Deve pagare (anche) le spese relative ai consumi del carburante
per l’impianto di riscaldamento centralizzato?
Forse solo dopo gli animali domestici - che il
regolamento non può vietare di detenere in
casa, ex art. 1138, comma 5, c.c. - quello sul
distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato
è stato l’argomento che, prima e dopo la riforma
della normativa condominiale, ha maggiormente
interessato l’opinione pubblica, con vasta
risonanza sui mass media.
Invero, entrata in vigore la legge n. 220/2012,
si è registrata una certa “euforia” tra i condomini,
nel senso della liberalizzazione incondizionata
di tale iniziativa, che, invece, la nuova
disciplina, riportando tralaticiamente i “paletti”
imposti dalla precedente giurisprudenza di legittimità
- sia pure con una tecnica legislativa che
lascia alquanto a desiderare - àncora a precisi e
puntuali presupposti (di natura sia tecnica che
economica).
Sulla tematica de qua, sono intervenute due recenti
sentenze del Supremo Collegio, quasi coeve,
nell’autunno 2016, che, ovviamente, non possono
riguardare distacchi realizzati dopo il 18 giugno
2013 - dopo tre anni, si arriva a stento alla conclusione
di un giudizio di primo grado, figurarsi
quello di appello o di cassazione! - ma appaiono
interessanti per i principi ivi affermati, anche
in chiave “evolutiva” (pur se non condivisibili in
toto, segnatamente sul versante della regola di
giudizio dell’onere della prova).
La causa decisa da Cass., sez. II, 22 novembre
2016, n. 23756, prendeva le mosse dalla domanda
di un condomino, il quale assumeva di aver
provveduto, previa comunicazione all’amministratore
e previo consenso verbale di quest’ultimo,
al distacco del suo appartamento dall’impianto di
riscaldamento centralizzato, e che, ciò malgrado,
il condominio pretendeva il pagamento dell’intera
quota condominiale, comprensiva anche dei consumi
di carburante.
L’attore chiedeva, pertanto, l’accertamento del
suo diritto ad utilizzare l’impianto autonomo realizzato
a servizio del suo appartamento, a seguito
del distacco di cui sopra, con conseguente
esonero dalla contribuzione alle suddette spese
di consumo.
Il Tribunale aveva dichiarato (inspiegabilmente)
inammissibile la domanda relativa all’accertamento
del diritto al distacco, e, a seguito dell’appello del condomino, la Corte territoriale aveva confermato
sostanzialmente tale statuizione, osservando
però che era erronea la declaratoria di inammissibilità
del giudice di prime cure in quanto
fondata sul convincimento della necessità di una
previa deliberazione assembleare.
Veniva, quindi, ribadito il principio per il quale il
condomino può legittimamente rinunciare all’uso
dell’impianto di riscaldamento centralizzato e
distaccare la diramazioni della sua unità immobiliare,
anche senza necessità di autorizzazione
assembleare, fermo il suo obbligo di pagamento
delle spese per la conservazione dell’impianto;
tuttavia, ai fini di ottenere l’esonero anche dal
pagamento delle spese di gestione - come richiesto
dall’attore - era necessario provare altresì che
il distacco non si risolvesse in una diminuzione
degli oneri del servizio.
Nella fattispecie, la prova testimoniale espletata
permetteva di affermare che la consapevolezza
dell’amministratore dell’epoca circa l’esecuzione
dei lavori di distacco, se poteva far ritenere l’insussistenza
di una “volontà antagonista” a quella
di distacco dell’istante, non poteva però dimostrare
anche che vi fosse stata un’accettazione,
vincolante per gli altri condomini, della richiesta
di esonero dalla contribuzione alle spese di gestione
dell’impianto centralizzato.
Occorreva, dunque, verificare, in sede giudiziaria,
se l’esonero in esame fosse giustificato dall’assenza
di uno squilibrio termico, in conseguenza del
distacco, pregiudizievole all’erogazione del servizio
oppure dall’assenza di un aggravio di spese
per gli altri condomini e, sul punto, il giudice distrettuale
aveva ritenuto che l’attore non avesse
assolto all’onere della prova su di lui incombente,
in quanto gli accertamenti tecnici espletati nel
corso del giudizio non permettevano una delibazione
favorevole della domanda, essendo rimaste
scoperte delle lacune insanabili, anche in ragione
del tempo trascorso dall’esecuzione dei lavori e
della non perfetta conoscenza delle condizioni
dell’impianto in epoca anteriore alle modifiche
poste in essere dall’attore ab origine, e successivamente
dal condominio allorchè era stata sostituita
la caldaia con mutamento del tipo di alimentazione.
In buona sostanza, veniva rigettava la domanda di esonero dalla contribuzione ai costi di gestione:
per la cassazione di tale decisione, il condomino
soccombente proponeva ricorso sulla base
di due motivi.
Con il primo, si è denunciata la omessa/insufficiente
motivazione sull’affermazione circa la
mancata dimostrazione dell’insussistenza dello
squilibrio termico, deducendo che sarebbe errato
l’assunto secondo cui l’onere della prova di tale
evenienza incombeva sulla parte che pretendeva
l’esonero, occorrendo in ogni caso tenere conto
anche della condotta processuale della controparte
che aveva omesso di mettere a disposizione
la documentazione in merito alle caratteristiche
progettuali dell’impianto centralizzato sia prima
che dopo le modifiche apportate; inoltre, la decisione
risultava contraddittoria nella parte in cui
affermava che gli accertamenti tecnici erano risultati
insufficienti per ritenere che non vi fosse
squilibrio termico, pregiudizio all’erogazione del
servizio o aggravio di spesa, laddove le conclusioni
delle espletate CTU deponevano nel senso che
gli altri condomini, i quali continuavano ad usufruire
dell’impianto comune, non avevano dovuto
potenziare i loro radiatori, e che si era verificato
un ragguardevole decremento sia dei consumi sia
dei costi di esercizio.
Con il secondo motivo, si è denunciata la violazione
dell’art. 26 della legge n. 10/1991, in quanto
la decisione gravata aveva ritenuto insufficienti,
al fine di giustificare l’accoglimento della domanda
attorea, gli accertamenti compiuti in corso di
causa, in presenza di una dichiarazione rilasciata
dal tecnico, il quale aveva curato la realizzazione
dell’impianto autonomo, che attestava il perfetto
funzionamento dell’impianto, dimostrando in tal
modo l’insussistenza dello squilibrio termico.
I due motivi - esaminati congiuntamente in quanto
volti nel complesso a contestare la correttezza
della decisione impugnata, nella parte in cui aveva
denegato il diritto dell’attore all’esonero dalla
contribuzione alle spese di gestione - sono stati
ritenuti infondati dai giudici di Piazza Cavour.
In primo luogo, si è evidenziato che era infondata
la pretesa violazione delle regole dell’onere della
prova, per avere il giudice di merito ritenuto che
l’onere della prova circa l’esistenza delle condizioni
che giustificano l’esonero del condomino
distaccato dalla contribuzione alle spese di gestione
dell’impianto centralizzato, incomba sullo
stesso condominio che l’invoca.
In tal senso, militava la costante giurisprudenza,
ad avviso della quale il condomino è sempre
obbligato a pagare le spese di conservazione
dell’impianto di riscaldamento centrale anche
quando sia stato autorizzato a rinunciare all’uso
del riscaldamento centralizzato ed a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto
comune, oppure abbia offerto la prova
che dal distacco non derivano nè un aggravio di
gestione o uno squilibrio termico, essendo in tal
caso esonerato soltanto dall’obbligo del pagamento
delle spese occorrenti per il suo uso, se il
contrario non risulti dal regolamento condominiale,
sicché è legittima la delibera condominiale che
pone a carico anche dei condomini che si siano
distaccati dall’impianto di riscaldamento le spese
occorrenti per la sostituzione della caldaia, posto
che l’impianto centralizzato costituisce un accessorio
di proprietà comune, al quale i predetti potranno
comunque riallacciare la propria unità immobiliare
(v., tra le altre, Cass., sez. II, 29 marzo
2007, n. 7708, in Immobili & diritto, 2008, fasc.
3, 14, con nota di M. DE TILLA; Cass., sez. II, 30
giugno 2006, n. 15079, in Foro it., Rep. 2006,
voce Comunione e condominio, n. 164; Cass., sez.
II, 25 marzo 2004, n. 5974, in Arch. loc. e cond.,
2004, 568).
Correttamente - ad avviso degli ermellini - era
stata invocata dal giudice di merito la regola di
cui all’art. 2697 c.c., ponendo, quindi, a carico
dell’attore le conseguenze negative derivanti dal
mancato raggiungimento della prova circa la ricorrenza
delle condizioni che legittimano il richiesto
esonero.
Inoltre, dovendosi acclarare quale fosse la condizione
dell’impianto anche prima dell’intervento di
distacco operato dal ricorrente, l’omessa attestazione
di tali circostanze ben poteva risultare imputabile
alla stessa condotta dell’attore, il quale,
proprio nella prospettiva di documentare la sussistenza
delle condizioni per l’esonero, avrebbe
dovuto far precedere il distacco da una relazione
tecnica che fotografasse la situazione precedente
il suo intervento, “onde precostituirsi la prova da
spendere nel presente giudizio”.
Tuttavia, trattasi di affermazioni da prendere cum
grano salis, nel senso che, alla luce del novellato
art. 1138, comma 4, c.c., si rivela problematico
- oltre che verificare in pratica i previsti presupposti
per la legittimità del distacco, anche - individuare
il soggetto deputato a valutarne la sussistenza
e delineare quali siano le corrette modalità
per realizzarlo.
Nella sede pre-contenziosa, ossia nell’àmbito
della vita condominiale, con tutta probabilità,
il condomino che assume volontariamente tale
iniziativa provvederà ad affidare ad un tecnico
specializzato del settore l’incarico di redigere una
perizia in ordine alla fattibilità dell’intervento,
con il rischio, però, che si possano fornire pareri
interessati, espressi da rivenditori di caldaie unifamiliari
o da soggetti improvvisati, unicamente
intenzionati ad eseguire l’opera.
Nulla esclude, però, che il condomino si distacchi
tout court, o dichiari semplicemente non sussistere
squilibri e aggravi di spesa; d’altronde, l’incipit
del capoverso è chiaro nel senso che “il condomino
può rinunciare … in tal caso, il rinunciante
… ”, facendo intendere che sia, invece, il condominio
a provare l’inesistenza delle condizioni che
giustificano l’iniziativa del singolo (d’altronde, in
linea con l’interpretazione giurisprudenziale formatasi
sul disposto dell’art. 1102 c.c.).
Può succedere, per correttezza, che quest’ultimo
faccia partecipe - per il tramite l’amministratore -
gli altri condomini della perizia all’uopo redatta;
è ovvio che i restanti partecipanti non sono tenuti
ad accettare le conclusioni del tecnico di parte
senza possibilità di replica, sicché, una volta ricevuta
la relazione, potranno riunirsi in assemblea
per deliberare se avallare l’iniziativa del singolo o
dare l’incarico ad un tecnico di loro fiducia al fine
di accertare l’effettiva sussistenza dei presupposti
di legge, restando inteso che, qualora le perizie
portassero a conclusioni divergenti, l’unica strada
per risolvere il conflitto è quella giudiziaria.
In quest’ultima sede, sembra ricadere sul condomino
l’onere della prova dei presupposti legittimanti
la sua iniziativa qualora impugni la delibera
che approvi un consuntivo che, nonostante
il distacco, pone a suo carico (anche) le spese di
gestione dell’impianto di riscaldamento centralizzato,
e parimenti se proponga opposizione al decreto
ingiuntivo che gli intima di pagare le relative
spese pro quota, mentre tale onere dovrebbe
ricadere sul condominio (o sui condomini attori)
qualora agiscano per l’accertamento dell’illegittimità
del distacco, dovendo dimostrare che da
quest’ultimo derivino, in concreto, quegli inconvenienti
tecnici/economici contemplati dall’art.
1118, comma 4, c.c., ossia lo squilibrio termico o
l’aggravio di spesa.
Quanto, poi, alle ulteriori doglianze sviluppate
nel ricorso di cui sopra, il Supremo Collegio - oltre
che denunciarne il difetto di autosufficienza - ha
ritenuto che si risolvessero sostanzialmente nella
surrettizia richiesta di procedere ad una rivalutazione
dei fatti di causa, ritenendosi non soddisfacente
la valutazione degli stessi così come
operata dal giudice del merito, cui in esclusiva il
legislatore ha affidato questo compito, escludendo
che lo stesso possa essere compiuto in sede di
legittimità.
Ad ogni buon conto, la sentenza impugnata aveva
dato atto che - sebbene l’appartamento dell’attore
avesse conservato la sua originaria ubicazione
(risultando sempre collocato al di sopra di locali
non riscaldati), ed ancorchè la copertura del tetto
avesse migliorato la precedente situazione di
dispersione termica - l’indagine per risultare favorevole alla tesi del ricorrente avrebbe dovuto accertare
in concreto se l’inevitabile ripercussione
sulla strutturazione dell’impianto, a seguito del
distacco, avesse avuto ricadute pregiudizievoli
sul calore goduto dai restanti condomini (a parità
di periodo di accensione e di costo dei consumi)
e sui tempi di erogazione negli altri appartamenti
di acqua calda a temperatura prefissata.
In tal senso, non era sufficiente accertare che i
termosifoni fossero “abbastanza caldi”, ma occorreva
verificare se, con gli stessi periodi di accensione,
tutti gli altri restanti appartamenti fruissero
della stessa quantità di calore goduta prima del
distacco e dei medesimi tempi di erogazione del
servizio di acqua calda.
In tale prospettiva, si era, invece, evidenziato
che, a seguito del distacco, il radiatore più lontano
dalla caldaia veniva raggiunto da acqua calda,
che aveva ha una temperatura inferiore a quella
che avrebbe dovuto avere, con la conseguenza
che, a quel radiatore, veniva ceduta una quantità
di calore inferiore a quella necessaria per fargli
raggiungere la temperatura interna di progetto.
Inoltre, mentre gli appartamenti intermedi continuavano
a fruire della temperatura di confort, risultava
che la pompa dell’impianto operasse sotto
sforzo, che l’aumento di velocità dell’acqua determinava
una maggiore rumorosità, e soprattutto
che, per la sua particolare collocazione, l’appartamento
dell’attore continuava ad essere interessato
da trasmissione di calore, essendo attraversato
da ben sei montanti dell’impianto centralizzato.
A fronte, poi, di una diminuzione dei consumi per
combustibile, non si era, però, saputo quantificare
in termini percentuali il pregiudizio subìto dai
condomini rimasti allacciati all’impianto centralizzato,
non risultando quindi possibile effettuare
una comparizione tra il risparmio di spesa per i
consumi, il pregiudizio patito dall’appartamento
posto all’ultimo piano - i cui radiatori risultavano
maggiormente distanti dalla caldaia e che
usufruivano, quindi, di una minore temperatura
dell’acqua calda - ed il vantaggio dell’immobile
dell’attore che riceveva tuttora calore dall’impianto
comune.
Quanto, infine, alla pretesa violazione dell’art. 26
della legge n. 10/1991, giustamente il massimo
consesso decidente ha sottolineato che l’attestazione
resa sul punto concerneva “unicamente la
conformità dell’impianto alle specifiche tecniche
imposte dalla menzionata legge ed il suo perfetto
funzionamento”, ma non poteva in alcun modo
avere valenza probatoria, e per lo più privilegiata
- come sperato dal ricorrente - in ordine al diverso
profilo, investito dalla causa, concernente la
legittimità della pretesa del condomino distaccatosi
ad essere esonerato dalla contribuzione alle spese di gestione dell’impianto centralizzato.
Ne deriva che anche il principio di diritto che si
assumeva essere stato violato dalla sentenza gravata,
in base al quale sussisterebbe il diritto all’esonero
dalle spese di gestione per il condominio
che si è munito di impianto autonomo, ove vi sia
attestazione rilasciata da tecnico specializzato ai
sensi della legge n. 10/1991, era meramente apparente,
essendo fondato sulla fallace convinzione
che l’attestazione de qua risulterebbe idonea
anche a documentare l’inesistenza dello squilibrio
termico, essendo invece “destinata unicamente
ad attestare la conformità dell’impianto autonomo
alla vigente disciplina in materia di risparmio
energetico, ma senza interessare anche il diverso
profilo delle sorti dell’impianto centralizzato”.
Di ben altro spessore si presenta Cass., sez. VI/
II, 3 novembre 2016, n. 22285, la quale ha deciso
una controversia che prendeva origine da un’impugnativa
di una delibera condominiale, con la
quale l’assemblea aveva deciso di “non concedere
il distacco dall’impianto di riscaldamento
centralizzato” ad un condomino, in quanto aveva
danneggiato le altre unità immobiliari sia sul
lato economico, sia sul piano del rendimento del
riscaldamento.
Il Giudice di Pace adìto - si ignora come avesse ritenuto
la propria competenza a decidere … - aveva
accolto l’impugnazione, dichiarando la nullità
della delibera sul punto relativo al distacco del riscaldamento,
e pertanto il diritto dell’impugnante
ad eseguire il richiesto distacco.
Il Tribunale, andando invece di contrario avviso
rispetto al primo giudice, aveva accolto l’appello
e, in riforma la sentenza impugnata, aveva rigettato
l’impugnazione, rilevando che il condomino
non avesse dimostrato la sussistenza dei requisiti
necessari per operare il distacco del proprio
appartamento dal riscaldamento condominiale,
e cioè che per il distacco dal proprio immobile
dall’impianto di riscaldamento condominiale non
fossero derivati notevoli squilibri di funzionamento
od aggravi di spesa per gli altri condomini, non
avendo il medesimo condomino prodotto alcuna
relazione termotecnica.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta
da quest’ultimo con ricorso affidato ad un motivo,
con cui si è lamentato l’omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto
di discussione tra le parti, ex art. 360, n. 5),
c.p.c. (nuovo testo ex legge n. 134/2012).
In particolare, il ricorrente ha sostenuto che il
Tribunale, nel ritenere che egli non avrebbe dato
la prova della sussistenza dei requisiti necessari
per il distacco de quo - ossia che il distacco non
arrecasse squilibri di funzionamento dell’impianto
condominiale e che non determinasse aggravi di spesa a carico degli altri condomini - non avrebbe
considerato che la prova era nello stesso comportamento
del condominio, in quanto era stato
acquisito al giudizio che l’avvenuto distacco
dall’impianto centralizzato era stato effettuato
dal precedente proprietario ed era circostanza
nota da anni all’amministratore ed ai condomini;
inoltre, in tutto il tempo in cui l’appartamento
dell’originario attore era risultato distaccato, né
l’impianto di riscaldamento presentava squilibri
di funzionamento, né si erano verificati aggravi
di spesa per i rimanenti condomini.
Il suddetto motivo è stato ritenuto infondato dal
Supremo Collegio.
Sul punto, si è premesso che “la questione relativa
al distacco di un condominio (rectius, condomino)
dall’impianto centralizzato condominiale
trova la sua immediata disciplina nella normativa
di cui all’art. 1118 c.c. come modificata dalla legge
n. 220/2012, in vigore dal 18 giugno 2013
(riforma del condominio)”, la quale ha, espressamente,
ammesso la possibilità del singolo condomino
di distaccarsi dall’impianto centralizzato
di riscaldamento, ma a condizione che dimostri
che dal distacco non derivino notevoli squilibri
di funzionamento dell’impianto o aggravi di spesa
per gli altri condomini.
Premessa, quest’ultima, abbastanza discutibile,
perché - come risulta dalla stessa sentenza - la
delibera impugnata era stata adottata nel 2010, e
quindi in epoca anteriore all’entrata in vigore della
suddetta riforma della normativa condominiale,
sembrando più corretto scrutinare la legittimità
della condotta del condomino “distaccante” alla
luce della normativa vigente al momento della realizzazione
dell’iniziativa e non al momento della
decisione del magistrato.
Si consideri, ad esempio, che, secondo la novella
del 2013, il suddetto condomino non sembra più
tenuto a corrispondere quel contributo in percentuale,
concordato tra le parti o stabilito dal
magistrato, che - ad avviso della pregressa giurisprudenza
- doveva essere imposto a compensazione
dei possibili aumenti di spesa per gli altri
partecipanti (tenendo conto, altresì, che i condomini
adiacenti all’appartamento distaccatosi
potrebbero subire un calo della resa termica nella
loro unità immobiliare o, comunque, “faticare” di
più a scaldarsi).
Prosegue la Corte che, pertanto, il condomino che
intende distaccarsi deve “fornire la prova che dal
suo distacco non derivino notevoli squilibri all’impianto
di riscaldamento o aggravi di spesa per gli
altri condomini”, e la preventiva informazione
deve necessariamente essere corredata dalla documentazione
tecnica attraverso la quale egli possa
dare prova dell’assenza di “notevoli squilibri” e di “assenza di aggravi” per i condomini che continueranno
a servirsi dell’impianto condominiale.
In disparte che si utilizzano requisiti contemplati
dalla nuova normativa, che non dovrebbero valere
ex tunc - ci si riferisce soprattutto all’aggettivo
“notevoli”, che tanto affanna l’interprete, non essendo
chiaro se debba riferirsi ai soli squilibri termici
o agganciarsi anche agli “aggravi di spesa” -
non è certo che il condomino, il quale ha assunto
l’iniziativa, debba anche sobbarcarsi dell’onere di
una attestazione asseverata che dimostri la legittimità
del suo operato (v. supra).
Di certo, un onere di comunicazione sussiste in
capo al condomino, perché, distaccandosi, lo
stesso, oltre che una maggiore comodità nella
gestione del suo servizio di riscaldamento, vuole
risparmiare i costi di gestione - fermi i suoi
obblighi di contribuzione per la conservazione
dell’impianto comune (unitamente a quelli per la
manutenzione straordinaria e messa a norma) - e
solo notiziando l’amministratore può realizzare il
suo intento volto a non far inserire nel relativo
bilancio la sua quota.
D’altronde, un onere di “preventiva notizia” (ma
solo quella) all’amministratore potrebbe attualmente
evincersi dal disposto del novellato art.
1122 c.c., che contempla tale incombente per
tutte quelle opere realizzate nell’appartamento
di proprietà esclusiva, ed anche se non rechino
danno alle parti comuni o non pregiudichino la stabilità/sicurezza/estetica dell’edificio.
Chiosa la Corte che il suddetto onere della prova
in capo al condomino, che intenda esercitare la
facoltà del distacco “viene meno soltanto nel caso
in cui l’assemblea condominiale abbia effettivamente
autorizzato il distacco dall’impianto comune
sulla base di una propria autonoma valutazione
della sussistenza dei presupposti”, con l’ulteriore
specificazione che colui che intende distaccarsi
dovrà, in presenza di squilibri nell’impianto condominiale
e/o aggravi per i restanti condòmini,
rinunciare dal porre in essere il distacco perché
diversamente potrà essere chiamato al ripristino
dello status quo ante, né l’interessato, ai sensi
dell’art. 1118 cod. civ., potrà effettuare il distacco
e ritenere di essere tenuto semplicemente a
concorrere al pagamento delle sole spese per la
manutenzione straordinaria dell’impianto e per la
sua conservazione e messa a norma, “poiché tale
possibilità è prevista solo per quei soggetti che
abbiano potuto distaccarsi, per aver provato che
dal loro distacco non derivano notevoli squilibri
di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri
condomini”.
Affermazioni, queste ultime, tutto sommato ultronee
o, quantomeno, scontate, laddove, invece,
il ritenere che la delibera assembleare possa avallare
un’iniziativa, per ipotesi, illecita del condomino
distaccante potrebbe portare ad un’indebita
compressione dei diritti della minoranza.
di Alberto Celeste
Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione
sullo stesso argomento:
- Il regolamento condominiale può vietare la rinuncia all'uso del riscaldamento centralizzato
- IMPIANTO CENTRALIZZATO: se il CTU esclude squilibri termici cosa spetta al proprietario?
- DISTACCO DAL RISCALDAMENTO CENTRALIZZATO
- Quando il condomino distaccato continua a pagare le spese del carburante?
- IMPIANTO CENTRALIZZATO: Il condomino 'distaccante'
- Contabilizzazione: Le due alternative (NOVITA' norma uni 10200)
- D.L. 102/2014 - Precisazioni in merito al proliferare di situazioni incerte e forti confusioni
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE I)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE II)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE III)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE IV)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE V)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE VI)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE VII)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE VIII)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE IX)
- Tutto sul Risparmio energetico: Uni 10200, D.lgs 102/2014, contabilizzazioni, riparti...
- DECRETO LEGISLATIVO 4 luglio 2014, n. 102 - 102/2014 Stralcio
- GLI IMPIANTI TERMICI, PROFILI TECNICI tutto sulla Norma UNI 10200
- Contabilizzazione-Obbligo di modificare il criterio di ripartizione della spesa?
- Il contratto di rendimento energetico (EPC)
- TERMOREGOLAZIONE: gli obblighi
- Diagnosi energetica questa sconosciuta
- EC710 / UNI 10200: Novità della norma UNI 10200
- EC710 / UNI 10200: Prescrizioni legislative in merito alla contabilizzazione del calore
- Testo unico in materia edilizia: Normativa tecnica per l'edilizia - Capo VI: Norme per il contenimento del consumo di energia negli edifici
Nessun commento:
Posta un commento
Commenti, critiche e correzioni sono ben accette e incoraggiate, purché espresse in modo civile. Scrivi pure i tuoi dubbi, le tue domande o se hai richieste: il team dei nostri esperti ti risponderà il prima possibile.