Di seguito il calendario di tutte le scadenze fiscali del mese di Novembre anno 2016
mercoledì 26 ottobre 2016
Posizione di garanzia dell’amministratore di condominio e nullità della nomina
In caso di nullità della nomina dell’amministratore, egli, in virtù della effettiva presa in carico del bene giuridico, assume la posizione di garanzia richiesta dall’ordinamento ai fini della fondazione della sua responsabilità penale.
- Introduzione
Nel presente scritto si analizza la questione della
permanenza o meno in capo all’amministratore di
condominio della posizione di garanzia – requisito
per la sua responsabilità penale – nel caso in
cui la nomina ex art. 1129 c.c. sia nulla.
È anzitutto necessario delineare brevemente le
nozioni di reato omissivo e di posizione di garanzia,
per poi, sottolineata la natura omissiva della
responsabilità dell’amministratore, soffermarsi
sulle criticità rappresentate dalla nullità della nomina
ed infine proporre una soluzione sulla base
delle teorie formale e funzionale.
- Il reato omissivo
La responsabilità omissiva si fonda sulla violazione
di una norma-comando: al soggetto viene
rimproverato di non avere tenuto la condotta doverosa
comandata dalla norma. I reati omissivi si
distinguono in omissivi propri e omissivi impropri
(o commissivi mediante omissione). I primi sono
reati di mera condotta: per l’integrazione della fattispecie
incriminatrice non è necessario il verificarsi
di un evento in senso naturalistico. Gli elementi costitutivi
di questi reati sono: 1) la situazione tipica,
ovvero la situazione fattuale descritta dalla norma;
2) la condotta omissiva del soggetto; 3) la possibilità
di agire dello stesso. Classico esempio di reato
omissivo proprio è l’omissione di soccorso (art. 593
c.p.): al soggetto è rimproverato, in presenza della
situazione tipica, ad esempio il rinvenimento di una
persona ferita (requisito 1), di non averle prestato
soccorso (requisito 2), pur potendo (requisito 3).
I secondi sono reati ad evento: per l’integrazione della fattispecie è necessario il verificarsi di un
evento in senso naturalistico. Gli elementi costitutivi
di questi reati sono: 1) l’obbligo giuridico di impedire
l’evento o obbligo di garanzia; 2) la condotta
omissiva del soggetto; 3) la realizzazione dell’evento
in senso naturalistico; 4) la sussistenza del nesso
causale tra condotta ed evento; 5) la possibilità di
agire del soggetto. Un esempio di reato omissivo
improprio è l’omicidio per omissionem: (artt. 40
co. 2, 575 c.p.): al soggetto – si ponga, l’addetto
all’azionamento dello scambio dei binari ferroviari al
passaggio di un treno – è rimproverato, in presenza
dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, cioè il
deragliamento del treno (requisito 1), di non avere
azionato lo scambio (requisito 2), pur potendo (requisito
5), cagionando così (requisito 4) la morte
dei passeggeri (requisito 3).
- La posizione di garanzia
- La responsabilità penale dell’amministratore ha natura per lo più omissiva
Il mandatario della compagine condominiale, infatti,
è gravato di molteplici obblighi di attivarsi; a titolo esemplificativo, basti pensare alle ipotesi
di omicidio colposo e di lesioni colpose per non
aver rimosso fonti di rischio insite nelle parti comuni
ed alle ipotesi previste dal D.Lgs. 81/2008
in tema di sicurezza sul lavoro. In tutti questi
casi l’amministratore è ritenuto responsabile per
non avere tenuto la condotta doverosa comandata
dalla norma, per non avere cioè adempiuto all’obbligo
giuridico di impedire l’evento lesivo.
La giurisprudenza ritiene che tale obbligo possa
nascere da qualunque ramo del diritto, e quindi
anche dal diritto privato, e specificamente da
una convenzione che da tale diritto sia prevista e
regolata, come è nel rapporto di rappresentanza
volontaria intercorrente tra il condominio e l’amministratore
(Cass. Pen. 2012 34147).
- La nullità della nomina
- Criticità: teoria formale e funzionale
Occorre rilevare che esistono due distinte teorie
della posizione di garanzia.
La teoria formale si occupa di stabilire quali siano
le fonti dell’obbligo di garanzia, rinvenendole nella
legge, nel contratto, nella precedente azione pericolosa,
nella negotiorum gestio. Si tratta di una
teoria molto rigorosa e tassativa, rispettosa del
principio di legalità, in quanto individua analiticamente
le ipotesi in cui sussiste responsabilità,
ma difetta nel proporre soluzioni adeguate nei casi
in cui la fonte giuridica sia formalmente invalida.
Sulla base di questa teoria, infatti, si deve concludere
che l’amministratore, in caso di nullità della
nomina, non può essere ritenuto penalmente responsabile
dei fatti cagionati dalle sue omissioni,
in quanto la fonte dell’obbligo di garanzia – la nomina,
dunque il contratto – risulta viziata.
La teoria funzionale non si occupa delle fonti formali
dell’obbligo impeditivo, ma individua il fondamento
della posizione di garanzia nella effettiva
presa in carico del bene giuridico tutelato dalla
norma incriminatrice. Questa teoria si pone in tensione
con il principio di legalità, ma si dimostra
molto attenta all’effettivo rapporto tra soggetto
gravato dall’obbligo impeditivo e bene tutelato.
Stando a questa impostazione, l’amministratore
di condominio, in caso di nullità della nomina,
è responsabile dei fatti cagionati dalle sue omissioni,
poiché, indipendentemente dai vizi formali
del contratto, la effettiva presa in carico del bene
giuridico tutelato dalla fattispecie che a seconda
della situazione venga in considerazione è sufficiente
per fondare la sua posizione di garanzia.
- Conclusioni
Alla luce di quanto esposto, in considerazione
del fatto che il novus normativo rappresentato
dall’art. 71 bis disp. att. c.c. configura ed insiste
sulla rilevanza sociale della posizione dell’amministratore
di condominio all’interno del nostro ordinamento,
sembra più aderente al dato positivo
privilegiare la teoria funzionale e le sue conseguenze,
tanto più che la dottrina e la giurisprudenza
prevalenti – occupandosi in generale della
bontà dell’una e dell’altra teoria – optano per
quella qui proposta, mettendo in risalto l’aspetto
concreto della gestione operativa.
Si conclude pertanto affermando che, in caso di
nullità della nomina dell’amministratore, egli, in
virtù della effettiva presa in carico del bene giuridico,
assume la posizione di garanzia richiesta
dall’ordinamento ai fini della fondazione della sua
responsabilità penale.
di Andrea Marostica
Avvocato
Il mistero del sottotetto: Monsieur Mansart
Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può effettuarne la parziale trasformazione in terrazza di proprio uso esclusivo, purché risulti che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione svolta dal tetto e che gli altri condomini non siano privati della possibilità di farne uso.
Confesso la mia ignoranza, ma non sapevo che il termine “mansarda” fosse dovuto a Francois Mansart, architetto d’oltralpe che, nel Seicento, aveva imposto in Francia tale ambiente abitabile o, comunque, vivibile, di solito recuperato dal sottotetto dell’edificio; in effetti, alcuni quartieri della romantica Parigi presentano questo stile caratteristico con le finestre ad abbaino, dando vita ad un suggestivo paesaggio urbano.
Anche se tali unità immobiliari vengono comunemente intese come sinonimi, più tecnicamente, nel sottotetto, il tetto di copertura del fabbricato segue una linea inclinata, mentre, nella mansarda, tale linea, partendo dal centro e proseguendo verso l’esterno, ad un certo punto “piega” bruscamente verso il basso, passando da 45 gradi a verticale, creando, al di sotto del tetto, uno spazio più arioso, accogliente ed accessibile anche vicino i muri perimetrali.
Sotto il profilo giuridico, mantenendo l’indagine nell’alveo civilistico, va ricordato che, nell’impostazione del codice civile, il sottotetto non risultava compreso esplicitamente nell’elenco dei beni che, ai sensi dell’art. 1117 c.c., “sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo”, ed era comunemente escluso dalla nozione tecnica di tetto, in quanto costituito dalla struttura, avente normalmente funzione isolante (da freddo, caldo, umidità), posta appunto al di sotto del tetto e, al contempo, al di sopra del solaio di copertura dell’unità immobiliare sita all’ultimo piano dello stabile (sul versante dottrinale, in termini generali, SALCIARINI, in CELESTE - SALCIARINI, I beni comuni. L’individuazione e l’utilizzazione, Milano, 2009, 140; SPAGNUOLO, Sottotetto e lastrico solare, in Immob. & diritto, 2008, n. 6, 25; TORTORICI, Il sottotetto, in Immob. & proprietà, 2006, 22; BALZANI, Il sottotetto, in Arch. loc. e cond., 1994, 31).
Da tale prevalente funzione tesa a preservare dagli agenti atmosferici - tanto che veniva denominato anche camera d’aria, palco morto, intercapedine - svolta a favore della porzione di piano sottostante, derivava, di regola, la sua esclusione dal novero dei beni comuni; in altre ipotesi, veniva evidenziata la relazione materiale esistente tra cosa principale e cosa secondaria, attribuendo il dovuto rilievo al carattere differenziato del nesso “strutturale” fra il sottotetto medesimo e l’appartamento ad esso collegato da una scala, sicché, essendo una pertinenza della porzione di piano, il sottotetto veniva normalmente considerato di proprietà del medesimo titolare della porzione stessa.
Sul punto, va registrata una diversa prospettiva da parte della Riforma del 2013, la quale, al n. 2) del riformato art. 1117 c.c., ha espressamente inserito, tra i beni di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, “i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune” (si pensi a quei volumi, discretamente ampi e praticabili, che vengono utilizzati per permettere l’ingresso alle scale comuni o per allocarvi le macchine dell’ascensore, le pompe delle autoclavi, le centrali termiche e, in genere, quegli impianti che non possono ospitarsi in altri parti dell’edificio).
La legge n. 220/2012 ha forse voluto chiarire la natura di tale ambiente, atteso che, dall’entrata in vigore del codice civile del 1942, il relativo argomento si è rivelato oggetto di accesa discussione, anche perché oggetto di un discreto business edilizio.
Trattasi, infatti, di un bene molto “appetibile”, specie nei grandi centri urbani, attesa la possibilità che tale volume tecnico possa essere trasformato in mansarda abitabile - oltre che soffitta, deposito, stenditoio, ripostiglio e quant’altro - e ciò a prescindere da ogni conseguenza in ordine alla revisione delle tabelle millesimali e dalle considerazioni di carattere urbanistico di cui appresso (tra i contributi afferenti al previgente regime, si segnala, altresì, REZZONICO, La disciplina condominiale di soffitte, mansarde e sottotetti, in Arch. loc. e cond., 1986, 205).
In proposito, la risposta della giurisprudenza, specie di legittimità, è stata molto variegata in ordine all’appartenenza del locale sottotetto, risultando la netta contrapposizione, di solito, tra il proprietario dell’ultimo piano (o dell’unità immobiliare ivi posta) e gli altri condomini, tanto da farne, almeno per i non addetti ai lavori, un oggetto “misterioso” e quantomeno causando un certo disorientamento anche tra gli operatori del settore.
Ovviamente, il dilemma sull’assetto proprietario ha conseguenze pratiche di notevole spessore riguardo sia all’utilizzo dello stesso bene sia all’imputabilità delle relative spese di conservazione/manutenzione, anche se va riconosciuto che i pronunciamenti sul punto risentono delle peculiari situazioni dello stato dei luoghi sotteso alle fattispecie esaminate (in argomento, COSCETTI, Proprietà del sottotetto, in Riv. giur. edil., 2009, I, 1530; DE TILLA, Quando la proprietà del sottotetto è pertinenza dell’appartamento, in Immob. & diritto, 2005, n. 5, 32).
Ad esempio, in un caso concreto affrontato, di recente, dalla Suprema Corte - v. Cass. 12 agosto 2011 n. 17249, in Foro it., Rep. 2011, voce Comunione e condominio, n. 178 - i giudici di merito avevano dichiarato che l’ampia porzione di solaio sita al quinto piano di uno stabile era di proprietà del condomino-attore, condannando il convenuto al rilascio della medesima ed alla rimessione in pristino del vano di accesso a tale sottotetto.
Segnatamente, nella fattispecie affrontata da tale sentenza, era esatta la censura che, al fine di fornire la prova della proprietà esclusiva, non potessero in generale essere determinanti né le risultanze dell’eventuale regolamento di condominio, né l’eventuale inclusione del bene nelle tabelle millesimali, come proprietà esclusiva del singolo condomino - v. anche infra - ma la corte territoriale aveva anche considerato che la società costruttrice, ed unica originaria proprietaria, si era riservata la proprietà del sottotetto in questione in sede di costituzione del condominio, allorché, con il primo atto di compravendita, aveva proceduto ad alienare una delle unità immobiliari comprese nell’edificio, ritenendo questa riserva di proprietà del sottotetto confermata dal regolamento condominiale contrattuale e dalla tabella millesimale, espressamente richiamati nel primo atto di compravendita (in altri termini, era stata raggiunta la prova della proprietà del sottotetto in capo all’attore in base ad un regolare atto a titolo derivativo compiuto con il costruttore il quale, in sede di costituzione del condominio, se ne era riservata la proprietà).
Si è ribadito, in punto di diritto, che la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, non essendo lo stesso sottotetto compreso nel novero delle parti comuni dell’edificio essenziali per la sua esistenza - quali il tetto, il muro maestro, il suolo, ecc. - o necessarie all’uso comune, può ritenersi comune solo se esso risulti in concreto, per le sue “caratteristiche strutturali e funzionali”,oggettivamente destinato, anche solo potenzialmente, all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (v. Cass., 19 dicembre 2002 n. 18091, in Notariato, 2003, 361; Cass. 11 maggio 2000 n. 6027, in Foro it., Rep. 2000, voce Comunione e condominio, n. 112).
In questa ipotesi, si applica la presunzione di comunione prevista dall’art. 1117 c.c., la quale opera ogni volta che, nel silenzio del titolo, il bene sia suscettibile, per le suddette caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i comproprietari (v. Cass. 20 luglio 1999 n. 7764, in Giur. it., 2000, 730, con nota di BERGAMO; Cass. 19 novembre 1997 n. 11488, in Foro it., Rep. 1997, voce Comunione e condominio, n. 111; Cass. 15 maggio 1996 n. 4509, in Arch. loc. e cond., 1996, 719, la quale si è occupata del caso in cui il sottotetto era dotato di una comunicazione diretta con il vano scale comune e di un lucernario per l’accesso al tetto comune, destinazione che costituiva il fatto noto ex art. 2727 c.c. posto dalla legge a base della presunzione di comunione di cui sopra).
Lo stesso sottotetto deve, invece, considerarsi pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano allorché assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria, e non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo (v. Cass. 20 giugno 2002 n. 8968, in Arch. loc. e cond., 2002, 732; Cass. 15 giugno 1993 n. 6640, in Arch. loc. e cond., 1993, 727). In quest’altra ipotesi, il proprietario ha però diritto di utilizzarlo, in conformità delle norme urbanistiche vigenti, come deposito, stenditoio, ma anche come parte della sua abitazione: é il tipico caso del sottotetto con la pavimentazione formata da tavolati di legno, con altezza minima, senza ingresso dalle parti comuni ed al quale si può accedere unicamente dall’appartamento sottostante attraverso la creazione di un’apposita apertura.
In quest’ottica, il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può effettuarne la parziale trasformazione in terrazza di proprio uso esclusivo, purché risulti che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione svolta dal tetto e che gli altri potenziali condomini-utenti non siano privati di reali possibilità di farne uso (v. Cass. 4 febbraio 2013 n. 2500, in Foro it., Rep. 2013, voce Comunione e condominio, n. 202; Cass. 3 agosto 2012 n. 14107, in Arch. loc. e cond., 2013, 31, la quale sottolinea la raccomandazione che resti complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene).
Applicando i medesimi principi ma giungendo a diverse conclusioni, un’altra pronuncia del Supremo Collegio (v. Cass. 7 febbraio 1998 n. 1303, in Arch. loc. e cond., 1998, 385) ha premesso che il sottotetto di un edificio si considera una pertinenza dell’appartamento dell’ultimo piano quando assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento, e non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione da parte di tutti i condomini come vano autonomo; in quest’ultima ipotesi, poiché il sottotetto non si comprende tra le parti comuni indicate dall’art. 1117 c.c. (vecchio testo), la sua appartenenza deve essere determinata in base al titolo, sicché, in mancanza, la proprietà comune si desume dalla “oggettiva destinazione all’uso comune”, peraltro anche in via soltanto potenziale (v., altresì, Cass. 29 ottobre 1992 n. 11771, in Riv. giur. edil., 1993, I, 1037; Cass. 18 ottobre 1988 n. 5668, in Foro it., Rep. 1988, voce Comunione e condominio, n. 41; Cass. 22 aprile 1986 n. 2824, in Riv. giur. edil., 1986, I, 745).
Nella specie, tale sentenza ha dato atto che il sottotetto, per l’altezza (variabile da mt. 2,20 al perimetro e mt. 3,00 alla mezzeria), per le dimensioni, per la finalità di passaggio obbligato per tutti i condomini per raggiungere i quattro terrazzi posti ai quattro angoli dell’edificio, in sintesi, per la struttura e per la funzione, non costituiva una mera camera d’aria destinata ad isolare e proteggere il piano sottostante, ma raffigurava un vano autonomo utilizzabile da tutti i partecipanti al condominio.
Dal canto suo, Cass. 4 dicembre 1999 n. 13555 (in Rass. loc. e cond., 2000, 155) ha avuto modo di specificare che il discrimen sta nell’accertamento della circostanza per cui il suddetto sottotetto, per esser considerato pertinenza dell’appartamento all’ultimo piano ad esso direttamente sottostante, debba avere l’esclusiva “funzione di intercapedine coibente” per il medesimo, mentre, qualora le sue caratteristiche, dimensioni e funzioni evidenzino l’utilizzazione o anche la sola utilizzabilità del medesimo da parte di tutti i condomini - salvo sempre che risulti il contrario dal titolo - deve presumersi che esso rientri tra le parti comuni dell’edificio, ai sensi dell’art. 1117 c.c., in ragione dell’oggettiva destinazione all’uso e al godimento collettivi.
Dunque, l’ambiente ricavato sotto il tetto dell’edificio in condominio, in modo da formare una camera d’aria limitata, in alto, dalla struttura del tetto e, in basso, dal solaio che copre i vani dell’ultimo piano, assolve, di regola, ad una funzione isolante e protettiva di questi vani e, quando non risulti una diversa destinazione o non sia diversamente disposto dal titolo, non è, quindi, oggetto di comunione ma costituisce pertinenza dell’appartamento dell’ultimo piano.
Propende più per la condominialità del bene, invece, Cass. 18 marzo 1987 n. 2722 (in Arch. loc. e cond., 1987, 264), ad avviso della quale il sottotetto in oggetto, sia che assolva esclusivamente una funzione isolante a protezione dell’ultimo piano, costituendo pertinenza e, quindi, parte integrante dello stesso, sia che assolva anche altre funzioni oppure abbia dimensioni e caratteristiche tali da consentire l’utilizzazione come vano autonomo, la cui appartenenza va determinata solo in base ad un titolo, può considerarsi di proprietà comune se, per caratteristiche strutturali e funzionali, risulti, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (cui adde Cass. 5 aprile 1982 n. 2090, in Arch. loc. e cond., 1982, 231).
Interessante, poi, la precisazione offerta da Cass. 8 agosto 1986 n. 4970 (in Arch. loc. e cond., 1986, 624), per la quale, se il sottotetto assolve l’esclusiva funzione di isolare i vani dell’alloggio ad esso sottostanti, si pone in rapporto di dipendenza con i vani stessi cui serve da protezione e non può essere, pertanto, da questi ultimi separato senza che si verifichi l’alterazione del rapporto di complementarietà dell’insieme, conseguendone che, non essendo in tale caso il sottotetto idoneo ad essere utilizzato separatamente dall’alloggio sottostante cui accede, non è configurabile il possesso ad usucapionem dello stesso da parte del proprietario di altra unità immobiliare (in dottrina, SANTERSIERE, Appartamento all’ultimo piano del condominio. Pertinenza/usucapione del sottotetto, in Arch. loc. e cond., 2011, 680).
Da quanto sopra esposto deriva che, se il sottotetto è di proprietà condominiale, il suo utilizzo esclusivo da parte del proprietario dell’ultimo piano richiede il consenso unanime di tutti gli altri condomini, che possono anche decidere di venderlo all’interessato, ma è sufficiente l’opposizione di un singolo condomini per impedire sia l’utilizzo esclusivo che la vendita (in dottrina, ACCORDINO, Trasformazione del vano sottotetto in unità abitativa: nuove e vecchie problematiche, in Arch. loc. e cond., 2001, 424; BAIO, Trasformazione del sottotetto in unità abitativa e problemi condominiali, in Arch. loc. e cond., 1986, 589).
Qualora il singolo condomino, senza o contro la volontà degli altri condomini, si comporta di fatto come se fosse il proprietario del sottotetto e manifesti apertamente la volontà di utilizzarlo per sé e lo annetta al proprio appartamento, escludendo fisicamente gli altri condomini dal relativo uso, egli potrebbe usucapire il medesimo sottotetto trascorsi venti anni, a meno che gli altri condomini abbiano proposto un atto interruttivo o, meglio, una causa nei suoi confronti (si pensi ad un’azione possessoria per grave turbativa o per spoglio se il condomino, realizzando i lavori, consapevolmente alteri la preesistente situazione di fatto).
In argomento, appare criticabile il recente decisum di Cass. 23 agosto 2007 n. 17928 (in Immob. & diritto, 2009, n. 1, 21, commentata da DE TILLA), secondo cui la presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell’art. 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, conseguendone che, per vincere tale presunzione, colui che rivendica la proprietà esclusiva del sottotetto ha l’onere di fornire la prova di tale diritto e, a tal fine, è necessario un titolo di acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, sicché non sarebbero state determinanti né l’eventuale inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino, e neppure “le risultanze di un eventuale regolamento di condominio”.
Quest’ultima affermazione, nella sua assolutezza ossia senza ulteriori specificazioni, lascia alquanto perplessi: invero, a differenza del regolamento assembleare, il cui contenuto è limitato all’aspetto “gestorio” nelle materie predeterminate assegnate dal codice civile alla competenza dell’assemblea (art. 1138, comma 1, c.c.), il regolamento contrattuale, fondandosi sul consenso degli interessati a base dell’autonomia privata, può avere un contenuto estremamente vasto - ovviamente, con i limiti di cui al comma 4 del medesimo art. 1138 (“le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare … e in nessun caso possono derogare …”) - mirando soprattutto a disciplinare la titolarità ed il godimento delle cose comuni ed esclusive.
Se il regolamento riveste tale efficacia negoziale o convenzionale - oltre che contenere eventualmente le norme in ordine all’amministrazione lato sensu della cosa comune (disciplinando le materie specificatamente indicate nel citato comma 1), mediante una disciplina più stringente e puntuale - lo stesso, sul piano della “disposizione” delle situazioni di condominio e di proprietà esclusiva, può produrre incrementi o diminuzioni patrimoniali nell’àmbito condominiale: in questa prospettiva, il regolamento contrattuale può ben costituire “titolo” per l’individuazione dei beni facenti parte della comunione edilizia, operando vere e proprie riserve di proprietà in favore dell’iniziale proprietario circa beni altrimenti presunti comuni.
Ciò è stato evidenziato dalla giurisprudenza, ad esempio, riguardo agli spazi esistenti nel piano interrato, o per quanto concerne un’autorimessa o un cortile adiacente allo stabile (v., ex multis, Cass. 14 febbraio 1981 n. 908, in Foro it., 1981, I, 2495, con nota di FRANCARIO, sui locali destinati al servizio di portierato; Cass. 23 luglio 1994 n. 6884, in Arch. loc. e cond., 1995, 92, circa un locale sottostante al piano terreno; Cass. 6 dicembre 1991 n. 13160, in Riv. giur. edil., 1992, I, 580, sull’impianto di fognatura; Cass. 6 luglio 1984 n. 3966, in Vita notar., 1985, 161, commentata da TERZAGO, in ordine all’impianto di riscaldamento). Nella stessa lunghezza d’onda, sono da considerarsi di proprietà esclusiva di un singolo condomino, escludendone pertanto la “condominialità”, il lastrico solare o il tetto, indipendentemente dalla circostanza che i beni stessi siano compresi, ai sensi dell’art. 1117 c.c., tra quelli per i quali esiste la presunzione di comproprietà (v. Cass. 11 novembre 2002 n. 15794, in Riv. giur. edil., 2003, I, 917; Cass. 4 giugno 1992 n. 6892, in Arch. loc. e cond., 1992, 761).
Tale articolo, infatti, sancisce una presunzione iuris tantum di proprietà comune delle parti dell’edificio in condominio necessarie all’esistenza stessa di questo oppure destinate in modo permanente all’uso o al godimento comune, che può essere vinta dagli elementi contrari risultanti dal titolo, per tale intendendosi - oltre gli atti di acquisto delle unità immobiliari - il regolamento di condominio ad essi allegato o in essi richiamato, conosciuto ed accettato dagli acquirenti.
In particolare, il regolamento contrattuale può contenere l’inclusione esplicita tra le cose comuni, soggette sia alla comunione necessaria, sia alla correlata indivisibilità funzionale, sia all’inseparabilità pro quota dai trasferimenti delle proprietà esclusive, di cose determinate per le quali sia incerta la riconducibilità alla categoria delle cose comuni in regime di condominio; in tal caso, il regolamento contiene un atto negoziale di accertamento del rapporto di inerenza della cosa espressamente considerata con quelle comuni ex art. 1117 c.c., con l’effetto di individuare i limiti oggettivi delle proprietà esclusive e le corrispondenti quote sulle cose comuni, di escludere la separata disponibilità della cosa inclusa tra quelle comuni, e di prevenire controversie circa la distinta utilizzabilità della cosa stessa indipendentemente dall’esistenza di un valido titolo costitutivo di diritti sulla medesima nel contesto dei concorrenti diritti degli altri condomini.
Resta fermo che, per vincere in base al titolo la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell’edificio condominiale indicate nell’art. 1117 c.c., non sono sufficienti il frazionamentoaccatastamento e la relativa trascrizione, eseguiti a domanda del venditore costruttore, della parte dell’edificio in questione, trattandosi di atto unilaterale di per sé inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale, dovendosi riconoscere tale effetto solo al contratto di compravendita, in cui la previa delimitazione unilaterale dell’oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti (v. Cass. 18 aprile 2002 n. 5633, in Foro it., Rep. 2002, voce Comunione e condominio, n. 59), specificando, altresì, che non sono utilizzabili nemmeno i dati catastali, utili solo come concorrenti elementi indiziari di valutazione a fornire la prova richiesta (v. Cass. 15 giugno 2001 n. 8152, in Rass. loc. e cond., 2002, 276).
Tornando al sottotetto, come si nota, la soluzione non è agevole nelle situazioni border line, ossia quando tale ambiente è raggiungibile non dalle scale ma attraverso botole, o se il medesimo sottotetto non è abbastanza ampio per essere giudicato autonomo ed essere, quindi, utile a tutti, oppure quando il bene risulta di dimensioni ridotte ma ospitante impianti condominiali (come, ad esempio, la caldaia dell’impianto di riscaldamento o la centralina dell’antenna della televisione condominiale).
Per risolvere la questione concernente l’assetto proprietario, dunque, bisogna valutare caso per caso e, a tal fine, la precisazione aggiunta dalla Riforma del 2013 non sembra di grande ausilio.
Problema connesso è se la trasformazione del sottotetto in abitazione debba comportare la revisione delle tabelle millesimali ai sensi dell’art. 69, comma 1, disp. att. c.c., specie riguardo al n. 2), allorché, per le mutate condizioni di parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, “è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino” (così innovato a seguito della legge n. 220/2012).
Il nostro caso sarebbe rientrato tra le “innovazioni di vasta portata”, che compariva nel vecchio testo: se il significato del termine innovazione poteva riferirsi a qualsiasi intervento innovativo eseguito tanto sulle parti comuni dell’edificio tanto su quelle di proprietà esclusiva dei condomini - anche perché il legislatore si riferiva a mutamenti di una parte dell’edificio, senza operare distinzioni di sorta - le conseguenze si rivelavano più articolate, perché si trattava, al fine della revisione della c.d. tabella di proprietà, di verificare se l’innovazione de qua fosse di vasta portata e se l’alterazione interferisse “notevolmente” sul rapporto di valore originario; sembra, invece, opportuno modificare le c.d. tabelle di gestione, perché l’utilizzazione di un sottotetto come abitazione comporta un maggior uso di tutti i servizi condominiali che si estendono alle nuove unità abitative ancorché munite di impianti autonomi: infatti, anche i servizi di illuminazione scale, portierato, ascensore, acqua, pulizie, immondizie, ecc. vengono ad essere modificati dalla presenza di nuove entità (in dottrina, SALIS, Sottotetti abitabili e servizi comuni, in Riv. giur. edil., 1981, I, 71).
Un’altra interessante questione si è posta per chi ristruttura il sottotetto ad abitazione, cioè se debba o meno deve corrispondere l’indennizzo previsto dall’art. 1127 c.c.: si tratta di una somma di denaro, incassabile da ciascun condomino in caso di sopraelevazione, che il codice stabilisce pari al valore attuale dell’area da occupare con la nuova fabbrica, diviso per il numero di piani, ivi compreso quello da edificare e detratto l’importo della quota spettante al proprietario del sottotetto.
Al quesito hanno risposto gli ermellini, affermando che non si ha sopraelevazione in caso di mera trasformazione del sottotetto; in proposito, l’indennizzo de quo va corrisposto nella sola ipotesi di sopraelevazione realizzata mediante la costruzione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) sull’area sovrastante il fabbricato, con conseguente innalzamento dell’originaria altezza dell’edificio, e non anche nel caso in cui il proprietario dell’ultimo piano apporti modificazioni soltanto interne al sottotetto - trasformandolo, come nella specie, in unità abitativa autonoma - contenute negli originari limiti strutturali delle parti dell’edificio sottostanti alla sua copertura (v. Cass. 24 ottobre 1998 n. 10568, in Riv. giur. edil., 1999, I, 435, con nota di GIVRI; Cass. 10 giugno 1997 n. 5164, in Foro it., Rep. 1997, voce Comunione e condominio, n. 139). In senso contrario, appare di recente propensa la magistratura di vertice - v., tra le altre, Cass. 18 novembre 2011 n. 24327, in Riv. notar., 2012, 637, commentata da MUSOLINO - ad avviso della quale l’indennità prevista dall’art. 1127 c.c. per la costruzione sopra l’ultimo piano dell’edificio è dovuta anche per la trasformazione di locali preesistenti, mediante incrementi delle superfici e delle volumetrie, “indipendentemente dall’altezza del fabbricato”, traendo fondamento dall’aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni, conseguente all’incremento della porzione di proprietà esclusiva; e ciò sulla scia della pronuncia del supremo organo di nomofilachia - v. Cass. S.U. 30 luglio 2007 n. 16794, che può leggersi, tra le altre riviste, in Corr. giur., 2008, 650, con nota di IZZO - a tenore della quale, qualora il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio innalzi mura perimetrali, rifacendo il tetto e creando nuove unità abitative sostitutive delle precedenti soffitte esistenti, gli altri condomini del fabbricato hanno diritto a ottenere dal realizzatore la corresponsione dell’indennità di sopraelevazione di cui sopra, poiché l’indennizzo compete “a prescindere dal fatto che si siano realizzati nuovi piani o nuove fabbriche”, avendo l’indennità in questione natura sostanzialmente riparatoria, ed essendo essa finalizzata a compensare gli altri condomini della perdita derivante dalla diminuzione di valore di unità immobiliare della quale i predetti abbiano la proprietà.
Relativamente, infine, ai profili urbanistici, la giurisprudenza amministrativa - v. T.A.R. Campania 7 gennaio 2011 n. 16; T.A.R. Puglia 15 gennaio 2005 n. 143; T.A.R. Campania 17 giugno 2002 n. 3597 - è orientata nel senso di ritenere che i sottotetti, quando sono di altezza tale da poter essere suscettibili di abitazione o di assolvere a funzioni complementari (come quella, ad esempio, di deposito di materiali), devono essere computati ad ogni effetto sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell’altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza, non potendo essere annoverati tra i c.d. volumi tecnici.
In buona sostanza, la tipologia costruttiva e le dimensioni del manufatto realizzato in difformità rispetto al precedente titolo autorizzatorio, consistente nell’innalzamento del tetto e nella realizzazione di servizi, riflette con assoluta evidenza la sussistenza del contestato abuso che, in ragione dell’innegabile trasformazione edilizia del territorio che ad esso si riconnette, impone il previo rilascio di uno specifico permesso di costruire ad uso abitativo, che valga ad autorizzarne l’esecuzione (v., di recente, anche T.A.R. Lombardia 5 gennaio 2012 n. 38, che si pone in linea con Cons. Stato 7 febbraio 2011 n. 812).
di Alberto Celeste
Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione
venerdì 21 ottobre 2016
Gestione & Amministrazione: Capacità relazionali e gestionali del gestore immobiliare
Il rispetto dovremmo impararlo da bambini, prima in famiglia e poi a scuola. E’ alla base delle relazioni umane e del vivere in società: senza non si potrebbe condividere niente e la vita sociale non potrebbe esistere. Il dizionario Treccani definisce il rispetto come il “Sentimento che porta a riconoscere i diritti, il decoro, la dignità e la personalità stessa di qualcuno, e quindi ad astenersi da ogni manifestazione che possa offenderli […]
E’ la definizione più calzante di una parola abusata
e poco compresa e sentita. Il rispetto parte dal
principio che, nonostante siamo diversi, ognuno
di noi merita il riconoscimento da parte degli altri
di quello che è.
Il rispetto è una qualità a doppio senso: per ottenerlo,
dobbiamo darlo. Non possiamo pretenderlo
dagli altri senza impegnarci in prima persona.
Per mettere in pratica comportamenti rispettosi
dell’altro e dell’ambiente che ci circonda, dobbiamo anche imparare a comunicare nel modo giusto
i nostri disagi e le nostre sofferenze, senza
aggredire l’altro, costruendo un dialogo che sia
sinceramente comunicativo.
Purtroppo, spesso sentiamo che la nostra dignità
viene calpestata e, a volte, senza rendercene
conto calpestiamo e feriamo quella di altri. Raramente
si manca di rispetto intenzionalmente. Il
più delle volte non ce ne rendiamo proprio conto.
Siamo troppo presi dalle nostre cose, dai nostri
problemi, concentrati su noi stessi per accorgerci
che stiamo mancando di rispetto. Ma ce ne rendiamo
facilmente conto quando siamo noi a non
essere rispettati.
Il rispetto, come il suo contrario, riguarda quindi
le relazioni fra le persone. Se siamo fra amici,
familiari o conoscenti che hanno interessi e idee
uguali alle nostre è nel nostro e loro interesse
mantenere dei buoni rapporti, è presumibile che
il rispetto sia più facile. Inoltre l’affetto che proviamo
per le persone che ci circondano sublima le
differenze e fa soprassedere alle manchevolezze
che in altri non tolleriamo.
La situazione cambia quando il contesto è forzato e le relazioni sono obbligate dalla vicinanza
abitativa o lavorativa e il rispetto riguarda il
rapporto con il collega della scrivania accanto, o
quello in catena di montaggio o la commessa del
negozio dove lavoro.
Ma ancora più difficili ed esasperate possono diventare
le relazioni tra i condomini, nelle quali
la mancanza di rispetto e le accuse reciproche al
riguardo sono più una regola che un’eccezione e
finiscono con il coinvolgere anche l’amministratore.
La mancanza di rispetto fa perdere di vista
i problemi comuni, che si devono affrontare e
possibilmente risolvere, ed è causa delle deliranti
assemblee condominiali. I condomini, nonostante
condividano gli spazi e abbiano reali interessi comuni,
spesso, a causa della mancanza di rispetto
reciproco, oltre che di ascolto, si trovano coinvolti
in spirali perverse e in conflitti che consumano
energie e compromettono la qualità della vita e la
soluzione dei problemi.
La psicologia di comunità ha da sempre posto
l’attenzione sui rapporti dei microcosmi abitativi,
considerandoli espressione delle variegate relazioni
umane. L’idea utopica su cui si basa la teoria
è che una volta promossa la condivisione consapevole
di interessi comuni, si sviluppi il senso
di comunità. Questo ovviamente è il presupposto
per iniziare un lavoro di coinvolgimento in prima
persona degli attori presenti nel microcosmo
abitativo. Non solo è fondamentale diminuire le
difficoltà relazionali aumentando la coesione e
il senso di comunità tra i vicini di casa, ma è
importante il coinvolgimento degli attori esterni
a queste relazioni, come gli amministratori, per
imparare un linguaggio condiviso che porti all’ascolto
reciproco.
Tutte le parti coinvolte sono responsabili della
vivibilità degli spazi e protagonisti del miglioramento
della qualità della vita.
La comprensione e la consapevolezza che le scale
del condominio sono un bene comune, porta ad
avere rispetto dell’altro, migliorando le proprie
abitudini per favorire una convivenza pacifica.
La conoscenza dell’altro può aiutare a diminuire
la paura del diverso e aumentare il senso di sicurezza
che spesso ricerchiamo e abbiamo solo
chiudendo dietro di noi la porta di casa.
Ricostruire la parte buona delle relazioni che avevano
i nostri nonni nelle corti di campagna, può
aumentare la solidarietà tra le persone, portandole
a responsabilizzarsi rispetto alle problematiche
comuni agli altri e a diminuire i conflitti.
Capire che l’odore del cavolo lessato per le scale può
essere insopportabile, perché qualcuno te lo dice
con rispetto, può insegnare a cucinarlo in momenti
o in modalità diverse, per non infastidire il vicino!
Questo può essere esteso a tutti i comportamenti
che coinvolgono l’amministratore in questioni
che non hanno soluzioni nel codice civile o nei
regolamenti condominiali imposti ma sono solo
espressione della mancanza di rispetto verso gli
altri e degli spazi comuni.
Il processo di sensibilizzazione e di consapevolezza
può migliorare la relazione tra vicini, ma anche
con gli amministratori e i locatari, diminuendo
i conflitti inutili e migliorando la modalità per
affrontare quelli inevitabili.
di Elvio Raffaello Martini
Psicologo
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mercoledì 19 ottobre 2016
Quotazioni immobiliari: i dati relativi al primo semestre 2016
COMUNICATO STAMPA
Quotazioni immobiliari, online i dati relativi al primo semestre 2016
Sono consultabili sul sito dell’Agenzia delle Entrate e tramite l’applicazione per
smartphone Omi Mobile i dati relativi alle quotazioni immobiliari del primo semestre
2016, che forniscono un’indicazione dei prezzi al metro quadro per diverse tipologie di
immobili. Inoltre, da oggi le quotazioni possono essere anche scaricate, accedendo alla
banca dati tramite i servizi online dell’Agenzia, Entratel e Fisconline.
GEOPOI®
, quotazioni immobiliari a portata di zoom - Le quotazioni immobiliari
dell’Osservatorio consentono di avere un’indicazione di massima del valore di mercato
degli immobili nel settore residenziale, commerciale, terziario e produttivo. Cittadini,
istituzioni e operatori del settore possono consultare i valori tramite ricerca testuale
oppure tramite il servizio di navigazione territoriale GEOPOI®
, il framework
cartografico realizzato da Sogei, che permette una navigazione interattiva su mappa.
L’interfaccia è disponibile anche tramite l’applicazione Omi mobile, accessibile da
smartphone o tablet: digitando sul proprio browser l’indirizzo
http://m.geopoi.it/php/mobileOMI/index.php è, infatti, possibile conoscere le
informazioni relative agli immobili in base a semestre, Provincia, Comune, zona Omi e
destinazione d’uso.
La banca dati apre al download - Da oggi è attivo, inoltre, il servizio di download
gratuito delle quotazioni immobiliari per gli utenti registrati a Fisconline e ad Entratel,
che potranno scaricare i dati a partire dal primo semestre di quest’anno. Per avviare il
download è richiesta, quindi, la registrazione ai servizi online dell’Agenzia, necessaria
per garantire una maggiore sicurezza degli accessi.
Come consultare i dati - Collegandosi al sito internet www.agenziaentrate.it, nella
sezione Documentazione > Osservatorio del Mercato Immobiliare > Banche dati >
Quotazioni immobiliari è possibile consultare anche le quotazioni dei semestri
precedenti, a partire dal secondo semestre 2013.
Roma, 14 ottobre 2016
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martedì 18 ottobre 2016
D.Lgs. 18 Luglio 2016 n. 141 recante integrazioni al D.Lgs. 4 Luglio 2014 n. 102 e disamina dell’art. 9 Comma 5 in materia di termoregolazione e contabilizzazione
In data 27 luglio 2016, alle ore 10,00, presso la sede ANACI in Roma, alla via Cola di Rienzo 212, sono presenti:
- ANACI (Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari), nelle persone di Ing. Francesco Burrelli (Presidente), Avv. Gian Vincenzo Tortorici (Direttore del Centro Studi Nazionale), Dott. Andrea Finizio (Segretario Nazionale), Avv. Edoardo Riccio (coordinatore giuridico del Centro Studi Nazionale), Ing. Davide Vitali (coordinatore tecnico del Centro Studi Nazionale), Geom. Andrea Garbo (Segretario Centro Studi Nazionale);
- CNI (Consiglio Nazionale degli Ingegneri), nelle persone di Ing. Franco Barosso (Gruppo di Lavoro Energia)
- CNPI (Consiglio Nazionale dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati), nelle persone di Per. Ind. Renato D’Agostin (Vice Presidente) e Per. Ind. Franco Soma (Esperto del Consiglio Nazionale);
- AiCARR (Associazione Italiana Condizionamento dell’Aria Riscaldamento e Refrigerazione), nelle persone di Ing. Luca Alberto Piterà (Segretario Tecnico), Ing. Prof. Marco Dell’Isola (Membro del Consiglio Direttivo)
- ANTA (Associazione Nazionale Termotecnici ed Aerotecnici), nella persona di Ing. Laurent Socal (Presidente)
Vista la pubblicazione delle integrazioni al Decreto
Legislativo 4 luglio 2014, n. 102 con il D. Lgs.
141 del 18 luglio 2016 entrato in vigore il 26 luglio
2016, di attuazione della Direttiva 2012/27/UE
sull’efficienza energetica, che modifica le Direttive
2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le Direttive
2004/8/CE e 2006/32/CE.
Si sono riuniti con lo scopo di studiare le integrazioni
recentemente apportate al D. Lgs. 102/2014 in
materia di contabilizzazione e termoregolazione e la
loro applicazione negli edifici in condominio, segnatamente
gli articoli 9 (Misurazione e fatturazione
dei consumi energetici) comma 5 e 16 (Sanzioni)
commi 5, 6, 7 e 8.
Dall’approfondimento che ne è conseguito è emerso
quanto segue.
- TERMINI PER GLI ADEMPIMENTI
Non vi sono state proroghe per l’entrata in vigore
delle sanzioni che, pertanto, potranno essere irrogate
a decorrere dal 1 gennaio 2017.
- ARTICOLO 9 COMMA 5 LETTERA A) INSTALLAZIONE CONTATORE DI FORNITURA
(omissis)
a) qualora il riscaldamento, il raffreddamento
o la fornitura di acqua calda per un edificio
siano effettuati da una rete di teleriscaldamento
o da un sistema di fornitura centralizzato
che alimenta una pluralità di edifici, è
obbligatoria entro il 31 dicembre 2016 l’installazione
da parte delle imprese di fornitura
del servizio di un contatore di fornitura di
calore in corrispondenza dello scambiatore
di calore collegato alla rete o del punto di
fornitura.
(omissis)
NUOVO TESTO
(omissis)
a) qualora il riscaldamento, il raffreddamento
o la fornitura di acqua calda ad un edificio o a
un condominio siano effettuati tramite allacciamento
ad una rete di teleriscaldamento o
di teleraffrescamento, o tramite una fonte di
riscaldamento o raffreddamento centralizzata,
è obbligatoria, entro il 31 dicembre 2016,
l’installazione, a cura degli esercenti l’attività
di misura, di un contatore di fornitura in
corrispondenza dello scambiatore di calore di
collegamento alla rete o del punto di fornitura
dell’edificio o del condominio.
(omissis)
La precedente formulazione della norma presentava
molteplici dubbi interpretativi che, con la
modifica del testo, il Legislatore ha risolto.
Il soggetto tenuto all’installazione del contatore
di fornitura è il distributore nella sua qualità di
“esercente dell’attività di misura”. Il contatore,
difatti, è il confine tra la competenza del distributore
e quella del condominio.
La coincidenza di tale soggetto con il distributore
è confermata dall’articolo 9 comma 1 del D. Lgs.
102/2014.
Pertanto, i distributori del gas o del teleriscaldamento,
a loro cura, entro il 31 dicembre 2016,
dovranno provvedere ad installare un “contatore
di fornitura in corrispondenza dello scambiatore
di calore di collegamento alla rete o del punto di
fornitura dell’edificio o del condominio”. In caso
di supercondominio, pertanto, non dovranno essere
installati, a cura del distributore, ulteriori
contatori in riferimento a ciascun edificio.
Ai sensi dell’articolo 2 comma 2, lettera i), il
“contatore di fornitura” è l’”apparecchiatura di
misura dell’energia consegnata. Il contatore di
fornitura può essere individuale, nel caso in cui
misuri il consumo di energia della singola unità
immobiliare, oppure, fatta salva l’energia elettrica,
può essere condominiale, nel caso in cui misuri
l’energia consumata da una pluralità di unità
immobiliari, come nel caso di un condominio o di
un edificio polifunzionale”.
I contatori di fornitura dovranno riflettere con
precisione il consumo effettivo e fornire informazioni
sul tempo effettivo di utilizzo dell’energia e
sulle relative fasce temporali.
E’ compito dell’Autorità per l’energia elettrica, il
gas e il sistema idrico, provvedere affinché i distributori
assicurino che, sin dal momento dell’installazione
dei contatori di fornitura, i clienti
finali ottengano informazioni adeguate con riferimento
alla lettura dei dati ed al monitoraggio del
consumo energetico.
Nessuna attività, pertanto, dovrà essere effettuata
dal Condominio. Ulteriore conferma di ciò
è rinvenibile nell’articolo 16 comma 5 D. Lgs.
102/2014 il quale prevede che il destinatario della
sanzione amministrativa da 500 a 2500 euro
sia il distributore nella sua qualità di esercente
dell’attività di misura.
Si ritiene che, benché possa essere utile, non sia
obbligatorio porre un “sotto-contatore” in corrispondenza
di ciascun edificio in caso di supercondominio.
- SOGGETTO TENUTO AGLI OBBLIGHI AI SENSI DELLE LETTERE B) E C)
Il legislatore, tuttavia, prevede che l’installazione
debba essere fatta a cura del “proprietario”.
Tale definizione non deve però essere letta in
contrasto con l’articolo 26 comma 5 della Legge
10/1991, il quale attribuisce la competenza alla
deliberazione degli interventi di cui all’articolo
9 comma 5 lettere b) e c) D. Lgs. 102/2014 e
s.m.i., oltre che della scelta del professionista,
all’assemblea dei condòmini.
Si ricordi che l’articolo 2 comma 1 lettera c) del D. Lgs. 102/2014, ad integrazione delle definizioni
contenute nello stesso articolo, rinvia a quelle
previste dal D. Lgs. 19 agosto 2005 n. 192 recante
disposizioni in materia di rendimento energetico
nell’edilizia.
Quest’ultimo, all’articolo 2 comma 1 lettera l-tricies,
prevede quanto segue: “«impianto termico»
è l’impianto tecnologico destinato ai servizi di
climatizzazione invernale o estiva degli ambienti,
con o senza produzione di acqua calda sanitaria,
indipendentemente dal vettore energetico utilizzato,
comprendente eventuali sistemi di produzione,
distribuzione e utilizzazione del calore
nonché gli organi di regolarizzazione e controllo.
Sono compresi negli impianti termici gli impianti
individuali di riscaldamento.
Non sono considerati impianti termici apparecchi
quali: stufe, caminetti, apparecchi di riscaldamento
localizzato ad energia radiante; tali apparecchi,
se fissi, sono tuttavia assimilati agli
impianti termici quando la somma delle potenze
nominali del focolare degli apparecchi al servizio
della singola unità immobiliare è maggiore
o uguale a 5 kW. Non sono considerati impianti
termici i sistemi dedicati esclusivamente alla
produzione di acqua calda sanitaria al servizio di
singole unità immobiliari ad uso residenziale ed
assimilate”.
L’impianto è dunque composto da 4 sottosistemi:
- produzione,
- distribuzione,
- regolazione all’interno dell’unità immobiliare e
- emissione.
L’impianto in esame è forse l’unico in condominio
che non termina nell’unità immobiliare. Il fluido
termovettore, dal tratto terminale della distribuzione
comune (colonna montante), si immette
nella singola unità immobiliare (parte privata)
per alimentare il corpo scaldante (di proprietà
individuale), rilascia il calore, e utilizzando la
distribuzione comune sopra citata, ritorna verso
la fonte della produzione per essere nuovamente
riscaldato.
Va ricordato che il Legislatore con la Riforma del
Condominio negli edifici (Legge 220/2012) ha modificato,
tra gli altri, l’articolo 1117 comma 1 n. 3
codice civile. Quest’ultimo, oltre a prevedere che gli impianti sono comuni fino al punto di diramazione
ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini
(già contenuto nella precedente formulazione),
ha aggiunto che questi, in caso di impianti unitari,
sono comuni fino al punto di utenza.
L’impianto di riscaldamento potrebbe essere un
”impianto unitario”, categoria indicata dal Legislatore
forse proprio per far comprendere che alcuni
impianti devono essere visti nel loro insieme.
Deve pertanto escludersi che la locuzione “a cura
del proprietario” debba essere intesa nel senso
che l’attività debba essere avulsa da un contesto
condominiale.
L’assemblea, pertanto, sceglierà il professionista
per la redazione del progetto e l’impresa che dovrà
effettuare le opere. Queste, tuttavia, devono
essere effettuate dopo il punto di distacco (o di
utenza) e, pertanto, il consenso all’accesso (che
non può essere negato stante l’obbligatorietà
della deliberazione assunta ai sensi di legge) e
le spese devono essere a carico del singolo condomino.
In questo contesto deve essere letta la
locuzione “a cura del proprietario”. Prova ne è
che sarà il singolo proprietario ad essere il destinatario
della sanzione amministrativa ai sensi
dell’articolo 16 comma 6 del medesimo D. Lgs.
102/2014, posto che, di fatto, l’intervento viene
effettuato sulla sua proprietà.
- ARTICOLO 9 COMMA 5 LETTERA B) INSTALLAZIONE DI SOTTO CONTATORI
(omissis)
b) nei condomini e negli edifici polifunzionali
riforniti da una fonte di riscaldamento o
raffreddamento centralizzata o da una rete di
teleriscaldamento o da un sistema di fornitura
centralizzato che alimenta una pluralità di
edifici, è obbligatoria l’installazione entro il
31 dicembre 2016 da parte delle imprese di
fornitura del servizio di contatori individuali
per misurare l’effettivo consumo di calore o di
raffreddamento o di acqua calda per ciascuna
unità immobiliare, nella misura in cui sia
tecnicamente possibile, efficiente in termini
di costi e proporzionato rispetto ai risparmi
energetici potenziali. L’efficienza in termini
di costi può essere valutata con riferimento
alla metodologia indicata nella norma UNI EN
15459. Eventuali casi di impossibilità tecnica
alla installazione dei suddetti sistemi di
contabilizzazione devono essere riportati in
apposita relazione tecnica del progettista o
del tecnico abilitato;
(omissis)
NUOVO TESTO
(omissis)
b) nei condomini e negli edifici polifunzionali
riforniti da una fonte di riscaldamento o
raffreddamento centralizzata o da una rete di
teleriscaldamento o da un sistema di fornitura
centralizzato che alimenta una pluralità
di edifici, è obbligatoria l’installazione entro
il 31 dicembre 2016, a cura del proprietario,
di sotto-contatori per misurare l’effettivo
consumo di calore o di raffreddamento o di
acqua calda per ciascuna unità immobiliare,
nella misura in cui sia tecnicamente possibile,
efficiente in termini di costi e proporzionato
rispetto ai risparmi energetici potenziali.
L’efficienza in termini di costi può essere
valutata con riferimento alla metodologia indicata
nella norma UNI EN 15459. Eventuali
casi di impossibilità tecnica alla installazione
dei suddetti sistemi di contabilizzazione o di
inefficienza in termini di costi e sproporzione
rispetto ai risparmi energetici potenziali,
devono essere riportati in apposita relazione
tecnica del progettista o del tecnico abilitato;
(omissis)
Sostanziali modifiche rispetto al testo precedente,
in punto interventi impiantistici, non ne vengono
registrati.
Il Legislatore, ai fini del perseguimento degli
obbiettivi di cui al capoverso del comma 5, privilegia
l’intervento di cui alla presente lettera
che trova principalmente applicazione in caso di
sistemi di distribuzione così detti a zona. Viene
previsto l’obbligo di installare un “sotto-contatore”
per misurare l’effettivo consumo di calore o
di raffreddamento o di acqua calda per ciascuna
unità immobiliare.
L’articolo 2 comma 2 lettera qq-bis) ne dà la definizione:
“sotto-contatore: contatore dell’energia
che, con l’esclusione di quella elettrica, è posto
a valle del contatore di fornitura di una pluralità
di unità immobiliari per la misura dei consumi
individuali o di edifici a loro volta formati da una
pluralità di unità immobiliari ed è atto a misurare
l’energia consumata dalla singola unità immobiliare
o dal singolo edificio”.
La norma ha ad oggetto sia i condominii (“nei
condomini e negli edifici polifunzionali riforniti
da una fonte di riscaldamento o raffreddamento
centralizzata o da una rete di teleriscaldamento”
...) sia i supercondomini (… “o da un sistema di
fornitura centralizzato che alimenta una pluralità
di edifici”). In questo secondo caso, la norma
prevede che il “sotto-contatore” debba misurare
l’effettivo consumo di calore o di raffreddamento o di acqua calda per ciascuna unità immobiliare.
Non è pertanto obbligatorio porre un “sotto-contatore”
in corrispondenza di ciascun edificio in
caso di supercondominio.
Casi di non applicazione della lettera b):
a) impossibilità tecnica,
b) inefficienza dell’intervento in termini di costi e
proporzionato rispetto ai risparmi energetici potenziali.
L’efficienza in termini di costi può essere
valutata con riferimento alla metodologia indicata
nella norma UNI EN 15459. Tale norma è solo
uno degli strumenti per individuare l’efficienza in
termini di costi.
In entrambi i casi occorre che vi sia una apposita
relazione tecnica del progettista o del tecnico
abilitato (a differenza di quanto previsto nella
lettera d), non è prevista l’asseverazione). In caso
di mancata sussistenza di uno dei due casi sopra
indicati, la sanzione amministrativa verrà contestata
a tutti i condomini i quali, poi, potranno rivalersi
nei confronti del professionista. Si ricorda
che la sanzione, ai sensi dell’articolo 16 comma
6, è compresa tra 500 e 2500 euro per ciascuna
unità immobiliare.
- ARTICOLO 9 COMMA 5 LETTERA C) INSTALLAZIONE RIPARTITORI E TERMOSTATICHE
(omissis)
c) nei casi in cui l’uso di contatori individuali
non sia tecnicamente possibile o non sia
efficiente in termini di costi, per la misura
del riscaldamento si ricorre all’installazione
di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione
del calore individuali per misurare il
consumo di calore in corrispondenza a ciascun
radiatore posto all’interno delle unità
immobiliari dei condomini o degli edifici
polifunzionali, secondo quanto previsto dalle
norme tecniche vigenti, con esclusione di
quelli situati negli spazi comuni degli edifici,
salvo che l’installazione di tali sistemi risulti
essere non efficiente in termini di costi con
riferimento alla metodologia indicata nella
norma UNI EN 15459. In tali casi sono presi
in considerazione metodi alternativi efficienti
in termini di costi per la misurazione del consumo
di calore.
Il cliente finale può affidare la gestione del
servizio di termoregolazione e contabilizzazione
del calore ad altro operatore diverso dall’impresa di fornitura, secondo modalità
stabilite dall’Autorità per l’energia elettrica,
il gas e il sistema idrico, ferma restando la
necessità di garantire la continuità nella misurazione
del dato.
(omissis)
NUOVO TESTO
(omissis)
c) nei casi in cui l’uso di sotto-contatori
non sia tecnicamente possibile o non sia efficiente
in termini di costi e proporzionato
rispetto ai risparmi energetici potenziali, per
la misura del riscaldamento si ricorre, a cura
dei medesimi soggetti di cui alla lettera b),
all’installazione di sistemi di termoregolazione
e contabilizzazione del calore individuali
per quantificare il consumo di calore in corrispondenza
a ciascun corpo scaldante posto
all’interno delle unità immobiliari dei condomini
o degli edifici polifunzionali, secondo
quanto previsto norme tecniche vigenti, salvo
che l’installazione di tali sistemi risulti essere
non efficiente in termini di costi con riferimento
alla metodologia indicata nella norma
UNI EN 15459.
(omissis)
Solo nel caso di impossibilità di procedere all’installazione
dei sistemi di cui alla lettera b), occorre
effettuare gli interventi previsti nella lettera c).
Vi è quindi una gradualità che deve essere accertata
e dichiarata, da un professionista abilitato,
in una relazione tecnica (non asseverata).
Si ritiene che tale lettera si riferisca principalmente
ai casi di distribuzione verticale.
La lettera in esame non trova applicazione, secondo
il legislatore, solo qualora l’installazione di
tali sistemi risulti essere non efficiente in termini
di costi.
Mentre con riferimento alla lettera b) la parola
“può” lasciava intendere che fosse possibile individuare
la inefficienza anche attraverso ulteriori
e diversi calcoli, in tal caso sembra che il legislatore
voglia ancorare l’impossibilità solo con
riferimento alla metodologia indicata nella norma
UNI EN 15459.
In caso di inefficienza in termini di costi, è stato
eliminato l’obbligo di prendere in considerazione
metodi alternativi efficienti in termini di costi
per la misurazione del consumo di calore.
Inoltre si registra che il legislatore non ha previsto,
in riferimento alla lettera c), l’impossibilità
tecnica, così come nella precedente formulazione.
- ARTICOLO 9 COMMA 5 LETTERA D) RIPARTIZIONE DELLE SPESE
d) quando i condomini sono alimentati dal
teleriscaldamento o teleraffreddamento o da
sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento,
per la corretta suddivisione delle
spese connesse al consumo di calore per il
riscaldamento degli appartamenti e delle aree
comuni, qualora le scale e i corridoi siano dotati
di radiatori, e all’uso di acqua calda per
il fabbisogno domestico, se prodotta in modo
centralizzato, l’importo complessivo deve
essere suddiviso in relazione agli effettivi
prelievi volontari di energia termica utile e
ai costi generali per la manutenzione dell’impianto,
secondo quanto previsto dalla norma
tecnica UNI 10200 e successivi aggiornamenti.
E’ fatta salva la possibilità, per la prima
stagione termica successiva all’installazione
dei dispositivi di cui al presente comma, che
la suddivisione si determini in base ai soli
millesimi di proprietà.
NUOVO TESTO
d) quando i condomini o gli edifici polifunzionali
sono alimentati da teleriscaldamento
o teleraffreddamento o da sistemi comuni di
riscaldamento o raffreddamento, per la corretta
suddivisione delle spese connesse al
consumo di calore per il riscaldamento, il raffreddamento
delle unità immobiliari e delle
aree comuni, nonché per l’uso di acqua calda
per il fabbisogno domestico, se prodotta in
modo centralizzato, l’importo complessivo
è suddiviso tra gli utenti finali, in base alla
norma tecnica UNI 10200 e successive modifiche
e aggiornamenti. Ove tale norma non
sia applicabile o laddove siano comprovate,
tramite apposita relazione tecnica asseverata,
differenze di fabbisogno termico per metro
quadro tra le unità immobiliari costituenti
il condominio o l’edificio polifunzionale superiori
al 50 per cento, è possibile suddividere
l’importo complessivo tra gli utenti finali
attribuendo una quota di almeno il 70 per
cento agli effettivi prelievi volontari di energia
termica. In tal caso gli importi rimanenti
possono essere ripartiti, a titolo esemplificativo
e non esaustivo, secondo i millesimi,
i metri quadri o i metri cubi utili, oppure
secondo le potenze installate. È fatta salva
la possibilità, per la prima stagione termica
successiva all’installazione dei dispositivi di cui al presente comma, che la suddivisione si
determini in base ai soli millesimi di proprietà.
Le disposizioni di cui alla presente lettera
sono facoltative nei condomini o gli edifici
polifunzionali ove alla data di entrata in vigore
del presente decreto si sia già provveduto
all’installazione dei dispositivi di cui al
presente comma e si sia già provveduto alla
relativa suddivisione delle spese.
Applicazione norma UNI 10200:2015
La norma generale prevede che per ripartire le spese
del riscaldamento in base ai consumi effettivi, sia
obbligatorio il ricorso alla norma UNI 10200:2015
(al momento in cui viene redatta la presente relazione
è in vigore la norma del 2015).
Pertanto, detta norma deve essere utilizzata successivamente
all’esecuzione delle opere di cui alle lettere
b) o c) dell’articolo 9 comma 5, D. Lgs. 102/2014.
Anche a seguito della modifica al D. Lgs.
102/2014, non è assolutamente consentito, ad
oggi, il ricorso ai così detti “coefficienti correttivi”
per compensare le maggiori dispersioni dalle
unità immobiliari. Il riferimento agli appartamenti
più sfavoriti è contenuto nella stessa lettera
d) ed oggetto di precisa disciplina in quanto eccezione
alla norma generale (si veda più avanti
nella presente relazione).
Ai fini della ripartizione della spesa, nessuna rilevanza
ha la modifica effettuata dal legislatore
nella parte in cui, in riferimento al richiamo alla
norma UNI 10200:2015 ove applicabile, non è più
contenuta la locuzione “effettivi prelievi volontari
di energia termica utile”.
Si osservi, nell’insieme, la disciplina di cui all’articolo
9 comma 5.
Innanzitutto la rubrica dell’articolo recita: “Misurazione
e fatturazione dei consumi energetici”.
Già in essa, pertanto, si rinviene l’importanza
della misurazione del calore consumato e la conseguente
fatturazione (ripartizione) posto che è
assente ogni riferimento agli interventi impiantistici.
Il capoverso del comma 5 individua l’obbiettivo
del legislatore nell’emanazione della norma: “favorire
il contenimento dei consumi energetici”. Lo
strumento individuato per il raggiungimento è “la
contabilizzazione dei consumi di ciascuna unità
immobiliare e la suddivisione delle spese in base
ai consumi effettivi delle medesime”.
Si noti che il legislatore fa riferimento ai consumi
e alla conseguente ripartizione. Non fa mai riferimento
diretto ai motivi che determinano i prelievi
di calore (cioè le dispersioni).
I consumi, pertanto, corrispondono al calore prelevato.
Le dispersioni afferiscono all’involucro (ciò che genera il ricorso ai coefficienti correttivi),
sono causa dei consumi e generano i costi
per il raggiungimento della situazione di comfort
che il legislatore ha individuato in 20 gradi (con
tolleranza di +2).
Il concetto di consumo (e quindi non di causa
che lo determina) è rinvenibile già dal 1991 nella Legge 10 all’articolo 26 comma 5. Tale norma
(non abrogata) prevede che la spesa del riscaldamento
debba essere effettuata in riferimento
ai “consumi effettivi” senza citare i motivi per i
quali i consumi vengono generati.
Lo stesso principio viene rinvenuto nel capoverso
del comma 5 che, addirittura, viene indicato quale strumento per il contenimento dei consumi
energetici.
Il principio dell’effettivo consumo di calore è rinvenibile
nuovamente nella lettera b) del comma 5.
I sotto-contatori devono misurare tre consumi:
- calore,
- raffreddamento
- acqua calda (sanitaria)
Analogamente viene previsto l’obbligo alla successiva
lettera c), la quale impone l’adozione dei
sistemi di termoregolazione e contabilizzazione
del calore individuali per quantificare il consumo
di calore in corrispondenza a ciascun corpo
scaldante. Anche in questo caso, il consumo effettivo
è riferito al calore rilasciato da ciascun
corpo scaldante e non vi è alcun riferimento alle
dispersioni dall’involucro.
Si consideri inoltre il momento storico in cui è
stato pubblicato il Decreto Legislativo che ha integrato
il D. Lgs. 102/2014 (a decorrere dal 26
luglio 2016), quando, cioè, è ancora in vigore la
norma UNI 10200 del 2015, nella quale non sono
previsti i coefficienti correttivi.
Inoltre, come meglio si potrà vedere nel prosieguo,
il riferimento agli effettivi prelievi volontari
di energia termica è contenuto nella parte di norma
che disciplina la mancata applicazione della
10200:2015. In tal caso, dovendo normare un
caso in cui non trova applicazione la norma tecnica,
il legislatore ha dovuto richiamare il principio
base che, comunque, è rispettoso del principio del
consumo effettivo.
Non è pertanto possibile immaginare che vi possano
essere differenze di ripartizione a seconda
dell’applicazione o meno della 10200:2015.
Da quanto sopra ne consegue che, anche successivamente
alla modifica del D. Lgs. 102/2014 articolo
9 comma 5 lettera d), non è possibile fare
ricorso ai coefficienti che tengano in considerazione
le dispersioni di calore dall’involucro per
modificare il criterio di ripartizione della spesa
del riscaldamento.
E’ invece assolutamente obbligatorio il ricorso
alla norma UNI 10200:2015 che deve continuare
ad essere fedele a tale principio.
Caso di mancata applicazione della 10200:2015
Il Legislatore, innovando la norma sino ad oggi in
vigore, introduce l’eccezione alla norma generale.
Nei caso in cui
a) la norma UNI 10200:2015 non sia applicabile
b) benché applicabile, siano comprovate, tramite
apposita relazione tecnica asseverata, differenze
di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità
immobiliari costituenti il condominio o l’edificio
polifunzionale superiori al 50 per cento.
In tali casi è possibile suddividere l’importo complessivo
tra gli utenti finali attribuendo una quota
di almeno il 70 per cento agli effettivi prelievi
volontari di energia termica. Gli importi rimanenti
possono essere ripartiti, a titolo esemplificativo e
non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadri
o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze
installate.
L’eccezione deve essere sempre letta come tale,
senza possibilità di interpretazioni analogiche
e, nel dubbio, facendo sempre riferimento, per
quanto applicabili, ai principi generali.
Il caso eccezionale di cui alla lettera b) lascia
all’assemblea (con la maggioranza degli intervenuti
e almeno la metà dei millesimi di coloro che
sin dall’origine erano allacciati all’impianto di riscaldamento,
raffrescamento e acqua calda sanitaria,
comprendendo anche i distaccati), la scelta
se ricorrere alla norma UNI 10200:2015 oppure
se ripartire la spesa del riscaldamento secondo i
diversi criteri indicati nella lettera d) del comma
5 articolo 9.
Il fabbisogno è determinato anche dalle dispersioni
dell’involucro e dai carichi termici. Le dispersioni,
però, avvengono verso l’esterno, verso
le parti comuni (cassa delle scale, soffitta, cantine,
box interrati) e verso le unità confinanti
non climatizzate benchè allacciate all’impianto.
Quest’ultimo caso riguarda, però, una circostanza
transitoria suscettibile di variazione continua. Si
ritiene che debbano considerarsi solo le condizioni
standard. Si consideri anche che, a parità di
coibentazione, vi saranno maggiori dispersioni (e
quindi un diverso fabbisogno) in riferimento agli
appartamenti esposti verso nord. Le norme tecniche
di riferimento per il calcolo del fabbisogno
termico per i servizi di riscaldamento, raffrescamento
e acqua calda sanitaria, sono le specifiche
tecniche UNI TS 11300 parti 1 e 2.
Ricorrendo tale circostanza e sussistendo la volontà
dell’assemblea di non ricorrere alla norma
UNI 10200:2015, occorre utilizzare esclusivamente
il nuovo criterio individuato dal Legislatore.
Quest’ultimo deve essere effettuato prevedendo
una quota per il consumo effettivo ed una per le
restanti spese.
La prima quota deve essere almeno (quindi da intendersi
come minimo) del 70%. In tale caso la
spesa deve essere ripartita sulla base degli effettivi
prelievi volontari. Non può quindi, nemmeno
in assenza di applicazione della 10200:2015, farsi ricorso ai coefficienti correttivi.
La restante parte deve essere ripartita sulla base
di criteri individuati dal legislatore quali esemplificativi
e non esaustivi. L’esemplificazione, tuttavia,
deve essere utilizzata per individuare ulteriori
e possibili altri criteri. Questi, però, devono fare
ricorso ad elementi quali la superficie scaldata o
la superficie scaldante. Anche in questo caso non
viene fatto dal legislatore ricorso alle dispersioni
dalle pareti (verticali o orizzontali) o dalla copertura.
Queste possono essere calcolate solo per individuare
la sussistenza del caso di non applicazione.
Una volta accertato questo, la ripartizione non
deve più tenere conto delle dispersioni.
Va precisato che, in ogni caso, occorre una relazione
redatta da un tecnico. Non è pertanto
lasciata la possibilità all’assemblea di decidere
autonomamente e senza motivazione, se disapplicare
la norma UNI 10200:2015.
Pertanto, inizialmente il tecnico abilitato effettuerà
il calcolo per determinare se vi siano comprovate
differenze di fabbisogno termico per metro
quadro tra le unità immobiliari costituenti il
condominio o l’edificio polifunzionale superiori al
50 per cento. In caso positivo successivamente
l’assemblea deciderà se applicare ugualmente la
10200:2015 nella sua interezza, oppure se disapplicare
la norma e ricorrere al diverso criterio individuato
dal legislatore. In questo secondo caso,
spetterà all’assemblea individuare i criteri per la
ripartizione delle spese.
Ulteriore eccezione per la prima stagione termica
E’ stata confermata la possibilità, per la prima
stagione termica successiva all’installazione dei
dispositivi di cui al comma 5 dell’articolo 9, che
la suddivisione si determini in base ai soli millesimi
di proprietà. Non è pertanto possibile utilizzare
altri criteri quali, ad esempio, la precedente
tabella del riscaldamento.
Condomini che si sono già adeguati
Le disposizioni di cui alla lettera d) contenenti
i criteri per la ripartizione delle spese del riscaldamento,
sono facoltative nei condomini o negli
edifici polifunzionali ove alla data di entrata in
vigore delle modifiche al decreto 102/2014, si sia
già provveduto all’installazione dei dispositivi di
cui al presente comma e si sia già provveduto alla
relativa suddivisione delle spese.
Ai fini interpretativi è opportuno richiamare la relazione
illustrativa al punto punto 4.4: “È previsto
inoltre che, al fine di non prevedere nuovi oneri
per i soggetti che hanno già provveduto in anticipo
ad adeguarsi alla normativa, le disposizioni
di cui alla presente lettera siano facoltative nei
condomini o negli edifici polifunzionali ove alla
data di entrata in vigore del presente decreto si
sia già provveduto all’installazione dei dispositivi
di cui al presente comma e si sia già provveduto
alla relativa suddivisione delle spese”.
La disposizione citata, pertanto, non vuole significare
che qualsiasi criterio prima adottato possa
essere legittimamente conservato.
Coloro che, prima dell’entrata in vigore delle modifiche
al 102/2014, facevano ricorso ai coefficienti
correttivi o ad altri criteri di ripartizione,
non potranno continuare ad utilizzarli in quanto
già prima non conformi a legge.
Sino all’entrata in vigore delle modifiche al D.
Lgs. 102/2014, trova applicazione l’attuale formulazione
della lettera d), secondo la quale le
spese vanno ripartite sulla base della norma UNI
10200 (ad oggi la versione del 2015).
Al momento dell’entrata in vigore delle modifiche,
cessa di avere efficacia la precedente formulazione
ed inizia ad avere efficacia la nuova.
La nuova disposizione non ha efficacia retroattiva,
nel senso che non può riconoscere validi criteri
che, nel momento in cui sono stati adottati,
erano contrari a legge stante la vigenza della precedente
formulazione del testo.
Il Legislatore vuole semplicemente evitare che
coloro che già hanno fatto effettuare i calcoli ai
sensi della norma UNI 10200 del 2013 o del 2015,
siano costretti a dare incarico ad un professionista
per far fare nuovi calcoli.
I condomini, pertanto, dopo l’entrata in vigore
della nuova norma, potranno decidere tra le seguenti
ipotesi:
- conservare il criterio di riparto conforme alla norma UNI 10200 del 2013 o del 2015;
- fare effettuare nuovi calcoli sulla base della norma UNI 10200:2015 di prossima pubblicazione;
- nel caso in cui vi siano differenze di fabbisogni superiori al 50% tra le unità immobiliari, disattendere la norma UNI 10200:2015 e ripartire sulla base delle indicazioni del legislatore.
Sullo stesso argomento:
- Contabilizzazione: Le due alternative (NOVITA' norma uni 10200)
- D.L. 102/2014 - Precisazioni in merito al proliferare di situazioni incerte e forti confusioni
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE I)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE II)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE III)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE IV)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE V)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE VI)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE VII)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE VIII)
- Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016 (PARTE IX)
- Tutto sul Risparmio energetico: Uni 10200, D.lgs 102/2014, contabilizzazioni, riparti...
- DECRETO LEGISLATIVO 4 luglio 2014, n. 102 - 102/2014 Stralcio
- GLI IMPIANTI TERMICI, PROFILI TECNICI tutto sulla Norma UNI 10200
- Contabilizzazione-Obbligo di modificare il criterio di ripartizione della spesa?
- Il contratto di rendimento energetico (EPC)
- TERMOREGOLAZIONE: gli obblighi
- Diagnosi energetica questa sconosciuta
- EC710 / UNI 10200: Novità della norma UNI 10200
- EC710 / UNI 10200: Prescrizioni legislative in merito alla contabilizzazione del calore
- Testo unico in materia edilizia: Normativa tecnica per l'edilizia - Capo VI: Norme per il contenimento del consumo di energia negli edifici
Contabilizzazione: Le due alternative (NOVITA' norma uni 10200)
Vi sono due diverse modalità per la ripartizione della spesa del riscaldamento a seguito dell’adozione dei sistemi di contabilizzazione e termoregolazione.
La prima è il rinvio fatto dall’articolo 9 comma 5 lettera d) del D. Lgs. 102/2014, alla norma UNI 10200. Alla data odierna è in vigore la norma approvata nel 2015. E’ però all’esame dell’UNI la nuova versione che, presumibilmente vedrà la luce entro la fine del corrente anno 2016 o nei primi mesi del 2017. Tale ultima norma, tra le altre cose, dovrebbe anche contenere i criteri di calcolo per la ripartizione nelle così dette “seconde case”, caratterizzate da una occupazione discontinua.
Ricorrendo alla norma UNI occorre anche procedere
al calcolo della nuova tabella millesimale per la
ripartizione delle dispersioni di rete, della manutenzione
ordinaria, del terzo responsabile e della
forza motrice.
Negli edifici serviti da un impianto di distribuzione
verticale sarà anche necessario calcolare le
dispersioni della rete, solitamente espresse in una
percentuale.
In caso, invece, di distribuzione a zona (o così
detta orizzontale) tale determinazione non è necessaria.
Infatti la quantità delle dispersioni viene
calcolata a seguito di differenza tra la somma dei
consumi rilevati nelle singole unità immobiliari
ed il totale complessivo dei consumi dell’edificio.
Non sembrerebbe infatti possibile continuare ad
utilizzare la precedente tabella millesimale del
riscaldamento solitamente calcolata in base alla
superficie scaldante o ai metri quadri. Tale criterio
di formazione dei millesimi non è più rispettoso
del criterio proporzionale in quanto ciò
che rileva è la quantità di energia potenzialmente
necessaria per raggiungere il grado di comfort (il
fabbisogno energetico).
Si ritiene che la delibera contraria all’adozione
della nuova tabella a favore di quella precedente
sia viziata da nullità. Riflessioni sul punto portano
a ritenere il D. Lgs. 102/2014, il quale richiama
la UNI 10200, norma imperativa e, in quanto tale, non derogabile.
E’ la stessa norma UNI 10200 a prevedere che per
il calcolo dei nuovi millesimi sia necessario il ricorso
al fabbisogno energetico delle singole unità
immobiliari.
Ai fini del calcolo del fabbisogno energetico, il
tecnico dovrà utilizzare le norme UNI TS 11300
ma non dovrà ignorare quanto previsto dall’articolo
68 comma 2 delle disposizioni di attuazione
del codice civile.
Non dovranno quindi essere considerate quelle migliorie
apportate all’interno delle singole unità immobiliari
anche se le stesse hanno effettivamente
diminuito il fabbisogno energetico. Non dovranno
quindi essere considerati i doppi vetri o le eventuali
coibentazioni interne dei singoli alloggi.
Tali interventi vedranno una minore necessità di
prelievo di calore e, quindi, una riduzione della
quota a consumo.
Diverso è il caso del nuovo criterio di ripartizione
della spesa introdotto dal D. Lgs. 141/2016 che
ha apportato integrazioni al D. Lgs. 102/2014.
Qualora siano comprovate, tramite apposita relazione
tecnica asseverata, differenze di fabbisogno
termico per metro quadro tra le unità immobiliari
costituenti il condominio o l’edificio polifunzionale
superiori al 50 per cento, l’assemblea potrà
decidere se applicare o meno la UNI 10200.
In tale seconda ipotesi, non sarà nemmeno più
necessario calcolare la nuova tabella millesimale.
E’ la legge stessa, in questo caso, a dettare il criterio
per la ripartizione delle dispersioni di rete e
degli altri costi.
Il calcolo del fabbisogno, però, deve essere effettuato
ugualmente. In questo caso, tuttavia, non
essendo lo stesso necessario per calcolare una
proporzione, ma dovendo invece effettuare una
“fotografia” dell’edificio in termini di fabbisogni,
il tecnico dovrà considerare lo stato attuale
dell’involucro edilizio, comprendendo, così, anche
le migliorie quali, ad esempio, i doppi vetri.
Non appare di immediata interpretazione il riferimento
alla differenza.
Verrebbe da ritenere che il riferimento al metro quadro
indichi la necessità di individuare il fabbisogno
di ciascuna unità immobiliare. Questi, sommati tra
loro, consentiranno di individuare la media del fabbisogno
per l’intero edificio. Tale dato dovrebbe essere
il riferimento per verificare la differenza.
In ogni caso il riferimento al fabbisogno è tale da
far sì che non debbano essere considerati solo gli
appartamenti posti all’ultimo piano o al piano pilotis,
ma anche, ad esempio, i fabbisogni di quelli
esposti a nord.
Nel caso in cui le differenze dovessero essere superiori
al 50%, l’assemblea potrà decidere di non
applicare la norma UNI 10200.
Sussistendo tale differenza, non sembrerebbe di
intendere che sia obbligatorio non applicare la
norma UNI, ma venga lasciata all’assemblea la facoltà
di scegliere.
Non avendo previsto una maggioranza, si ritiene
che la stessa potrebbe essere quella necessaria per
l’approvazione del nuovo criterio ai sensi dell’articolo
26 comma 5 legge 10/1991: la maggioranza
degli intervenuti e almeno la metà dei millesimi.
Non avendo previsto una maggioranza, si ritiene
che la stessa potrebbe essere quella necessaria per
l’approvazione del nuovo criterio ai sensi dell’articolo
26 comma 5 legge 10/1991: la maggioranza
degli intervenuti e almeno la metà dei millesimi.
Questi, infatti, servono a compensare le dispersioni
dall’involucro. La norma, invece, richiama
espressamente i soli prelievi, indipendentemente
dalla necessità che li ha creati (le dispersioni).
La restante parte potrà essere ripartita con criteri
diversi rispetto alla tabella millesimale prevista
dalla UNI 10200 quali, ad esempio, i metri quadri
o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze
installate. Probabilmente la vecchia tabella millesimale del riscaldamento soddisfa tali requisiti e
potrebbe essere nuovamente utilizzata.
Non applicando la UNI 10200, sarà l’assemblea a
decidere che al massimo il 30% potrà essere ripartito
sulla base dei criteri indicati dal legislatore.
Non sembrerebbe più necessario procedere a far
calcolare le dispersioni di rete.
In ogni caso, sembra che nemmeno nella parte
percentuale residuale sia possibile utilizzare criteri
di ripartizione che facciano riferimento alle
dispersioni dall’involucro. Quindi nemmeno in
questa sede possono essere introdotti i coefficienti
correttivi.
Si avrebbe pertanto una norma che consente di
non ricorrere alla UNI 10200 qualora vi siano
forti differenze di fabbisogno determinate dalle
dispersioni. Tuttavia, nella determinazione del
criterio di ripartizione, le dispersioni dalle parti
comuni non possono essere utilizzate per la determinazione
dei criteri di ripartizione.
Per la quota a consumo, che deve essere almeno il
70% della spesa ripartita sulla base degli effettivi
prelievi volontari di energia termica utile (cioè il
calore rilasciato dai termosifoni), non sembrerebbe
vi siano rilevanti differenze in caso di applicazione
o meno della UNI 10200.
La differenza tra le due ipotesi sembra limitata
alla ripartizione dei restanti costi nella parte in
cui, non dovendo utilizzare il fabbisogno energetico
al fine del calcolo della tabella millesimale,
gli appartamenti sfavoriti non vengono penalizzati
due volte.
Non vi dovrebbero essere risparmi in riferimento
al professionista.
Infatti, senza il calcolo del fabbisogno, l’assemblea
non ha gli strumenti per effettuare la scelta
consentita dal legislatore.
In ogni caso, quindi, occorre il calcolo del fabbisogno.
di Edoardo Riccio
Coordinatore Giuridico CSN
Sullo stesso argomento:
- D.Lgs. 18 Luglio 2016 n. 141 recante integrazioni al D.Lgs. 4 Luglio 2014 n. 102 e disamina dell’art. 9 Comma 5 in materia di termoregolazione e contabilizzazione
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