Si impone la “riscoperta” di un approccio all’architettura che, facendo salvi i presupposti della imprescindibile ricerca estetica, associ ed integri nell’approccio al progetto tutto il complesso di conoscenze scientifiche maturate in campo energetico, ambientale, gestionale, manutentivo, ecc. denominate “tecnologia dell’architettura”.
Dai primordi fino allo sviluppo dell’impiantistica moderna (che inizia con l’affermazione del sistema di riscaldamento centralizzato), che possiamo datare per i paesi più sviluppati intorno alla fine del XIX secolo, l’uomo ha realizzato delle abitazioni la cui architettura esprimeva una forte capacità di controllo dei fattori climatici esterni.
Durante questa lunga fase, obiettivo della costruzione
è stato prioritariamente quello di affrontare
i problemi posti dal clima.
L’architettura montana di tutto l’arco alpino può
costituire un esempio estremamente rappresentativo
di queste circostanze assiomatiche. In realtà
i riferimenti possibili sarebbero molteplici: dalla
capanna tropicale all’abitazione tipica mediorientale,
per arrivare alla casa del grande nord europeo,
ecc.
Il riferimento all’architettura montana è però più
vicino alla sensibilità dell’autore e con la sua
struttura ben definita e costante nel tempo si
impone alla nostra attenzione come un esempio
straordinario di architettura bioclimatica.
Gli edifici dell’architettura montana sono frequentemente
caratterizzati nella parte bassa da murature
portanti di pietra che pareggiano la pendenza
del terreno e nella parte superiore da una struttura
di legno. Le falde inclinate presentano ampie
sporgenze su tutti e quattro i lati dell’edificio che
ha sistematicamente la parte anteriore (l’ingresso)
esposta a sud con una balconata realizzata
con struttura lignea.
La copertura del tetto è generalmente realizzata
in lastre di pietra, mentre il camino, anch’esso
realizzato in pietrame, il vero e proprio cuore della casa, è collocato nella parte centrale dell’edificio
che si articola in un ambiente cucina-soggiorno
che costituisce lo spazio comune più vissuto
dell’abitazione. Il riparo della parete nord è assicurato
dalla sua limitata altezza determinata
dalla pendenza del terreno e dall’estensione della
falda del tetto, mentre sul fronte sud, sotto la
balconata lignea e addossata alla parete, è accatastata
in bell’ordine la legna da ardere che offre
in tal modo un ulteriore schermo funzionale all’isolamento
termico dell’edificio.
La falda del tetto ha una moderata inclinazione
per una precisa scelta energetica, infatti, un
eventuale strato di neve che si potrà depositare
senza scivolare durante la stagione invernale
offrirà un ottimo isolamento termico aggiuntivo
rispetto alla copertura realizzata in pietrame.
Un manto di neve dello spessore di circa 50 cm
è in grado di ridurre il coefficiente di dispersione
termica di un normale tetto ligneo di circa il 50%.
In questo modello, che risulta una costante costruttiva
e distributiva dell’architettura montana
di tutto l’arco alpino, è facile riconoscere le ragioni
della razionalità energetica: massimo recupero
delle fonti di energia e grande attenzione al tema
dell’isolamento termico, esposizione ottimale e
volume dell’edificio estremamente compatto.
Guardare e studiare le architetture del passato e
le soluzioni in esse collaudate per centinaia di
anni costituisce una fonte di riflessione molto importante per affrontare le sfide del presente
con una maggiore attenzione alle problematiche
energetiche ed ambientali oggi emergenti e per
evitare impostazioni e concezioni che provochino
gravi disfunzioni e problemi nei nostri edifici.
Valutare i problemi e le principali prestazioni dei
nostri edifici è quindi il primo passo per modificare
ed innovare i modelli di riferimento progettuali
del nostro tempo, uscendo da stilemi ripetitivi
ancorché diffusi a livello internazionale, che non
appaiono in grado di offrire risposta alle sempre
più pressanti domande, non solo in tema ambientale,
ma anche di ottimizzazione economica degli
investimenti immobiliari.
Con lo sviluppo della moderna impiantistica, si assiste
ad una sorta di separazione tra architettura
e compiti ed obiettivi bioclimatici, questi ultimi
diventano terreno pressoché esclusivo dei sistemi
impiantistici cui è assegnato il compito di garantire
un adeguato ed ottimale comfort termico.
L’architettura nel passaggio tra la fine dell’‘800 e gli
inizi del nuovo secolo abbandona i suoi tradizionali
ed anzi millenari obiettivi e strategie bioclimatiche
in funzione di nuove idee e orizzonti culturali.
“La rivoluzione industriale ha modificato radicalmente
le tecniche costruttive, adeguando i materiali
tradizionali a tecniche di lavorazione e di
esecuzione più agevoli e proponendo nuovi materiali,
di maggiore resistenza e più aderenti ai
comportamenti statici già bene individuati dalla
teoria delle costruzioni. [...] stranamente, però,
la critica architettonica anche se ha analizzato
questa situazione da tutta una serie di angolazioni
per poterne cogliere i modi e le cause delle
successive trasformazioni, ha sempre omesso di
considerare un aspetto che invece a ragione può
essere ritenuto fondamentale per la trasformazione
in senso moderno della città e dell’edificio.
L’impiego del supporto energetico ha infatti condizionato
in maniera determinante tanto il momento
progettuale che quello costruttivo dell’edificio,
provocando così una decisa trasformazione.
I modelli critici adottati saltano a piè pari l’esame
di tale episodio, dato che hanno eseguito sull’oggetto
architettonico prevalentemente una analisi
di tipo formale e solo a volte hanno esteso la lettura
ad aspetti di tipo tecnologico, ma fermando
in ogni caso l’attenzione soltanto su elementi più
tipicamente costruttivi.”
Liberata dai “banali compiti tradizionali”, grazie
alle nuove soluzioni strutturali (struttura portante
a telaio in calcestruzzo armato o acciaio), con
una grande disponibilità di nuovi materiali, in
una fase storica di straordinaria crescita scientifica
ed economico-sociale della gran parte del
mondo occidentale, l’architettura esplora le nuove
strade della ricerca puramente formale.
“In questo periodo, inoltre, si costruisce molto e
più in fretta, dato che i tempi di esecuzione sono
di gran lunga accorciati, grazie alla larga disponibilità
di attrezzature e di tecniche che derivano dalla stessa produzione industriale.
Anche l’edificio comincia a modificarsi, sotto la
spinta di una evoluzione costruttiva suggerita
dall’introduzione di nuovi materiali e tecniche
il cui impiego trova il fondamento teorico nella
scienza delle costruzioni che l’Ecole Politecnique
di Parigi, affrancatasi ormai quasi da mezzo secolo
alla Académie des Beaux Arts, ha già sufficientemente
definito attraverso una mirabile sistematizzazione
delle ricerche teoriche e sperimentali
sviluppate dal Seicento in avanti. [...]
Ma a dare origine a problemi del tutto nuovi non
fu solamente il volume dell’edificio da ventilare,
riscaldare e illuminare; anche la forma e le tecniche
di costruzione adoperate comportavano delle
conseguenze ambientali. In particolare i grattacieli
destinati ad uffici introdussero nuovi disagi e
difficoltà, che chiedevano urgenti soluzioni.
Questi argomenti ricevono una trattazione insufficiente
nella critica storica, la quale di solito
ritiene che l’impiego della struttura in acciaio e
dell’ascensore furono sufficienti a consentire la
realizzazione degli edifici alti per uffici. Burchard
e Bush-Brown hanno giustamente evidenziato
una serie di altri elementi, come l’illuminazione
elettrica ed il telefono, che furono egualmente
necessari perché gli affari potessero procedere – e
senza l’abilità di mandare avanti gli affari i grattacieli
non sarebbero mai stati costruiti.
Eppure neanche questi autori menzionano il W.C.
o l’acqua corrente, per esempio, senza i quali non
sarebbe stato possibile usare questi edifici a torre;
come non citano i vari dispositivi atti ad affrontare
i problemi termici e di ventilazione specifici
dei grattacieli costruiti a Chicago e a New
York intorno al 1900.
Dal punto di vista degli ambientalisti, molti di
questi grattacieli erano intrinsecamente insoddisfacenti
e i loro aspetti negativi furono ancora
maggiormente posti in evidenza, dato che si erano
generate certe aspettative, sia da parte degli
utenti che dai proprietari degli edifici. Così
Konrad Meier scrive: “Le esigenze sono continuamente
aumentate, sia per quanto riguarda il valore
assoluto delle temperature, sia per le variazioni
tollerate [...] e questo con condizioni strutturali
sempre più avverse. Certe sgradevoli esperienze in
alcuni degli edifici sottili, alti, leggeri, eretti di
recente e non ancora adatti al loro scopo, serviranno
ad illustrare queste difficoltà”.
È difficile oggi pensare che i primi grattacieli con
strutture intelaiate, “sottili, alti, leggeri” e famosi
lavori di architettura, come il Reliance Building
di Burnham e Root, appartengano alla categoria
di edifici di cui si lamenta Meier e, quindi, sarà
bene spiegarne il perché. Paragonati alle massicce
strutture in muratura dei primi decenni, essi appaiono veramente abbastanza leggeri da introdurre
nuove “sgradevoli esperienze”; i loro difetti
sono riassunti meglio da Bushnell e Orr nel loro
manuale sul riscaldamento di quartiere.
Essi parlano di: “[...] uno scheletro o un telaio
di pilastri e travi maestre in acciaio, tamponato
da pareti in mattone e rifinito all’esterno con
mattonelle o piastrelle in terra-cotta. Per questi
edifici alti è necessario usare i materiali più leggeri
a disposizione, per poter diminuire il peso
proprio sugli elementi di acciaio e sulle fondazioni.
Naturalmente, la conseguente diminuzione
dello spessore delle pareti comincia a fare sentire
i suoi effetti nel dimensionamento del riscaldamento. Queste costruzioni hanno poca capacità di
immagazzinare e trattenere il calore, a differenza
delle massicce costruzioni in muratura. Nel primo
caso – l’edificio moderno – si deve fornire calore per un periodo del giorno più lungo che nel secondo
caso, a causa del più rapido effetto di raffreddamento.
Inoltre, gli edifici moderni vengono
progettati in modo da lasciare sulle facciate uno
spazio quanto più possibile ampio per le finestre,
e migliorare così le condizioni di illuminazione.
Infatti, alcuni edifici hanno dal 40% al 45% della
loro superficie esterna in vetro, e le perdite di
calore sono proporzionalmente alte [...]”.
Non mancano tra i grandi maestri del movimento
moderno straordinarie espressioni e contributi
nella direzione dei compiti sociali dell’architettura
e del suo ruolo nella definizione della forma
urbana ma è indubbio che il focus della ricerca
di gran parte di quello che verrà definito come
“il movimento moderno dell’architettura” ha come
obiettivo la delineazione di una nuova forma, di
un nuovo stile dell’architettura.
Una ricerca che approderà nel giro di pochi decenni
ad un approccio formale che verrà definito come
“International Style” proprio per la sua straordinaria
diffusione a livello internazionale. Secondo
l’impostazione culturale dei principali esponenti
dell’International Style, l’architettura affronta i
problemi della composizione dello spazio in una
proiezione estetica e formale del tutto libera da
obiettivi di funzionalità, efficienza, manutenibilità
e risparmio energetico dell’organismo edilizio.
Compiti questi ultimi che vengono delegati agli
impianti visti come un utile ma secondario elemento
nella realizzazione dell’organismo edilizio.
Questa impostazione culturale, che separa il momento
della progettazione architettonica dal sistema
impiantistico che determina le prestazioni
energetico-ambientali di un edificio, è ancora
oggi particolarmente diffusa tra gli architetti e
nelle scuole di architettura dove, in molti casi,
esiste purtroppo ancora una netta divaricazione
tra insegnamenti compositivi, ritenuti centrali ed
egemonici, che affrontano i problemi progettuali
in una dimensione prevalentemente formale,
compositiva appunto, e le materie tecnologiche
e tecniche come tecnologia dell’architettura, fisica
tecnica ed impianti, progettazione esecutiva,
materiali e componenti, tecnica delle costruzioni,
viste come un necessario seppur secondario elemento
di completamento e precisazione tecnica
del progetto.
“Così il potenziale tecnologico ha continuamente
preceduto il momento architettonico. Dentro questo
intervallo si realizzano esperienze ambientali
in campi che di solito non vengono considerati
architettura – serre, fabbriche, trasporti. Quasi
quattro decadi separano i primi usi industriali del
condizionamento dell’aria dalla sua piena utilizzazione
da parte di architetti famosi, ed in questi
lunghi intervalli si realizzano non solo esperimenti fisici ma anche intensi dibattiti e ricerche e si
generano idee tali da rendere accettabile l’eventuale
utilizzazione architettonica di nuove particolari
tecnologie.”
Questa riflessione di Banham ha un valore generale
e si applica non solo agli impianti tecnologici termici
ma anche agli altri settori-campi applicativi
della tecnologia per gli edifici quale, ad esempio,
quello molto rilevante dell’illuminazione.
“L’illuminazione elettrica risolse di colpo i due
problemi ambientali derivati dall’uso del gas, poiché
produceva meno calore e non dava luogo a
fuliggine. Inoltre, rispetto al gas richiedeva minore
manutenzione e minore lavoro per la pulizia e
l’impianto poteva essere installato in uno spazio
ristretto, dove a stento poteva essere collocato
quello a gas, a causa del calore che generava e
dell’aria di cui aveva bisogno.
Con questi vantaggi, l’illuminazione elettrica fu
vincente, anche se all’inizio doveva risultare molto
più cara del gas in termini di costo di installazione
e di consumi correnti.”
“[...] la rivoluzione si deve soprattutto all’invenzione
dell’illuminazione a incandescenza [...]
una sorgente stabile ed invariabile di luce, a differenza
della lampada ad arco, dove il materiale
risplendente è continuamente disaggregato e
bruciato. [...] il valore economico dei nuovi mezzi
di illuminazione, è stato sottovalutato. La facilità
con cui i bulbi a incandescenza si prestano
per realizzare qualsiasi schema di decorazione costituisce
una delle loro principali caratteristiche
positive. Non sarebbe auspicabile rifare gli stessi
percorsi della rete dell’illuminazione a gas, visto
che le condizioni sono completamente cambiate;
i punti di luce possono essere collocati dovunque
si desidera, e senza paura che i soffitti si
anneriscano o che i materiali più facilmente infiammabili
prendano fuoco. Lo sviluppo si questo
sistema d’illuminazione è stato così rapido che
gli architetti non hanno avuto ancora il tempo
di dedicare la loro attenzione alle sue potenziali capacità decorative, ma se l’avessero fatto avrebbero
potuto soddisfare ogni esigenza di perfetta
illuminazione.”
Oggi però i tempi storici per il mondo occidentale
sono profondamente diversi dal passato: al
dominio incontrastato del mondo si sostituisce
una sempre più apprensiva concorrenza dei paesi
emergenti, una a volte imprevista carenza di materie
prime, una sempre maggior attenzione alle
risorse energetiche ed alle problematiche ambientali,
mentre d’altra parte si assiste ad una stasi
economica ed al preoccupante e trascurato fenomeno
dell’invecchiamento della popolazione dei
paesi occidentali si contrappone un prorompente
sviluppo dei paesi emergenti (BRIC: Brasile, Russia,
India e Cina) e più in generale dell’est asiatico
e del medioriente, cui si associa un andamento
demografico molto diverso dai trend europei ed
americani.
Nel nuovo scenario, che assegna ai paesi del
mondo occidentale nuovi compiti e responsabilità
in campo energetico ed ambientale associate
a molte incertezze sulle prospettive economiche
ed occupazionali, si impone la “riscoperta” di
un approccio all’architettura che, facendo salvi i
presupposti della imprescindibile ricerca estetica,
associ ed integri nell’approccio al progetto tutto
il complesso di conoscenze scientifiche maturate
in campo energetico, ambientale, gestionale, manutentivo,
ecc. che va sotto la denominazione di
“tecnologia dell’architettura”.
Solo attraverso questa via potremo avere edifici
belli, funzionali, più facilmente manutenibili, con
costi di gestione inferiori ed energeticamente ed
ambientalmente sostenibili.
Edifici per il nuovo mondo che ci aspetta, che
si preannuncia ricco di problemi e di sfide per
l’Europa, un mondo che per essere affrontato richiede
di utilizzare in forma integrata tutte le
nostre conoscenze che costituiscono la vera e più
importante ricchezza di cui il vecchio continente
dispone.
di Oliviero Tronconi
Professore Ordinario Politecnico di Milano Dip. BEST