Dott. ACIERNO   Maria  -  Consigliere  
Dott. LAMORGESE Antonio -  Consigliere  

ha pronunciato la seguente:                                          

SENTENZA

sul ricorso 21362/2013 proposto da: 
M.M.R. , elettivamente domiciliata  in Roma, presso il sig. A. P.,  rappresentata e difesa dall'avvocato C. A., giusta  procura in calce al ricorso; 
- ricorrente - 

CONTRO
T.R., elettivamente domiciliato in Roma, presso l'avvocato Z. A. rappresentato e difeso dall'avvocato G. F, giusta procura in calce al controricorso; 
- controricorrente - 

avverso la sentenza n. 3027/2012 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/09/2012; 
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/03/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO; 
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato l’11 aprile 2001, M.M.R. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, T.R. , chiedendo la conferma del provvedimento ex art. 700 cod. proc. civ., con il quale era stato ordinato al convenuto di consentirle l’accesso al lastrico solare di copertura dell’edificio condominiale, di proprietà esclusiva del convenuto, per riparare la propria antenna condominiale ivi installata. Il Tribunale adito, con sentenza n. 353/2007, rigettava la domanda.
2. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 3027/2012, depositata il 24 settembre 2012, rigettava sia l’appello principale proposto dalla M. , sia l’appello incidentale proposto dal T. , relativamente alle spese del giudizio di primo grado. La Corte territoriale riteneva che il diritto dell’appellante di installare e mantenere l’antenna sul lastrico di proprietà dell’appellato fosse condizionato alla dimostrazione, non fornita in giudizio dalla M. , dell’impossibilità di effettuare siffatta installazione su beni propri o di proprietà condominiale.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso M.M.R. nei confronti di T.R. affidato a sette motivi. illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ. Il resistente ha replicato con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, M.M.R. denuncia la violazione dell’art. 190 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ..
1.1. La ricorrente deduce che l’impugnata sentenza sarebbe affetta da nullità, essendo stato il giudizio di appello deciso prima dell’intero decorso degli ottanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, previsti dall’art. 190 cod. proc. civ. La causa sarebbe stata, infatti, riservata per la decisione all’udienza del 27 aprile 2012, e la decisione sarebbe stata deliberata nella camera di consiglio del 13 luglio 2012. Talché non sarebbe stato consentito alle parti "di depositare fino all’ultimo giorno le difese che ritenevano utili".
1.2. Il motivo è infondato.
1.2.1. Va osservato che, secondo il prevalente orientamento di questa Corte, nel giudizio di primo o di secondo grado l’omessa assicurazione alle parti del potere di depositare le comparse conclusionali ai sensi dell’art. 190 cod. proc. civ., conseguente al deposito della sentenza prima della scadenza del relativo termine, deve ritenersi in ogni caso motivo di nullità della sentenza stessa per violazione del diritto di difesa ed essendo essa inidonea al raggiungimento del suo scopo, che è quello della pronuncia della decisione anche sulla base dell’illustrazione definitiva delle difese che le parti possono fare proprio nelle conclusionali e, quindi, del loro esame.
Né ai fini della deduzione di detta nullità con il mezzo di impugnazione, la parte è tenuta ad indicare se e quali argomenti non svolti nei precedenti atti difensivi avrebbe potuto svolgere ove le fosse stato consentito il deposito della conclusionale, poiché, richiedendosi l’assolvimento di tale onere, si verrebbe impropriamente ad attribuire la funzione di elemento costitutivo della nullità ad un comportamento inerente il modo in cui, mediante il rispetto del noto principio della conversione delle nullità in motivi di impugnazione della decisione (contemplato dal primo comma dell’art. 161 cod. proc. civ.), la parte può far valere la nullità stessa, ovvero al veicolo necessario per darle rilievo nel processo (Cass. 10/03/2008, n. 6293; Cass. 24/03/2010, n. 7072; Cass. 05/04/2011, n. 7760; Cass. 08/10/2015, n. 20180, Cass. 02/12/2016, n. 24636).
Secondo un diverso indirizzo, peraltro, la sentenza la cui deliberazione risulti anteriore alla scadenza dei termini ex art. 190 cod. proc. civ., per il deposito delle conclusionali e delle memorie di replica, non è automaticamente affetta da nullità, occorrendo dimostrare la lesione concretamente subita in conseguenza della denunciata violazione processuale, indicando le argomentazioni difensive - contenute nello scritto non depositato e, quindi, non esaminato dal giudice - la cui considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilità di determinare una decisione diversa da quella effettivamente assunta (Cass. 13/11/2003, n.17133; Cass. 23/02/2006, n. 4020; Cass. 09/04/2015, n. 7086).
1.2.2. Tanto premesso in via di principio, va rilevato che, anche a voler aderire all’indirizzo maggioritario, va comunque rilevato che, nel caso concreto, la ricorrente non ha neppure dedotto di non essere stata in grado di depositare le conclusionali e le repliche, che anzi - come dedotto dal resistente (controricorso, p. 7) - sarebbero state regolarmente depositate dalla medesima prima della decisione della causa in camera di consiglio. Tanto più che la decisione è stata anticipata dalla Corte territoriale di soli tre giorni, rispetto alla scadenza del termine per il deposito delle suddette memorie. Sicché, nel caso di specie, la violazione del diritto di difesa va esclusa in radice.
1.3. Il mezzo in esame non può, pertanto, trovare accoglimento.
2. Con il secondo motivo di ricorso, M.M.R. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 183, 184 e 343 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ..
2.1. La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia mutato la qualificazione giuridica della domanda avanzata in giudizio dalla M. da azione a tutela del diritto all’informazione ex art. 21 Cost., secondo la qualificazione operata anche dal giudice di prime cure, ad azione a tutela della proprietà, senza che sul punto vi fosse stata impugnazione alcuna da parte dei contraddittori.
2.2. La censura è infondata.
2.2.1. La sentenza di appello - contrariamente all’assunto dell’esponente - non ha, invero, in alcun modo operato una nuova qualificazione giuridica della domanda, essendosi la Corte territoriale limitata ad affermare che il diritto derivante dalla normativa in materia di installazione di antenne televisive "incontra il divieto di menomare il diritto di proprietà di colui che deve consentire l’installazione su parte del proprio immobile, ove l’istante abbia la possibilità di collocare un’antenna in una parte dell’immobile di proprietà personale o condominiale". Ne discende che il diritto di proprietà non costituisce affatto, secondo il giudice di seconde cure, l’oggetto della tutela azionata in giudizio, ma solo un limite al diritto all’installazione, laddove l’istante abbia la possibilità di collocare le antenne su di una parte del dell’immobile di sua proprietà o di proprietà condominiale.
2.2.2. La doglianza va, pertanto, disattesa.
3. Con il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, M.M.R. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116, 167, 183, 244, 843 cod. proc. civ., 2727, 2729 cod. civ., 1 e 2 della legge 6 maggio 1940, n. 554, 231 e 232 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ..
3.1. Lamenta la ricorrente che la Corte territoriale abbia respinto nel merito - con motivazione del tutto inadeguata l’appello proposto dalla M. avverso la sentenza di primo grado, senza tenere conto, sul piano motivazionale, delle prove, anche presuntive ex artt. 2727 e 2729 cod. civ., acquisite agli atti, dalle quali sarebbe emerso che l’antenna TV della istante si trovava da un ventennio sul lastrico di copertura del fabbricato condominiale, di proprietà esclusiva del T. , agganciata alle ringhiere unitamente ad altre antenne appartenenti a diversi condomini, e che la stessa non danneggiava in alcun modo il lastrico di copertura dell’odierno resistente. Talché il rifiuto del medesimo di consentire l’accesso al terrazzo, costituente violazione dell’art. 843 cod. civ., sarebbe stato del tutto ingiustificato, tenuto conto del fatto che il condomino avrebbe un diritto soggettivo perfetto di natura personale a provvedere alla manutenzione della propria antenna.
3.2. In ogni caso, osserva la istante che, contrariamente all’erroneo assunto della Corte d’appello, incomberebbe sul proprietario dell’immobile gravato dall’installazione, e non su quello che intende effettuarla, l’onere di provare che l’antenna e/o l’accesso danneggiano il bene di sua proprietà e che il titolare dell’impianto può installare l’antenna su uno spazio proprio o di proprietà condominiale.
3.3. I motivi sono infondati.
3.3.1. Va, per vero, osservato che - secondo l’insegnamento di questa Corte - con riguardo ad un edificio in condominio ed all’installazione d’apparecchi per la ricezione di programmi radio-televisivi, il diritto di collocare nell’altrui proprietà antenne televisive, riconosciuto dagli artt. 1 e 3 della legge 6 maggio 1940, n. 554 e 231 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 (applicabili ratione temporis), è subordinato all’impossibilità per l’utente di servizi radiotelevisivi di utilizzare spazi propri, giacché altrimenti sarebbe ingiustificato il sacrificio imposto al proprietario dell’immobile gravato (cfr. Cass. 06/05/2005, n. 9393, relativa proprio al caso dell’installazione, da parte d’alcuni condomini, di un’antenna televisiva su un terrazzo di proprietà esclusiva), considerato che il diritto all’installazione non comporta anche quello di scegliere a piacimento il sito preferito per l’antenna (Cass. 21/04/2009, n. 9427).
Ed è evidente che, trattandosi di un fatto costitutivo del diritto all’installazione, l’onere di provare - se del caso anche con una c.t.u. - che non fosse possibile utilizzare una spazio proprio o condominiale per l’installazione, cede a carico del soggetto che intenda effettuarla.
3.3.2. Tanto premesso, va rilevato che, nella specie, dall’impugnata sentenza si evince che il T. aveva dedotto, già in primo grado, che l’antenna della M. "era stata apposta abusivamente dall’attrice che si era rifiutata di concorrere alle spese di riparazione dell’antenna condominiale", e che "a fronte della specifica contestazione avanzata dal convenuto che aveva dedotto l’abusiva installazione dell’antenna sul terrazzo di sua proprietà", l’attrice "non aveva fornito la prova né di un preventivo consenso del convenuto, né che la collocazione dell’antenna sull’immobile del convenuto era l’unico modo che le consentisse di usufruire del servizio radio-televisivo e pertanto dell’impossibilità di collocare l’antenna nel proprio immobile" (pp. 5 e 6).
Si desume, altresì, dalla decisione di appello, che la M. non aveva neppure fornito la dimostrazione del fatto che l’antenna in questione si trovasse sul lastrico del T. da vent’anni, sicché - in difetto di prove di segno contrario - il carattere abusivo di tale installazione, a parere della Corte d’appello, non poteva che considerarsi certo.
3.3.3. Ebbene, non può revocarsi in dubbio che siffatta motivazione della Corte di merito sia del tutto adeguata ed in linea con i suesposti precedenti di questa Corte in materia.
D’altro canto, quanto al dedotto vizio di motivazione, per omesso esame di risultanze istruttorie in atti, va osservato che, a norma dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ratione temporis, essendo stata la sentenza di appello depositata dopo l’11 settembre 2012), che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato - come nella specie - comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie in atti (Cass.S.U. 8053 e 8054/2014; Cass. 25216/2014).
3.4. Per tali ragioni, dunque, le censure suesposte non possono trovare accoglimento.
4. Con il sesto motivo di ricorso, M.M.R. denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ..
4.1. Si duole la istante del fatto che la Corte territoriale, sebbene abbia respinto sia l’appello principale della M. che quello incidentale del T. , abbia condannato l’appellante principale al pagamento delle spese del giudizio, laddove - essendovi stata soccombenza di entrambe le parti si sarebbe dovuto procedere ad una compensazione delle stesse.
4.2. Il motivo è infondato.
4.2.1. Il rigetto tanto dell’appello principale quanto di quello incidentale non obbliga, invero, il giudice a disporre la compensazione totale o parziale delle spese processuali, il cui regolamento, fuori della ipotesi di violazione del principio di soccombenza per essere stata condannata la parte totalmente vittoriosa, è rimesso, anche per quanto riguarda la loro compensazione, al potere discrezionale del giudice di merito (Cass. 02/07/2008, n. 18173; Cass. 23/05/1980, n. 3405).
4.2.2. La doglianza va, pertanto, rigettata.
5. Con il settimo motivo di ricorso, M.M.R. denuncia la violazione del d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e del d.m. n. 127 del 2004, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ..
5.1. La ricorrente si duole della mancata applicazione dei parametri di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140, che ha riconosciuto al difensore un compenso comprensivo anche degli onorari, e con esclusione delle spese generali. Ne sarebbe derivata, anche per il mancato rispetto dei massimi tariffari, una valutazione delle spese di lite non conforme al valore della causa.
5.2. Il motivo è fondato.
5.2.1. Va osservato, infatti, che correttamente la istante invoca l’applicazione, nella specie, del d.m. 20 luglio 2012, n. 140. In tema di spese processuali, infatti, agli effetti dell’art. 41 del d.m. n. 140 del 2012, il quale ha dato attuazione all’art. 9, secondo comma, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, purché si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale. Tale ultima evenienza ricorre quando la liquidazione, concernente un determinato grado dei giudizio, intervenga (da parte del giudice del grado successivo) dopo che la sentenza ha definito quel grado del processo, talché la prestazione professionale del difensore debba considerarsi senz’altro conclusa (Cass. Sez. U. 12/10/2012, n. 17405; Cass. 02/07/2015, n 13628; Cass. 11/02/2016, n. 2748).
5.2.2. Nel caso di specie, il d.m. n. 140 del 2012 è entrato in vigore il 23 agosto 2012 e la sentenza di appello è stata depositata il 24 settembre 2012, per cui - essendo in contestazione le spese del giudizio di secondo grado - erroneamente la Corte territoriale ha liquidato separatamente i diritti dagli onorari, prevedendo il nuovo decreto (artt. 1, comma 3, e 11, comma 8) un compenso onnicomprensivo, e - del pari erroneamente - ha riconosciuto anche le spese generali, inesistenti nelle nuove tariffe forensi. Orbene, applicando lo scaglione minimo (fino ad Euro 25.000,00), atteso che il valore della causa risulta di Euro 5.200,00, e pur considerando i valori massimi delle nuove tabelle, risulta liquidabile - escluse le spese generali e quelle forfettarie, introdotte successivamente (dall’art. 2, comma 2, d.m. n. 55 del 2014) - un compenso decisamente inferiore a quello riconosciuto all’appellato dalla sentenza impugnata per onorari, diritti e spese generali.
5.3. Il mezzo va, di conseguenza, accolto.
6. L’accoglimento del settimo motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che dovrà procedere nuovamente alla liquidazione delle spese del giudizio di appello, attenendosi ai principi di diritto suesposti.
7. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il settimo motivo di ricorso; rigetta il primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Continua a leggere...
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...