mercoledì 12 aprile 2017

IMPIANTO CENTRALIZZATO: Il condomino 'distaccante'

Deve pagare (anche) le spese relative ai consumi del carburante per l’impianto di riscaldamento centralizzato?

Forse solo dopo gli animali domestici - che il regolamento non può vietare di detenere in casa, ex art. 1138, comma 5, c.c. - quello sul distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato è stato l’argomento che, prima e dopo la riforma della normativa condominiale, ha maggiormente interessato l’opinione pubblica, con vasta risonanza sui mass media.
Invero, entrata in vigore la legge n. 220/2012, si è registrata una certa “euforia” tra i condomini, nel senso della liberalizzazione incondizionata di tale iniziativa, che, invece, la nuova disciplina, riportando tralaticiamente i “paletti” imposti dalla precedente giurisprudenza di legittimità - sia pure con una tecnica legislativa che lascia alquanto a desiderare - àncora a precisi e puntuali presupposti (di natura sia tecnica che economica).
Sulla tematica de qua, sono intervenute due recenti sentenze del Supremo Collegio, quasi coeve, nell’autunno 2016, che, ovviamente, non possono riguardare distacchi realizzati dopo il 18 giugno 2013 - dopo tre anni, si arriva a stento alla conclusione di un giudizio di primo grado, figurarsi quello di appello o di cassazione! - ma appaiono interessanti per i principi ivi affermati, anche in chiave “evolutiva” (pur se non condivisibili in toto, segnatamente sul versante della regola di giudizio dell’onere della prova).
La causa decisa da Cass., sez. II, 22 novembre 2016, n. 23756, prendeva le mosse dalla domanda di un condomino, il quale assumeva di aver provveduto, previa comunicazione all’amministratore e previo consenso verbale di quest’ultimo, al distacco del suo appartamento dall’impianto di riscaldamento centralizzato, e che, ciò malgrado, il condominio pretendeva il pagamento dell’intera quota condominiale, comprensiva anche dei consumi di carburante.
L’attore chiedeva, pertanto, l’accertamento del suo diritto ad utilizzare l’impianto autonomo realizzato a servizio del suo appartamento, a seguito del distacco di cui sopra, con conseguente esonero dalla contribuzione alle suddette spese di consumo.
Il Tribunale aveva dichiarato (inspiegabilmente) inammissibile la domanda relativa all’accertamento del diritto al distacco, e, a seguito dell’appello del condomino, la Corte territoriale aveva confermato sostanzialmente tale statuizione, osservando però che era erronea la declaratoria di inammissibilità del giudice di prime cure in quanto fondata sul convincimento della necessità di una previa deliberazione assembleare.
Veniva, quindi, ribadito il principio per il quale il condomino può legittimamente rinunciare all’uso dell’impianto di riscaldamento centralizzato e distaccare la diramazioni della sua unità immobiliare, anche senza necessità di autorizzazione assembleare, fermo il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto; tuttavia, ai fini di ottenere l’esonero anche dal pagamento delle spese di gestione - come richiesto dall’attore - era necessario provare altresì che il distacco non si risolvesse in una diminuzione degli oneri del servizio.
Nella fattispecie, la prova testimoniale espletata permetteva di affermare che la consapevolezza dell’amministratore dell’epoca circa l’esecuzione dei lavori di distacco, se poteva far ritenere l’insussistenza di una “volontà antagonista” a quella di distacco dell’istante, non poteva però dimostrare anche che vi fosse stata un’accettazione, vincolante per gli altri condomini, della richiesta di esonero dalla contribuzione alle spese di gestione dell’impianto centralizzato.
Occorreva, dunque, verificare, in sede giudiziaria, se l’esonero in esame fosse giustificato dall’assenza di uno squilibrio termico, in conseguenza del distacco, pregiudizievole all’erogazione del servizio oppure dall’assenza di un aggravio di spese per gli altri condomini e, sul punto, il giudice distrettuale aveva ritenuto che l’attore non avesse assolto all’onere della prova su di lui incombente, in quanto gli accertamenti tecnici espletati nel corso del giudizio non permettevano una delibazione favorevole della domanda, essendo rimaste scoperte delle lacune insanabili, anche in ragione del tempo trascorso dall’esecuzione dei lavori e della non perfetta conoscenza delle condizioni dell’impianto in epoca anteriore alle modifiche poste in essere dall’attore ab origine, e successivamente dal condominio allorchè era stata sostituita la caldaia con mutamento del tipo di alimentazione.
In buona sostanza, veniva rigettava la domanda di esonero dalla contribuzione ai costi di gestione: per la cassazione di tale decisione, il condomino soccombente proponeva ricorso sulla base di due motivi.
Con il primo, si è denunciata la omessa/insufficiente motivazione sull’affermazione circa la mancata dimostrazione dell’insussistenza dello squilibrio termico, deducendo che sarebbe errato l’assunto secondo cui l’onere della prova di tale evenienza incombeva sulla parte che pretendeva l’esonero, occorrendo in ogni caso tenere conto anche della condotta processuale della controparte che aveva omesso di mettere a disposizione la documentazione in merito alle caratteristiche progettuali dell’impianto centralizzato sia prima che dopo le modifiche apportate; inoltre, la decisione risultava contraddittoria nella parte in cui affermava che gli accertamenti tecnici erano risultati insufficienti per ritenere che non vi fosse squilibrio termico, pregiudizio all’erogazione del servizio o aggravio di spesa, laddove le conclusioni delle espletate CTU deponevano nel senso che gli altri condomini, i quali continuavano ad usufruire dell’impianto comune, non avevano dovuto potenziare i loro radiatori, e che si era verificato un ragguardevole decremento sia dei consumi sia dei costi di esercizio.
Con il secondo motivo, si è denunciata la violazione dell’art. 26 della legge n. 10/1991, in quanto la decisione gravata aveva ritenuto insufficienti, al fine di giustificare l’accoglimento della domanda attorea, gli accertamenti compiuti in corso di causa, in presenza di una dichiarazione rilasciata dal tecnico, il quale aveva curato la realizzazione dell’impianto autonomo, che attestava il perfetto funzionamento dell’impianto, dimostrando in tal modo l’insussistenza dello squilibrio termico.
I due motivi - esaminati congiuntamente in quanto volti nel complesso a contestare la correttezza della decisione impugnata, nella parte in cui aveva denegato il diritto dell’attore all’esonero dalla contribuzione alle spese di gestione - sono stati ritenuti infondati dai giudici di Piazza Cavour.
In primo luogo, si è evidenziato che era infondata la pretesa violazione delle regole dell’onere della prova, per avere il giudice di merito ritenuto che l’onere della prova circa l’esistenza delle condizioni che giustificano l’esonero del condomino distaccato dalla contribuzione alle spese di gestione dell’impianto centralizzato, incomba sullo stesso condominio che l’invoca.
In tal senso, militava la costante giurisprudenza, ad avviso della quale il condomino è sempre obbligato a pagare le spese di conservazione dell’impianto di riscaldamento centrale anche quando sia stato autorizzato a rinunciare all’uso del riscaldamento centralizzato ed a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto comune, oppure abbia offerto la prova che dal distacco non derivano nè un aggravio di gestione o uno squilibrio termico, essendo in tal caso esonerato soltanto dall’obbligo del pagamento delle spese occorrenti per il suo uso, se il contrario non risulti dal regolamento condominiale, sicché è legittima la delibera condominiale che pone a carico anche dei condomini che si siano distaccati dall’impianto di riscaldamento le spese occorrenti per la sostituzione della caldaia, posto che l’impianto centralizzato costituisce un accessorio di proprietà comune, al quale i predetti potranno comunque riallacciare la propria unità immobiliare (v., tra le altre, Cass., sez. II, 29 marzo 2007, n. 7708, in Immobili & diritto, 2008, fasc. 3, 14, con nota di M. DE TILLA; Cass., sez. II, 30 giugno 2006, n. 15079, in Foro it., Rep. 2006, voce Comunione e condominio, n. 164; Cass., sez. II, 25 marzo 2004, n. 5974, in Arch. loc. e cond., 2004, 568).
Correttamente - ad avviso degli ermellini - era stata invocata dal giudice di merito la regola di cui all’art. 2697 c.c., ponendo, quindi, a carico dell’attore le conseguenze negative derivanti dal mancato raggiungimento della prova circa la ricorrenza delle condizioni che legittimano il richiesto esonero.
Inoltre, dovendosi acclarare quale fosse la condizione dell’impianto anche prima dell’intervento di distacco operato dal ricorrente, l’omessa attestazione di tali circostanze ben poteva risultare imputabile alla stessa condotta dell’attore, il quale, proprio nella prospettiva di documentare la sussistenza delle condizioni per l’esonero, avrebbe dovuto far precedere il distacco da una relazione tecnica che fotografasse la situazione precedente il suo intervento, “onde precostituirsi la prova da spendere nel presente giudizio”.
Tuttavia, trattasi di affermazioni da prendere cum grano salis, nel senso che, alla luce del novellato art. 1138, comma 4, c.c., si rivela problematico - oltre che verificare in pratica i previsti presupposti per la legittimità del distacco, anche - individuare il soggetto deputato a valutarne la sussistenza e delineare quali siano le corrette modalità per realizzarlo.
Nella sede pre-contenziosa, ossia nell’àmbito della vita condominiale, con tutta probabilità, il condomino che assume volontariamente tale iniziativa provvederà ad affidare ad un tecnico specializzato del settore l’incarico di redigere una perizia in ordine alla fattibilità dell’intervento, con il rischio, però, che si possano fornire pareri interessati, espressi da rivenditori di caldaie unifamiliari o da soggetti improvvisati, unicamente intenzionati ad eseguire l’opera.
Nulla esclude, però, che il condomino si distacchi tout court, o dichiari semplicemente non sussistere squilibri e aggravi di spesa; d’altronde, l’incipit del capoverso è chiaro nel senso che “il condomino può rinunciare … in tal caso, il rinunciante … ”, facendo intendere che sia, invece, il condominio a provare l’inesistenza delle condizioni che giustificano l’iniziativa del singolo (d’altronde, in linea con l’interpretazione giurisprudenziale formatasi sul disposto dell’art. 1102 c.c.).
Può succedere, per correttezza, che quest’ultimo faccia partecipe - per il tramite l’amministratore - gli altri condomini della perizia all’uopo redatta; è ovvio che i restanti partecipanti non sono tenuti ad accettare le conclusioni del tecnico di parte senza possibilità di replica, sicché, una volta ricevuta la relazione, potranno riunirsi in assemblea per deliberare se avallare l’iniziativa del singolo o dare l’incarico ad un tecnico di loro fiducia al fine di accertare l’effettiva sussistenza dei presupposti di legge, restando inteso che, qualora le perizie portassero a conclusioni divergenti, l’unica strada per risolvere il conflitto è quella giudiziaria.
In quest’ultima sede, sembra ricadere sul condomino l’onere della prova dei presupposti legittimanti la sua iniziativa qualora impugni la delibera che approvi un consuntivo che, nonostante il distacco, pone a suo carico (anche) le spese di gestione dell’impianto di riscaldamento centralizzato, e parimenti se proponga opposizione al decreto ingiuntivo che gli intima di pagare le relative spese pro quota, mentre tale onere dovrebbe ricadere sul condominio (o sui condomini attori) qualora agiscano per l’accertamento dell’illegittimità del distacco, dovendo dimostrare che da quest’ultimo derivino, in concreto, quegli inconvenienti tecnici/economici contemplati dall’art. 1118, comma 4, c.c., ossia lo squilibrio termico o l’aggravio di spesa.
Quanto, poi, alle ulteriori doglianze sviluppate nel ricorso di cui sopra, il Supremo Collegio - oltre che denunciarne il difetto di autosufficienza - ha ritenuto che si risolvessero sostanzialmente nella surrettizia richiesta di procedere ad una rivalutazione dei fatti di causa, ritenendosi non soddisfacente la valutazione degli stessi così come operata dal giudice del merito, cui in esclusiva il legislatore ha affidato questo compito, escludendo che lo stesso possa essere compiuto in sede di legittimità.
Ad ogni buon conto, la sentenza impugnata aveva dato atto che - sebbene l’appartamento dell’attore avesse conservato la sua originaria ubicazione (risultando sempre collocato al di sopra di locali non riscaldati), ed ancorchè la copertura del tetto avesse migliorato la precedente situazione di dispersione termica - l’indagine per risultare favorevole alla tesi del ricorrente avrebbe dovuto accertare in concreto se l’inevitabile ripercussione sulla strutturazione dell’impianto, a seguito del distacco, avesse avuto ricadute pregiudizievoli sul calore goduto dai restanti condomini (a parità di periodo di accensione e di costo dei consumi) e sui tempi di erogazione negli altri appartamenti di acqua calda a temperatura prefissata.
In tal senso, non era sufficiente accertare che i termosifoni fossero “abbastanza caldi”, ma occorreva verificare se, con gli stessi periodi di accensione, tutti gli altri restanti appartamenti fruissero della stessa quantità di calore goduta prima del distacco e dei medesimi tempi di erogazione del servizio di acqua calda.
In tale prospettiva, si era, invece, evidenziato che, a seguito del distacco, il radiatore più lontano dalla caldaia veniva raggiunto da acqua calda, che aveva ha una temperatura inferiore a quella che avrebbe dovuto avere, con la conseguenza che, a quel radiatore, veniva ceduta una quantità di calore inferiore a quella necessaria per fargli raggiungere la temperatura interna di progetto.
Inoltre, mentre gli appartamenti intermedi continuavano a fruire della temperatura di confort, risultava che la pompa dell’impianto operasse sotto sforzo, che l’aumento di velocità dell’acqua determinava una maggiore rumorosità, e soprattutto che, per la sua particolare collocazione, l’appartamento dell’attore continuava ad essere interessato da trasmissione di calore, essendo attraversato da ben sei montanti dell’impianto centralizzato.
A fronte, poi, di una diminuzione dei consumi per combustibile, non si era, però, saputo quantificare in termini percentuali il pregiudizio subìto dai condomini rimasti allacciati all’impianto centralizzato, non risultando quindi possibile effettuare una comparizione tra il risparmio di spesa per i consumi, il pregiudizio patito dall’appartamento posto all’ultimo piano - i cui radiatori risultavano maggiormente distanti dalla caldaia e che usufruivano, quindi, di una minore temperatura dell’acqua calda - ed il vantaggio dell’immobile dell’attore che riceveva tuttora calore dall’impianto comune.
Quanto, infine, alla pretesa violazione dell’art. 26 della legge n. 10/1991, giustamente il massimo consesso decidente ha sottolineato che l’attestazione resa sul punto concerneva “unicamente la conformità dell’impianto alle specifiche tecniche imposte dalla menzionata legge ed il suo perfetto funzionamento”, ma non poteva in alcun modo avere valenza probatoria, e per lo più privilegiata - come sperato dal ricorrente - in ordine al diverso profilo, investito dalla causa, concernente la legittimità della pretesa del condomino distaccatosi ad essere esonerato dalla contribuzione alle spese di gestione dell’impianto centralizzato.
Ne deriva che anche il principio di diritto che si assumeva essere stato violato dalla sentenza gravata, in base al quale sussisterebbe il diritto all’esonero dalle spese di gestione per il condominio che si è munito di impianto autonomo, ove vi sia attestazione rilasciata da tecnico specializzato ai sensi della legge n. 10/1991, era meramente apparente, essendo fondato sulla fallace convinzione che l’attestazione de qua risulterebbe idonea anche a documentare l’inesistenza dello squilibrio termico, essendo invece “destinata unicamente ad attestare la conformità dell’impianto autonomo alla vigente disciplina in materia di risparmio energetico, ma senza interessare anche il diverso profilo delle sorti dell’impianto centralizzato”.
Di ben altro spessore si presenta Cass., sez. VI/ II, 3 novembre 2016, n. 22285, la quale ha deciso una controversia che prendeva origine da un’impugnativa di una delibera condominiale, con la quale l’assemblea aveva deciso di “non concedere il distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato” ad un condomino, in quanto aveva danneggiato le altre unità immobiliari sia sul lato economico, sia sul piano del rendimento del riscaldamento.
Il Giudice di Pace adìto - si ignora come avesse ritenuto la propria competenza a decidere … - aveva accolto l’impugnazione, dichiarando la nullità della delibera sul punto relativo al distacco del riscaldamento, e pertanto il diritto dell’impugnante ad eseguire il richiesto distacco.
Il Tribunale, andando invece di contrario avviso rispetto al primo giudice, aveva accolto l’appello e, in riforma la sentenza impugnata, aveva rigettato l’impugnazione, rilevando che il condomino non avesse dimostrato la sussistenza dei requisiti necessari per operare il distacco del proprio appartamento dal riscaldamento condominiale, e cioè che per il distacco dal proprio immobile dall’impianto di riscaldamento condominiale non fossero derivati notevoli squilibri di funzionamento od aggravi di spesa per gli altri condomini, non avendo il medesimo condomino prodotto alcuna relazione termotecnica.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da quest’ultimo con ricorso affidato ad un motivo, con cui si è lamentato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, n. 5), c.p.c. (nuovo testo ex legge n. 134/2012).
In particolare, il ricorrente ha sostenuto che il Tribunale, nel ritenere che egli non avrebbe dato la prova della sussistenza dei requisiti necessari per il distacco de quo - ossia che il distacco non arrecasse squilibri di funzionamento dell’impianto condominiale e che non determinasse aggravi di spesa a carico degli altri condomini - non avrebbe considerato che la prova era nello stesso comportamento del condominio, in quanto era stato acquisito al giudizio che l’avvenuto distacco dall’impianto centralizzato era stato effettuato dal precedente proprietario ed era circostanza nota da anni all’amministratore ed ai condomini; inoltre, in tutto il tempo in cui l’appartamento dell’originario attore era risultato distaccato, né l’impianto di riscaldamento presentava squilibri di funzionamento, né si erano verificati aggravi di spesa per i rimanenti condomini.
Il suddetto motivo è stato ritenuto infondato dal Supremo Collegio.
Sul punto, si è premesso che “la questione relativa al distacco di un condominio (rectius, condomino) dall’impianto centralizzato condominiale trova la sua immediata disciplina nella normativa di cui all’art. 1118 c.c. come modificata dalla legge n. 220/2012, in vigore dal 18 giugno 2013 (riforma del condominio)”, la quale ha, espressamente, ammesso la possibilità del singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento, ma a condizione che dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto o aggravi di spesa per gli altri condomini.
Premessa, quest’ultima, abbastanza discutibile, perché - come risulta dalla stessa sentenza - la delibera impugnata era stata adottata nel 2010, e quindi in epoca anteriore all’entrata in vigore della suddetta riforma della normativa condominiale, sembrando più corretto scrutinare la legittimità della condotta del condomino “distaccante” alla luce della normativa vigente al momento della realizzazione dell’iniziativa e non al momento della decisione del magistrato.
Si consideri, ad esempio, che, secondo la novella del 2013, il suddetto condomino non sembra più tenuto a corrispondere quel contributo in percentuale, concordato tra le parti o stabilito dal magistrato, che - ad avviso della pregressa giurisprudenza - doveva essere imposto a compensazione dei possibili aumenti di spesa per gli altri partecipanti (tenendo conto, altresì, che i condomini adiacenti all’appartamento distaccatosi potrebbero subire un calo della resa termica nella loro unità immobiliare o, comunque, “faticare” di più a scaldarsi).
Prosegue la Corte che, pertanto, il condomino che intende distaccarsi deve “fornire la prova che dal suo distacco non derivino notevoli squilibri all’impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”, e la preventiva informazione deve necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dare prova dell’assenza di “notevoli squilibri” e di “assenza di aggravi” per i condomini che continueranno a servirsi dell’impianto condominiale.
In disparte che si utilizzano requisiti contemplati dalla nuova normativa, che non dovrebbero valere ex tunc - ci si riferisce soprattutto all’aggettivo “notevoli”, che tanto affanna l’interprete, non essendo chiaro se debba riferirsi ai soli squilibri termici o agganciarsi anche agli “aggravi di spesa” - non è certo che il condomino, il quale ha assunto l’iniziativa, debba anche sobbarcarsi dell’onere di una attestazione asseverata che dimostri la legittimità del suo operato (v. supra).
Di certo, un onere di comunicazione sussiste in capo al condomino, perché, distaccandosi, lo stesso, oltre che una maggiore comodità nella gestione del suo servizio di riscaldamento, vuole risparmiare i costi di gestione - fermi i suoi obblighi di contribuzione per la conservazione dell’impianto comune (unitamente a quelli per la manutenzione straordinaria e messa a norma) - e solo notiziando l’amministratore può realizzare il suo intento volto a non far inserire nel relativo bilancio la sua quota.
D’altronde, un onere di “preventiva notizia” (ma solo quella) all’amministratore potrebbe attualmente evincersi dal disposto del novellato art. 1122 c.c., che contempla tale incombente per tutte quelle opere realizzate nell’appartamento di proprietà esclusiva, ed anche se non rechino danno alle parti comuni o non pregiudichino la stabilità/sicurezza/estetica dell’edificio.
Chiosa la Corte che il suddetto onere della prova in capo al condomino, che intenda esercitare la facoltà del distacco “viene meno soltanto nel caso in cui l’assemblea condominiale abbia effettivamente autorizzato il distacco dall’impianto comune sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza dei presupposti”, con l’ulteriore specificazione che colui che intende distaccarsi dovrà, in presenza di squilibri nell’impianto condominiale e/o aggravi per i restanti condòmini, rinunciare dal porre in essere il distacco perché diversamente potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante, né l’interessato, ai sensi dell’art. 1118 cod. civ., potrà effettuare il distacco e ritenere di essere tenuto semplicemente a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma, “poiché tale possibilità è prevista solo per quei soggetti che abbiano potuto distaccarsi, per aver provato che dal loro distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”.
Affermazioni, queste ultime, tutto sommato ultronee o, quantomeno, scontate, laddove, invece, il ritenere che la delibera assembleare possa avallare un’iniziativa, per ipotesi, illecita del condomino distaccante potrebbe portare ad un’indebita compressione dei diritti della minoranza.

di Alberto Celeste
Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione

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