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martedì 5 settembre 2017

Il parcheggio dell’autovettura in modo da ostruire il passaggio configura il delitto di violenza privata

Di solito, si ritiene che l’uso del parcheggio possa generare liti condominiali afferenti esclusivamente a profili civilistici, quali il corretto utilizzo dell’area comune, la possibilità di ricoverare una o più macchine oppure i motorini, l’incapienza dello spazio rispetto alle necessità degli abitanti dello stabile, e quant’altro.
Difficilmente si pensa che i conflitti tra i partecipanti al condominio sul punto possano sconfinare sul versante penale, eppure ciò è accaduto, e anche di recente, ed una veloce consultazione dei repertori di giurisprudenza - o, meglio, una rapida verifica tramite banche dati e motori di ricerca - ci offre, purtroppo, una desolante conferma.
La decisione emessa, da ultimo, da Cass. pen. 7 dicembre 2015 n. 48346 proveniva all’esito del ricorso per cassazione proposto avverso una sentenza della Corte d’Appello la quale, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale, aveva condannato una condomina alla pena di giustizia (15 giorni di reclusione), oltre al pagamento di spese processuali ed al risarcimento del danno in favore di un altro condomino, costituitosi parte civile, in relazione al reato di “violenza privata” contemplato dall’art. 610 c.p. (che punisce con la reclusione fino a 4 anni “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”, salvo l’aumento della pena se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico).
Avverso tale sentenza, ricorreva l’imputata affidando l’impugnativa a due motivi di doglianza.
Nello specifico, la suddetta condomina deduceva, in primo luogo, l’erronea applicazione della legge penale - ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 51 e 59, comma 4, c.p. - rilevando che la Corte territoriale, dopo aver correttamente escluso la sussistenza del reato di violenza privata in relazione alla contestata condotta di ostruzione del passaggio alla persona offesa tramite parcheggio della propria autovettura, non aveva però riconosciuto la sussistenza dell’esimente, anche nella forma putativa, dell’esercizio del diritto in relazione a quanto previsto dall’art. 383 c.p.p. in ordine alla possibilità dell’arresto eseguito dal privato, e ciò in relazione alla seconda parte della condotta contestata nel capo di imputazione, che descriveva l’imputata come colei che, per non far allontanare l’altro condomino, gli aveva sottratto le chiavi del motociclo in attesa dell’arrivo della polizia che ella stessa aveva allertato.
In proposito, la parte ricorrente rilevava di aver subìto, dalla presunta parte offesa, un’aggressione fisica e, quindi, la condotta impeditiva descritta nel capo di imputazione era semplicemente diretta ad evitare che l’asserito aggressore si allontanasse prima dell’arrivo della polizia.
In secondo luogo, l’imputata si doleva della manifesta contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata - ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. - nella parte in cui aveva qualificato le condotte contestate come violenza privata, anziché come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Avverso tale sentenza, insorgeva anche la costituita parte civile, evidenziando, agli effetti civili conseguenti alla condanna penale, una violazione di legge da parte del giudice distrettuale in relazione al mancato riconoscimento del delitto di violenza privata riguardo alla prima porzione di condotta contestata all’imputata, ossia a quella che vedeva quest’ultima protagonista del parcheggio della propria autovettura innanzi all’accesso del locale ove era contenuta l’autovettura della parte offesa dal reato.
La parte civile sottolineava che la condotta di violenza prevista dall’art. 610 c.p. fosse rintracciabile anche nelle ipotesi di c.d. violenza impropria, considerato che, ai fini della configurabilità del delitto in esame, il requisito della violenza si dovesse identificare in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione.
I giudici di Piazza Cavour hanno, innanzitutto, ritenuto non meritevole di accoglimento il ricorso presentato dall’imputata.
La parte ricorrente, con il primo motivo, ha lamentato la mancata applicazione dell’esimente putativa dell’esercizio del diritto, in relazione alla potestas coercitiva di cui all’art. 383 c.p.p., giacché - a suo avviso - la sottrazione delle chiavi del motociclo alla persona offesa era diretta ad evitare che quest’ultima si allontanasse dai luoghi teatro dei fatti descritti nel capo di imputazione prima dell’arrivo della polizia.
Sul punto, si è precisato, per un verso, che non ricorre un’ipotesi di “arresto del privato” ai sensi del summenzionato art. 383, perché non si è in presenza di condotte che consentono, anche astrattamente, l’arresto in flagranza consentito dal precedente art. 380, e, per altro verso, che non è possibile applicare l’invocata scriminante neanche nella sua forma putativa, atteso che può rilevare, a tal fine, solo l’errore su una norma extrapenale, e non già quello - come nel caso di specie - che verta sull’interpretazione delle facoltà di arresto esercitabile dal privato.
Ed invero, in tal caso si tratta di un mero errore di diritto, che non vale ad escludere la punibilità perché concettualmente non può, sotto alcun profilo, essere configurato come errore di fatto (v. la remota Cass. pen. 22 gennaio 1973 n. 276). Sul secondo motivo di gravame sollevato dalla stessa imputata, gli ermellini hanno ricordato che il reato di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni” non va confuso con quello di violenza privata.
Il primo delitto è contemplato dall’art. 392 c.p. - come modificato, ai fini che qui non rilevano, dalla legge n. 547/1993 - il quale punisce con la multa fino a euro 516,00, a querela della persona offesa, “chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose”, precisando che, agli effetti della legge penale, “si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione”.
Invero, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni - che ugualmente contiene l’elemento della violenza o della minaccia alla persona - si differenzia non nella materialità del fatto, che può essere identica in entrambe le fattispecie, bensì nell’elemento intenzionale, in quanto nel reato di cui all’art. 392 c.p. l’agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata (v., tra le altre, Cass. pen. 6 giugno 2014 n. 23923).
Ne discende che la condotta descritta nel capo di imputazione non risultava in alcun modo diretta, in relazione alla sottrazione delle chiavi, ad esercitare un presunto diritto sulle stesse, quanto piuttosto a coartare la volontà della persona offesa in modo che quest’ultima non si allontanasse. Secondo l’autorevole parere dei magistrati del Palazzaccio, è meritevole invece di accoglimento il motivo di ricorso avanzato, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., dalla persona offesa, in ordine alla dedotta violazione di legge per la mancata qualificazione del reato di violenza privata anche in relazione alla condotta tenuta dall’imputata attraverso il parcheggio della propria autovettura in modo da impedire il passaggio dell’autovettura della persona offesa.
In proposito, si è ricordato che l’elemento della violenza nella fattispecie criminosa di violenza privata si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza “impropria”, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione (v., ex multis, Cass. pen. 22 gennaio 2010 n. n. 11907).
Più precisamente, è stato affermato che integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura dinanzi ad un fabbricato in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla parte lesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione (così Cass. pen. 21 febbraio 2014 n. 8425).
Ne consegue che anche la condotta descritta nel capo di imputazione in relazione al parcheggio dell’autovettura può integrare il reato previsto e punito dall’art. 610 c.p. in ragione della circostanza che il requisito della violenza si può identificare in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione.
Pertanto, la sentenza impugnata è stata annullata agli effetti civili limitatamente alla pronuncia di assoluzione dell’imputata, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, rigettando, invece, il ricorso dell’imputata che è stata condannata, altresì, al pagamento delle spese processuali, nonché al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla parte civile.
La sentenza in commento, anche se non la richiama espressamente, dà continuità ad una precedente pronuncia (v. Cass. pen. 17 maggio 2006 n. 21779), secondo la quale integra il delitto di violenza privata di cui all’art. 610 c.p. la condotta di colui che parcheggia la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio impedendo alla parte lesa di muoversi, considerato che, ai fini della configurabilità del delitto in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione.
In quell’occasione, entrambi i giudici di merito avevano assolto una condomina - anche in questa ipotesi, una donna! - dall’imputazione ascrittale ex art. 610 c.p. per avere impedito ad un altro condomino di spostare la sua autovettura dal parcheggio privato, bloccando il passaggio con un’altra auto e minacciandolo di non farlo uscire fino a sera tarda o sino al giorno successivo.
l suddetti giudici avevano ritenuto che il capo di imputazione non descriveva alcun reato, per cui l’assunzione delle prove richieste dall’accusa sarebbe stata irrilevante, in particolare, segnalando che non risultava contestata alcuna violenza e che la minaccia non era collegata con l’evento voluto.
Il ricorso per cassazione proposto dal Procuratore Generale è stato accolto, rammentando appunto che, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 610 c.p., il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione (v., altresì, Cass. pen. 7 maggio 1998 n. 1195; Cass. pen. 16 dicembre 1981 n. 11004), e tale era da ritenersi il bloccare il passaggio di un’autovettura con altro mezzo; d’altro canto, il dichiarare in concomitanza di codesta azione al proprietario della vettura ostacolata che si intendeva non consentirgli di ripartire per un congruo periodo di tempo, stava a dimostrare in termini inequivoci la finalità della violenza.Sempre sul presupposto che, nel reato previsto e punito dall’art. 610 c.p., il requisito della violenza, ai fini della relativa configurazione, si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l’offeso, il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà, anche Cass. pen. 18 ottobre 2005 n. 40983 ha ritenuto integrato il reato de quo nella condotta del soggetto che aveva intenzionalmente parcheggiato la propria vettura dietro quella della parte lesa così impedendole di muoversi (v., altresì, Cass. pen. 18 novembre 2011 n. 603, che ha punito colui che, avendo parcheggiato l’auto in maniera da ostruire l’ingresso al garage condominiale, si rifiutava di rimuoverla nonostante la richiesta della persona offesa).
Molto peculiare la fattispecie decisa recentemente da Cass. pen. 24 ottobre 2014 n. 46686, la quale ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 610 c.p. nella condotta di colui che, azionando a distanza il meccanismo di blocco di un cancello automatico, aveva impedito alla persona offesa di uscire con la propria autovettura dalla zona garage del condominio, “costringendola a scendere dal veicolo ed a staccare la corrente elettrica per neutralizzare la chiusura a distanza del cancello al fine di varcare l’accesso carraio dello stabile” (sic!).

di Alberto Celeste
Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione
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giovedì 22 giugno 2017

PER RIVENDICARE AREE ESTERNE COMUNI A PARCHEGGIO, OCCORRE PROVARE LA DESTINAZIONE

Spetta a chi vanti il diritto di uso a parcheggio di una determinata area, in quanto vincolata ex art. 41 sexies Legge urbanistica, di provare che la stessa sia compresa nell'ambito dell'apposito spazio riservato, in quanto elemento costitutivo dell'asserito diritto.





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CASSAZIONE 8 MARZO 2017, N. 5831 - in tema di parcheggi



CASSAZIONE 8 MARZO 2017, N. 5831

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE 
SESTA SEZIONE CIVILE

                           
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:              
Dott. PETITTI  Stefano  -  Presidente   
Dott. ORILIA   Lorenzo  -  Consigliere  
Dott. PICARONI Elisa  -  Consigliere  
Dott. ABETE  Luigi  -  Consigliere  
Dott. SCARPA  Antonio -  rel. Consigliere  

ha pronunciato la seguente:      
                                    
ORDINANZA

sul ricorso 23853/2015 proposto da: 
D.A., rappresentato e difeso dall'avvocato F. A.; 
- ricorrente - 

CONTRO

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato C. G., rappresentato e difeso dall'avvocato C. S.; 
M.V.,  M.F.,   F.G., elettivamente domiciliati in ROMA, presso lo studio dell'avvocato P. T., che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato S. S.; 
M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell'avvocato C. G., rappresentato e difeso dall'avvocato C. S.; 
- controricorrenti - 

avverso la sentenza n. 869/2014 della CORTE D'APPELLO di MESSINA, depositata il 17/12/2014; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorrente D.A. impugna, articolando due motivi di ricorso, la sentenza n. 869/2014 del 17 dicembre 2014 resa dalla Corte d'Appello di Messina, che aveva rigettato l'appello proposto dallo stesso D. avverso la sentenza pronunciata il 10 ottobre 2006 dal Tribunale di Messina. La causa era iniziata con citazione del 25 gennaio 1995 effettuata da D.A. nei confronti di M.S. (domanda poi riassunta nei confronti degli eredi di questo F.G., M.F., M.V. e M.C.) ed aveva per oggetto la pretesa della natura condominiale dello spazio esterno ad ovest dell'edificio costruito dal M. nel comparto VII dell'isolato 178, (OMISSIS), ovvero comunque del riconoscimento del diritto d'uso a parcheggio di tale area in favore del D.. Resistono con controricorso F.G., M.F. e M.V., nonchè M.C..
Il primo motivo di ricorso censura la sentenza della Corte d'Appello di Messina per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Si richiamano una visura dello stralcio catastale, l'atto pubblico del 20/12/1072, l'atto di vendita Riva del 1969 e si conclude che il terreno in questione non potesse essere di proprietà esclusiva dei controricorrenti.
Il secondo motivo censura la violazione ed errata applicazione delle norme di diritto (L. n. 1150 del 1942 e L. n. 765 del 1967), per aver negato la natura condominiale dell'area in contesa.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c., in relazione all'art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio.
E' infondata l'eccezione pregiudiziale della controricorrente M.C., tendente alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per l'errata indicazione del numero della sentenza impugnata (art. 366 c.p.c., n. 2), in quanto il ricorso reca comunque elementi sufficienti per individuare inequivocabilmente la decisione gravata.
Dalla motivazione della sentenza impugnata, si legge che la Corte d'Appello di Messina ha negato che il fatto che l'area in questione non fosse inserita nella dichiarazione di successione di M.S. avesse rilevanza per escludere la proprietà dello stesso sullo spazio esterno ad ovest dell'edificio di viale (OMISSIS); e che, ad avviso dei giudici d'appello, piuttosto, gli atti pubblici di vendita del 5.8.1969 e del 20.12.1972 provassero la proprietà del M. sullo spazio in questione. La sentenza della Corte di Messina, inoltre, motiva la non decisività delle strisce delimitanti i posti auto sul terreno in contestazione e spiega come dalla documentazione esaminata fosse emerso che lo stesso terreno non era stato destinato a parcheggio nel progetto assentito.
Il primo motivo è inammissibile, atteso che, trovando applicazione il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti. La nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, postula la deduzione dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Il primo motivo del ricorso di D.A. non rispetta le previsioni dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto il ricorrente non indica il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", limitandosi a denunciare l'omesso esame di elementi istruttori con riguardo a fatti storici comunque presi in considerazione dalla Corte d'Appello (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Il secondo motivo di ricorso è del tutto infondato.
Per affermare la natura condominiale ai sensi dell'art. 1117 c.c. di un'area esterna all'edificio, della quale manchi un'espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio e sia stato omesso qualsiasi riferimento nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, in quanto soggetta alla speciale normativa urbanistica, dettata dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18 (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 730 del 16/01/2008; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11261 del 18/07/2003) occorre preliminarmente accertare che si tratti di spazio destinato a parcheggio secondo la prescrizione della concessione edilizia, originaria o in variante, e poi che lo stesso sia stato riservato a tal fine in corso di costruzione e non impiegato, invece, per realizzarvi manufatti od opere d'altra natura (cfr. Cass. 22 aprile 2016, n. 8220, non massimata; Cass. 30 luglio 1999, n. 6894; Cass. 14 novembre 2000, n. 14731; Cass. 5 maggio 2003, n. 6751; Cass. 13 gennaio 2010, n. 378). Spetta a chi vanti il diritto di uso a parcheggio di una determinata area, in quanto vincolata ex art. 41 sexies Legge urbanistica, di provare che la stessa sia compresa nell'ambito dell'apposito spazio riservato, in quanto elemento costitutivo dell'asserito diritto (Cass. 23 gennaio 2006, n. 1221). Il ragionamento probatorio seguito dalla Corte di Messina è quindi del tutto corretto.
Il ricorso va (anaci) perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore dei controricorrenti F.G., M.F. e M.V., nonchè M.C..
Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare sia ai controricorrenti F.G., M.F. e M.V., sia alla controricorrente M.C. le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida per gli uni e per l'altra in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 - 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017
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martedì 6 giugno 2017

AREE DI PARCHEGGIO NON REALIZZATE - CASSAZIONE 25 MAGGIO 2017, N. 13210

In tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dall’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967, è subordinato alla condizione che l’area scoperta esista e non sia stata adibita a un uso incompatibile con la sua destinazione: qualora lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato invece utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai sorto, ma semmai a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso.

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CASSAZIONE 25 MAGGIO 2017, N. 13210 - Aree parcheggio non realizzate



CASSAZIONE 25 MAGGIO 2017, N. 13210

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE 
SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:              
Dott. MAZZACANE Vincenzo -  Presidente  
Dott. BIANCHINI Bruno -  Consigliere 
Dott. MANNA   Felice -  Consigliere  
Dott. ORILIA   Lorenzo -  Consigliere  
Dott. GIUSTI  Alberto -  rel. Consigliere  

ha pronunciato la seguente:      
                                    
SENTENZA

sul ricorso proposto da: 
A.L.,  C.C.,   CA.An. e    P.M., rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall'Avv. F. D. S., con domicilio eletto nello studio di quest'ultimo in Roma; 
- ricorrenti - 

CONTRO
EDIL PIAZZA , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dall'Avv. G. G. P., con domicilio eletto nello studio di quest'ultimo in Roma; 
- controricorrente - 

e nei confronti di: 
C.U.; CONDOMINIO, in persona dell'amministratore pro tempore;   D.M.M.;  V.L.;  N.I.;   T.A.;  G.R.;  G.B.;  L.S.;        D.M.;   D.P.M.;    D.P.A.;   DE.PI.Ma.;  B.T.;   C.R.;   CE.Br.;   R.A.;    BO.Ma.;   Z.R.; 
- intimati - 

avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma n. 4985/11 pubblicata in data 23 novembre 2011; 
Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 3 aprile 2017 dal Consigliere relatore Alberto Giusti; 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso; 
uditi gli Avvocato F. D. S. e G. P..

FATTI DI CAUSA

1. - Con atto di citazione del 28 maggio 1984, la società CI-DI Edilizia Immobiliare a r.l. conveniva in giudizio Bo.Gi. , G.G. , L.S. , D.M. , B.T. , Ca.Ri. , Ca.Em. , D.P.F. , V.L. , D.M.M. e Ce.Br. , tutti condomini dello stabile in (omissis) , nonché il Condominio del medesimo edificio, per sentirli condannare all’immediato rilascio della spazio adibito a parcheggio antistante il fabbricato, nonché al pagamento di una indennità di occupazione, dichiarando che i convenuti non hanno diritto di comproprietà, di servitù, di parcheggio o comunque di uso dello spazio antistante il fabbricato. L’attrice chiedeva in subordine di condannare il Condominio al pagamento del valore dell’area sulla base delle spese sostenute per attrezzarla, da determinare a mezzo di consulenza.
I convenuti resistevano in giudizio, chiedendo il rigetto delle pretese avversarie e formulando domanda riconvenzionale affinché fossero riconosciuti i parcheggi vincolati ai sensi della 6 agosto 1967, n. 765, poiché realizzati in forza di licenza edilizia rilasciata dopo il 1 settembre 1967, come richiesto dall’art. 18 della citata legge.
All’esito del giudizio, il Tribunale di Roma rese la sentenza n. 10488 dell’8 agosto 1988, con cui condannò i convenuti al rilascio dell’area e al pagamento per ciascuno di Lire due milioni, con gli interessi dalla domanda. Contestualmente dichiarò il B. comproprietario del detto terreno con diritto ad utilizzarla a posto auto, poiché soltanto questi aveva dimostrato in giudizio di avere acquistato l’appartamento con le pertinenze prima del 4 giugno 1973, data di vendita dell’area dalla costruttrice a Cu.Ul. .
2. - La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1004 del 1995, rimetteva la causa al Tribunale di Roma quale giudice di primo grado, stante la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di Cu.Ul. .
3. - Con sentenza in data 16 giugno 2003, il Tribunale di Roma, a parziale modifica della precedente sentenza, dichiarava l’area in questione, di proprietà della CI.DI., soggetta al vincolo legale di destinazione a parcheggio in favore del G. e degli altri litisconsorti, determinando in dodici metri quadri per ciascuno di essi la superficie assoggettata al diritto d’uso, condannando i predetti, con esclusione di B.T. , al pagamento del corrispettivo per il predetto diritto di uso da liquidarsi in separato giudizio, rigettando le ulteriori domande e confermando le altre statuizioni della precedente sentenza n. 10488 del 1988 del medesimo Tribunale.
4. - Contro questa sentenza hanno proposto appello principale la Edil Piazza 14 s.r.l., nuova acquirente dell’area de qua, e appello incidentale il Condominio con D.M.M. , V.L. , A.L. , C.C. , Ca.An. , N.I. , P.M. , T.A. .
La Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 23 novembre 2011, in parziale accoglimento dell’appello principale ed in riforma, sul punto, della sentenza gravata, ha condannato il G. , il L. , il D. , il D.P. , il B. , la Ca. , la Ce. , il Bo. , la Ca. , il V. e il D.M. a rilasciare in favore dell’appellante il suolo edificatorio per cui è giudizio, ha rigettato l’appello incidentale, ha confermato nel resto la pronuncia appellata e compensato integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
4.1. - La Corte d’appello ha rilevato che, secondo le risultanze dell’indagine peritale, il provvedimento concessorio prevedeva la localizzazione degli spazi destinati a parcheggio al piano ingresso dell’edificio, parte in corrispondenza del fabbricato, in una sorta di piano pilotis, e parte in due zone laterali sulle testate dell’edificio.
La Corte distrettuale ha poi evidenziato che il fabbricato realizzato risultava diverso da quello rappresentato negli elaborati relativi alla concessione e non presentava aree di sosta veicolare al piano ingresso, e ciò per l’intervento di modifiche in corso d’opera, in assenza, peraltro, di concessioni in variante.
La Corte di Roma ha quindi ricordato che, in tema di disciplina legale delle aree destinate a parcheggio, interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, ove lo spazio da adibire a parcheggio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a tal fine in corso di costruzione e sia stato impiegato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura (diversamente dall’ipotesi in cui allo spazio realizzato conformemente al progetto sia stata data una diversa destinazione in sede di vendita), se possono ravvisarsi a carico del costruttore responsabilità di vario genere, non possono, per contro, individuarsi responsabilità d’ordine privatistico né oneri di ripristino dello status quo ante. Infatti, in tale caso, il bene soggetto ex lege al vincolo pertinenziale (il parcheggio) non è mai venuto ad esistenza e il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione di esso né può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai venuto ad esistenza, ma semmai solo ad una tutela risarcitoria, in ragione dell’ampio campo applicativo proprio degli artt. 871 e 872 cod. civ., in favore degli acquirenti delle singole unità immobiliari.
Per questo, la Corte d’appello ha giudicato errata la sentenza gravata nella parte in cui ha, diversamente, ritenuto di poter individuare l’area asservita sulla scorta di unilaterali manifestazioni di volontà della società costruttrice espresse per il rilascio di ulteriori provvedimenti concessori aventi ad oggetto opere diverse dall’edificio cui l’area avrebbe dovuto essere asservita.
5. - Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l’A. , il C. , il Ca. e la P. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 9 ed il 10 luglio 2012, sulla base di sei motivi.
La società Edil Piazza ha resistito con controricorso. Nessuno degli altri intimati ha svolto attività difensiva in questa sede.
In prossimità dell’udienza i ricorrenti e la controricorrente hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la nullità insanabile del procedimento di appello per difetto del contraddittorio ex art. 300 e ss. cod. proc. civ. per nullità della notifica dell’atto di appello ai già defunti Fernando D.P. e Bo.Gi. . I ricorrenti rappresentano che l’atto di appello della Edil Piazza è stato notificato il 16 luglio 2004 al D.P. presso il procuratore costituito in primo grado, mentre il destinatario era già deceduto in data 15 agosto 2000 nel corso del giudizio di primo grado; e fanno presente che anche il Bo. è deceduto l’(omissis) , nel corso del giudizio di primo grado.
1.1. - Il motivo è infondato.
Nel giudizio di primo grado Fernando D.P. e Bo.Gi. erano costituiti a mezzo del loro difensore, l’Avv. Antonio Di Silvestro, munito di procura per i gradi di merito, e poiché il loro decesso non è stato dichiarato né notificato nel corso del giudizio di primo grado, correttamente l’appello è stato notificato presso il loro difensore munito di procura.
Difatti, in caso di morte della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300, quarto comma, cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., 4 luglio 2014, n. 15295).
2. - Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 765 del 1967 e degli artt. 1362, 1363 e 1367 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Sostengono i ricorrenti che per la costituzione del vincolo di destinazione degli spazi a parcheggio non serve alcuna variante e nella licenza del 1968 i parcheggi non erano al piano pilotis ma la stessa licenza era condizionata alla realizzazione dei parcheggi e la condizione è stata osservata dal costruttore con l’acquisto del terreno necessario alla loro realizzazione. In particolare - si rileva - la licenza è del maggio 1968, l’acquisto del terreno da parte della costruttrice è del 5 agosto 1970, mentre l’abitabilità è stata concessa solo successivamente, il 13 agosto 1970, quando la P.A. ha verificato l’adempimento della condizione posta con la licenza.
2.1. - Il motivo è infondato.
La Corte d’appello si è correttamente attenuta al principio secondo cui, in tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dall’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967, è subordinato alla condizione che l’area scoperta esista e non sia stata adibita a un uso incompatibile con la sua destinazione: qualora lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato invece utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai sorto, ma semmai a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso (Cass., Sez. II, 22 febbraio 2006, n. 3961; Cass., Sez. II, 7 maggio 2008, n. 11202).
I ricorrenti contestano l’applicazione di questo principio, negando che nella licenza del 1968 i parcheggi fossero al piano pilotis e sostenendo che il provvedimento abilitativo era subordinato alla realizzazione dei parcheggi.
Ma si tratta di deduzione generica, che non tiene conto della circostanza che il riconoscimento giudiziale del diritto reale di uso degli spazi destinati a parcheggi può avere ad oggetto soltanto le aree che siano destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all’edificazione, senza possibilità di ubicazioni alternative (Cass., Sez. Il, 11 febbraio 2009, n. 3393).
E, sotto questo profilo, il motivo non spiega come il terreno esterno al lotto ove è avvenuta l’edificazione, acquistato da parte dell’impresa costruttrice nell’agosto del 1970, avesse una destinazione riservata a parcheggio già secondo la licenza del 1968: non spiega, cioè, come la suddetta area risultasse vincolata in base al progetto definitivo relativo alla licenza di costruzione del 1968.
D’altra parte, la Corte d’appello ha escluso, con congruo e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, privo di mende logiche e giuridiche, che l’asservimento di tale area possa derivare da unilaterali dichiarazioni del costruttore rivolte al rilascio di ulteriori provvedimenti abilitativi aventi ad oggetto nuove opere, diverse dall’edificio cui l’area avrebbe dovuto essere funzionalmente destinata; e ciò dopo avere accertato, in punto di fatto, sulla scorta dell’indagine compiuta dal tecnico incaricato, che il progetto originario per la costruzione dell’edificio ed il provvedimento concessorio prevedevano la localizzazione degli spazi destinati a parcheggio all’interno dello stesso lotto edificando (in una sorta di piano pilotis e, in parte, in due zone laterali sulle testate dell’edificio).
3. - Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. l della legge n. 241 del 1990, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia) denuncia che la sentenza impugnata sia contraria ai principi dell’ordinamento, ad una lettura costituzionalmente orientata delle norme in esame, ai principi di buona amministrazione, di legalità, di efficacia e ragionevolezza del suo andamento, ledendo gravemente il legittimo affidamento insorto tra i condomini, siccome scaturito dalla licenza edilizia rilasciata dal Comune di (omissis) .
3.1. - Il motivo è inammissibile per la sua genericità.
L’invocazione di principi generali dell’ordinamento e della norma costituzionale sul buon andamento della pubblica amministrazione non è, da sola, sufficiente a surrogare l’accertata carenza del presupposto di fatto dell’invocata tutela, consistente nella esistenza del vincolo a parcheggio dell’area in contestazione sulla base del progetto e dei provvedimenti abilitativi all’edificazione.
4. - Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano nullità della sentenza di secondo grado (art. 111 Cost., 132 e 161 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ.), violazione dell’art. 18 della legge n. 765 del 1967, dell’art. 26 della legge n. 47 del 1985 e degli artt. 817 e 818 cod. civ. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. La sentenza d’appello sarebbe nulla per mancanza ed insufficienza di motivazione e per la mancata indicazione delle norme di legge e dei principi di diritto applicabili alla fattispecie. La sentenza avrebbe errato a non riconoscere la proprietà pro quota dell’area anche ad Ca.An. e A.L. , originaria comproprietaria, intervenuta nel giudizio di appello, i quali - si deduce - hanno acquistato l’appartamento, con ogni pertinenza, prima che l’area a parcheggio fosse venduta separatamente dal costruttore al Cu. e pertanto non hanno diritto all’uso in forza del vincolo ex lege, ma hanno diritto, come riconosciuto in primo grado a B. e Ca. , alla stessa proprietà, nella misura di legge oltre lo spazio di manovra, dell’area prospiciente l’immobile e adibita a parcheggio.
4.1. - Il motivo è inammissibile.
Esso cumula indistintamente vizio di nullità della sentenza di secondo grado per difetto di motivazione, error in indicando sotto il profilo sia della disciplina legale delle aree destinate a parcheggio sia della disciplina codicistica in tema di pertinenze, e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, senza che, neppure dalla illustrazione del motivo, sia possibile distinguere, dal complessivo coacervo, la doglianza riferibile alla nullità della sentenza, alla interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie, o ai profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
La censura si risolve, d’altra parte, nella richiesta della costituzione di un vincolo pertinenziale che in realtà, in base alla sentenza della Corte d’appello, non è mai venuto ad esistenza. Ed inoltre la doglianza sul punto è articolata senza riportare le clausole del contratto di acquisto che sarebbero dimostrative dell’esistenza del vincolo pertinenziale sull’area in contestazione e che il giudice del merito avrebbe male o insufficientemente valutato.
5. - Il quinto motivo è rubricato nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 18 della legge n. 765 del 1967, 1374 cod. civ. e 817 e ss. cod. civ., nonché nullità della sentenza per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Erroneamente la sentenza di secondo grado avrebbe confermato il capo 2 del dispositivo della precedente sentenza del Tribunale, ponendo a carico degli appellanti incidentali un indennizzo (per il trasferimento del diritto d’uso, indennizzo non dovuto, in quanto il venditore non si è espressamente riservato la proprietà esclusiva degli spazi destinati a parcheggio nei rispettivi contratti di compravendita), stabilendo poi, al capo 3 del dispositivo, a carico degli appellanti incidentali un duplice indennizzo (anche per la prolungata occupazione degli spazi destinati a parcheggio).
5.1. - Il motivo è inammissibile.
La censura si rivolge in realtà contro la sentenza del Tribunale, mentre, a seguito della sentenza d’appello, è venuto meno il censurato "duplice indennizzo", perché la Corte di Roma ha mantenuto ferma la condanna al pagamento dell’indennizzo per l’occupazione (capo 3 della sentenza di primo grado), mentre - non avendo riconosciuto il diritto reale all’uso degli spazi sull’area in questione da parte degli acquirenti delle singole unità immobiliari - ha con ciò escluso la debenza di alcun corrispettivo per il riconoscimento giudiziale dello stesso.
6. - Il sesto mezzo lamenta nullità della sentenza per violazione dell’art. 1418 cod. civ. e per omessa pronuncia sulla domanda di nullità del contratto di trasferimento tra il Cu. e la Erre.Ci.Immobiliare, per omessa e insufficiente motivazione e per contraddittorietà della stessa. La sentenza di primo grado, confermata in appello, dichiarando il B. proprietario dell’area a parcheggio, avrebbe dovuto dichiarare, quale conseguenza necessaria, la nullità parziale del successivo contratto citato con il quale la Er-re.Ci.Immobiliare ha illegittimamente ceduto l’area comprensiva del diritto di proprietà del B. e della Ca. nonché del Ca. e della A. .
6.1. - Il motivo è inammissibile.
Si tratta di questione non affrontata nel giudizio di appello e i ricorrenti non riportano - in violazione del principio di specificità discendente dalle prescrizioni formali dettate dall’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. - la deduzione difensiva con la quale hanno sottoposto al giudice del gravame la questione stessa.
7. - Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.700, di cui Euro 2.500 per compensi, oltre a spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 3 aprile 2017.
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venerdì 3 marzo 2017

COME VA REGOLAMENTATA LA SOSTA NELLE AREE CONDOMINIALI?

L'assemblea può regolamentare la sosta nelle aree condominiali ma non può, a maggioranza, assegnare un posto auto in via esclusiva e a tempo indeterminato.

Cassazione 27 maggio 2016 n.17034

La vicenda si origina molti anni fa, quando l'assemblea condominiale delibera di destinare a soli quattro condomini l'uso di posti auto nelle zone condominiali.
L'uso del posto auto condominiale può essere regolamentato dall'assemblea, cosi come questa può decidere di destinare un'area comune a tale scopo (es. cortile), ma non può deliberare a maggioranza di assegnarne l'uso in via esclusiva e per un tempo indeterminabile ad un condomino o più condomini.
Il ricorrente impugnava la delibera chiedendone la nullità.
Il Tribunale riconosceva la nullità della delibera, siccome adottata solo a maggioranza in violazione della legge, dato che non avrebbe potuto decidere solo a maggioranza l'assegnazione di posti auto in via esclusiva e per un tempo indeterminato.
La Corte di Cassazione, investita della questione dopo il giudizio di appello, ha ritenuto che l'assemblea ha il potere di modificare (o anche innovare) a maggioranza la destinazione delle parti comuni, ad esempio per ricavarne posti auto, ma non può disporre che tale utilizzo sia destinato ad uno o più condomini (e non a tutti), senza che ricorra il consenso di tutti i partecipanti al condominio. 
In sostanza una simile delibera viola il diritto di pari utilizzo delle parti comuni che deve essere riconosciuto a tutti i condomini. Il diritto e la sua violazione devono essere oggetto "di un'astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto fra tutte le possibili concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio".
E così la Cassazione ha statuito che "l'assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito (al di fuori, dunque, da ogni logica di turnazione), di posti macchina all'interno di un area condominiale sia illegittima, in quanto determina una limitazione dell'uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune (cfr. sul punto Cass. 22 gennaio 2004, n. 1004, che ha ritenuto affetta da nullità l'assegnazione nominativa ai singoli condomini di posti fissi, ubicati nel cortile comune, per il parcheggio della seconda autovettura: in detta pronuncia si è valorizzato il fatto per cui una tale delibera sottraeva l'utilizzazione del bene comune a coloro che non possedevano la seconda autovettura)".

Avv. Carlo Patti
Consulente Legale

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martedì 20 dicembre 2016

LEGITTIMO VIETARE LA SOSTA CON DISSUASORI DAVANTI ALLO STABILE

Secondo la Corte di Cassazione, VI Sez. Civ., sentenza n. 18187 del 16/09/2016, la delibera con cui il condominio vieta la sosta nell’area antistante il fabbricato mediante apposizione di paletti e fioriere è legittima in quanto essa tende a regolamentare l’uso della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 del codice civile senza capacità di alterarne la funzione o la destinazione sicché non dà luogo ad innovazioni ai sensi dell’art. 1120 del codice civile da approvare a maggioranza qualificata.



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CASSAZIONE 16 SETTEMBRE 2016, N. 18187 - E' legittimo vietare la sosta con dissuasori




CASSAZIONE 16 SETTEMBRE 2016, N. 18187

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:   
Dott. PETITTI  Stefano -  Presidente  
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni -  rel. Consigliere   
Dott. PICARONI Elisa -  Consigliere  
Dott. ABETE Luigi -  Consigliere  
Dott. SCALISI Antonino -  Consigliere  

ha pronunciato la seguente:                                          

ORDINANZA

sul ricorso 11497/2015 proposto da: 
G.F.D., T.S., elettivamente domiciliati presso la CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentati e difesi dall'Avvocato E. R., giusti mandati a margine del ricorso; 
- ricorrenti - 

contro
CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell'Amministratore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato F. P., che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato C. I., giusta mandato in calce al controricorso; 
- controricorrente - 

avverso la sentenza n. 1208/2014 della CORTE D'APPELLO di GENOVA del 18/08/2014, depositata il 02/10/2014; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. L. G. L.; 
udito l'Avvocato F. P, difensore del controricorrente, che chiede il rigetto del ricorso.                   

FATTO E DIRITTO

Considerato che:
il Consigliere designato ha depositato la seguente relazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c.;
"Ritenuto che:
- G.F.D. convenne in giudizio il Condominio dell'edificio sito in (OMISSIS), chiedendo dichiararsi la nullità delle Delib. assemblea condominiale 29 marzo 1995 e Delib. 22 giugno 2004, che avevano vietato l'utilizzo dell'area antistante il fabbricato per la sosta di automezzi, limitandone l'uso da parte dei condomini alle sole operazione di carico e scarico delle merci;
- nella resistenza del condominio convenuto, il Tribunale di Genova rigettò la domanda;
- sul gravame proposto dall'attore, la Corte di Appello di Genova confermò la pronuncia di primo grado;
- per la cassazione della sentenza di appello ricorre G.F.D. sulla base di un unico motivo;
- resiste con controricorso il Condominio dell'edificio sito in (OMISSIS);
Atteso che:
- l'unico motivo di ricorso (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1102 e 1120 c.c. e artt. 112 e 342 c.p.c., per avere la Corte di Appello omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame col quale l'appellante aveva lamentato la violazione degli artt. 1102 e 1120 c.c. e per avere la Corte territoriale ritenuto la legittimità delle Delib. che vietavano ai condomini di parcare le loro auto nell'area condominiale antistante il fabbricato, disponendo la collocazione di paletti e di fioriere) appare manifestamente infondato, in quanto trattasi di delibere che hanno regolamentato l'uso della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c., senza alterarne la funzione o la destinazione, e che - in quanto tali - non danno luogo ad innovazioni ai sensi dell'art. 1120 c.c., da approvare a maggioranza qualificata, non potendosi ritenere che l'apposizione di ostacoli alla sosta (paletti, fioriere) dia luogo ad opere di trasformazione che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 945 del 16/01/2013, Rv. 624969; Sez. 2, Sentenza n. 4340 del 21/02/2013, Rv. 625186; Sez. 2, Sentenza n. 18052 del 19/10/2012, Rv. 623897; Sez. 2, Sentenza n. 2464 del 12/07/1968, Rv. 334891);
Ritenuto che il ricorso può essere avviato alla trattazione camerale, per essere ivi rigettato";
Considerato che:
- il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis c.p.c., alla quale non sono stati mossi rilievi critici (anzi il resistente ha depositato memoria adesiva alla detta relazione);
- il ricorso, pertanto, deve essere rigettato;
- le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte soccombente;
- ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.200,00 (duemiladuecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile - 2, il 24 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2016
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martedì 18 ottobre 2016

Usucapione delle aree destinate a parcheggio anche se vi è vincolo

La proprietà delle aree interne o circostanziali ai fabbricati di nuova costruzione su cui grava il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, può essere acquistata per usucapione, non comportando tale vincolo indisponibilità, inalienabilità e incommerciabilità.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 marzo – 22 aprile 2016, n. 8220
Presidente Matera – Relatore Scarpa

Una massima semplice per una vicenda assai complessa in fatto e in diritto. Il fatto: “Gli attori assumevano di aver acquistato dalla costruttrice S.r.l. Edilizia Egeria i loro rispettivi appartamenti in un complesso di tre edifici, siti in (…) ed aventi accesso da Via (omissis), da Via (omissis), e da Via (omissis) ; e che la S.r.l. Edilizia Egeria, in violazione dei cinque patti d’obbligo presentati al Comune per ottenere la licenza edilizia, non aveva destinato a parcheggio l’area di mq. 6.354,90, sottostante gli edifici e i cortili, avendo in detto spazio costruito posti auto, box e sottonegozi alienati a condomini degli edifici stessi. Aggiungevano gli attori che contro la S.r.l. Edilizia Egeria essi avevano iniziato altro giudizio, in esito al quale la Corte di Appello di Roma, con la sentenza n. 388/1992, aveva accertato il loro diritto reale all’uso dell’area destinata a parcheggio e condannato la S.r.l. Edilizia Egeria al rilascio della stessa. Poiché, nonostante le numerose richieste inoltrate agli attuali possessori, non era stato possibile ottenerne la consegna dell’area, la citazione era volta, in attuazione della citata sentenza, a conseguire la condanna dei convenuti al relativo rilascio… Costituitosi il contraddittorio, i convenuti in via preliminare chiedevano il rigetto della domanda, eccependo che la richiamata sentenza della Corte di Appello, svoltasi contra la S.r.l. Edilizia Egeria, era loro inopponibile, in quanto rimasti estranei a tale giudizio. Nel merito, i convenuti deducevano d’aver utilizzato le porzioni immobiliari, rispettivamente acquistate, secondo la destinazione urbanistica di cui alle licenze edilizie, ovvero alle concessioni in variante o in sanatoria, e aggiungevano che per tutte le porzioni era stata rilasciata la conforme certificazione di abitabilità. In via riconvenzionale, i medesimi convenuti chiedevano, quindi, che fosse accertato l’avvenuto acquisto per usucapione delle rispettive porzioni immobiliari, ai sensi dell’articolo 1159 c.c. ovvero dell’articolo 1158 c.c.; in via subordinata, domandavano che venisse determinata l’integrazione del prezzo d’acquisto, ovvero l’indennità loro spettante per la perdita del diritto sui locali acquistati.” Le questioni di diritto risolte sono molteplici. In primo luogo la Corte rileva che ove all’epoca dei fatti sussistesse regime vincolistico in ordine al trasferimento non può applicarsi la disciplina più favorevole intervenuta successivamente: “Basta ribadire, in proposito, come, secondo il costante orientamento di questa Corte, l’art.12, comma 9, della legge 28 novembre 2005, n. 246, che ha modificato l’art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ed in base al quale gli spazi per parcheggio possono essere trasferiti in modo autonomo rispetto alle altre unità immobiliari, non ha effetto retroattivo, né natura imperativa; ne consegue che nei casi in cui, come quello in esame, al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina risultassero già stipulati gli atti di vendita delle singole unità immobiliari, trova applicazione la disciplina anteriore, di cui al citato art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942 (Cass. 5 giugno 2012, n. 9090; Cass. 1 agosto 2008, n. 21003).” in secondo luogo si afferma l’assolutezza del vincolo di destinazione che può essere fatto valere, alla stregua di un diritto reale, nei conforti di qualunque terzo: “ il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio dall’art. 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo il testo introdotto dalla legge 6 agosto 1967 n. 765, art. 18, norma di per sé imperativa, non può subire deroghe mediante atti privati di disposizione degli stessi spazi, le cui clausole difformi sono perciò sostituite di diritto dalla medesima norma imperativa. Tale vincolo si traduce in una limitazione legale della proprietà, che può essere fatta valere, con l’assolutezza tipica dei diritti reali, nei confronti dei terzi che ne contestino l’esistenza e l’efficacia. Pertanto coloro che abbiano acquistato le singole unità immobiliari dall’originario costruttore - venditore, il quale, eludendo il vincolo, abbia riservato a sé la proprietà di detti spazi, ben possono agire per il riconoscimento del loro diritto reale d’uso direttamente nei confronti dei terzi ai quali l’originario costruttore abbia alienato le medesime aree destinate a parcheggio. In un tale giudizio (qual è quello in esame), intercorrente tra gli acquirenti degli immobili illegittimamente privati del diritto all’uso dell’area pertinente a parcheggio ex art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ed i terzi che abbiano acquistato porzioni di tale area, la nullità dei negozi stipulati dai primi, nella parte in cui sia stata omessa tale inderogabile destinazione, con conseguente loro integrazione “ope legis”, è rilevabile anche “incidenter tantum”, sicché non deve necessariamente correlarsi alla verifica della sussistenza e dell’opponibilità, in via immediata o, appunto, riflessa, di un giudicato conseguito nei confronti dell’originario costruttore - venditore. Come pure, in un giudizio così congegnato, non si impone nemmeno che sia convenuto il costruttore - venditore, pur spettando a questo l’eventuale diritto (personale) a conseguire l’integrazione del prezzo di acquisto da coloro che agiscano per ottenere il riconoscimento del loro diritto d’uso sugli spazi vincolati a parcheggio (Cass. 14 novembre 2000, n. 14731; Cass. 25 marzo 2004, n. n. 5755).” Ulteriore statuizione sussiste circa la natura del vincolo di destinazione e la legittimazione della sola P.A. a variarne natura e caratteristiche per i profili di rilievo pubblicistico: “Per la concreta attuazione, invece, della costituzione del diritto reale di uso per parcheggio, soltanto in assenza di relativa previsione nell’atto concessorio, o nel regolamento condominiale, o negli atti di acquisto dei singoli appartamenti, è consentito chiedere al giudice tale identificazione (Cass. 11 agosto 1997, n. 7474). Ai fini del rispetto del vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio dall’art. 41 sexies citato, infatti, il rapporto tra la superficie delle aree destinate a parcheggio e la volumetria del fabbricato, così come richiesto dalla legge, va effettivamente verificato a monte dalla P.A. nel rilascio della concessione edilizia. La rimozione del vincolo a parcheggio sulle aree individuate in sede di rilascio della concessione edilizia come condizione essenziale per lo stesso rilascio, può tuttavia avvenire tramite una nuova concessione in variante, al fine di trasferirlo su altre zone riconosciute idonee. L’art. 41 sexies della Legge urbanistica opera, pertanto, come norma di relazione nei rapporti privatistici e come norma di azione nel rapporto pubblicistico con la P.A., la quale non può autorizzare nuove costruzioni che non siano corredate di dette aree, costituendo l’osservanza della norma condizione di legittimità della licenza (o concessione) di costruzione, e alla quale esclusivamente spetta l’accertamento della conformità degli spazi alla misura proporzionale stabilita dalla legge e della loro idoneità ad assicurare concretamente la prevista destinazione.“ Di grande interesse anche la notazione circa la natura dell’atto con cui il costruttore vincola quelle aree e il diritto dei condomini ad azionare i diritti derivanti, che può trarre origine non direttamente dall’atto amministrativo ma da una eventuale disciplina negoziale che lo recepisca: “l’atto con il quale un proprietario costruttore si sia impegnato nei confronti del Comune, ai fini del rilascio della concessione edilizia, a conferire una particolare destinazione a determinate superfici, non è riconducibile alla figura del contratto a favore di terzi, di cui all’art. 1411 c.c., sia perché non costituisce un contratto di diritto privato, sia perché non ha neppure la specifica autonomia e natura di fonte negoziale di un regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, caratterizzandosi, piuttosto, come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento concessorio finale, dal quale promanano soltanto poteri autoritativi della P.A. e non la possibilità per i terzi privati di accampare diritti sulla sua base. Ne consegue che, per il rispetto dell’obbligo di destinazione assunto dal proprietario-costruttore, salva l’ipotesi che esso sia stato trasfuso in una disciplina negoziale all’atto del trasferimento della singola unità immobiliare da lui realizzata, i singoli condomini non hanno alcuna azione, fermo il diritto al risarcimento del danno qualora l’inosservanza dell’obbligo concreti una violazione delle norme urbanistiche (Cass. 20 novembre 2006, n. 24572; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2742). infine la statuizione relativa alla usucapione, che deve essere ritenuta ammissibile anche per tali beni e avrebbe anche effetto estintivo del vincolo “La Corte d’appello ha, in estrema sintesi e facendo salve le diversità delle singole posizioni scrutinate, riconosciuto in favore degli appellanti principali ed incidentali l’acquisto dei rispettivi beni per usucapione decennale, fermo restando il vincolo di destinazione a parcheggio. Ora, questa Corte ha effettivamente più volte riconosciuto come “la proprietà delle aree interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, su cui grava il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, può essere acquistata per usucapione, non comportandone tale vincolo indisponibilità, inalienabilità e incommerciabilità” (Cass. 15 novembre 2002, n. 16053; Cass. 7 giugno 2002, n. 8262). Tale possesso utile a fini di usucapione decorre in danno del proprietario dal momento dell’atto di acquisto, essendo soltanto a far tempo da esso possibile considerare distintamente il diritto dominicale (trasferito) e quello al parcheggio (non trasferito) sull’area destinata a parcheggio. Non è stata oggetto di censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha riconosciuto l’usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c. in favore degli appellanti. La soluzione adottata avrebbe dovuto indurre, in verità, ad affrontare il profilo della configurabilità dell’usucapione decennale, ai sensi dell’art. 1159 c.c., in favore di colui che abbia acquistato, come nella specie, un’area di parcheggio asseritamente vincolata al diritto d’uso “ex lege”, quanto, in particolare, alla sussistenza del requisito del titolo idoneo a trasferire la proprietà, trattandosi di atto nullo per contrarietà a norme imperative (cfr., in senso contrario all’ammissibilità, Cass. 24 maggio 2013, n. 12996). La questione è tuttavia sottratta all’esame di questa Corte giacché, come detto, non oggetto di gravame. Ora, è evidente che la ravvisata usucapione in favore dei terzi acquirenti dell’area di parcheggio, a differenza di quanto afferma la sentenza della Corte di Roma, avrebbe effetto estintivo anche del vincolo pubblicistico di destinazione, in forza dell’efficacia retroattiva reale dell’usucapione stessa.” La sentenza è densa di moltissimi spunti di riflessione ed affronta ancora diverse questioni, assai rilevanti, così che - per coloro che siano interessati al tema - se ne consiglia comunque la lettura integrale.

di Massimo Ginesi
Coordinatore giuridico CSN ANACI
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