giovedì 31 marzo 2016

Tutte le rampe delle scale sono da considerarsi comuni - CASSAZIONE 09 MARZO 2016, N. 4664

Secondo la cassazione le scale e i relativi pianerottoli, negli edifici in condominio, costituiscono strutture essenziali del fabbricato e rientrano, in assenza di una diversa disposizione, fra le parti comuni, anche se sono poste a servizio solo di alcuni proprietari dello stabile. I giudici di legittimità, richiamando la precedente giurisprudenza in materia e il dettato dell’art. 1117 c.c., osservano che negli edifici in condominio le scale, e i relativi pianerottoli, costituiscono strutture essenziali del fabbricato e rientrano, in assenza di una diversa disposizione, fra le parti comuni, anche se sono poste a servizio solo di alcuni proprietari dello stabile.
Secondo la cassazione l’art. 1117 c.c. Non ricollega il concetto di comproprietà di tutte le rampe di una scala condominiale al fatto che le prime servono funzionalmente agli appartamenti sottostanti, e quelle successive solo gli appartamenti soprastanti, poiché così facendo si potrebbe pervenire alla conclusione che i proprietari degli appartamenti sottostanti sarebbero esclusi dalla comproprietà della scala nella sua totalità, in quanto non avrebbero interesse a percorrere le rampe superiori. Tale esclusione dalla comproprietà, eventualmente, deve risultare dal titolo di acquisto.


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mercoledì 30 marzo 2016

D.L. 102/2014 - Precisazioni in merito al proliferare di situazioni incerte e forti confusioni

L’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Imperia, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 102/2014 inerente la contabilizzazione del calore negli impianti centralizzati, avendo notato un proliferare di situazioni incerte con possibili confusioni nella gestione degli adeguamenti richiesti da parte della clientela finale, ritiene utile fornire uno schema di dettaglio delle attività tecniche necessarie al fine di adempiere agli obblighi dettati senza incorrere in possibili sanzioni e/o ricorsi così come prescritto dalla stessa norma.
Il D.L. 102/2014 obbliga entro il 1/1/2017 a dover costituire un sistema di contabilizzazione dell’impianto centralizzato che determini il consumo individuale con esattezza, in modo tale da poter ripartire la spesa complessiva in base ai consumi effettivi (detti volontari) di ciascuno, a cui sommare una quota parte di consumi involontari (dovuti alle cosiddette perdite di calore della rete di distribuzione). In tal senso vengono abrogate tutte le tabelle di ripartizione esistenti alla data di entrata in vigore del D.L. (sia le tabelle dei millesimi di riscaldamento che i criteri a percentuali spesso adottati da chi ha già installato un sistema di contabilizzazione).
Pertanto, la prima operazione da fare, è quella di costituire nuove tabelle millesimali basate su un progetto termotecnico che tenga conto delle dispersioni termiche delle unità abitative presenti nello stabile insieme alla potenza termica installata. Il progetto termotecnico deve essere redatto da soggetti abilitati come da indicazioni della norma tecnica UNI EN 10200: 2013 parte integrante del D.L.102/2014.
Per chiarezza espositiva si specifica inoltre che i sistemi di contabilizzazione previsti possono essere di due tipologie, definiti dalla norma contabilizzazione diretta o indiretta, la cui scelta spetta al progettista in base al tipo di impianto termico presente (in via generale impianti a distribuzione orizzontale o a colonne montanti). Al di là della tipologia impiantistica adottata, la norma prevede di effettuare una valutazione delle prestazioni energetiche dell’edificio in conformità alla UNI TS 11300 (parti 1,2 e 4), al fine di individuare il rendimento medio stagionale della caldaia.
Per quanto riguarda la contabilizzazione indiretta (caso largamente più frequente), i requisiti minimi di un progetto sono (appendice B UNI EN 10200):
  • il rilievo di tutti i corpi scaldanti installati e la determinazione della potenza termica installata nelle diverse utenze (appendice D);
  • il dettaglio di installazione dei dispositivi di contabilizzazione (nel caso di utilizzo di ripartitori la posizione esatta sul corpi scaldante, tipo di sensore, tipo di dispositivo, tipo di lettura locale o a distanza);
  • i rilievi del tipo di attacco del radiatore (rame, ferro, materiale plastico) e della sua dimensione ai fini della individuazione del modello di corpo valvola (diritto o a squadra);
  • il tipo di testa termoregolazione degli ambienti secondo quanto previsto dalla legislazione vigente;
  • il tipo di testa termostatica e del relativo sensore (incorporato o a distanza) o valvola elettrica/elettronica e dispositivi di termoregolazione;
  • il dimensionamento della pompa di circolazione atta a garantire le portate di progetto in relazione al tipo di valvola di regolazione adottata;
  • la certificazione delle potenze memorizzate nei sistemi di contabilizzazione;
  • la formulazione del prospetto della ripartizione delle spese.
Tali requisiti minimi prevedono quindi un rilievo puntuale da eseguirsi in tutte le unità immobiliari presenti nell’edificio, nel rilievo della centrale termica, nella verifica della distribuzione esistente e del suo funzionamento.
La stessa norma obbliga ad eseguire il sopralluogo per garantire che le attività suddette siano effettuate con un riscontro esatto delle condizioni dell’edificio, necessarie per redigere correttamente la nuova tabella di ripartizione. Molto spesso si è riscontrata una erronea interpretazione dove si confondeva il concetto di Attestato di Prestazione Energetica (APE) come parte della progettazione. E’ invece da evidenziare che il rilievo eseguito nell’unità immobiliare è più accurato, tenendo in considerazione dati che altrimenti non verrebbero valutati. In tal senso chi esegue la progettazione della contabilizzazione può emettere anche gli Attestati di Prestazione Energetica, se richiesti, in quanto ha in suo possesso i dati per eseguirli. Chi possiede già una certificazione APE non ha invece tutti i dati per produrre le nuove tabelle millesimali.
Si fa quindi presente che l’adeguamento alla norma richiede una progettazione accurata che tenga conto di tutto quanto detto in precedenza e che necessita di uno studio approfondito con un impegno in termini di tempo sostanzioso.
Tale progettazione deve essere eseguita anche se un sistema di contabilizzazione è stato già installato presso il condominio, tenendo presente che comunque dovrà essere eseguito il rilievo puntuale in tutto l’edificio per eseguire i calcoli necessari a produrre le nuove tabelle millesimali.
Si vuole evidenziare inoltre che la nuova tabella di ripartizione del riscaldamento e quindi il progetto di contabilizzazione deve essere ratificato dall’assemblea condominiale (con la maggioranza prevista dalla Legge 10/91 e s.m.i.).
In caso quindi di contenzioso tra condomini davanti all’autorità giudiziaria competente, il giudice dovrebbe richiamare il progetto al fine di verificare se sia stato redatto in conformità ai dettami dati dalla norma tecnica UNI EN 10200:2013. Se tale condizione non fosse verificata, la stessa norma dichiara nulla la progettazione e imputa al progettista ed all’amministratore la responsabilità, annullando la validità della tabella fino alla sua entrata in vigore. Tutti i calcoli di ripartizione devono quindi essere rieseguiti con un ammenda pecuniaria verso il condominio.



Fonte: Ordine degli Ingegneri IM
Commissione Impianti


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TUTTO QUELLO CHE DEVI SAPERE - Termoregolazione e contabilizzazione entro il 31/12/2016

Il 19 luglio 2014 è entrato in vigore il Decreto Legislativo 4 luglio 2014 n.102. Con esso lo Stato ha recepito la direttiva Europea 2012/27/UE sull'efficienza energetica.
Tra gli strumenti utilizzati dal Legislatore per per seguire il fine che si è imposto, vi è la contabilizzazione del calore. Lo scopo è quello di far leva sui risparmi economici per spingere i cittadini condomini a consumare meno calore (cioè energia).
Per la prima volta la ripartizione della spesa tra condomini viene vista dal legislatore come strumento non solo per disciplinare i rapporti tra privati, ma anche (e soprattutto) per perseguire ben altri finiche, in ultimo, rivestono un ruolo non solo nazionale, ma sovranazionale. Il tutto nasce dalla sottoscrizione dell'Italia dell'ormai famoso protocollo di Kyoto. Da esso, infatti, discendono la Direttiva Europea 2012/27/UE ed il Decreto Legislativo oggi in commento.
Di particolare interesse per i condomini, tra le altre cose oggetto di futura disamina, è l'articolo 9 avente ad oggetto: “Misurazione e fatturazione dei consumi energetici”.
Il condominio è disciplinato dagli artt. 1117 e seg. del c.c. che però non ne forniscono una definizione esaustiva ed organica.
Sinteticamente, esso può essere definito come una “contitolarità” di diritti sul medesimo bene, ex legeo ex contracto. Nella sostanza il condominio è un ente di gestione e non una persona giuridica (cfr. Cassazione civile 3064/2007).
“Edificio polifunzionale” il quale è un edificio destinato a scopi diversi e occupato da almeno due soggetti che devono ripartire tra loro la fattura dell'energia acquistata. Mentre nel condominio occorre che vi siano almeno due proprietari di diverse unità immobiliari, in questa definizione viene previsto il caso in cui l'edificio appartiene ad un solo proprietario ma è “occupato” da almeno due soggetti (magari in forza di un contratto di locazione o di comodato o di leasing) Sin dal momento dell'installazione dei contatori, i clienti finali dovranno poter ottenere informazioni adeguate con riferimento alla lettura dei dati e dal monitoraggio del consumo energetico.
L'ottica nella quale il Legislatore si muove è quella dell'attenzione verso il cliente finale nonché l'adeguata trasparenza e informazione al fine di consentire allo stesso di meglio comprendere i dati dei propri consumi. Entro breve, pertanto, il “peso” del singolo scatto del contatore o del ripartitore dovrà essere facilmente intellegibile.

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Spigolature sulla riforma del condominio: USUFRUTTUARIO/NUDO PROPRIETARIO

Riguardo a tali soggetti (spesso presenti nell'edificio come contemporanei intestatari di un'unica porzione di piano) per le regole previgenti, era del tutto pacifico che:
  • detta co/intestazione spiega effetti erga omnes (e quindi anche nei confronti del condominio), in quanto derivante da un titolo opponibile (Cass. 16 febbraio 2012, n. 2236, Cass, 6 luglio 2011, n. 14883, Cass. 28 agosto 2008 n. 21774, Cass. 6 luglio 2007, n. 14883, Cass. 27 ottobre 2006 n. 23291);
  • l'usufruttuario ed il nudo proprietario, pertanto, devono essere considerati soggetti distinti, e sono separatamente tenuti al pagamento del dovuto, ciascuno per quanto di rispettiva competenza;
  • tra detti soggetti gli oneri di manutenzione sono ripartiti in base agli artt. 1004 e 1005 c.c. che addebitano, all'usufruttuario, “le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria, le riparazioni straordinarie rese necessarie dal dall'inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione”, mentre ritengono il nudo proprietario tenuto al pagamento dei costi per “riparazioni straordinarie”, cioè per quelle che “sono… necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta” (elenco ritenuto pacificamente “indicativo”: cfr. Cass. 3 aprile 1979, n. 1881; Trib. Napoli 18 febbraio 1969. Per più articolate precisazioni, si veda anche Trib. Roma, 4 novembre 2004, n. 29809 per il quale “ai fini della ripartizione delle spese condominiali fra nudo proprietario e usufruttuario, occorre riferirsi al criterio della natura delle opere da realizzare. L’usufruttuario, avendo l’uso e il godimento della cosa, sarà responsabile per tutto ciò che attiene alla conservazione e al godimento della cosa stessa sotto il profilo materiale e della sua attitudine produttiva. Mentre saranno riservate al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della cosa. Pertanto, spese come quelle di rifacimento della caldaia, di assicurazione del fabbricato, di manutenzione del tetto, non assumono quel carattere di straordinarietà come sopra delineato, ma piuttosto vanno fatte rientrare nell'alveo delle spese relative all’amministrazione e alla conservazione del bene in quanto idonee a preservarne l’attitudine produttiva, con conseguente attribuibilità dei relativi oneri all'usufruttuario”).
Per le nuove regole della riforma, invece:
  • è prevista (nell'ultimo comma dell’art. 67 disp. att. c.c.) la responsabilità solidale di tali due soggetti, mediante l’inserimento del periodo “il nudo proprietario e l'usufruttuario rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all'amministrazione condominiale”;
  • si tratta, appunto, di una solidarietà tout court, con la conseguenza che il condominio può riscuotere l’intero debito (riferibile alla specifica unità immobiliare) da uno a scelta di tali soggetti (senza alcuna “preventiva escussione” - cfr., invece, novellato art. 63 disp. att. c.c.);
  • trattasi di norme di nuova introduzione (peraltro, come visto, in palese ribaltamento dei principi in precedenza applicati), quindi, con effettiva entrata in vigore dal 18 giugno 2013 (vale a dire, per le obbligazioni sorte da tale data); di conseguenza, per l’applicazione della disciplina previgente o di quella attuale sarà necessario considerare le regole poste per l’individuazione del momento di insorgenza dell'obbligo di pagamento, specialmente nel caso di riscossioni che riguardano più annualità.
In ogni caso, a fronte di tale (riguardevole) novità, appare necessario chiedersi se, nel nuovo regime di “solidarieta”, il bilancio condominiale dovrà continuare a riportare in maniera ugualmente separata, da una parte, le spese (“ordinarie”) riguardanti l’usufruttuario, e da un’altra, quelle (“straordinarie”) riferibili al nudo proprietario, come la giurisprudenza precedente ha più volte richiesto (Cass. 28 agosto 2008, n. 21774, Cass. 27 ottobre 2006, n. 23291. Contra, però, sul punto, Cass. 21 novembre 2000, n.15010). Probabilmente vigente la riforma, la redazione del bilancio con un'unica voce di spesa, comprensiva di dette due poste (ordinaria e straordinaria), non dovrebbe compor tare effetti di invalidità sulla deliberazione di relativa approvazione.

  1. LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE E LA RISCOSSIONE (home page)
  2. VENDITORE/ACQUIRENTE
  3. IL C.D. "REVISORE" DELLA CONTABILITA'
  4. LA C.D. "MULTA"
  5. L'OBBLIGO DI RISCOSSIONE ENTRO SEI MESI
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Spigolature sulla riforma del condominio: VENDITORE/ACQUIRENTE

La riforma ha operato alcune rilevanti modifiche in materia di individuazione del soggetto tenuto al pagamento (nei confronti del condominio) in occasione della cessione della titolarità sulla porzione di piano compresa nell'edificio.

Se, da una parte, risulta:
  • confermata la responsabilità solidale (per il biennio) del venditore e dell’ acquirente (di unità immobiliare compresa nell'edificio) in relazione alle spese antecedenti al rogito (art. 63, penultimo comma, disp. att. c.c.), da un’altra parte, viene:
  • introdotta la (piuttosto “incredibile”) responsabilità solidale dell’acquirente e del venditore (di unità immobiliare compresa nell'edificio) in relazione alle spese successive al rogito (art. 63, ultimo comma, disp. att. c.c.) e fino alla comunicazione all'amministratore di copia autentica del titolo (testualmente, “chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”);
In conclusione ed in combinato disposto, in relazione alla fissazione di tale aspetto temporale, l’amministratore potrà:
  • rivolgersi solo all'acquirente per gli oneri sorti successivamente alla cessione immobiliare;
oppure,
  • rivolgersi all'acquirente e anche al venditore per gli oneri sorti successivamente alla cessione qualora quest’ultimo incappi (a causa della mancata comunicazione di cui sopra) nella corresponsabilità solidale prevista dal comma 4 dell’art. 63 disp. att. c.c.;
  • rivolgersi al venditore e all'acquirente per quelli sorti nell'ultimo biennio (non solare, ma di bilancio, calcolato rispetto al rogito) secondo il tradizionale testo dell’art. 63 disp. att. c.c. (pacifico il riferimento all'anno di gestione, e non a quello solare: cfr. Trib. Bolzano 10 giugno 1999; Trib. Milano 8 luglio 1971);
  • rivolgersi solo al venditore per quelli anteriori a tale biennio.
Sussiste, tuttavia, più d'un problema applicativo per la “nuova” responsabilità del venditore e dell’acquirente per le spese successive al rogito.
Infatti, premettendo che, secondo il chiaro disposto della norma, si tratta di responsabilità solidale tout court, si pongono le seguenti questioni:
  • considerato che il notaio rogante non può rilasciare copia autentica fino a che l'atto non venga sottoposto a registrazione (possibile fino a 30 gg dalla stipula), sarà da considerarsi sufficiente e/o analoga negli effetti la trasmissione di un certificato notarile (documento che, invece, può essere immediato)?;
  • nel caso in cui il venditore non conosca la persona dell'amministratore (si pensi ad un'attivazione tardiva del primo), o nel caso in cui l'amministratore non sia stato nominato (cfr. art. 1129 c.c., nuova versione, che ha portato a più di 8 il numero minimo di condomini perché la nomina sia obbligatoria) con quali mezzi alternativi la formalità può essere eseguita? Trasmissione della copia autentica del rogito a tutti i condomini? AI c.d. “facente funzioni” di cui all'art. 1129 c.c. (previsto, in tale norma, limitatamente per l’affissione della “targa”?);
  • nel caso in cui il venditore abbia perso contatto col condominio, circostanza che può verificarsi assai facilmente, con quale strumento (dotato di un minimo di certezza) potrà reperire il nominativo ed il recapito dell’amministratore in carica per effettuare, seppur tardivamente, la comunicazione della copia del rogito, considerato che non esiste alcun registro?
In ogni caso, sull'argomento, va precisato che l’approvazione del c.d. “saldo esercizi precedenti” (vale a dire, della “posta” inserita nell'ultimo bilancio per rappresentare il debito relativo ad una o più annualità antecedenti a quella oggetto di “rendiconto”) non determina uno “spostamento” temporale del debito, che va sempre riferito all'annualità di specifica competenza. In realtà, si tratta di “un mero riepilogo contabile” (cfr. Trib. Milano 23 gennaio 2003).

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Spigolature sulla riforma del condominio: IL C.D. REVISORE DELLA CONTABILITA'

L’istituto del revisore della contabilità si collega direttamente col tema dell’invalidità della deliberazione di ripartizione delle spese.
L’art. 1130 bis c.c. ha esattamente previsto che l’assemblea condominiale può, in qualsiasi momento o per più annualità specificamente identificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio. La deliberazione è assunta con la maggioranza prevista per la nomina dell’amministratore e la relativa spesa è ripartita fra tutti i condomini sulla base dei millesimi di proprietà.
Viene consentita la nomina di un revisore finalizzata al controllo della contabilità anche di più annualità pregresse (e, quindi, anche di quelle i cui bilanci sono stati da tempo definitivamente approvati dall'assemblea, e non impugnati nei termini ex art. 1137 c.c. da parte dei singoli condomini).
Quindi si consente, implicitamente, che detti bilanci (“definitivi”) siano rimessi in discussione “senza limitazioni”.
Tale possibilità (che è incontestabile, stante il chiaro tenore letterale della norma) confligge clamorosamente con la giurisprudenza precedente che ha affermato i principi secondo cui:
  • l’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore rientra tra le attribuzioni dell’assemblea dei condomini;
  • relativamente ai vizi di annullabilità (!) la relativa deliberazione, se non impugnata tempestivamente diviene definitivamente obbligatoria per tutti i condomini,
  • di conseguenza, il condomino dissenziente non può, in mancanza di tempestiva formale impugnazione (ex art. 1137 c.c.) sottrarsi al pagamento di quanto dovuto (cfr. Trib. Salerno 30 gennaio 201 0, Trib. Milano 7 marzo 1996, n. 2205, Cass. 14 luglio 1989, n. 3291; Cass. 23 luglio 1988 n. 4751; Cass. 5 aprile 1984 n. 2220);
  • per le stesse ragioni, la predetta approvazione (e la mancata impugnativa) preclude al singolo condomino l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore (arg. da Cass, 2 ottobre 1992, n. 10838). In sostanza, una volta che l’amministratore abbia presentato il rendiconto annuale all'assemblea dei partecipanti e questa lo abbia approvato, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali afferenti alla gestione delle parti comuni, al condomino dissenziente non resta che impugnare nei termini la delibera (cfr. Cass. 20 aprile 1994, n. 3747);
  • sempre secondo la giurisprudenza (pregressa alla riforma), al di fuori di questa ipotesi (cioè, successivamente all'approvazione non contestata), il rendiconto può essere messo in discussione dal singolo condomino solo per vizi di nullità (Cass. 31 maggio 1988, n. 3701), i quali, secondo una specifica giurisprudenza di merito, possono consistere nei casi in cui, per esempio, vi sia indebita appropriazione dei fondi comuni (da parte dell’amministratore), in quanto, in tale caso, la delibera di approvazione del rendiconto sarebbe radicalmente nulla (per carenza assoluta di potere da parte dell'assemblea, nonché per mancanza di accordo e di oggetto negoziale ex art. .1418 c.c.) (Trib. Milano 7 marzo 1996, n. 2205), il tutto, peraltro, in perfetta corrispondenza al disposto dell'art. 266 cod. proc. civ., che ammette la revisione del conto già approvato in caso di errore materiale, omissione, falsità o duplicazione di partite.
Stante tutto ciò, non v’è chi non veda come la nomina del revisore contabile, essendo finalizzata al controllo delle annualità pregresse (senza limitazione alcuna sulla natura dei vizi contestabili o sul periodo verificabile) mina fortemente la permanenza della validità di tutti i suddetti consolidati principi, e sembra invece consentire la messa in discussione dei bilanci per vizi di mera annullabilità, anche oltre il termine perentorio ex art. 1137 c.c. (di impugnazione della deliberazione di relativa approvazione).
Se, da una parte, può dirsi che risulta chiara l'intenzione del legislatore della riforma di prevedere un nuovo strumento (il revisore) che contribuisca alla regolare tenuta della contabilità, da un’altra parte, può determinarsi, nel concreto il diverso effetto di innescare situazioni di alta incertezza (come quelle che consistono nella possibilità di contestare sine die, e in ogni caso, i bilanci condominiali approvati da tempo senza contestazioni).
Forse alla soluzione del problema si arriva attraverso una integrazione interpretativa della figura del revisore, che tenga conto del fatto che:
  • la funzione del revisore - evidentemente attinente e riferibile, quanto a mansioni, a quella di amministratore - è probabilmente riconducibile nell'ambito del contratto di mandato, o comunque comporta una sorta di “rendiconto finale” (cioè, la presentazione all'assemblea dell'esito dell'effettuata “revisione” dei bilanci);
  • detto rendiconto, in quanto consistente in un “nuovo” bilancio revisionato, dev'essere certamente sottoposto all'approvazione dell'assemblea;
  • questa nuova approvazione sarà autonomamente (e nuovamente) impugnabile secondo le regole generali.
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Spigolature sulla riforma del condominio: LA C.D. MULTA

Come noto (ed ampiamente “pubblicizzato”), la “riforma” è intervenuta sull'art. 70 disp. att. c.c. “resuscitando” la famosa (o famigerata) “multa” per l’inosservanza del regolamento di condominio comminabile al singolo condomino.

Ovviamente, l’aggiornamento della norma è avvenuto sul versante dell’importo, che - vista la sua precedente irrisorietà (€. 0,05) e la giurisprudenza costante che negava qualsiasi innalzamento di tale importo (anche in forza di patto contrattuale) - era praticamente inutilizzabile.

Sorvolando in questa sede sui problemi operativi che la norma comporta, e registrando solo che l’amministratore (per fortuna) è stato sollevato dal ruolo di “giudice del regolamento” con l'attribuire all'assemblea il potere di irrogazione della multa, va evidenziato, sempre con riferimento al tema delle spese, che per quanto riguarda I’utilizzazione degli importi riscossi, l'art. 70 (nel vecchio e nel nuovo testo) prescrive che “la somma è devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie”.

Premesso che, nel concreto, è assai difficile che l’amministratore disponga di questo fondo, e che le regole che la giurisprudenza ha fissato per la relativa formazione impongono un minimo di determinatezza quanto a correlazione con ipotetiche spese future (e, quindi, anche con la relativa ripartizione), l'art. 70 disp. att. c.c. non precisa se del relativo importo potrà giovarsi anche il condomino “sanzionato”, cosa che, se non considerata, avverrà automaticamente all'atto dell'utilizzazione del predetto fondo.

E’ ragionevole affermare, invece, che la multa per restare tale non deve essere indirettamente restituita attraverso l’utilizzazione del fondo, e che quindi dovrà essere imputata dall'amministratore come posta attiva di tutti i condomini, eccetto il “trasgressore”.

Per di più, l’imputazione dell’importo riscosso come multa dovrà essere paritaria tra i condomini, con ciò quindi dovendosi escludere l’utilizzazione della relativa provvista per il pagamento di spese la cui ripartizione non è basata sulla tabella millesimale di proprietà (si pensi alla c.d. tabella scale).

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Spigolature sulla riforma del condominio: L'OBBLIGO DI RISCOSSIONE ENTRO SEI MESI

La “novella” introduce (nell'art. 1129 c.c.) l’obbligo per l'amministratore di attivare la riscossione forzosa dei crediti condominiali entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio, dovere che va collegato all'ulteriore obbligo (ex art. 1130 c.c.) di presentazione del bilancio entro 180 giorni (più precisamente, si tratta dell’obbligo di convocare l’assemblea per l’approvazione del bilancio redatto).

La "nuova" norma recita, “salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell’articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del presente codice".

L’obbligo, quindi, sussiste normalmente, a meno che l’amministratore non sia esonerato per espressa dispensa da parte dell’assemblea.

Sul punto, può sinteticamente evidenziarsi che:
  1. non viene precisato il significato della locuzione “chiusura e esercizio”, potendosi, nel concreto, riferire sia alla scadenza meramente temporale (per esempio, il 31 dicembre di ogni anno), sia all'approvazione assembleare del relativo rendiconto finale (certamente successivo). Non soccorre, sul punto, nemmeno il richiamo al procedimento ex art. 63 disp. att. c.c. (ricorso per decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo) in quanto, per pacifica giurisprudenza, tale procedura può essere attivata sia in base al bilancio “preventivo” sia in base a quello “consuntivo”. Probabilmente, per non svuotare di significato la norma, il termine va correlato con quello, anch’esso semestrale, di presentazione del bilancio (ex art. 1130 c.c.), con la conseguenza che i due termini sono concepiti come successivi l'uno all'altro: 6 mesi per la presentazione del bilancio, ulteriori 6 mesi per avviare la riscossione.
  2. Nulla viene detto in ordine alla delibera che “dispensa” l’amministratore dalla riscossione forzosa entro sei mesi, né della necessità di un particolare quorum. Ne deriva che, in base ai principi generali, la delibera potrà essere a maggioranza ordinaria (cioè, in base all'ordine di convocazione) quando si riferisce ad una “dispensa” specifica (per esempio, relativa ad una determinata “annualità” di gestione), oppure dovrà raggiungere i quorum qualificati previsti per l’approvazione del regolamento di condominio qualora preveda una dispensa valevole “per sempre”. In ogni caso, sembra inammissibile, in base ai principi generali, una “dispensa” dell’assemblea che riguardi solo alcuni condomini (per evidente sperequazione nel trattamento dei diritti/obblighi nei confronti degli altri), mentre certamente possibile è una “dispensa” riferita solo a determinati esercizi di bilancio o a solo determinati costi (ma valevole per tutti i condomini).
  3. Nulla è detto sulla derogabilità della norma, se, cioè, sia possibile che l’assemblea preveda un particolare “regolamento” della riscossione, per esempio disponendo ab origine che la “dispensa” valga per crediti fino ad un certo importo, o, per esempio, prevedendo che il termine massimo di riscossione sia diverso. Peraltro, sul punto, non appare ostativo il disposto del penultimo comma dell'art. 1138 c.c. che include l’’art. 1129 c.c. tra le norme c.d. “inderogabili”, sia perché la giurisprudenza ha da sempre riconosciuto un certo margine operativo (rectius, “regolamentativo”) anche in questi casi, sia perché sussiste comunque la possibilità di adottare una clausola regolamentare all'unanimità (vale a dire, con valore contrattuale). Sul punto, si potrebbe affermare che vista la discrezionalità che la norma attribuisce all'assemblea, questa può essere esercitata anche prevedendo particolari regole di riscossione.
  4. La norma sembra implicitamente disconoscere qualsiasi effetto (su tale obbligo di riscossione) della c.d. “gestione straordinaria” (nel concreto delle amministrazioni condominiali, attuata in parallelo a quella “ordinaria” e riguardante, di solito, le opere di manutenzione straordinaria dell’edificio) che abbia tempi e modi diversi rispetto al normale esercizio di bilancio. Anche in questi casi, secondo l’art. 1129 c.c. il momento da cui decorre l’obbligo di riscossione non potrà che essere quello generale dell’intera gestione.
  5. Non vengono neppure precisate le conseguenze di un eventuale “inadempimento” da parte dell’amministratore (all'obbligo di riscossione forzosa entro sei mesi). Ne deriva che, in applicazione dei principi generali, il medesimo sarà tenuto al risarcimento del danno, che (data la natura dell’obbligo violato) non potrà che consistere negli eventuali esiti dannosi che possano derivare dall’omissione o dal ritardo.
  6. In ogni caso, l’obbligo dell’amministratore è rafforzato mediante la previsione di un’apposita ipotesi di “revoca” ai sensi dell’art. 1129 c.c..

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Spigolature sulla riforma del condominio: la ripartizione delle spese e la riscossione

Il titolo della presente relazione rimanda ad una rubrica della notissima rivista “La Settimana Enigmistica”, costituita da un “Catalogo” di vari aneddoti, sovente riguardanti fatti non meno che singolari. Il termine si addice perfettamente alla materia delle spese (nel duplice aspetto della “ripartizione” e della “riscossione”) analizzata con specifico riferimento a quello che è stato l’intervento modificativo/integrativo operato dalla recente riforma del condominio (legge n. 220/2012, e successive modifiche ed integrazioni, in vigore dal 18 giugno 2013).
In via generale, si può dire che la novella ha lasciato totalmente inalterato il meccanismo giuridico della ripartizione delle spese, ed è intervenuta in maniera molto limitata sugli articoli 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c.. Relativamente al rimanente testo codicistico riguardante la normativa condominiale (artt. 1117>1139 c.c.) è andata “spigolando” qua e la, inserendo disposizioni che seppur finalizzate alla regolamentazione di altri e differenti ambiti della disciplina, sono comunque in grado di produrre effetti in materia di spese.
Come prima cosa, c’è da chiedersi il perché di questo mancato intervento sulla materia delle spese, in quanto la circostanza non può che avere un significato sia dal punto di vista interpretativo/applicativo, sia rispetto alla valutazione della disciplina che ne risulta. Tra l'altro, questa “omissione” appare confliggente con la “puntigliosità” che la riforma ha rivelato in altri casi (si pensi alla ripetuta sostituzione di termini con meri “sinonimi”). Viene, quindi, da chiedersi se si tratta del “sintomo” di un certo timore reverenziale dell’odierno legislatore nei confronti di quello del 1942, oppure se costituisce un’implicita ammissione del “buon funzionamento” del sistema di ripartizione previsto originariamente dal codice, oppure, ancora, se non sia prova del fatto che, in materia di ripartizione, non v’era necessità di cambiamenti e/o di aggiornamento normativo. Rimane il fatto che la novella ha sostanzialmente ignorato tale gruppo di norme (artt. 1123>1126 c.c.) (concentrandosi, sotto altro verso, sullo specifico aspetto della riscossione).
Fatta questa premessa, è quindi opportuno puntualizzare ciò che non è cambiato nella materia de qua; e in tale ottica, può dirsi che:
a) è rimasto inalterato il meccanismo di ripartizione previsto dall'ar t. 1123 c.c.;
b) e quindi, risultano confermate: la ripartizione di “default” a millesimi di proprietà (1° comma);
c) la ripartizione (in subordine) in base all'uso (2° comma);
d) la ripartizione per “gruppo” ristretto di condomini (3° comma), al cui interno si applica l’ulteriore criterio a millesimi di proprietà oppure in base all'uso (con riferimento al 1° o al 2° Comma, a seconda dei casi);
e) ed anche la possibilità che una “diversa convenzione”, in deroga pattizia a quanto sopra, stabilisca ripartizioni “personalizzate” (diverse da quelle “legali”).

Da siffatta impostazione, deriva la totale conferma di alcuni principi fondamentali, acquisiti da decenni di interpretazione giurisprudenziale, tra i quali:
1) la ripartizione a millesimi costituisce criterio “di riferimento”, ritenendosi, per esempio, del tutto incongruente col sistema di ripartizione previsto dal codice l'attribuzione degli oneri condominiali “in parti uguali” tra i partecipanti (nonostante i condomini nel concreto, sovente, attribuiscano un incondizionato gradimento a tale soluzione, e nonostante qualche arresto giurisprudenziale abbia stimato ammissibile tale ripartizione: si pensi alle pronunce sulla ripartizione delle spese per l’antenna centralizzata e per il citofono; nonché alla prassi generalizzata - ma non corretta - di ripartizione del compenso per la redazione delle tabelle millesimali secondo una quota identica per ogni appartamento).
2) La particolare individuazione dell’ambito delle facoltà dell’assemblea in merito alla ripartizione delle spese, secondo cui i relativi poteri sono assai circoscritti (molto più che in altri aspetti delle possibili decisioni di gestione). La giurisprudenza, infatti, ha precisato che l’assemblea condominiale, con le sue deliberazioni (di ripartizione), non può sovrapporsi al dettato legale, ma deve, invece, uniformarsi ai vincolanti criteri previsti dal codice, limitandosi alla verificazione ed all’applicazione in concreto dei canoni fissati dalla legge, e non ha la facoltà di introdurre deroghe ai medesimi, in considerazione del fatto che tali deroghe, venendo direttamente ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino, attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono derivare soltanto da una convenzione (contrattuale) cui egli aderisca (cfr. Cass. 19 marzo 2010, n. 6714; Trib. Torino 18 maggio 2005, n. 3356; Trip. Genova 9 novembre 2004, n. 4197; Trib. Bologna 25 maggio 2004, n. 1591; Trip. Napoli 5 aprile 2004, n. 3929; Trib. Bologna 22 gennaio 2004, n. 264; Cass. 5 novembre 2001, n. 13631, Cass. 15 marzo 1995, n. 3042; Cass. 3 maggio 1993, n. 5125; Cass. 19 novembre 1992, n. 12375; Cass. 21 maggio 1987, n. 4627; Cass. S.U. 5 maggio 1980, n. 2928).

Nel Concreto, l'assemblea quando provvedere ad attribuire una spesa deve:
  • individuare il criterio che la legge prevede per la specifica ripartizione;
  • applicarlo al caso concreto.
Sul punto, varrebbe la pena di svolgere una rapida riflessione sul ruolo dell'amministratore il quale, in merito alla ripartizione delle spese e nella prassi generalizzata, ha assunto, a sommesso avviso di chi scrive, una veste eccessivamente propositiva.
Spesso (se non sempre) accade che, autonomamente e direttamente, presenti una ripartizione già “confezionata” all'assemblea la quale, per prassi, sostanzialmente la ratifica/approva cosi com’è. Tuttavia, secondo l'impostazione del codice relativa all'individuazione della ripartizione della specifica spesa, quella dell'amministratore è solo una “proposta” (di deliberazione) e nulla di più, ed invece è (o meglio, dovrebbe essere) l’assemblea che procede ad individuarla tra le tante possibili. Non deve sfuggire che da tali iniziative dell’amministratore (nel caso in cui la conseguente delibera sia invalida) si potrebbe anche far scaturire una qualche forma di sua responsabilità (quanto meno professionale).
3) Proprio con riferimento all’ambito dei poteri dell’assemblea in materia di ripartizione delle spese, risulta assolutamente confermata la totale esclusione dall’ambito delle sue prerogative decisionali della possibilità di deliberare sulla ripartizione delle c.d. (e “presunte”) spese personali. Si pensi, innanzitutto, ai costi per il rifacimento dei balconi in sede di manutenzione straordinaria dell’edificio (sul punto, cfr. la recente Cass. 9 ottobre 2014, n. 21343), oppure alle spese del compenso del legale/avvocato del condominio in sede di procedimento di riscossione coattiva del credito per oneri condominiali.
4) In funzione dell'applicazione del comma 3 dell’art. 1123 c.c. - norma, come detto, anch’essa inalterata - risulta confermato il riconoscimento del fenomeno del c.d. “condominio parziale” in base al quale, sia la competenza decisionale, sia l’onere di sostenere separatamente le spese per la gestione e la conservazione della parte comune va riferita/o ad un gruppo ristretto di condomini. Sul punto, in particolare, può evidenziarsi che, nell'art. 1117 c.c., per la prima volta in maniera espressa, viene richiamato (e quindi apprezzato) dalla “riforma” il concetto di “destinazione”, che costituisce proprio il criterio di attribuzione della “proprietà parziale” all'interno del condominio.
5) Altrettanto confermato è il criterio di valutazione del grado dell'eventuale invalidità della deliberazione assembleare di ripartizione delle spese. Rimane pertanto inalterato il criterio di distinzione tra delibere nulle e delibere annullabili in tale materia, che va individuato con riferimento a quanto affermato dal noto pronunciamento a Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U. 7 marzo 2005, n. 4806), secondo cui, stante le predette circoscritte facoltà attribuite all'assemblea, si verifica un’ipotesi di nullità nel caso della delibera che modifica i criteri di spesa previsti dall'art. 1123 c.c., mentre si verte in ipotesi di annullabilità nell'eventualità della ripartizione errata (solo) nel concreto (tra le molte conformi, si vedano, da ultime, Trib. Milano 11 febbraio 2014, n. 2010, Cass. 21 maggio 2012, n. 8010).

Il principio è piuttosto “astratto” e risulta riportato tralatiziamente in quasi tutte le sentenze in materia, tuttavia, analizzando il “fatto” delle relative sentenze, qualche esplicazione in xiii e possibile ottenere, e cioè che:
a) innanzitutto, non è rivelatrice la “lesione” che si verifica per ingiusto addebito di spesa a carico di un condomino (perché si tratta di una circostanza che sempre si verifica). Quindi il pregiudizio del diritto soggettivo a carattere patrimoniale non è rivelatore del grado di invalidità della deliberazione che approva l’errata ripartizione;
b) ogni volta che, esplicitamente o implicitamente, si adotta a maggioranza una ripartizione in deroga ai criteri legali, la deliberazione sarà affetta da nullità e non “semplicemente” da annullabilità (è il caso, per esempio, dell'adozione di un criterio previsto dalla legge per una fattispecie diversa - si pensi ai canoni dell'art. 1125 c.c., adottati in luogo di quelli dell’art. 1126 c.c. - oppure al caso dell’approvazione di una ripartizione per quote uguali) (Cfr. Cass. 14 giugno 2013, n. 15402, Cass. 19 marzo 2010,n. 6714, Cass. 16 febbraio 2001, n. 2301, Case. 8 gennaio 2000, n. 126. Peraltro, è nulla anche la delibera con cui, a maggioranza, vengano stabiliti interessi moratori a carico dei condomini in ritardo con i pagamenti: cfr. Cass. 30 aprile 2013, n. 10196);
c) al contrario, un’errata applicazione “in concreto” di un criterio legale di ripartizione determinerà la mera annullabilità della relativa delibera (come avviene, per esempio, nel caso di erronea esclusione di uno o più condomini dalla ripartizione; o di erronea ricomprensione di costi attinenti ad altre poste all'interno di una ripartizione basata su di un corretto criterio legale) (Cfr. Cass. 14 gennaio 2009, n. 747; Cass. 27 aprile 2005, n. 8732; Cass. 8 giugno 1993, n. 6403. Sull'errata inclusione e/o esclusione di uno o più condomini dalla ripartizione di spesa l’orientamento della giurisprudenza è meno “armonico”. Infatti: per la nullità in caso di errata inclusione, si veda Cass. 3 ottobre 2013, n. 22634).
Sempre nell'ambito delle “conferme” che ci vengono dalla riforma in materia di ripartizione delle spese.
6) Vanno ricordati soprattutto l’art. 1125 e l'art. 1126 c.c. che, proprio in materia di ripartizione delle spese regolavano (e regolano) la fattispecie delle “volte, soffitti e solai e, soprattutto, quella del lastrico solare esclusivo”. Per tali due norme va confermata anche la sterminata giurisprudenza precedente alla riforma che ha analizzato con minuzia le due fattispecie arrivando a regolarne quasi ogni possibile aspetto. In merito all'applicazione prevista dall'art. 1126 c.c., sembra opportuno cogliere quì l’occasione di richiamare la recente Cass. 13 giugno 2014, n. 13526, la quale con riferimento ai danni da infiltrazioni provenienti da lastrico solare di proprietà o uso esclusivo - non dipendenti da fatto imputabile al solo utilizzatore - si chiede (o meglio trasmette il quesito alle Sezioni Unite) se debba configurarsi un ipotesi di inadempimento di un obbligazione (art.1126 c.c.) oppure un caso di responsabilità per danni da cose in custodia (art. 2051 c.c.).
7) Risulta inalterato anche l’art. 1132 c.c. sul c.d. dissenso alle liti che permane regolato come per il passato (in ordine all'estraneazione del condomino dissenziente rispetto al solo pagamento delle spese liquidate a controparte).
8) Inalterato anche l’art. 1121 c.c. in ordine alla possibilità della separazione della spesa nel caso di innovazioni “gravose e/o voluttuarie”, i cui costi devono essere ripartiti tra i soli condomini che aderiscono alla realizzazione dell’opera.
Sul punto, va quindi confermata tutta la giurisprudenza precedente alla riforma che (sempre con sostanziale riferimento alla ripartizione delle spese) aveva affermato che:
  • ai condomini “non partecipanti” va attribuito un vero e proprio “diritto” (potestativo) al subentro successivo;
  • costoro sono però obbligati al rimborso della quota parte a loro attribuibile (come se avessero partecipato ab origine);
  • in tale ultimo caso, è necessario calcolare sia il deprezzamento di valore del bene o dell’impianto oggetto di innovazione, sia i costi sostenuti dagli originari installatori per la conservazione dell’opera;
9) Dovrebbe considerarsi ancora del tutto applicabile il fenomeno della prescrizione del credito condominiale (con conseguente liberazione del singolo condomino rispetto al pagamento), recentemente ribadita dalla Suprema Corte (Cass. 25 febbraio 2014, n. 4489, in conferma della precedente Cass. 28 agosto 2002, n. 12596) per la quale si applica il §4 dell'art. 2948 c.c., riguardante le spese di natura periodica, con conseguente prescrizione quinquennale.
Da porre attenzione al fatto che da tale principio dovrebbe derivare che nel caso di spese straordinarie, la cui necessità è improvvisa ed imprevedibile (e che, quindi, non hanno una cadenza periodica costante) il periodo prescrizionale (“ordinario”) è di dieci anni ex art. 2946 c.c., il tutto senza dimenticare la critica assai argomentata che di tale affermazione ha fatto un'autorevole dottrina (Izzo), la quale ha affermato l'inapplicabilità dell'istituto della prescrizione in ambito condominiale (in considerazione del fatto che “fintanto che sussista l'attualità dell’adempimento dell’obbligazione che fa capo ai condomini per le spese riguardanti le cose comuni, appare fuori luogo configurare la cessazione dell’obbligo di contribuzione per prescrizione”).
Tuttavia, la fattispecie va ora (dopo la “riforma”) ricollegata all'obbligo di riscossione entro sei mesi introdotto dalla riforma che dovrebbe, se rispettato, bypassare qualsiasi prescrizione.
10) Per quanto riguarda I'art. 1134 c.c. riguardante le spese anticipate dal singolo condomino, la novella è (apparentemente) intervenuta in due punti:
a) sulla rubrica, nella quale il concetto di “spese fatte dal condomino” è stato sostituito con “gestione di iniziativa individuale”;
b) nel corpo della norma, dove l'iniziativa del singolo che “ha fatto spese per le cose comuni” è stata diversamente indicata come quella di assunzione della gestione di tali cose.
La modifica sembra voler ampliare il concetto di attività posta in essere dal singolo che transita dalla mera effettuazione di spese al più esteso concetto di attività di gestione. Gli effetti concreti di tale cambiamento testuale, tuttavia, appaiono completamente frustrati se si pensa che il diritto affermato resta sempre e solo quello al rimborso, elemento che non può che riferirsi, anche dopo la riforma, alle spese anticipate dal singolo. Rimane inalterata la condizione dell’“urgenza” come requisito imprescindibile per ottenere, appunto, detto rimborso, con relativo onere della prova che grava, ovviamente, sul richiedente (cioè sul condomino che, nell’interesse comune, ha anticipato la spesa) (Cfr., pacificamente, Cass. 19 dicembre 2011, n. 2751 9, Cass. 12 ottobre 2001, n. 21015; Case. 23 aprile 201 0, n. 9743, Case. 10 agosto 2009, n. 18192; Cass. 19 luglio 2007, n. 16075, Cass. Sez. Un. 31 gennaio 2006, n. 2046, Trib. Roma 17 gennaio 2006, n. 1260, Case. 22 giugno 2005, n. 13371, Trib. Roma 7 marzo 2005, n. 7679, Cass. 8 marzo 2003, n. 3522, Cass. 26 marzo 2001, n. 4364; Cass. 4 agosto 1997, n. 7181).
11) La riforma integra il testo dell’art. 1118 c.c. considerando espressamente l’ipotesi del c.d. distacco unilaterale dall'impianto centralizzato per il riscaldamento, e, stimando ammissibile l’ipotesi, ne regola le conseguenze sulla partecipazione alle spese come segue: “il condomino può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.
Il testo adottato appare una conferma (quasi una riproduzione) dei principi di diritto affermati dal giudice di legittimità (cfr., da ultime tra le molte conformi, Cass. 30 aprile 2014, n. 9526, Cass. 31 luglio 2012, n. 13718; Cass. 31 maggio 2012, n. 8750, Case. 3 aprile 2012, n. 5331; Cass. 29 settembre 2011, n. 19893, Cass. 27 maggio 2011, n. 11857), risultando comunque da sottolineare i seguenti aspetti:
  • la riforma conferma che il condomino che si distacca resta comunque tenuto al pagamento di tre generi di costi: a) spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto, b) spese per la sua conservazione (quindi, anche spese ordinarie); C) spese per l’eventuale messa a norma; rimanendo in pratica da escludere solo le “spese di esercizio”;
  • viene stabilita una condizione impeditiva al distacco consistente nell'assenza di notevoli squilibri di funzionamento, ponendosi il problema non solo della valutazione in sede giudiziale di tale “quantità”, ma anche del fatto se siano consentiti (e, quindi, da tollerarsi) squilibri non notevoli.
Se quelle finora accennate sono le “conferme” presenti nel testo della riforma relativamente al “sistema” di regole previsto dal codice per la ripartizione delle spese condominiali, un rapido accenno va fatto alla (sola) vera modifica prevista in tale materia che è quella effettuata sull'art. 1124 c.c..
A tale proposito, va evidenziato che la novella colma una (nota) lacuna testuale inserendo anche i costi per l’impianto di ascensore nella ripartizione prevista per le scale.
L’estensione del disposto dell’art. 1124 c.c. anche a tale impianto (e cioè della ripartizione metà per millesimi e metà per altezza), conferma l’identica ratio applicabile (alle scale e, appunto, anche all'ascensore) che si fonda sul maggior logorio della parte comune determinato dall'accesso ai piani superiori.
L'intervento della novella è perfettamente conforme ad una giurisprudenza (che in precedenza era a dir poco definitiva) secondo cui l'art. 1124 c.c. va applicato per analogia (e, come detto, per identica ratio) alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente (Cfr., tra le ultime, Cass. 17 febbraio 2005, n.3264, Trib. Salerno 10 settembre 2010, Trib. Bari 14 giugno 2010, n. 2123; Trib. Salerno 3 novembre 2009; App. Milano 21 febbraio 2006, n. 76).
Più rilevante (sempre con riferimento all'art. 1124 c.c.) e il cambiamento del concetto di “ricostruzione” con quello di “sostituzione” che, a ben vedere, risolve definitivamente il problema della ripartizione applicabile al caso della “sostituzione integrale” dell’impianto di ascensore già esistente (nel concreto, disposta solitamente per antieconomicità delle continue riparazioni). Per detta ipotesi la giurisprudenza non è riuscita nel passato a fissare un criterio definitivo di ripartizione (se, quindi, si dovesse applicare il comma 1 dell’art. 1123 c.c. - a millesimi - oppure l’art. 1124 c.c. - sostanzialmente, in base all'uso), trovandosi un po’ a metà tra la manutenzione e l’installazione ex novo. La riforma compie una chiara “scelta di campo” prescrivendo l'applicazione del secondo criterio e dando, certamente, un contributo alla deflazione del contenzioso sul punto (anche se, a ben vedere, in tal modo determinando un certo aggravio di costi per i proprietari dei piani superiori, soprattutto per quelle componenti di spesa che, pur facendo parte della sostituzione integrale, non dipendono dall'utilizzo dell'impianto e quindi dall'altezza). In ogni caso, può dirsi che rimane valida, ed estranea a questa ipotesi di “sostituzione” integrale dell'impianto, quella giurisprudenza che ha diffusamente affermato la necessità di ripartizione a millesimi (comma 1, art. 1123 c.c.) per le spese di “messa a norma” e/o “adeguamento” dell’impianto (cioè quelle determinate dall'entrata in vigore di “nuove” normative tecniche).
Infatti, è sempre stato pacifico che “le spese per l’adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE non rientrano tra quelle previste dall'art. 1124 c.c., poiché non dipendono da interventi correlati con l’intensità dell’uso, con la vetustà, con guasti accidentali: ne discende che esse vanno ripartite in base ai valori di proprietà delle unità immobiliari (cfr. Trib. Taranto 23 maggio 1996; nonché le conformi Trib. Parma 29 settembre 1994, n. 859; e Trib. Bologna 2 maggio 1995, n. 685). Principio altrettanto pacifico è quello per cui nell'ipotesi d’installazione ex novo dell'impianto dell'ascensore (prima non esistente) trova applicazione la disciplina dell'art. 1123 c.c. relativa alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza (proporzionalità al valore della proprietà di ciascun condomino) (cfr., fra tante conformi, Cass. 25 marzo 1999, n. 2833, Cass. 16 maggio 1991, n. 5479).
Analizzate le “conferme” della riforma (sulla materia della ripartizione delle spese), e le scarne modifiche espresse della relativa disciplina, è opportuno ora affrontare quelle che sono le “novità” che in tale ambito derivano (in maniera sostanzialmente indiretta) come effetti di altre “modifiche” che il legislatore adotta per altri aspetti della normativa condominiale.

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CASSAZIONE 09 MARZO 2016, N. 4664 - Rampe, Scale e Pianerottoli





CASSAZIONE 09 MARZO 2016, N. 4664

LA
 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANOLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE SESTA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:    Dott. Petitti Stefano -  Presidente Dott. Scalisi Antonino -  rel. Consigliere 
ha pronunciato la seguente:                           
SENTENZA
sul ricorso 16204-2014 proposto da:
S. M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C. D. R., presso lo studio dell'avvocato S. S., che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
A. L., A. M., A. C., A. N., T. G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. D. S., 3 PALAZZINA A/1, presso lo studio dell'avvocato C. S., rappresentati e difesi dall'avvocato E. S.  giusta mandato a margine del controricorso;
- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 1374/2013 della CORTE D'APPELLO di BARI del 19/07/2013, depositata il 29/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI;
udito l'Avvocato S. S. difensore del ricorrente che si riporta al ricorso ed insiste per raccoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
D.P.R. con atto di citazione dell’11 dicembre 1997 e, premesso di essere proprietaria di un fabbricato in (omissis) n. 6, sovrastante lastrico solare servito da una scala di accesso partente dal portoncino al civico n. 4, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Bari, S.M. , proprietario di un fabbricato attiguo, avente anch’esso accesso comune al medesimo numero civico 4 e alla scala, per sentire dichiarare l’illegittimità della porta realizzata alcuni anni prima da S. al colmo della prima rampa della scalinata comune sì da impedire ad essa attrice l’accesso alla seconda rampa.
Si costituiva S. chiedendo il rigetto della domanda dell’attrice e, invia riconvenzionale, che venisse riconosciuta l’avvenuta usucapione della proprietà esclusiva del secondo tratto terminale di detta scala e, quindi, la legittimità della porta di cui si dice.
Espletata CT e completata la fase istruttoria il Tribunale di Bari con sentenza n. 30 del 2006 rigettava a domanda attorea (qualificata quale rivendicazione di comproprietà della scala per l’intera sua estensione) per non avere essa attrice provata l’esistenza di titoli proprietari su di essa. Dichiarava assorbita la domanda riconvenzionale, proposta dal convenuto.
Avverso questa sentenza interponeva appello A.L. dichiarandosi successore mortis causa di D.P.R. , insistendo nella domanda di riconoscimento della comproprietà sull’intera estensione della scala e chiedendo la rimozione della porta apposta sull’ultimo tratto.
Si costituiva l’appellato S. riproponendo le stesse eccezioni e, soprattutto, appello incidentale condizionato per il riconoscimento dell’avvenuta usucapione della proprietà esclusiva dell’ultimo tratto della scala di cui si dice.
Nel prosieguo del giudizio la Corte ha disposto la partecipazione degli altri successori di P.R. e si sono costituiti A.M. , C. e N. , i quali si sono riportati integralmente all’appello di A.L. .
Infine, è intervenuto volontariamente T.G. , qualificatosi quale attuale proprietario dell’appartamento della già predetta D.P.R. in forza di acquisto del 23 novembre 2009.
La Corte di Appello di Bari con sentenza n. 1374 del 2013 accoglieva l’appello principale, dichiarando gli appellanti comproprietari dell’intera scala di cui si dice, rigettava l’appello incidentale, compensava tra tutte le parti le spese del secondo grado del giudizio. Secondo la Corte barese nel caso in esame, fermo restando che la prima rampa di scala è senza contestazione comune alle due proprietà perché serve a consentire l’accesso diretto al terrazzo dell’appartamento di D.P. , ma, anche, a permettere di raggiungere la seconda rampa dove si accede al terrazzo S. , questa seconda rampa di scala in via strettamente funzionale non serve alle esigenze della proprietà degli appellanti perché va oltre il loro terrazzo; tuttavia, negli atti di acquisto di ciascuno dei due proprietari non si coglie alcuna locuzione per escludere che la seconda rampa sia nella comproprietà, anche della originaria parte attrice, cioè, della D.P. e, pertanto, la scala nella sua interezza va ricondotta tra i beni condominiali di cui all’art. 1117 cc.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da S.M. con ricorso affidato ad un motivo. A.L. , M. , C. , N. e T.G. hanno resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con l’unico motivo del ricorso S.M. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 cc. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cpc. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe errato nell’escludere il diritto esclusivo di S. sulla seconda rampa di scale nel presupposto che la natura funzionale del manufatto, pur se realizzato nell’esclusivo interesse del ricorrente, si porrebbe in contrasto con il dettato dell’art. 1117 cc. Piuttosto, la Corte distrettuale, avendo riconosciuta la natura funzionale della seconda rampa per essere la stessa al servizio esclusivo della proprietà del ricorrente e, poiché il manufatto in contestazione non servirebbe agli appellanti, avrebbe dovuto ritenere che tutto l’insieme degli elementi fornisse la prova inconfutabile che la seconda rampa fosse funzionalmente al servizio, soltanto dell’unità immobiliare dello S. .
1.1.- Il motivo è infondato.
Va qui osservato che negli edifici in condominio, le scale, con i relativi pianerottoli, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, fra le parti di questo che, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni nella loro interezza, ed anche se poste concretamente a servizio soltanto di talune delle porzioni dello stabile, a tutti i partecipanti alla collettività condominiale in virtù del dettato dell’art. 1117, n. 1, cod. civ. (cfr. fra le tante, tutte conformi, Cass. Sez. II civ., sent. n. 1357 del 22.2.1996). La circostanza che le rampe di scala, con il pianerottolo, qui in contestazione, integranti l’ultima parte della scala condominiale, siano poste fra l’ultimo piano dell’edificio di cui trattasi e le relative soffitte sottotetto, appartenenti ad un unico proprietario, e servano principalmente a mettere in comunicazione le considerate porzioni dello stabile non rileva ai fini in discorso, avuto riguardo al dato che la scala è, in sé, una struttura essenziale del fabbricato e serve a tutti i condomini di questo come strumento indispensabile per l’esercizio del godimento della relativa copertura.
La Corte distrettuale ha correttamente osservato questi principi e correttamente ha chiarito che (...) l’art. 1117 cc. non ricollega affatto la comproprietà di tutte le rampe di una scala condominiale al fatto che le prime servono funzionalmente agli appartamenti sottostanti, e quelle successive a seguire, solo agli appartamenti via soprastanti, si da pervenire alla conclusione (errata) che i proprietari degli appartamenti sottostanti, non avendo ordinariamente interesse a percorrere anche le rampe superiori, sarebbero esclusi dalla comproprietà della scala nella sua integralità condominiale. Pertanto, come correttamente ha evidenziato la Corte distrettuale, poiché il contrario non risultava dal titolo, anche la seconda rampa di scala, qui in contestazione deve ritenersi di comproprietà della proprietà di D.P. , attualmente rappresentata dagli appellanti ed intervenuti A. , e, indi, dall’ultimo intervenuto T.G. .
In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cpc. condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di Cassazione.
Il Collegio, ai sensi dell’art. 13 comma I quater del DPR 115 del 2002 da atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificalo pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori come per legge; dichiara la sussistenza delle condizioni per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 del DPR 115 del 2002.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte di Cassazione il 5 novembre 2015
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